CAPITOLO XIX:
INCOMPLETO
Poi i gemelli nascono e l'incubo si avvera.
Per questo non volevo andare troppo avanti prima di ora.
Aspettavo questo momento sapendo cosa sarebbe successo.
Non so spiegarlo con razionalità, era solo un'ossessione, una fissa costante inspiegabile ed irragionevole.
Ma avevo questa paura.
La paura che la sua coscienza tornasse a far capolino stringendo i nuovi figli.
Che non potesse reggere oltre, che non ce la facesse a vivere due vite in questo modo.
Non riesce a separare l'essere padre dall'essere marito.
Ci sono un sacco di coppie
divorziate con figli che sono comunque felici perchè i genitori fanno
il loro 'dovere' molto bene anche se non fanno più coppia.
Però non è facile capirlo. Lo sapevo.
Aspettavo questo. Non so come lo aspettavo. Forse ne avevo paura.
In ogni caso ci siamo.
Il suo sms con la notizia della nascita. La foto dei bambini. Non riesco a guardare.
I miei complimenti freddi. La sua chiamata. La mia non risposta.
Sentirebbe che sono terrorizzato.
Questo dà inizio alla cosa.
Roger non mi richiama subito. Non mi richiama nemmeno dopo.
Ha saltato un torneo per stare vicino a Mirka nel parto, cosa normale dopotutto.
Io mi sento sempre più un'anima in
pena, il nervoso e l'ansia salgono ed alla fine guardo il telefono
chiedendomi se devo chiamarlo io.
Poi dopo qualche giorno di silenzio, mi scrive di nuovo.
'Tutto bene?'
Per sms? No, mai!
'Dipende!'
Non ci mette molto a rispondere.
'Da cosa?'
'Da te.'
A questo aspetta un po' prima di rispondere e la tortura sale.
Mi sembra di morire, ma io so,
sento che ci avviciniamo al momento in cui lo dirà. Che non se la sente
di vivere due vite così diverse, che ha paura di ferire i suoi figli
anche se non è sua intenzione, e non vuole far mancare loro nulla.
'Ne parliamo a voce.'
Capisce che è una conversazione impegnativa, che non possiamo farla per sms o telefono, pensa alla stessa cosa.
Quindi sorrido nonostante tutto, perchè mi capisce sempre. Siamo sulla stessa lunghezza.
Non posso fare a meno di lui, come farò, come farò a vederlo quando metteremo fine a tutto?
Lo vedrò ai tornei, alle
esibizioni, ai servizi, in nazionale. E non staremo più insieme. Sapevo
che rovinavamo tutto. Sarà un disastro, sarà doloroso.
Io non so, non so davvero come fare.
Starò male e basta.
Alzo lo sguardo, i suoi occhi sono
lì che mi fissano e non so da quanto. Un tuffo al cuore, un pugno allo
stomaco. Sospiro, sono già triste.
Mi mordo il labbro, però sorrido e
lo saluto, gli vado incontro, non lo tocco, non lo abbraccio e lui non
lo fa al mio posto, non prende iniziative.
- Come va? - Ci guardano tutti. Non abbiamo scelta.
- Bene, e tu papi? - Cerco di
scherzare, lui sorride di più e tira fuori il suo telefono, mi mostra
la foto dello sfondo. È lui coi due gemelli. Quanto sono belli tutti e
tre. Guardo dolcemente malinconico. È un mondo di cui non farò mai
parte.
- Siete bellissimi! - Lo dico e lui
fa un sorriso tenerissimo, ma anche lui ha qualcosa negli occhi. Rivedo
quella sua zona nera. È lì e si vede benissimo.
Poco dopo ci avviamo insieme alle camere, le prendiamo vicine di proposito, non è una cosa di cui qualcuno si stupisce.
- Metto via le mie cose e ti
raggiungo. - Dice cercando di risultare tranquillo. È il cercare la
parola chiave. Si vede che ha una cosa importante di cui parlarmi.
Inghiotto per l'ennesima volta, mi
sembra di andare al patibolo. Entro in camera, sistemo un po' di cose
ma non disfo tutto. Non so, non credo staremo molto. Che sensazione.
Quanto tempo sarà passato?
Roger bussa.
Io apro.
Siamo già seri, non riusciamo nemmeno a fare sorrisi tirati.
Roger si siede sulla sedia che gli ho lasciato libera, io sono sul letto.
Stringo le mani forsennato.
- Di cosa dovevi parlarmi? - Dico subito accennando al messaggio per telefono di qualche giorno fa.
Roger guarda un po' in basso le sue
mani, poi sospira e alza lo sguardo. Decide infine di affrontare subito
la cosa e non girarci intorno.
- Non voglio tenerti sulle spine.
So che sai di cosa voglio parlarti, perchè hai voluto aspettare questo
momento per andare oltre nella nostra relazione. - L'ondata che mi
coglie è violenta.
Mi investe dal basso e arriva al
viso, gli occhi bruciano, li apro e li chiudo in fretta. Stringo le
mani, contraggo la mascella e tiro ogni muscolo. Però non riesco a
rimanere seduto, così mi alzo in piedi di scatto, mi sposto da un piede
all'altro, le mani in tasca, i pugni stretti.
- Così è già finita? Avevo ragione? - Non so cosa dire, non riesco a mettere insieme due cose sensate. Questo è il massimo.
Roger si raddrizza nella sedia e mi guarda con attenzione.
Non si alza.
- Stan, non è facile... - Che inizio!
Questo mi manda il sangue al
cervello e mi giro seccato, la schiena tesa. Gli do le spalle e guardo
fuori dalla finestra scuotendo la testa.
- E' facile invece. Non riesci a
separare il padre dal marito. Adesso ti sembra la stessa cosa e non
capisci come si può essere un buon padre ed un pessimo marito! È tutto
qua! -
Con questo vado alla finestra, appoggio le mani al balcone e continuo a tendere i muscoli.
Lo sento alzarsi e muovere qualche passo, ma rimane incerto in mezzo alla stanza.
- Pensavo si potessero separare le
cose, ma mi sento in colpa nei confronti dei miei figli. Razionalmente
mi dico che non c'entra, moglie e figli sono cose separate, ma... - Mi
giro di scatto verso di lui e fiammeggiante sparo furente:
- Hai ragione, sono cose separate!
Perchè le coppie divise sono in grado di rendere felici i figli, di
essere sempre buoni genitori, anche se non sono più coniugi e sai come
ci riescono? Perchè lo vogliono e si impegnano a farlo funzionare! Se
pensi che non si possa fare è solo perchè non vuoi! - Roger cerca di
inserirsi, ma io lo fermo alzando le mani fra noi e continuo furioso
come un treno: - No Roger! Sapevamo che sarebbe andata così perchè ci
hai messo una vita ad ammettere che mi ami, non poteva andare
diversamente! Non tirare fuori scuse sui sensi di colpa, tu
semplicemente ci hai ripensato perchè ti sembra di essere una brutta
persona se la tradisci, anche se non te ne frega niente di lei! Però se
preferisci sentirti a posto invece che realizzato e completo, allora
chiudiamo qua. Ci abbiamo provato, ma sapevo sarebbe andata così!
Davvero! - Con questo torno a girarmi e a dargli le spalle mentre la
rabbia sta lasciando il posto alla disperazione.
Vattene, Roger. Vattene e lasciami piangere. Devo recuperare le forze prima del torneo. Dio, come gioco, ora?
Ho una tempesta interiore che mi sta uccidendo, non so come se ne esce da qua. Come si sopravvive a questo?
Mi sembra di morire.
Lo sapevo, ma è comunque dura.
Lui sta zitto, è un momento infinito, fa per avvicinarsi, tendo i muscoli, si ferma.
Allora la sua voce si leva in un mormorio.
- Mi dispiace, Stanley. Mi dispiace
davvero. Forse mi serve solo tempo per elaborare, abituarmi e trovare
un equilibrio. Io ti amo e spero che a questo tu non dubiti mai. -
Stringo gli occhi, le lacrime scendono.
- Vai. Non dipende da me, Roger.
Vai. - Con questa laconica chiusura, lui mi lascia in pace. La porta si
apre e si chiude ed io mi accascio giù sulle ginocchia, appoggio la
fronte alle mani, sul balcone, e piango.
Piango così tanto che l'idea di
uscire di qua e affrontare la mia vita, un torneo, la gente, mi fa
vomitare e ricorro alla consueta mossa.
Scrivo il numero della camera a Nole e lo prego di venire.
Non ci mette molto.
Appena bussa lo tiro dentro e lo abbraccio sfinito, incapace di resistere ancora da solo, bisognoso di un'ancora di salvezza.
Nole non dice nulla, mi stringe e basta. Il suo silenzio è d'oro ed è perfetto.
Il resto della giornata lo passiamo isolati a confidarci, mi sfogo e gli dico tutto. Lui mi ascolta e mi dà il suo parere.
È di un'estrema dolcezza ed
io non posso dimenticare questi momenti, i momenti in cui mi
tiene su con un filo sottile impedendomi di crollare.
Se esco alla mia seconda partita e non alla prima, come Roger, è un miracolo.
Un miracolo davvero.
Lo devo al sostegno continuo di Nole che non molla un secondo, però lo stesso oltre un certo limite non ce la faccio.
Io e Roger non ci parliamo, non ci scriviamo e non ci chiamiamo.
Lui esce e se ne va, io non lo cerco e non dico nulla.
Il dolore che provo non ha eguali e sapere che una cosa succede non ti impedisce di soffrire di meno.
Certo, non ho fatto l'amore con lui
e forse questo un po' mi ha salvato. Però comunque rinunciare a lui
dopo averlo appena assaggiato è quasi impossibile. Però che scelta ho?
La vita va avanti anche se vorrei che finisse tutto. Perchè per me è comunque finita. È finita sul serio.
Di ragioni per andare avanti non ne trovo ed è davvero dura.
Torneo dopo torneo mi trascino. Se
non lo incontro riesco a fare qualcosa di decente, se lo vedo non
combino. Poco e nulla comunque.
Il tempo guarisce, il tempo cura. Ma se non c'è tempo per il tempo, qua sembra sempre tutto uguale.
Starò mai bene?
Starò mai di nuovo bene?
E intanto anche Nole e Rafa hanno i soliti problemi.
A questo punto io e Nole ci guardiamo e pensiamo seriamente che forse siamo noi quelli destinati a stare insieme.
Però nonostante l'occasione, ora prima di Wimbledon, in un momento particolarmente duro per entrambi, non lo facciamo.
Parliamo e ci sfoghiamo, siamo lì
lì per cedere e mandare tutto a quel paese, gli occhi lucidi di
entrambi che trattengono le lacrime, lui per Rafa ed io per Roger.
Eppure no.
Eppure bisogna lottare.
Ma per cosa?
Lui ha Rafa, ha la speranza che se gli dimostra che è una persona seria e di parola poi lui lo accetti.
È una speranza che intende mettere alla prova tornando primo in classifica. Per cui Wimbledon è decisivo.
Io... io non ho speranze, non ho obiettivi.
Se non riuscire a guardare Roger ancora, parlargli ancora.
Che speranza è?
Vederlo senza stare male.
Non è una speranza.
Ma comunque non riesco a pensare che a lui.
Ed intanto inizia il torneo più difficile dell'anno.
Un torneo che in qualche modo per me entrerà nella storia. Non per i miei risultati tennistici, ma per ben altra cosa.
/Roger/
Vederli e stringerli.
È come morire e rinascere.
Sono una parte di me, una parte di me che mi schiaffeggia e mi urla contro 'ehi, che diavolo fai?'
Ehi, che diavolo faccio?
Non amo mia moglie, ma è la madre dei miei figli, i miei figli. Inganno lei, inganno loro.
Loro sono fatti tanto di me quanto di lei.
Non posso tradire lei, tradisco anche loro in qualche modo. Non posso. Non è giusto.
Non è per il mondo che non saprà mai cosa provo e con chi sto, se tradisco o meno.
È per me. Mi sento come se pugnalassi queste piccole creature.
E mi dico che non è così. Che ci
sono le coppie separate e divise che amano i figli e loro sono felici.
Certi no, ma perchè i genitori si fanno la guerra e se ne fregano di
loro. Se noi non perdiamo di vista la cosa più importante, cioè loro,
ce la possiamo fare.
Loro non mancheranno mai di nulla.
Però non è facile perchè sebbene me lo dica, non ci riesco a guardarli e a convincermi di poterlo fare, che vada bene.
I giorni successivi ci penso con
ossessione e Mirka si accorge che ho qualcosa che non va, mi chiede se
vada tutto bene ed io penso di sì, che ho il tennis per la testa. Mi
scuso dicendo che so che non è carino. Lei dice che non dovevo saltare
il torneo di Madrid per lei, io le dico se è scema. Non mi sarei mai
perso il secondo parto gemellare.
Però i giorni continuano a passare così e la settimana vola.
Arriva Roma, a Roma lo decido definitivamente.
Non posso continuare nell'indecisione e a fare tutto perchè così è comodo.
Se scelgo una cosa, devo portarla avanti ad ogni costo, perchè è così che si fa.
E dunque va che io non so come fare se non che lo prendo e glielo dico immediatamente.
Non lascio nemmeno un giorno. Non potevo per telefono, era orribile. E ci ho pensato sufficientemente.
L'idea di lasciarlo mi dilania, mi
spezza, però devo, è la cosa giusta per i miei bambini che non hanno
scelto di nascere. Devo prendermi delle responsabilità. La vita la si
vive per intero, non solo a metà.
Lasciare Stan, uno Stan che già sapeva prima ancora che io concepissi la cosa, è la cosa peggiore che io abbia mai fatto.
Non è umanamente possibile andare contro il proprio cuore.
Cuore e ragione. Ma sono cuore
anche i miei figli, mi aggrappo a questo mentre lotto con me stesso per
non abbracciarlo da dietro mentre trattiene il fiato. So che sta per
piangere. So che sta piangendo. So che sta male.
Vorrei abbracciarlo, ma alla fine esco e lo lascio solo mentre mi chiudo in camera e mi sembra di svenire dal dolore.
Non riesco ad andare oltre, a metterlo via. E nemmeno guardare la foto dei miei figli mi aiuta.
Perchè è un amore del tutto diverso ed è la cosa più difficile che io abbia mai fatto.
E nulla, nulla potrà farmi stare bene se non lui.
Non ne parlo con Rafa. Non ne parlo con nessuno.
Implodo come sempre. Schiaccio
tutto dentro di me. Fino a soffocare e ad avere delle apnee notturne.
Mirka se ne accorge e comincia a preoccuparsi.
Io dico che va tutto bene, lei insiste, io la zittisco secco.
I giorni successivi vivo come uno zombie.
Non parlo, non sono allegro.
Sorrido solo ai bambini, ma Mirka si accorge che ho qualcosa che non
va. Mi chiede di parlargliene ma io dico che non c'è niente da dire.
Lei un po' insiste, ma poi alzo il muro e lei non riesce a buttarlo
giù.
È la fine di tutto.
È la fine di quel che era rimasto
fra me e lei, una specie di affetto, uno stare bene insieme comunque,
uno sfogo quando dovevo scappare dai miei sentimenti per Stan prima che
vi cedessi.
Ora non è più quel rifugio. È un peso.
E lei lo capisce che ho messo un muro.
Divento freddo.
- Roger, me ne devi parlare... -
- No, non devo. - E con questo gelido finale, me ne vado a Londra per Wimbledon.
Il tennis a volte mi aiuta, a volte non può nulla.
Spero che questa volta mi aiuti.
Perchè non so quanto ce la faccio.
Come è possibile?
Ho lasciato Stan per non tradire la mia famiglia, ma anche se ora non ho nessun altro che loro, non sono mai stato così lontano.
E non posso farci nulla.
Perchè sto male, sto così male senza Stan. Posso essere felice coi miei figli, ma incompleto senza lui.
Come ne esco?
Come ritrovo la mia serenità?
Stan ho bisogno di te. Ho bisogno di te.
Ti prego, aiutami.
Perchè senza te nemmeno essere
padre ha senso. Li amo, ma non riesco a gioirne. Sono incompleto,
incompleto. Dio, così incompleto...
Succede a Wimbledon.
È come se segnasse qualcosa, per me, quel torneo.
Non perchè alla fine ho raggiunto la finale.
Segna qualcosa perchè arrivo al
punto massimo di sopportazione, arrivo al punto in cui prendo una
decisione definitiva senza scampo, il punto in cui non mi impongo di
percorrere la via razionalmente migliore, ma percorro l'unica via che
potrei mai percorrere.