CAPITOLO XX:
GALASSIE



Io e Stan durante questo torneo facciamo in modo di non incrociarci, ma naturalmente succede di incontrarci involontariamente.
Siamo sempre in mezzo a molte persone per cui è impossibile fare finta di nulla.
Sorrido come gli sorrido sempre quando ci incontriamo fra gli altri, lui è più tirato, gli occhi gli diventano subito lucidi e così decido di fare qualcosa.
Lo vedo teso ed ho paura che questo pregiudichi la sua prestazione al torneo. Sarebbe orribile sapere che per colpa mia lui fa un brutto torneo, e visto che lo conosco bene e so che può succedere, decido di fare qualcosa.
Così la mia idea di evitarlo va a quel paese.
Aspetto che giochi il primo turno, poi a conferma di quel che so, ovvero fatica molto a passare, aspetto che arrivi la sera, aspetto che tutto si calmi, saluto Mirka che è venuta con le bambine e, con la scusa che domani giocherò e voglio stare concentrato, vado a dormire nell'albergo del torneo. Lei è in un altro.
Raggiungo il piano e vado oltre la mia camera.
Arrivo alla sua e busso. Non c'è nessuno intorno.
Aspetto qualche altro secondo, nel silenzio sento i suoi passi felpati, è scalzo. Appoggio la fronte e poi lo chiamo.
- Stanley... - La voce è dolce.
Sarà una buona idea davvero parlargli ora?
Il torneo inizia, dobbiamo stare concentrati, ma se pensiamo uno all'altro, ad evitarci e a non far capire niente a nessuno, finisce che usciamo subito.
Lui soprattutto.
Dopo poco la porta si apre, rimane socchiusa, ma il suo viso spunta. La penombra da dentro, una luce fioca dal comodino. Lui veste solo in boxer. Inghiotto.
- Posso entrare? - Chiedo piano. Lui trattiene il fiato, realizza e si guarda.
Però non me lo nega, si fa da parte e fa:
- Ok... - entro, mi chiudo la porta alle spalle e lui esita. - Mi... mi metto qualcosa... - Aggiunge notando che indugio sul suo corpo.
Annuisco.
- Sì, meglio... - Ovviamente l'imbarazzo è molto alto, come l'eccitazione e la voglia. È tutto intatto, anzi è molto più forte. Perchè gli sono stato lontano per un po' e questo invece di attenuare mi ha aiutato a capire quanto veri sono i miei sentimenti.
Stan ora indossa una canottiera e degli shorts, è sempre erotico ai miei occhi, ma forse sono io fissato. Con lui.
Stan ha un bel fisico, è possente e muscoloso, magari non è snello e figurino come altri atleti, come me per esempio. Rafa è magro e muscoloso, Nole è magro e affusolato. Ognuno ha il suo fisico. Quello di Stan mi fa impazzire ed ora che ha questi due tatuaggi è ancora più attraente.
- Cosa c'è? - Chiede con voce bassa, come se fossimo dei ladri spiati.
Mi gratto la nuca e sospiro guardando altrove per trovare coraggio.
- Sì dunque... - Faccio mente locale e rimango fermo davanti alla porta. Non mi chiede di sedermi, sa che non è il caso. Credo sia difficile per lui vedermi in camera sua di notte. - Volevo solo dirti... beh, non lo so nemmeno io cosa... ho... ho agito d'impulso. Ho solo deciso che dovevo fare qualcosa. - Stan aggrotta la fronte senza capire. Sono così confuso!
Arrossisco e allargo le braccia iniziando a gesticolare in difficoltà.
- Ti ho visto teso quando ci siamo beccati e poi hai giocato nervoso, io non vorrei... non vorrei che tu ti deconcentrassi per colpa mia, so che io ti distraggo e... non so, mi sentivo responsabile e volevo fare qualcosa, ma ora che sono qua mi rendo conto che forse non c'è niente che possa fare... - Inizio a parlare a vanvera e a macchinetta come fa Rafa quando è scoppiato, solo che lui infila parole in spagnolo e risulta ancor più incomprensibile, io parlo in tedesco. Stan che lo capisce perfettamente rimane un attimo perplesso, poi vedendo che non mi fermo e che forse esploderò da un momento all'altro, alza le mani, le posa sulle mie braccia, sfila sugli avambracci e mi prende le mani. Questo ha il potere di fermarmi.
Poi lui sorride dolcemente.
- Questo va già bene. - Mormora. Il nervoso di ieri e di oggi non c'è già più, lo sento rilassato e contento di essere qui con me, forse ha capito che ci tengo ancora e forse è quello che gli ci voleva. Non posso che sperarlo. Prendo le sue e le stringo. Non mi staccherò mai da lui. Come faccio?
- Scusami, sembro un ragazzino alle prime armi... non era questa la mia idea di 'fare qualcosa'... - Stan ancora sorride e si porta le mie dita alle labbra.
- Ti dico che va bene. Sapere che per te sono ancora importante, che ci tieni che io stia bene... che non mi hai già dimenticato... - Poi la sua voce si incrina, increspa la fronte e chiude gli occhi perchè sta per piangere, lo vedo il suo nodo e viene anche a me, trattengo il fiato ed il mondo sparisce, le regole, i doveri, il prima ed il dopo. C'è solo l'ora. Ora, adesso.
Subito.
E c'è questo bisogno impellente di lui, di noi.
Non mi è mai capitata una cosa simile, non ho mai vissuto così.
- Come potrei dimenticarti? Ti amo davvero. Ti amo ancora. Ti amerò sempre. Ti amo da quel giorno che ti ho visto sotto quell'albero da solo a guardare gli altri giocare a tennis... ero piccolo, non sapevo amare, ma ho iniziato ad amarti da quel momento, perchè è lì che ho deciso che ti avrei conosciuto! - Forse sto andando oltre. Apre gli occhi e lascia libere le lacrime. I suoi occhi diventano trasparenti, brillano dorati così vicini ai miei e sorride.
- Ti ricordi tutto? - Attiro le nostre mani unite alle mie labbra come ha fatto lui e le bacio con padronanza di me. Mi sento vivo. Mi sento io. Mi sento vero. Come se sapessi cosa sto facendo, come se andasse tutto bene.
- Come potrei scordare un solo istante vissuto con te? - Stan sorride ancora cercando di alleggerirsi.
- Ma è una vita! - Rido brevemente e lo sento respirare.
- Pensa quanto amore che ho! - Scuote la testa.
- Questo non va bene. Avevamo deciso... -
- Non ho deciso nulla... -
- Appunto per questo... -
- Non so perchè sono qua. - Riprendo con sicurezza mentre il coraggio si espande in me e non lo lascio. - Però voglio farti sapere che ti amo ancora e non smetterò mai e se c'è una cosa che non posso permettere, è che tu giochi male per colpa mia. -
Sospira e scuote la testa.
- Questo è sufficiente. - Mi lascia le mani e me le mette intorno al viso e con dolcezza porta le labbra sul mio orecchio per sussurrarlo piano. - Sapere che mi ami e che non mi hai già sostituito o dimenticato è sufficiente. Mi basta. Troverò il mio equilibrio. Ci ameremo senza viverlo. Ma ci ameremo. Come abbiamo fatto fin'ora, solo che adesso ne siamo consapevoli e siamo usciti allo scoperto. Andrà bene lo stesso. -
E per un momento, mentre il suo fiato mi solletica l'orecchio sensibile e mi eccito, chiudo gli occhi e mi chiedo quanto ci stiamo illudendo.
È impossibile riuscire per sempre a non toccarci, a non morire ad ogni contatto.
È impossibile che noi non faremo mai l'amore, che non ci baceremo più. Visto che lo vogliamo incessantemente, disperatamente, fortemente.
Apro gli occhi, giro la testa ed in risposta cerco la sua bocca, la trovo e lui prima si irrigidisce, poi gli metto la mano sulla guancia e si rilassa. Apre le labbra e mi concede di entrarvi con la lingua.
Il bacio ci attraversa con una scarica elettrica che parte dalla testa e attraversa la spina dorsale fino ad ogni terminazione nervosa. Lo sento in tutto il mio corpo ed è sconvolgente. Scivolo stringendolo completamente a me, lo abbraccio e lo tengo stretto a me, le sue mani sul mio petto scivolano intorno al mio collo e mi abbraccia a sua volta mentre continuiamo a baciarci, abbandonandoci a quello che vogliamo con ogni nostra particella.
I nostri petti, le nostre gambe, i nostri bacini a contatto. Le erezioni che si fanno dure. La mia lingua che gioca con la sua, il suo sapore e la voglia di averne di più, di farlo mio, solo mio.
Ma lui lo è, sarà solo mio.
Lo tocco sulla schiena, vado giù sui suoi glutei e mi infilo sotto l'elastico degli shorts. A questo punto trattiene il fiato e mi prende i polsi tirando via.
- Non avrò la forza di smettere se vai oltre. - Dice roco e lucido per poco. Io sono già andato se è per questo.
Perchè non si può fare quello che si vuole senza conseguenze? Perchè non si può semplicemente lasciarsi andare per essere felici?
Ho sempre preso in giro Mirka, lei non lo sa e non ne soffre, non è corretto quello che le ho fatto sin dal primo istante, ma mi sono preso le mie responsabilità, non le ho fatto mancare nulla, l'ho resa felice ed ho fatto del mio meglio.
I miei figli sono il centro del mio universo, ma in un universo ci sono soli, pianeti e satelliti.
Una galassia sono i miei adorati gemelli, l'altra è Stanley e lo sarà sempre.
Non so se sono in grado di saltare da una all'altra separando le due galassie, essendo vero in ogni caso, vero ma diverso.
A volte penso di poterlo fare, altre credo che mi illudo che siano galassie diverse. Che i figli siano una, Stanley un'altra e Mirka un'altra ancora.
Posso orbitare fra i figli e Stanley e talvolta possono anche incrociarsi che non succede nulla. Ma posso tenere lontana Mirka?
O Mirka è lì in quella dei miei figli?
Tradire Mirka è tradire i miei figli o non centra nulla?
Capendo che devo fare pace con questo concetto che ancora mi turba e mi confonde, sospiro, chiudo gli occhi e appoggio la fronte alla sua arrendendomi.
- Però ti amo. Sei parte del mio universo e lo sarai sempre. - Stan sorride capendo i miei giri mentali.
- Ed un'altra parte lo sono i tuoi figli. Ma devi capire se Mirka è lì oppure no. - Come mi capisce bene. Sorrido colpevole e annuisco.
- Ma tu ci sei ed è questo che conta. - continua a guardarmi con maturità e consapevolezza, un pizzico di tristezza e qualcosa di indefinito, il suo continuo mistero.
- E ci sarò sempre. Ma prima definisci meglio il tuo universo. Non per me, ma per te stesso. Non voglio che tu mi viva con angoscia e sensi di colpa, non voglio essere causa di turbamento e sofferenza per te. - Questo è quanto mi ama. Poteva fregarsene e legarmi a sé, i modi c'erano, sa come fare. Però si costringe a pensare a me, a fare il meglio per me.
Quanto può amare una persona?
Sconvolto da questo, lo prendo e lo bacio di nuovo. Poi lo ringrazio e gli auguro un buon Wimbledon.
Infine esco.
In camera mia faccio quella cosa, visualizzazione. E visualizzo noi che facciamo l'amore.
Di nuovo l'orgasmo è estremamente appagante.


Dopo di questo incrociarci non è un dramma, ma c'è sempre un tuffo al cuore, dei sorrisi ebeti come se fossimo innamorati, appena fidanzati o come se ci stessimo corteggiando.
Non flirtiamo perchè evitiamo di stare troppo vicino, troppo soli, però le cose diciamo che in generale vanno meglio ed infatti arriviamo ai quarti di finale uno contro l'altro.
È un po' traumatico vederlo negli spogliatoi da soli, ci parliamo come facevamo prima. No, beh, in modo decisamente diverso. Perchè si capisce che ci tratteniamo.
Però gli faccio le raccomandazioni, di non farsi distrarre dalla nostra situazione e di rimanere concentrato solo sulla partita.
Lui  è parecchio teso, però alla fine usciamo da questo spogliatoio tortura e andiamo in campo.
In campo le cose vanno meglio nel senso che poi scarichi giocando, almeno per me è così. Quando gioco non ho altri problemi, il mondo resta fuori dal recinto, io sono lì, gioco e basta. Per me è così, è facile.
Per lui è diverso.
Ha molti alti e bassi all'interno della partita, volte in cui è sul pezzo e mi fa vacillare, altre in cui proprio sbaglia per distrazione e nervoso.
Comunque è migliorato moltissimo in un anno, a Gennaio il mio Stanley ha vinto il suo primo slam e poi ha vinto anche un mille, per cui sta andando molto bene, ha spiccato il volo e sono felicissimo per lui.
Alla fine comunque vinco io, per me era molto importante questo torneo, non avrei permesso a nulla di ostacolarmi. Però è stata una partita molto bella e piacevole, non ci sono state tensioni fra di noi, lui ha avuto qualche momento negativo che ho saputo sfruttare, come sempre, però ne ha avuti meno del solito.
È sulla buona strada. Se continua così, continua bene.
Poi ci ritroviamo praticamente subito negli spogliatoi perchè dopo non ci sono cerimonie o interviste se non due parole al volo per me. Arrivo che si sta infilando in doccia, inghiotto e sospiro non sapendo bene cosa fare. Aspetto che finisca ed esca e poi vado a farla io?
Sarebbe la cosa migliore.
Mi spoglio e preparo le cose da mettere dopo e ci metto molta calma.
Non ho risolto molto nel senso che lo amo, mi ama, ci adoriamo, ora ne siamo entrambi consapevoli, ce lo siamo detto, ma non possiamo viverlo. Il non poter fare qualcosa lo rende ancor più intrigante ed attraente. È difficile così.
Finalmente Stan esce, è stato un lampo, sorrido e faccio per entrare quando mi fermo notando che non ricambia il mio sorriso. Capisco sempre subito quando ha qualcosa ed ora lui ha qualcosa. Con me.
E non dipende dalla sua sconfitta perchè non se l'è mai presa.
- Che c'è? - Chiedo fermandomi. Sono nudo con l'asciugamano alla vita pronto per infilarmi in doccia. Anche lui è nudo con l'asciugamano alla vita. Bagnato.
Il caldo sale più di quello che è davvero.
Ed anche un'altra cosa sale. Mi sta fra le gambe.
- Che c'è? Non te ne sei accorto? - E' sostenuto. Quando ci siamo abbracciati in campo era un po' strano, ma pensavo fosse per la sconfitta, comunque ci siamo stretti come sempre. Adesso però ha proprio qualcosa.
- No, io... ma ho fatto qualcosa? - Stan sospira insofferente e questo mi eccita anche di più. Sono in astinenza.
- Non tu! Tua moglie! - A questo mi acciglio e mi incupisco.
Mirka ha espresso diverse volte negli anni il suo fastidio innato verso Stan, ma è normale perchè una donna sa chi rappresenta un pericolo.
Però l'ho sempre messa a posto e le ho impedito di dargli fastidio in modo diretto.
Cosa ha combinato? Quando?
- Che ha fatto? - Chiedo serio. Stan sospira e scuote la testa andando oltre, si toglie il telo dalla vita e si asciuga, io evito di guardarlo per distrarmi e lui non se ne accorge.
- In partita, in un momento a me favorevole, stavo andando bene e tu eri un po' in bilico e lei che era dietro di me nel pubblico ha detto a voce molto alta per farsi sentire qualcosa contro di me! - Mi irrigidisco e mi incupisco, la rabbia sale come un'ondata gelida.
- Che ha detto? - Scuote le spalle e si infila i boxer.
- Perdente... qualcosa del genere. Lo ha ripetuto un paio di volte. Questo mi ha innervosito perchè ho riconosciuto la sua voce. Volevo tirarle un ace in faccia! Non l'ho fatto perchè era tua moglie! - Sebbene di solito sdrammatizzerei e scherzerei, questa volta è seria la faccenda. Non c'è niente da ridere. Come ha osato?
Questa non la passa liscia.
La rabbia arriva come una bufera di vento, non mi sono mai sentito così furioso con lei e penso che se fosse qua ora le direi tutto di lui. Che amo lui e che non deve permettersi di dirgli nulla di alcun genere.
- Mi dispiace, le dirò di non farlo più. Io... - Stan continua a vestirsi senza guardarmi e questo mi distrae dalla mia rabbia. - Stan, hai perso per questo? È colpa mia? - Stan allora si raddrizza e mi guarda coi pantaloni infilati e la maglietta in mano.
- Certo che ho perso per colpa tua. Ma non per la sua idiozia. Ho perso perchè mi hai battuto, sei stato più forte! - Non è esatto, so che quando si gioca ogni stronzata può essere determinante. Sospiro, ma non insisto, scuoto la testa e mi tolgo seccato l'asciugamano fregandomene se mi vede nudo, a lui gli cade la maglietta e questo mi riporta alla realtà.
- Scusa. Davvero. - Per la nudità e per Mirka. Lui mi guarda spaesato. - Non succederà più. - E non capisce a cosa si riferisce.
Entro nella doccia e quando esco ormai lui è pronto, gioca con le sue borse come se stesse sistemando qualcosa che è in ordine. Mi passo la mano sul viso e sui capelli sgocciolando un po'.
- Ce l'hai con me? - Chiedo poi ancora pensandoci. Stan allora sorride e scaccia con la mano.
- Impossibile con te. - Con questo sto meglio e al mio sorriso lo vedo sollevato. Ci salutiamo e se ne va.

Lui non lo vedo per un mese almeno e con Mirka ci litigo, non furiosamente perchè con me non si riesce. Ma lo faccio.
E categorico glielo dico chiaro e tondo, piatto.
- Se lo rifai non ti faccio più venire alle nostre partite! - Mirka fiammeggia, si accende come un fiammifero.
- Come?! Me lo impediresti?! - Io annuisco.
- Puoi starne certa! - Poi alzo il dito indice davanti a lei e serio come non mi ha mai visto, dico gelido. - Una volta, Mirka. Solo una. E tu hai finito. - Con questo la questione si chiude. O per lo meno io lo penso.
Lei non aggiunge nulla, non se ne parla più ed io e Stan non ci sentiamo per tutto il mese di pausa.
Poi ricomincia la seconda parte del tour ed è impegnativo per entrambi far collaborare tutto quanto.
Il nostro amore, il non poterlo vivere, i vari ruoli... lui che ha problemi con Ilham, io che tengo a distanza Mirka che fa finta che vada tutto bene e che intanto incenerisce Stan... io me la cavo meglio, mi ci giostro sempre più, vedo che col tempo mi abituo e trovo dei sistemi. Riesco proprio a separare e smistare le diverse cose che vivo e che provo, come se le mettessi in compartimenti stagni.
Però vedo che per Stan è diverso, lui non riesce a separare nulla. Per lui è tutto un miscuglio di cose e non può nemmeno voltare pagina con me perchè quando ci vediamo siamo molto dolci uno con l'altro ed io lo chiamo in prossimità di partite difficili e dopo quelle che disputa, è una cosa che ho ripreso a fare, non so quanto bene gli faccia. Però la faccio ed io non intendo rinunciare a lui, al rapporto con lui, qualunque esso sia. Certo, mi metto dei limiti, ma è tutto qua.
Per lui però è diverso e si riversa nel suo gioco di nuovo incerto e distratto, infatti passa alcuni mesi ad uscire presto dai tornei che disputa.
Cerca di starmi un po' lontano, ma poi alle partite di Davis Cup che fa con me è tutto un altro giocatore. Si torna a vedere quello Stan che ha vinto un torneo del grande slam, che ha battuto me, che ha battuto Nole, che ha battuto Rafa.
Ho notato che le volte che lui gioca davvero bene sono quando con me le cose vanno bene o quando per lo meno siamo insieme e siamo in un buon periodo. Essere responsabile del suo gioco è un po' come esserlo della sua carriera ed essendo la persona che amo, è una grande responsabilità.
Sospiro mentre ci penso guardandolo nel suo singolo contro un italiano. Ad ogni giocata grandiosa che fa si gira verso la sua panchina, dove sono io e tutti gli altri, cerca il mio sguardo e fa il pugno, oppure si indica la testa per dire che è una questione di testa. E poi mi ride felice, così felice. Amo vederlo felice, allegro, elettrizzato.
E amo vedere che poi quando vince mi corre incontro abbracciandomi, cerca me per primo. È rilassato e distratto dalle regole che di norma si auto impone quando ha a che fare con me, ora era totalmente sulla partita e giocarla bene proprio davanti a me lo ha riportato ad essere spontaneo, sé stesso.
E questo sé stesso ama me, vive per me, tutto quello che fa lo fa per me. Non ci sono dubbi. Ora che lo so, ora che ce lo siamo detti, vedo tutto chiaro e mi chiedo come facessi a non capirlo prima. Del resto quando uno non vuole vedere, non vede nemmeno un sole in pieno giorno.
Io da parte mia non sono meglio di lui, in questi giorni qua mi sono lasciato molto andare perchè ho ritrovato la gioia di esserci. Di fare qualcosa con lui.
Sono allegro, euforico e folle, sono in quella modalità per cui mi ritrovo a fare il deficiente, dove faccio qualunque cosa perchè tanto chi se ne importa.
Ed una delle cose che mi ritrovo a fare è massaggiargli le spalle allo stadio, seduto in panchina in attesa di un suo turno di gioco. Penso che potrei arrivare a baciarlo davanti a tutta questa gente.
Sono felice, sono felice perchè sono con lui, gioco con lui, e lui è rilassato e gioca bene e tutto va perfettamente.
Sono felice e non riesco a nasconderlo.
E si capisce perchè ci riempio di foto di continuo, foto a lui, a noi, tutte le volte che sono con lui a fare qualcosa per la squadra, come conferenze, oppure quando ci troviamo per fare colazione e poi allenamenti.
Oddio, allenarci insieme è bellissimo.
In ascensore una delle ultime mattine me lo dice. Perchè lui sembra ingenuo, ma in realtà nota tutto.
- Senti, ma quante foto ti servono per ricordarti di questi giorni? - Forse centra il punto. Voglio guardarle, una volta a casa, lontano da lui, e sorridere per ritrovare questa sensazione. La sensazione in cui io sono felice perchè sono completo, quella che mi manca quando sono lontano da lui.
Sono cose pericolose, alimentano una condizione pericolosa che avevamo deciso di frenare. Invece l'alimentiamo.
Io sorrido e in risposta prendo il telefono, mi avvicino a lui a scatto un'altra foto e rido divertito. Lui mi asseconda, mi fa morire. Farebbe qualunque cosa decidessi.
- Come la pubblichi, ora? 'Io e mio marito?' - Questa volta è provocatorio ed audace. Si riferisce alla foto di ieri che gli ho fatto rubandogliela mentre parlava in conferenza coi media, gli ero seduto vicino e mi annoiavo e siccome stavo pensando che volevo registrarlo perchè amo come parla in francese, ho preso il telefono e cercando di non farmi notare ho cercato la registrazione. Ma alla fine ho scattato una foto. Poi se ne è anche accorto e si è proteso su di me per farne un'altra.
Poi le ho pubblicate entrambe con diciture diverse. In una 'io ed il mio uomo' ed in un'altra 'dite che se ne è accorto?'
- Che ti devo dire, amo fare foto con te! - Dico semplicemente mentre usciamo dall'ascensore ed ovviamente pubblico la foto. Forse non dovrei riempire i miei profili con foto nostre, specie perchè come mi ha fatto notare lui, diventa una cosa evidente. E poi le mie didascalie sono un po' azzardate.
- Avevo scritto 'my man' perchè tu ti fai chiamare stan the man! - Stan ride mentre cammina con me verso la mensa.
- L'ho capito, però my man significa molte cose. Ed il mondo ha tradotto con 'il mio uomo'! - E' vero, infatti tutti ne parlano. Pazienza. Mirka per ora è lontana anni luce dalla mia vita. È come se non esistesse, separo le cose. Ci sto riuscendo. Ci sto riuscendo perfettamente.
Di mattina sento le bambine, poi sono con Stan e non mi sento più in colpa. La sensazione di mesi fa di non poter separare il marito dal padre è svanita. Penso sia perchè ho ristabilito le priorità. Ho capito che non posso fare a meno di chi amo.
E mi sto comportando di conseguenza.
- Io intendevo quello che intendi tu col tuo soprannome. Solo che invece di essere 'il' sei  'mio'. - Quando realizzo quel che dico mi fermo e mi mordo la bocca facendo una smorfia, lui si ferma a sua volta, si gira a guardarmi con l'aria da 'ma ti senti?' e allora senza bisogno di dire nulla, annuisco consapevole e con una mano alzata mi scusa.
- Ok, hai ragione, suona male in ogni caso! Dovevo pensarci meglio... - Stan quindi ride e va al tavolo, io lo seguo.
- Non devi scusarti, non suona male. Per me funziona in ogni caso, a me sta bene. - Lo dice ridendo e mi calmo anche io.
- Mi sto solo lasciando andare. Però devo ricordarmi di quello che abbiamo deciso. - Dico piano abbassando tono e sguardo. Lui mi bussa con la nocca dell'indice sulla mano, aspetta che rialzi gli occhi e poi fa padrone di sé e della situazione:
- Io sono felice se ti lasci andare. Con me non devi frenarti. Qua siamo solo io e te. - Poi arrivano gli altri della squadra ad interrompere e far baccano.
- E altri quattro deficienti! - i quattro in questione ci spintonano e cominciano a far casino, tutti euforici per il grande momento che stiamo vivendo, pieni di speranze che questa volta ce la possiamo fare. Io e Stan poi facciamo cadere la cosa e non azzardiamo più nulla. Fingiamo di non essere mai andati in argomento ed intanto ci penso.
Siamo soli, posso essere me stesso, ma avevo promesso che sarei stato una persona integra per i miei figli.
Ma è anche vero che non sto facendo loro alcun torto.
Una volta che il cordone ombelicale viene tagliato, figli e madre sono due entità distinte. Se tradisco lei, non tradisco loro.
È una cosa su cui devo riflettere ancora un po', perchè se decido di farlo deve essere definitivo. Non intendo lasciarlo una seconda volta. Piuttosto vivo col senso di colpa, ma non lo lascio.

Quando vinciamo il turno intero, mi ritrovo sulle spalle di Luthi e Stanley che mi strappano dall'intervistatore e mi fanno fare il giro del campo davanti al pubblico che acclama il mio nome.
Non è merito mio, io ho fatto il mio, ma da solo non bastavo.
Però anche se sono sulle spalle di due persone, è solo una testa quella che guardo con amore, è solo una quella che carezzo con dolcezza, è solo una che per me esiste.
Ed è la testa del mio Stanley.
Vivere in un mondo con lui mi fa capire che non ne esiste uno senza. Che se lui non c’è, non è più un mondo quello in cui sono, ma vago disperso nell'universo, senza orbita. E appena lui torna, i miei piedi toccano di nuovo Terra.
La verità è che lo amo così tanto che non sarò più in grado di nasconderlo, trattenerlo e non viverlo a pieno, come ci siamo ripromessi di fare per tutta la vita.
Ed il fatto che ce lo siamo detti, che ci siamo detti che ci amiamo, ma che non possiamo viverlo, è peggio. Perchè ho come l'ossessione di lui.