CAPITOLO III:
CONFIDENZA


In camera io sono stranamente taciturno e Stan stranamente eccitato.
La cosa mi sconvolgerebbe se non fossi più sconvolto dalla mia emozione. Non è normale da parte mia.
Stan butta il borsone a terra e alza i pugni in alto sorridendo tutto felice, gli occhi ed il viso si illumina.
- Abbiamo iniziato bene, no? - Sorriderei. Se non fosse che ho un attacco di mal di pancia che mi fa chiudere in bagno con i crampi all'intestino.
Mi sciolgo in dissenteria nervosa, per cui non contagiosa, e pianto Stan da solo in camera.
Poco dopo bussa.
- Tutto bene? Rog? - E' la prima volta che mi chiama con un soprannome e questo ha il potere di farmi sorridere.
- Sì... adesso esco... - Apro la finestra ed esco dal bagno sospirando pallido e imbarazzato.
Lui mi guarda preoccupato, capendo che non sto bene.
- Devo cominciare a fare qualche rito di guarigione o posso stare tranquillo? - lo dice serio e teso, per cui non sta scherzando, o almeno non mi sembra.
Questo ha il potere di sciogliere la mia tensione e scoppio a ridere. La scarica e la partita mi hanno indebolito, per cui vacillo un attimo e mi appoggio a lui con la mano.
Mi circonda col braccio e rimane preoccupato a fissarmi mentre rido spontaneo buttando fuori tutte le angosce avute fino ad ora. Che nemmeno immaginavo di avere.
È come essere attraversato da un fulmine che scarica sulle suole di gomma. Ho un punto d'ingresso ed un punto d'uscita, ma il punto d'ingresso della carica è dalla mia testa e deriva dalla realizzazione di tutte le aspettative nazionali e personali di una vita intera. La carica passa per tutto il mio corpo e poi esce. Esce dalla mano appoggiata sulla sua spalla e si trasmette a Stan.
Impallidisce perplesso e preoccupato perchè forse pensa che sia impazzito, ma mi tengo la pancia dal tanto ridere e mi asciugo le lacrime e questo, sono certo, finisce in lui in qualche strano modo esoterico.
È come se si prendesse tutto lui, come se mi avesse succhiato quelle preoccupazioni.
Quando smetto di ridere, a fatica, non ci penso subito.
- Scusa, ora sto meglio. Ho... ho avuto un momento di sbandamento perchè ho realizzato in modo completo cosa stiamo facendo. - Evito di spiegarglielo perchè emotivo com'è rischio di mandarlo in burn out!
Lui annuisce attento e impensierito, ma io continuo ad appoggiarmi a lui e a ridere.
- Ho la risata infinita, quando attacco non riesco a smettere per nessuna ragione. - Lui rimane a fissarmi in attesa.
- L'ho notato... - Fa perplesso.
Alla fine riesco a smetterla ed appoggio la fronte sulla sua spalla, Stan si prende anche questo, in qualche modo, e mi fa smettere di ridere riportandomi ad un livello normale che non sa più tanto di follia.
- Oh ragazzi! Non credevo di reagire così! -
Stan mi guarda ancora circospetto.
- Stai davvero bene o devo chiamare la Croce Verde? - Scuoto la testa e le mani e mi alzo dalla sua spalla che ancora mi sosteneva.
- Ok, ci sono. -
Ci prepariamo per andare a mangiare e gli spiego cosa mi è successo cercando di non trasmettergli le mie angosce che però non le provo più come prima, per cui stando meglio io, non gliele porto come se fossero chissà cosa.
- Non so, prima mi sembrava una gran cosa... - Dico alla fine vedendo che non fa più lo stesso effetto.
Stan si stringe nelle spalle e non dice molto se non cose di circostanza, poi spiega come si sente lui, quel che ha provato. Parla un po' di sé e così la conversazione prende un'altra piega.
Solo in camera, al momento di dormire, ognuno nel proprio letto rivolto uno verso l'altro, ne parliamo perchè ho elaborato l'accaduto nel complesso.
E mi esce così.
- Cosa mi hai fatto prima? Ero allucinato fino a che non ti ho visto, poi mi sono messo a ridere come un idiota, senza motivo, e quando ti ho toccato io... - Sospendo la frase, è una cosa stupida da dire, ma è buio e ci vediamo poco, quindi sono spinto a dire certe strane cose, confidenze.
- Ti sei scaricato? - Annuisco.
- E' una specie, sì... mi sono sentito improvvisamente svuotato da tutto quel gran caos che mi riempiva. -
Mi sembra sorrida, o forse fa un'espressione particolare. Alzo la testa per guardarlo bene e forse addirittura arrossisce, ma è troppo buio per dirlo.
- Da quel che mi han detto, sempre la persona che mi ha insegnato a gestire l'ansia, siamo fatti in due modi. Ci sono quelli che distribuiscono emozioni, sentimenti, energia e qualunque cosa li riempiono. Quelli che cioè li trasmettono a chi li circonda con molta moltissima facilità e spesso sono quelli che spiccano di più, quelli estroversi e quelli più facilmente amati. E poi ci sono quelli introversi, che assorbono quello che trovano in giro. Gli stati d'animo degli altri, la loro energia, quel che provano, insomma. Lo assorbono come delle spugne. E dipende da quel che prendono via. Nel caso di una semplice gioia, non ci sono conseguenze. Non è che poi l'altra persona non è più felice. Però nel caso in cui si prenda ansie e preoccupazioni, la persona da cui prende sta meglio. E'... è una specie di magia. Non succede con tutti. - Poi si ferma rendendosi conto d'aver parlato troppo e corregge il tiro. - Questo è quello che mi hanno sempre detto. Poi io non so, forse sono solo sciocchezze. -
A questo punto ho quell'indomabile impulso dei vecchi tempi che a volte torna fuori.
- Stanley, chi è questa persona? Mica è un santone pedofilo che ha abusato di te e per questo sei così chiuso e timido? - Non so come mi sia uscito, sono quelle cose da non dire mai a nessuno. Io l'ho detto. Mi alzo sul gomito e lo guardo con aria di scuse pensando d'averla fatta grossa. Se fosse vero come posso pretendere che me ne parli così?
Ma lui si mette a ridere e mi sembra una risata spontanea, così mi rilasso.
- Dai, stai scherzando? -
- No, cioè non so... parli di lui in modo misterioso e... sembra te ne vergogni... -
- E' mio zio, solo che ha sempre avuto l'aria stramba e quindi ero sempre preso in giro per colpa sua. Ero timido di mio, vivevo in una fattoria e mio zio era uno svitato! Non è che mi ha aiutato a risolvere i miei problemi di socializzazione! Quindi anche se l'adoro e penso che forse quel che diceva non sono del tutto stronzate, sono ormai abituato a nasconderlo e ad essere evasivo su di lui. Non... non ne ho mai parlato con nessuno. Nessuno sa di lui e di queste cose che mi raccontava. - Si spegne imbarazzato di questa cosa e di averla detta ed io stesso non so come affrontare lo strano momento. Molto strano.
Così strano che lascio il silenzio per un po', ma continuo a guardarlo e lui guarda me in attesa di qualcosa, qualcosa da dire, da chiarire.
Ma cosa dovremmo dire?
- Pensi che sia fuori anche io? - Chiede poi. Io trattengo il respiro e rispondo d'impulso.
- Ma no! Alla fine uno le può mettere giù come vuole, ma i concetti sono sempre gli stessi. Alcuni sono estroversi e buttano fuori facilmente quello che provano, altri sono introversi e prendono quel che provano gli altri, solo che lo elaborano interiormente e da fuori sembra tutto ok, ma poi chissà... chissà come si sentono? Magari ansiosi... magari spaventati senza motivo apparente... o... tu... tu come ti senti? - Abbasso il tono realizzando che lui è così. Lui è uno che assorbe, che prende.
E lo è da sempre.
Ed è per questo che stava sempre solo. Cercava di evitare di prendere gli stati d'animo altrui.
- A volte sono gioiosi ed è bello, come nel tuo caso. Mi hai dato felicità da subito. È sempre stato bello starti vicino, non sei mai stato pesante. Sei anche terapeutico. Altre volte è pesante, prendo la loro rabbia, la loro paura, la loro ansia... lo divento anche io senza motivo. È snervante essere ansiosi senza motivo. Tutto qua. Insomma, a volte sono solo stressato! - Cerca di alleggerirla, ma non penso sia tanto facile come dice.
Credo che il suo mondo sia davvero ancora più enorme di quel che fin'ora ho pensato e già pensavo fosse enorme.
- Facciamo visualizzazione insieme? - Dico poi cercando un modo per non appesantirlo o imbarazzarlo. Voglio.... voglio che si senta a suo agio a condividere questi aspetti intimi e mi piace farlo. Sono cose sue, solo sue, però me le sta mostrando ed è stupendo.
Perchè?
Non lo so, forse un giorno lo scoprirò.
Forse un giorno avrà senso.
Non per questo mi fermo.
Lui sorride e si stende a pancia in su rasserenato.
- Certo. - e tutto ricomincia da capo. Sconvolgentemente bello.


Non so perchè, ma mi fisso con gli abusi. La reazione di Stan quando gli ho chiesto se suo zio abusava di lui da piccolo è stata immediata, però non significa nulla.
Ci ripenso e penso a cosa mi ha fatto sospettare. Al modo in cui ne parla. Sembra che sia uno che si vergogna di lui, ma che condivide qualcosa di quello che gli diceva.
Una specie di lotta interiore.
Cosa significa che era strambo?
Non dice nulla, resta evasivo anche in questo.
E ripenso a tutto quello che mi ha trasmesso sin dai primi giorni.
Stan mi ha sempre dato l'idea di una persona triste e malinconica, inizialmente pensavo avesse problemi in famiglia, ma in realtà non è così, per cui perchè quegli occhi perennemente tristi?
È gentile e triste, poi sorride ma in fondo rimane malinconico, i suoi occhi lo sono.
Non saprei perchè inizio a fissarmi con questa cosa, ma non posso certo obbligarlo a parlarmi delle sue esperienze. Se ne ha fatte davvero di traumatiche non posso proprio obbligarlo.
Ma so anche come sono fatto. Cioè quando mi metto in testa una cosa, prima o poi, in qualche modo, la scoprirò.

La questione della visualizzazione funziona molto bene, quando scendiamo in campo Stan è davvero molto concentrato e va che andiamo avanti come treni nella competizione di doppio. Sembra un sogno e non vogliamo svegliarci.
Varcata la soglia gli do uno schiaffo amichevole sulla nuca nella mia versione felice ed entusiasta:
- Ma questa roba esoterica funziona! - Stanley, che per poco non si ribalta per terra, mi guarda massaggiandosi la nuca con aria perplessa:
- E per dirmelo mi devi uccidere? - Chiede con la sua vocina. Io rido circondandogli il collo col braccio, lo attiro a me, lo stritolo e gli stampo un bacio sulla tempia.
- Sappi che inizio ad amarti! Se andiamo avanti così, andiamo alla grande! - Dico lasciandolo e buttandomi sul letto a pancia in su, con grandi respiri profondi.
Lui mi fissa rosso e imbarazzato. Devo aver esagerato.
- Dobbiamo stare coi piedi per terra. - Fa allora cercando un sistema per riprendersi dallo stato catatonico in cui sembra stia per cadere.
Credo d'aver esagerato, per uno così ritirato certe cose sono un po' tabù e a proposito di questo mi torna in mente l'impressione di questi giorni.
Credo che gli sia successo qualcosa da bambino, avrebbe senso. Tutto tornerebbe.
- Sono steso, non penso di cadere! - Io scherzo, amo scherzare, e lui si mette a ridere scuotendo la testa mentre si siede sul suo letto appoggiando le mani dietro di sé, fa un bel sospiro e mi fissa pensieroso.
- Non è esoterismo. - Fa come se ne stessimo ancora parlando.
Io alzo un sopracciglio e lo fisso, poi lui specifica con un sorrisino timido.
- Non so cos'è, ma non è esoterismo. Nemmeno occultismo. Cioè sono cose... - Non sa come descriverle e vedendolo in difficoltà gli vengo incontro, come faccio da quando lo conosco.
- Spirituali? - Si stringe nelle spalle e piega la testa rischiarandosi.
- Tipo... sì, un po'... sono cose interiori. Qua si parla di gestione delle emozioni, possiamo dire meditazioni o cose simili, ecco. -
Così colgo la palla al balzo e mi giro sul fianco, fissandolo con sguardo sottile. Non dovrei insistere, ma non riesco a non chiarirmi la questione.
- Sei sicuro che quello zio non ti facesse nulla? - sono un idiota, lo so. Però io devo capire. Devo.
Stan spalanca gli occhi come colto in contropiede e trattenendo il fiato sbianca improvviso.
- Per... perchè insisti su questa cosa? Lui era a posto. Strambo ma a posto! -
Allora mi alzo a sedere allargando le mani, un po' nervoso e contrariato, serio.
- Strambo non spiega nulla e tu sei sempre evasivo e hai l'aria misteriosa e... - Stavo per dire 'sei sempre malinconico', ma forse esagererei. Mi fermo e aspetto la sua rispostaccia e Stan in effetti si innervosisce, ma non si alza. Resta seduto e mi guarda torvo ed imbronciato, stringe le lenzuola con le mani.
- Strambo come uno che parla da solo mentre dice di parlare con gli spiriti, come uno che fa le carte per leggere nelle persone o prevedere il futuro. Strambo così. Era considerato un pazzo da qualcuno, un sensitivo da altri. Ma di fatto, qualunque cosa fosse, non mi ha mai fatto nulla ed anzi... anzi, mi ha aiutato... mi ha aiutato molto... -
- Stan, sono le cose che ti dicono quando ti fanno certe cose, per convincerti che va tutto bene. Ma quando cresci capisci che non è così! - Forse è ora che esagero davvero, ma io devo risolvere questa cosa.
Fra i vari pezzi mancanti di Stan, c'è questa parte che io devo risolvere, devo perchè è essenziale e non ne ho idea del perchè.
Ma Stan si alza e arrabbiato, stralunato, esasperato, dice gesticolando in mia direzione:
- No invece! Mi ha aiutato a superare una brutta esperienza e senza di lui non ce l'avrei fatta! È stato grazie a lui e a questi suoi sistemi strani che ne sono uscito! Tu non sai, perchè insisti? - Dovrei mollare, una voce razionale me lo dice. Ma l'altra, quella impulsiva, grida di tenere duro che ci sono. Quel pezzo di puzzle è lì a portata di mano, devo solo allungare la mano e prenderlo. E lo faccio aprendo le mani verso di lui, alzandomi in piedi.
- Allora spiegamelo. Cosa è successo? -
- Perchè deve essere successo qualcosa? - Cerca di andarsene, ma mi muovo in modo da fermargli il passaggio, mi paro davanti a mani aperte e lui si ferma non volendo essere toccato. Sembra un gatto in trappola. Vedo quasi angoscia nei suoi occhi, non ne vuole parlare.
- Perchè si vede. Si vede nel tuo sguardo normale, quando sei sovrappensiero. E da piccolo si notava ancora di più. Eri sempre così triste. È l'altra cosa che ho sempre pensato di te. Che avessi problemi in famiglia per essere così chiuso e triste. - Scuote la testa e si incupisce ancora. Sto rovinando tutto, non potevo farmi i fatti miei?
Non ci sono riuscito.
Lui è Stan, lo conosco da una vita. Non è una giustificazione per invadere i suoi spazi.
Non lo so, dovevo saperlo.
Non ne ho la più pallida idea. Non è la normale curiosità.
- Cosa te ne importa? - Chiede allora duramente, come un pugile in un angolo che cerca di uscirne.
Scuoto la testa.
- Mi importa. Mi importa di te. - non so dire altro, non so giustificarmi.
E lui capisce che sono sincero e che ho buone intenzioni, qualunque esse siano.
Lui scuote la testa e si arrende strofinandosi il viso con le mani. Sospira.
- Ok, mi è successo qualcosa. Ma non c'entra mio zio. Lui mi ha aiutato. -
Rimango fermo e zitto in attesa che continui, che ce la faccia. Spero che non si tiri indietro ora.
Sento un formicolio in tutto il corpo e quando torna a guardarmi, sono di nuovo fortemente tristi i suoi occhi.
- Ero alle elementari ed avevo uno studente universitario che mi faceva lezioni private per i compiti. - si siede ed io faccio altrettanto nel mio letto, davanti a lui. Lo guardo con attenzione mentre aspetto che se la senta di continuare.
Piano piano, come se si estraesse un dente con le pinze, continua.
- Non sai cosa ti succede mentre ti succede. Non capisci perchè ti infastidisca. E ti chiedi se ci sia qualcosa che non va. Se è normale che quella persona ti tocchi tanto. E non sai come gestirla. E non sai se va bene o no. Non sai nulla. Ed io ho cominciato a chiudermi lì. Sempre più. Ad andare male a scuola nonostante le lezioni private e a non parlare più. Fino a che lo zio ha detto di aver visto nelle carte che avevo dei problemi personali. E che la mia aura, che diceva di vedere, era sempre più scura. - Probabilmente era uno che leggeva bene negli altri, i loro segnali silenziosi, ed usava la scusa delle carte, degli spiriti e di quelle cose lì per ottenere le confidenze o i risultati che voleva. - Disse che non ne aveva parlato con i miei per non spaventarli e mi chiese se avevo un ragazzo intorno che mi faceva cose strane. Non sapevo cosa pensare e cosa fare ed ero preso così male che quando me lo chiese, prima negai e poi quando iniziò a dire che non era colpa mia e che se avevo il dubbio che non andasse bene, allora era così, beh... glielo dissi. Non disse nulla ai miei, glielo chiesi io, ma fu lui a parlare col ragazzo, a minacciarlo di denunciarlo e a ordinargli di andarsene. -
Silenzio. Quel silenzio pesante, che non vorresti mai che ci fosse. Un silenzio inevitabile che mangia la carne.
Non so cosa dire, cosa provare, cosa fare.
Volevo saperlo ed ora lo so.
E dunque?
Cosa ne faccio di una rivelazione di una tale portata?
Cosa?
- Non l'ho mai detto a nessuno. Mi toccava e basta. - Dice ancora, come se adesso che ha iniziato non riesce a smettere.
Non voglio sentire, ma adesso sono costretto e mi sento contorcere lo stomaco, la fame passa e vorrei solo colpirmi da solo.
Ma lui ha vissuto davvero tutto questo, davvero convive con questi ricordi e quindi perchè dovrei fare il codardo e far finta di nulla?
Se condividere con lui questo può aiutarlo, perchè no?
È una persona così dolce, e lo ricordo quanto lo era da ragazzino, posso solo immaginarlo da bambino. Come può qualcuno essersi approfittato di lui?
- Poi mio zio mi ha parlato piano piano di tutte queste cose interiori, spirituali e via dicendo. Ha cercato di aiutarmi ad indirizzare questo sentimento che mi aveva divorato, per superare la cosa. io... - Si guarda le mani perso. - Io non sapevo quanto brutto fosse fino a che non me lo ha detto lui ed allora sono stato anche peggio. Mentre lo vivevo non mi piaceva, ero confuso e non sapevo cosa pensare. Ero infastidito, ma non sapevo come comportarmi. Lui mi ha fatto capire quanto orribile fosse e mi sono chiuso ancora di più, non volevo più andare in pubblico, non volevo mescolarmi agli altri convinto che sapessero, che potesse succedere ancora. Turbato da ogni contatto. Mio zio mi ha aiutato a superare e sistemare quel gran casino che avevo dentro. Ora non ci penso più, va tutto bene. Ma non mi piace parlarne, non l'ho mai fatto e non volevo. - Mi mordo il labbro, mi sento un verme, mi sento così in errore che vorrei solo cancellare tutto.
Perchè insistere tanto per sapere?
Perchè?
Non riesco a smettere di guardarlo sconvolto ed alla fine riesce a guardarmi e sorride amaro.
- Volevo evitare mi guardassi così. Dai, è una storia di tantissimo tempo fa ed alla fine non è nemmeno successo niente di che. Adesso che sono grande la vedo per quel che è davvero, quella volta l'ho vissuta come una tragedia. Però va bene. Sto bene. Sto davvero bene. Quando sono nervoso e mi vengono strani o brutti pensieri io mi rilasso, faccio visualizzazione, cerco di gestire le mie emozioni incanalandole dentro di me. Uso queste tecniche e va tutto bene. Ora sto bene... - E lo ripete una ventina di volta in un minuto, tanto che vedo le sue mani tremare e gli occhi sorridere tristi, spaventati che possa non essere come dice.
Così all'ennesimo 'sto bene', mi alzo, mi siedo accanto a lui e lo circondo con le braccia nascondendogli il viso contro il mio collo.
Gli bacio la testa.
- Perdonami, non volevo turbarti tirandoti fuori questa storia. Non dovevo. È che sapevo che c'era qualcosa e ho pensato che potesse essere utile tirarla fuori, esternarla, parlarne a qualcuno. Non so, pensavo di aiutarti. Non credevo che... che fosse meglio non dire nulla. Scusami. - Parlo con dolcezza, cercando di calmarlo.
- Non hai nulla di cui... - Ma non riesce a parlare perchè piange. Ed in questo pianto capisco che c'è qualcosa di giusto.
Perchè mi rendo conto che se uno ingoia sempre tutto soffocandolo, prima o poi esplode e non starà mai bene davvero.
Forse dopotutto, in qualche modo, va bene che l'abbia detto.
Stan era sempre un po' triste anche senza volerlo o rendersene conto.
Ha sempre avuto questa impronta malinconica.
Vorrei cancellargliela. Perchè merita che qualcuno gliela cancelli.
Ma non credo che solo perchè lo voglio, io ci possa riuscire. Non credo.
Ma lo voglio.

/Stan/
Non doveva andare così.
Mai nella mia vita ho pensato che ne avrei parlato con qualcun altro di nuovo.
Ho giurato che una volta era bastata e avanzata.
È complicato spiegare perchè è difficile parlarne.
Se ci penso razionalmente so che non è colpa mia e che non mi devo vergognare di nulla.
Ma non so come dire.
È... è complicato.
E so solo che una volta che ne ho parlato di nuovo, dopo anni che mi costringevo a fingere d'aver scordato tutto, mi metto a piangere come un bambino fra le sue braccia.
Credo che non sappia cosa ho provato e cosa sento, però capisce che è qualcosa che mi sconvolge dentro e sa che non è leggero.
Per questo anche se non ha idea dei dettagli di quel che provo, lui si comporta come se li sapesse. Cioè nel modo giusto.
In silenzio mi abbraccia, non cerca di dire cose particolari o ad effetto. Non mi fa più domande.
Non so perchè ha insistito e non so nemmeno come abbia fatto a capire che c'era qualcosa.
A volte è un mistero, questo ragazzo.
È per questo che mi ha colpito da subito.
Perchè avvicinarsi a me e diventarmi amico?
E il più delle cose che ha fatto nei miei confronti sono sempre state inspiegabili ed immotivate. Però le ha fatte e mi hanno sempre aiutato o sono state importanti per me.
Parlarne è come affrontare una fobia che ti sei illuso d'aver debellato, ma che in realtà dentro di te sapevi d'aver solo accantonato. Non l'hai mai vinta. E sai che se ne parli ancora, la devi affrontare e ne hai il sacro terrore.
È questo.
Ed anche che c'è una colpa da qualche parte dentro di me. Me ne vergogno. È come se fossi stato io quello stupido ad aver permesso quanto successo.
Non è colpa mia e non l'ho permesso io, ero solo un bambino introverso.
Però la vivi così.
Per anni la vivi così.
E se riesci a metterla via vivendo la tua vita senza problemi apparenti, dentro di te, in certi momenti, senti un vuoto causato da quella cosa, quella cosa che non hai mai affrontato e che ti fa sentire in colpa per il semplice fatto d'averla vissuta.
Non potevo evitarla, non era colpa mia, non l'ho permesso, non mi è mai piaciuto.
Semplicemente non sapevo cosa mi stesse succedendo e come affrontarlo.
Però non l'ho mai vinto davvero, in qualche modo ne sono uscito ma è tutto rimasto qua dentro ed è quello il vuoto che sento in certi momenti.
Quella macchia nella coscienza, una coscienza che non è pulita anche se non ho fatto nulla.
Dio Santo, non ho fatto nulla. Ma non credo che smetterò mai di sentirmi in colpa lo stesso.
Le sue braccia sono dolci, sicure, gentili e calde. Le sue mani sulla nuca sono leggere, calme, placide.
Mi sento bene, mi sento caldo, mi sento pieno di qualcosa di piacevole, un torpore che mi fa smettere di piangere come un bambino. Ora rimane solo la vergogna per essermi lasciato andare.
Vergogna di cosa?
Ancora una volta, cosa ho fatto?
Perchè devo vivere sempre come se fossi in difetto?
Come se dovessi sempre chiedere scusa, come se non dovessi disturbare?
A volte mi sento schiacciato.
- Se non tiri fuori quello che provi non volerai mai. I tuoi sentimenti sono come un'ancora, per te. Non dico di spiegare quel che provi. Dico semplicemente di buttarlo fuori. Se sei furioso urla, non serve che spieghi perchè e non importa dove sei e cosa fai. Urla. Non tenertelo. E se sei triste piangi, non conta che ti vedranno tutti e si faranno mille domande. A volte ci sono degli stati d'animo che non puoi, non devi nascondere. Non importa che gli altri non capiranno, tu li devi tirare fuori. Altrimenti i tuoi nervi si spezzeranno, un giorno. Questo ti serve per il tennis ma anche nella vita quotidiana. È la sola cosa che posso dirti. Per il resto io... io non potrei dirti nulla. Quel che hai vissuto non dovrebbe viverlo nessuno ed io non volevo tirarti fuori una cosa simile. Però questo pianto è giusto se ti senti triste. - Roger non si deve impegnare per tirare fuori le cose giuste. Le trova sempre. È un dono innato.
Ha sempre saputo cosa dire al momento decisivo ed è sempre stato giusto.
- Grazie. - Mormoro solo, senza sapere perchè e che altro dire.
Sono ancora nascosto fra le sue braccia, ci sto bene, mi sento sicuro, bene. Non vorrei separarmene. Ed è qua, mentre mi dà un tenero bacio spontaneo sulla testa, che capisco con certezza che qua sto andando oltre l'amicizia.
Non so se è una cosa indirizzata a lui nella fattispecie oppure se si tratta di una sorta di scoperta catartica.
Insomma, forse sono gay e lo sto scoprendo ora con notevole ritardo. Lui è solo il veicolo, ma non la causa diretta.
O forse è proprio lui che mi piace, punto e basta.
Non lo so davvero, ora come ora sono così confuso che non so darmi risposte e sono sconvolto per essere riuscito a parlarne con lui di questa cosa, sconvolto perchè ha capito che c'era, perchè ha trovato quel vuoto nei miei occhi. Ed io non sapevo nemmeno d'averlo fino a che non me ne ha parlato. Ero convinto d'aver superato e scordato tutto, convinto.
Come mi sono sbagliato.
- Vorrei che venissi sempre da me tutte le volte che ne senti il bisogno. Ed anche senza sentirlo. Anche se è tutto ok, se sei felice ed hai voglia di ridere o di distrarti e passare dei momenti a divertirti. O allenarti e basta. In qualsiasi caso. Vorrei venissi sempre da me. Ti va? - Annuisco e la sua dolcezza mentre mi parla mi scioglie, mi sconvolge. Sta scavando senza dire nulla.
Lui non fa terapia, non mi fa domande, non mi fa parlare di quello che è successo e di quello che ho provato. Non mi obbliga a fare nulla.
Però si comporta come se già sapesse tutto.

Scioglierci non è facile, perchè ad un certo punto diventa più facile rimanere abbracciati. È bello.
Ed io passerò la notte a pensare a quello che ho provato e che provo e che sta significando per me lui.
Forse gli effetti arriveranno nel tempo.
Forse fra settimane e mesi mi renderò di cosa, dopo oggi, è diventato Roger per me. Cosa significa.
Forse stanotte penserò che è una persona incredibile e che voglio stare con lui il più possibile, ma solo fra qualche tempo ne sarò davvero dipendente.
Perchè succede così.
Sono cose lente, ma che scavano in profondità nell'anima.
Sia quelle brutte che quelle belle.
Nel tempo quell'esperienza di bambino mi ha scavato più di quel che mi fossi mai reso conto. Mi ha reso chiuso, introverso, forse sociopatico, non so... comunque con seri problemi relazionali e di apertura in generale. E poi mi ha reso triste e vuoto in certi momenti. Mi ha appesantito molto. Troppo.
Poi arriva lui e mi tira fuori ogni cosa. Non fa nulla. Lo nota e lo tira fuori. Tutto lì. E mi abbraccia.
Come nessuno aveva mai osato perchè ho sempre messo le distanze con tutti.
Non ha senso, non ha senso.
Non capisco.
Ed ora questa cosa diventa bella, lui diventa bello. Positivo. Piacevole.
Mi toglie il peso e piano piano al suo posto ci sarà lui e sarà splendido. Importante.
Nel tempo sarà vitale, forse. Nel tempo mi farà volare.

Stesi nel letto, dopo aver fatto visualizzazione che ormai è diventato un rito, nel silenzio, torna sull'argomento con delicatezza.
- Mi dispiace davvero averti tirato fuori quella storia. -
Io mi giro a pancia in giù e lo guardo, è già rivolto verso di me.
- Non... non preoccuparti. Io... non ci avevo mai pensato, ma il non pensarci non lo cancella. - E' indeciso se dirmi qualcosa a riguardo o no, credo voglia ascoltare ma non violarmi. Così parlo da solo, mormorando piano piano. - Penso che finchè non guardi la realtà non ti rendi conto di com'è. Io non credevo di aver nulla da affrontare, ma l'averne parlato mi ha fatto capire che non era mai andata via. -
- Hai vinto l'incubo quando riesci a parlarne. Di solito funziona così. - sorrido colpito, debolmente.
- E' il parlarne che lo fa superare. Non serve chissà cosa. Solo il dirlo. - Ed è così.
Non dico che adesso andrà tutto bene fra me e me e che non avrò più stati in cui mi sento pesante e mi isolo e sono spaventato dagli sconosciuti, però andrà meglio piano piano.
Credo.
- Sono contento d'averne parlato con te. - E sono sincero.