30. AUTOCONSERVAZIONE
/Rafa/
“Quando ho sentito che veniva a trovarmi, mi sono sentito felice. Stupidamente felice.
Ovviamente.
Anche se dentro di me so che è autolesionismo.
Sono arrivato ad un punto tale che non è più possibile nascondere la testa sotto la sabbia.
L’ho fatto fino ad ora e guarda a cosa ci ha portato, guarda dove siamo arrivati.
Non è pensabile, non è umanamente pensabile andare avanti così ancora per molto, per quanto tempo dovremmo fare finta di nulla?
Quando varca la soglia è come se
sapessi che è qua per questo, perché anche lui è al capolinea. Penso
che perdere la posizione conquistata con fatica gli abbia fatto capire
che deve fare ordine.
Dopotutto sono diventato un
peso, prima servivo perché ero uno sfogo piacevole, lo sfizio se l’è
ampiamente tolto, ora non sono più facile e leggero. Ora sono pesante,
stancante, noioso.
Pieno di problemi.
Cammino ormai piuttosto bene, anche se in certi momenti mi dà ancora fastidio. Parliamo del ginocchio facendo finta di nulla.
Per questa giornata abbiamo entrambi fatto i salti mortali con le rispettiva famiglie e squadre.
Per non dire degli impegni che ci sono.
Siamo in vacanza, in teoria, ma le vacanze sono così.
Comunque c’è sempre qualcosa da fare.
Nole è molto controllato, ponderato.
Fa tutto con calma e dolcezza,
poi ad un certo punto lo strappo lo do io, perché so il motivo per cui
è qua ed il fatto che continui a far finta di nulla mi distrugge.
- E quindi? - Chiedo ad un certo
punto, seduti insieme nel divano a sorseggiare qualcosa dopo aver
mangiato insieme qualcosa che comunque ha preparato lui. È sempre
meglio che io non tocchi i fornelli. Ormai ho imparato.
Nole mi guarda senza capire.
- E quindi quest’anno sarà interessante, siamo in due che cerchiamo riscatto, sicuramente faremo grandi cose! -
Lo dice convinto, io non lo
sono, potrei iniziare con le mie solite paranoie, le mie insicurezze, i
miei giri mentali infiniti, ma evito per concentrarmi sulle cose
importanti.
- Non sei venuto per una visita
di cortesia. - Nole mi guarda sorpreso che sia così diretto. - Anche
perchè sei serio, non scherzi e non cerchi di saltarmi addosso. Sei qua
per parlare. Parlare davvero. Per la prima volta. - O l’ultima.
Inghiotto. Mi è costato molto dirlo, farglielo fare.
A questo punto mi guarda e sospira consapevole.
- Sono qua per parlare, è vero. Non di come andrà l’anno. - Lo ammette serio ed io sospiro abbassando il capo.
Mi bruciano già gli occhi, ma cerco di non piangere.
Non ancora.
Non devo nemmeno dopo. Non farlo
mai, Rafa. Anche se spesso piangeresti dalla mattina alla sera perché
dopotutto sei così maledettamente emotivo.
Distanza di sicurezza, il divano è lo stesso, ma non ci sfioriamo nemmeno. Uno rivolto verso l’altro.
- Ti ascolto. - Sembra difficile, ho paura di sapere, ma è ora, ha ragione. Non possiamo andare avanti così.
- Siamo ad un punto morto, Rafa.
O procediamo alla fase successiva, o chiudiamo tutto. No? - Non lo dice
con la solita delicatezza che riesce ad avere, è come un mattone che
aveva in gola e che sputa tutto in una volta.
Ed il mattone mi colpisce in pieno viso.
Non me l’aspettavo così.
Spalanco gli occhi, sbatto. Apro e chiudo. Apro. E chiudo.
non piangere, non così, non davanti a lui, non di già.
Mi mordo il labbro.
Parla. Respira.
- Beh, dipende da cosa provi. - Riesco a dire con voce molto tirata.
Lui mi guarda quando io non oso farlo.
- E tu? Tu cosa provi? Perché
devo espormi io per primo? Cosa vuoi fare? Hai lasciato a me il compito
di decidere quando parlarne, almeno collabora! - È la prima volta che
sbotta ed io lo fisso stranito, scuoto la testa, un’ondata di calore
incredibile mi sale, mi investe e non riesco a ragionare.
Sto per piangere e non voglio farlo davanti a lui come una ragazzina!
Devo essere adulto, ora.
Mi alzo in piedi e mi metto a camminare per la stanza, con cura gli do le spalle.
Sospiro e mi stringo le mani ai fianchi, affondo le dita, mi mordo il labbro. Cosa dovrei dire?
Cosa diavolo dovrei dire?
Che lo amo?
- Non lo sai? - Dico allora, con la voce rotta dal pianto.
- No, non lo so. Non me lo hai
mai detto. Scopiamo e basta. Stiamo bene insieme. Ma non siamo mai
andati oltre. E tu ora hai il ginocchio in casino per colpa mia! Mi
sembra che dobbiamo affrontarlo! - Lui ha questa teoria che io
somatizzo i miei problemi interpersonali, mi giro di scatto, stizzito,
lo fisso torvo e sbotto anche io.
- Il ginocchio è un’altra cosa!
Non posso sempre spiegare tutti i miei mali coi problemi! - Nole così
si alza per dare forza alla sua teoria, infervorato. Io mi torno a
voltare, non ce la faccio. Non so com’è che non piango, ma sto per
farlo e non voglio davanti a lui.
- Ma Rafa, questo è quello che
hai! Hai somatizzato la nostra relazione! Perché non tiri fuori quello
che soffochi con tutto te stesso? Pensi che non me ne sia accorto? -
Scuoto il capo e ci riprovo. A girarmi e guardarlo. Ce l’ho davanti a
me, in piedi, occhi negli occhi. Poca distanza. Troppo poca. Mi sento
male
- Di cosa? -
- Che mi ami! Perché non lo puoi
dire tu? Ti comporti come se mi amassi ma non lo dici, pensi che questo
serva a cancellarlo? - Beccato, colpito ed affondato. Oh, se sono
affondato.
Scuoto la testa cercando di
ricacciare le lacrime, apro la bocca, la voce è bloccata perché è
troppo spezzata, come lo sono io. Non sono mai stato così male.
Poi prendo respiri, fisso i suoi
occhi e tirando fuori tutta la forza di cui sono capace, una forza che
devo dire è incredibile, dico fino in fondo quello che penso.
- Il fatto non è se io ti amo o
no. Il fatto è che sei tu a non amare me. Tutto qua. Perciò non ha
senso dirlo e tirarlo fuori. A cosa servirebbe? Tu sei qua per
lasciarmi e lo stai facendo sembrare una cosa mia! È tua, Nole. Sei tu
che vuoi farla finita! Non ti attraggo più, non ti vado più, non te lo
tiro. Va bene. È andata così! Ma abbi il coraggio di ammetterlo,
assumiti le tue responsabilità. Non venirmi a dire che è colpa mia che
ti amo e che non te l’ho mai detto! Questo non c’entra nulla! - Con
questo mi sento meglio, penso di poter resistere senza piangere. Lo
sfogo è buono.
La forza fluisce fuori da me, dimentico anche il fastidio al ginocchio.
Il fuoco divampa, la follia, la rabbia.
Nole mi fissa shoccato, non ha
più il controllo di questa conversazione, era venuto qua per gestirla a
modo suo ed ora voglio prenderlo a pugni.
- Da quanto vuoi lasciarmi ma
non hai il coraggio? Hai preso il ginocchio come scusa, pensavi che ora
che ero infortunato mi sarei tagliato le vene? L’avrei superata prima!
Mi sarei rimesso in piedi prima! Per il mio ritorno in campo sarei
stato meglio, ora passerò altri mesi a digerire te che non mi vuoi e a
trovare il mio equilibrio e tutto perché non hai avuto il coraggio di
scaricarmi quando volevi farlo! Perché hai avuto pietà di me! Al
diavolo Nole! - Con questo torno a dargli le spalle e mi avvio verso il
bagno dove voglio chiudermi dentro e spaccare tutto, mi sembra di
scoppiare, di impazzire. Grido contro di lui folle, ma non mi basta.
Nole alza la voce.
- Non pretendere di sapere come mi sentivo! -
Mi fermo e mi volto di nuovo, furioso.
- Certo che non posso saperlo,
cazzo! Non ti sei mai aperto con me! Pensi che fossi stupido, che non
me ne accorgessi? E cosa dovevo pensare se non che non provavi nulla e
per questo non ti aprivi? Quanto hai aspettato, quanto? - Nole sembra
impazzire, a questo punto. Anzi, sembra per la prima volta perdere il
controllo in una relazione.
In campo scarica i nervi
inveendo e rompendo racchette, ma quello è diverso. Al di fuori è una
persona dolce e controllata, che gestisce tutto con diplomazia e
umorismo.
Ma ora è come se fosse perso, preso in contropiede, colpito.
- Tu non hai capito niente! Tu
non sai, tu non immagini nemmeno… - Ma questo mi fa imbestialire ancora
di più, infatti zoppico davanti a lui e allargando le braccia teatrale,
strillo:
- Certo che non lo so se non me lo dici! Come posso saperlo? -
- E allora non fare come se sapessi tutto! - Risponde allo stesso modo.
- Dimmelo tu cosa dovrei
pensare? - Cerco di tirargli fuori quello che non vuole dire, ma a
questo punto Nole si blocca di nuovo e mi guarda smarrito,
terrorizzato, come se si svegliasse e si rendesse conto di aver fatto
il sonnambulo. È panico. Così sta zitto ed io, deluso, scuoto la testa
sospirando ironico, incredulo.
- Non lo dirai mai, vero? - Nole
mi guarda confuso. - Che non mi ami, Nole. È questo che non vuoi dirmi.
Ma va bene. Adesso ce lo siamo detto. Chiudiamola qua e andiamo avanti.
Ce la farò comunque. Ci puoi scommettere che ce la farò! Tornerò come
prima che tu mi incasinassi! - Ora sono i suoi occhi a farsi lucidi.
- Sono io che ti ho fatto
cadere? I tuoi problemi a tennis sono colpa mia? - Così rido amaro
indietreggiando sempre guardandolo.
- Sei tu che dici che somatizzo i rapporti. - Lui non riesce più a parlare.
Non è andata come avevi immaginato, eh?
Pensavi di gestirla tu. Invece alla fine l’ho fatto io. Come volevi, in realtà.
Silenzio.
Non ce la fa, è nel panico. Io scuoto la testa.
Fino alla fine ho sperato che mi
contraddicesse. Che mi stringesse dicendomi che mi amava e che non era
come pensavo. Fino all’ultimo.
Che tristezza.
Dio, che tristezza.
Alla fine era proprio come pensavo.
Non mi amava. Nascondeva questo.
- Vattene, faremo come prima di
cominciare questa cosa. È stato bello, non è andata come pensavamo. Non
importa. Ricominceremo. Ci vediamo in campo. - Con durezza, una durezza
che non so da dove mi derivi, me ne vado in camera, mi chiudo dentro e
mi appoggio chiudendo gli occhi.
Piango di rabbia, delusione e dolore, ma lo faccio da solo e non davanti a lui.
Piango perché ormai non ho più niente da perdere, ho già perso tutto, persino il mio tennis, ho perso.
Non ho più niente di quello che mi faceva felice, niente.
Mi sembra come che la mia vita sia finita.
Dolore.
Dolore.
Dolore.
Un dolore che sarà la mia
rinascita, il mio punto di ripartenza, un dolore che mi aiuterà a
ricominciare di nuovo, a risalire la china. Tornerò al mio tennis,
concentrato solo su quello, senza nessuna distrazione, solo tennis e
basta, come sarebbe dovuto essere.
Solo tennis. E se fallirò lo farò tentando tutto quello che potevo, ma alla fine della mia carriera non avrò rimpianti.
Risalirò. Tornerò. E farò vedere a Nole che sto maledettamente bene!
Fanculo.
Comunque, per quanto incredibile sia, il piano funziona.
2013.
Risalgo. Piano piano, costantemente, con fatica e dolore. Ma risalgo lo stesso. Mese dopo mese, piano piano.
Ce la faccio.
Oh se ce la faccio.
Ce la faccio sul serio.
Anche senza di lui.
Fino ad Agosto.
Agosto. Quando succede qualcosa. Qualcosa di strano. Qualcosa di imprevisto. Impensabile.
Qualcosa a cui non ero pronto.
La cosa positiva è che in questo
anno che comincia di merda, con ancora fastidi al ginocchio, per
evitare come la peste Nole, mi concentro a tennis e le cose vanno bene.
E ritrovo amici che avevo trascurato.
Xisca mi sta molto vicino, ha
capito che mi sono lasciato ed è molto dolce e delicata. Non l’avrei
mai voluta come mia compagna se così non fosse.
Anche Roger mi sostiene.
Con lui le cose sono andate via
via sempre meglio, lentamente abbiamo trovato la nostra dimensione, era
normale andasse così. Abbiamo frainteso i sentimenti, però una volta
capito cosa provavamo ci siamo lentamente sistemati.
Sono contento di non essermi
privato di nulla, ho provato quello che dovevo provare, non mi sono
arreso, non ho chiuso nulla ed ora almeno una cosa va bene.
Anche Roger ha qualche problema
con Stan, fra una separazione ed un ritorno con la moglie e l’altro,
fra loro le cose alla fine vanno sempre bene.
Non si lamenta.
- Sai, è strano… - Mi fa un
giorno di questi, mentre siamo insieme. Io per evitare Nole, lui perché
vuole riflettere ad alta voce e solitamente lo fa con me. - Non sai di
cosa si tratta finché non la vivi. Non puoi privartene, non riuscirai
mai ad immaginarla. La devi proprio vivere… - Parla delle relazioni in
generale, sia quelle d’amore, che quelle d’amicizia.
- Però alla fine quando va male, ti lascia un vuoto incolmabile. Quello fa davvero male… -
Concludo guardando il bicchiere
d’acqua e menta che ho davanti, fra le dita. Ci gioco un po’ passando i
polpastrelli sulla superficie bagnata.
Roger mi guarda e poi risponde dopo un po’, con la sua solita dolcezza:
- Sei pentito di qualcosa? - Ci
rifletto un po’ prima di rispondere, poi capisco che no, non ne sono
pentito. E stranito alzo lo sguardo sul suo, piego la testa e rispondo:
- No. In realtà no. Se devo dire
la verità rifarei tutto. Ho provato a stare con te, ma non era quello
che pensavo, però se non avessi provato mi sarebbe rimasto per sempre
il dubbio. - Roger sorride dolcemente.
- E con Nole? - Chiede piano.
Sussulto, il cuore batte ancora così forte tutte le volte che penso a
lui o che lo si nomina. Inghiotto e con forza rispondo.
- No, no davvero. Non ho
rimpianti nemmeno con lui. Ho fatto quello che mi andava, non mi sono
precluso nulla. Avrei avuto il pensiero fisso se non avessi mai ceduto
ai miei istinti. Ho preso tutto quello che potevo. Se non è andata,
significa che non poteva andare in nessun caso. - Ma Roger, a sorpresa,
dissente.
- Non sono convinto. -
Stranamente si pronuncia sulla cosa, ha sempre cercato di evitare di
parlarne, specie perché per colpa di Nole noi ci siamo lasciati, anche
se poi in realtà lui ha capito di amare Stan e non me. Insomma, Nole ha
un ruolo particolare nella vita di Roger.
Per cui non ne abbiamo mai parlato molto.
Io lo guardo senza capire, l’animo in subbuglio.
- Di cosa? -
- Secondo me c’era ancora una
cosa che potevi fare per provare a farla funzionare. C’è una cosa che
non hai mai voluto fare. - Aggrotto la fronte senza capire, ma mi
guarda sorridendo senza mai calare la dolcezza del suo volto. - Non gli
hai mai detto che lo ami. Glielo hai lasciato intendere, lui l’ha
capito e tu non hai negato, ma tu non glielo hai mai detto e non gli
hai mai chiesto di amarti. Hai dato per scontato che non ti amasse ed
hai deciso da solo di chiudere. - A questo salto su come un cane a cui
hanno pestato la coda.
- Eh no! perché se lui mi amava quel giorno non sarebbe venuto per lasciarmi! -
- Non è venuto per quello, ma
per parlare della vostra relazione. Mi hai detto che ti ha chiesto se
andare avanti o chiudere. Se passare alla fase successiva o meno. Lui è
venuto ad indagare sui tuoi sentimenti! - Roger alza il dito e con
fermezza mi parla sopra, mi fermo e lo guardo corrucciato, per nulla
convinto.
- Non me lo ha detto. Poteva
dirmelo. Mi ha detto ‘ho capito che mi ami e perché non me lo dici?’ Ed
io ho detto ‘perché sei tu che non ami me, quindi non ha senso che te
lo dica.’ - Roger alza le spalle con aria ovvia.
- Vedi? Hai fatto tutto tu! Non
gli hai permesso di aprirsi. Volevi lo facesse, ma non glielo hai fatto
fare. - Me la prendo davvero, non con Roger ma con il fatto che forse
ha ragione e pensare di aver gestito male una cosa così importante mi
manda in bestia, così è meglio negare e dire di avere la coscienza a
posto.
- Facile parlarne ora, da
fuori! Sul momento ti ritrovi ad affrontare una situazione terribile e
il primo istinto che ti viene è quello dell’autoconservazione! -
Roger sospira e tocca il bicchiere col suo, come per calmarmi, perché non può toccare me, non siamo in privato.
- Il primo istinto dovrebbe
essere quello di lottare per quello che vuoi con ogni mezzo. - Questo
mi abbatte. Abbasso lo sguardo sui bicchieri che si toccano.
- Forse dunque non lo volevo poi
così tanto… - Roger non risponde, però percepisco il suo disappunto,
quando alzo lo sguardo lui mi sta guardando con dolcezza, carezzevole.
- Secondo me non è finita.
Secondo me Nole ti amava, ma non ha mai trovato la forza di dirtelo. E
non si smette di amare da un momento all’altro. È solo una prova da
superare. Del resto è vero, dovevate cambiare qualcosa. Eravate
arenati, nessuno osava parlare di sentimenti, ma questo non li
soffocava. - A questo punto la testa mi esplode e mi copro il viso con
le mani.
- Non lo so, non so più niente. Sono solo maledettamente confuso. -
Forse non farò mai luce sulla questione.
O forse sì.
Incrociarlo per i circuiti è sempre strano, ancora peggio affrontarlo in campo.
È davvero strano perché angoscia a parte, una volta che ce l’ho davanti mi rendo conto che Roger ha ragione.
Il torpore lascia posto all’ansia, resta il dispiacere e il rimpianto.
Un sentimento vero non muore facilmente.
Però sono ancora convinto che Nole non mi amasse. Se avesse voluto avrebbe potuto trattenermi.
Non l’ha fatto.
E così sorrido malinconico e
vado oltre, per la mia strada, cercando di focalizzarmi solo sul tennis
e basta. Come se fosse facile.
Beh, devo dire che da un certo punto in poi male non va.
Tennisticamente parlando va piuttosto bene e forse… forse era così che doveva andare.
È che accettare certe cose è davvero difficile, puoi fingere d’avercela fatta.
Ma se quando mi cade una cosa e
lui me la raccoglie col suo sorriso così intenerito, io continuo a
sentirmi così male, posso fingere quanto voglio.
Appena le mani si sfiorane una
scarica elettrica mi percorre e gli occhi corrono ansiosi sui suoi per
capire se prova la stessa cosa, ma lui è sempre illeggibile e non posso
capirlo, non posso proprio capirlo. Così ringrazio, chino il capo e
prendo l’oggetto tornando alle mie cose.
È così difficile fare finta di
niente, così difficile. Specie dopo che mi sono fatto vedere da lui in
quel modo, ogni angolo di me. O quasi. “