CAPITOLO IV:
LACRIME

Nessuno poteva vantarsi d'aver mai visto Antonio Di Natale piangere.
Nemmeno la moglie, figurarsi gli amici.
Andava sempre a correre in macchina quando doveva farlo ma nell'incapacità totale di vedere la strada per via delle troppe lacrime, andò dal primo che gli venne in mente.
Samir abitava da solo in un appartamento di una zona residenziale di Udine molto discreta e tranquilla.
E poi lui non parlava quasi mai, un po' perchè stentava ancora in italiano, un po' per carattere. Era uno che poteva andargli a genio.
Quando arrivò era l'alba e dovette suonare un po' prima che gli aprisse.
La voce dal citofono giunse roca ed in slavo. Antonio rispose con un filo di voce ed un fortissimo accento napoletano che, in certe condizioni, era più marcato del solito.
- Sono Totò, posso salire? - Samir rimase un po' in silenzio poi aprì.
Si muoveva come in uno spazio onirico, non sapeva di star camminando, lo faceva e basta.
Arrivò forse per miracolo a casa dell'amico che si fece trovare in cucina a preparare un caffé con aria da zombie. Poteva mandarlo a quel paese e rimettersi a dormire, invece si era alzato ed aveva l'intenzione di stare con lui.
Antonio sperò non gli chiedesse niente ma sapeva che appena l'avesse visto in quelle condizioni non sarebbe rimasto in silenzio.
Si appoggiò allo stipite della porta della cucina e Samir si voltò, era silenzioso ma l'aveva sentito lo stesso.
Gli occhi erano piccoli, sottili e gonfi di sonno, Antonio si scusò mentalmente con lui poi sospirando scosse il capo come per dirgli di non chiedergli nulla e si diresse sul divano, in soggiorno.
L'appartamento era grande e comodo ma non arredato con molto gusto e nemmeno costosamente. Si capiva che contava di andare altrove a far carriera. Come tutti. Nessuno rimaneva a Udine, solo lui... ma lui era uno che si legava per la vita e che viveva di cuore e non di testa od interessi. Quante volte era andato contro sé stesso proprio per quello?
Il portiere lo raggiunse poco dopo con una tazza di caffé fumante, era grande e Antonio scorse del latte dentro, sorrise notando le sue abitudini e la prese. Non ne aveva voglia, era convinto avrebbe vomitato.
Aveva pianto per tutto il tempo che aveva guidato, quando aveva rischiato di finire fuori strada era andato da Samir, si era asciugato le lacrime ma non aveva funzionato molto; bè, per niente.
Quando gli mise la mano sul ginocchio senza aggiungere nulla, Antonio capì che lui in qualche modo aveva intuito. Forse non sapeva che si trattava proprio di Alexis ma di qualcuno che amava con cui era finita sì. Del resto una tale distruzione era inequivocabile.
Antonio, allora, mise giù la tazza e senza muoversi di un centimetro appoggiò la nuca all'indietro, sullo schienale del divano, e chiudendo gli occhi pianse ancora.
Liberò tutte le lacrime che aveva cercato comunque di trattenere e rimase a singhiozzare come un bambino piccolo. Aveva 34 anni e piangeva come un quindicenne.
Samir gli cinse silenzioso le spalle obbligandolo a separare la testa dalla sua postazione e a metterla sulle proprie. Antonio si stupì di quel gesto che non era da lui, però l'apprezzò. Come apprezzò il silenzio.
Antonio pianse fino ad esaurire le lacrime e poi rimase comunque nello stato di disperazione senza la forza di dire o fare nulla.
Non parlò, non disse niente a Samir. Rimase così e basta. Silenzio. Dolore.

Ricevette tante di quelle chiamate da Alexis da dover tenere fisso spento il cellulare. Non poteva aprirlo, suonava immediatamente.
Antonio allora comprò un altro cellulare con un'altra sim per poterlo usare ed essere rintracciato, ma non buttò la scheda vecchia. Il vecchio cellulare lo teneva nel proprio borsone di calcio, ben in fondo, spento.
Alexis chiamava ogni giorno, ogni ora, senza mai rassegnarsi. Testardamente.
Per Antonio era una tortura saperlo, voleva che lo dimenticasse, non che continuasse a pensarlo. Non era giusto. Ogni cosa che faceva in qualche modo lo riportava a lui.
Specie giocare a calcio gli faceva pensare a quanto bene riusciva nelle azioni veloci con lui... quanto certe azioni sarebbero state possibile grazie a lui... quanto lui era bravo in quel tipo di gioco...
E quando perdevano perchè fisicamente non arrivava sapeva che avrebbero potuto farcela con lui lì!
Era un'autentica tortura.
Era peggio non farsi vedere quando Alexis veniva a cercarlo di persona.
Da lontano vedeva la sua macchina appostata, quella che teneva lì per muoversi liberamente. Allora, prima che lui lo individuasse, svoltava l'angolo e se ne andava con un nodo che gli impediva di respirare. Andava in apnea. Non aveva rabbia da sfogare, non piangeva nemmeno più. Però per tutto il resto della giornata era irrintracciabile perchè correva per le strade periferiche di Udine come un matto senza sosta, senza mangiare, senza bere.
Quante volte aveva finto di non vederlo.
Quante volte l'aveva lasciato a lungo ad aspettarlo senza mai vederlo, parlargli, riceverlo.
Una volta l'aveva sfiorato per un pelo. L'aveva visto e per un istante lui non si era girato in tempo per vederlo e fermarlo.
Il suo viso cupo, pensieroso. Bello.
Ma non si trattava di una bellezza particolare. Era qualcosa di interiore. Qualcosa di cui era veramente innamorato.
Fermo dietro lo stesso angolo in cui era Alexis, Antonio era rimasto fermo immobile trattenendo il respiro. Pochi centimetri a separarli ed un solo muro sottile. Fermo cercando di sentire i suoi respiri. Quante volte l'aveva ascoltato dormire... quante volte gli aveva fermato i battiti per farli suoi. Quante volte aveva sognato di poterlo avere con sé, toccarlo, guardarlo, accarezzarlo. Essere lì a due passi era stato traumatico.
Gli occhi chiusi e cercare di percepire tutto di lui, anche il sangue nelle vene, se necessario.
Poi una folata di vento, il profumo ad investirlo e per un istante farsi beccare.
Era il suo.
Era sempre quello, non l'aveva mai cambiato.
Il D&G che gli piaceva tanto.
Per un attimo pensò di farsi vedere. Per un attimo.
Poi, però, scivolò via con la voglia di gridare.
Non l'avrebbe mai portato da nessuna parte, quell'atteggiamento.
Doveva vivere la sua vita; come poteva, dopo tutto questo tempo, continuare a cercarlo e pensare a lui?

Per Antonio i giorni trascorsero tutti alla stessa maniera. Fermandosi ogni volta che qualcuno aveva quel profumo, trattenendolo nei polmoni, cercando di non vedere somiglianze o differenze da lui negli altri compagni, evitando tutte le partite del Barcellona, non passando più in quelle strade che aveva sempre fatto per andare nel loro albergo di sempre.
Era in queste condizioni quando arrivò la notizia di Piermario Morosini, il suo amico.
Fu questo che gli diede il colpo di grazia... ed il bisogno di Alexis divenne insormontabile oltre che fortemente fisico.
Fu Antonio, passato completamente il limite come non mai, ad andare a Barcellona.
Ci andò con la seria intenzione di cercare Alexis e mandare tutto al diavolo. Se l'avesse voluto sarebbe tornato con lui.
Non si poteva sprecare la vita dietro certe stupide convinzioni di giusto o sbagliato. Antonio aveva deciso di lasciarlo per fargli vivere la sua vita ed essere felice ma se continuava a pensare a lui che senso aveva?
Dio, ne aveva bisogno... il suo sorriso, il suo sguardo, la sua bocca. Tutto di lui era importante.
Tutto di lui era essenziale per la sopravvivenza.
Arrivò davanti casa sua, ci era stato tante volte mesi indietro. Guardò il cancello, guardò la porta d'ingresso, le finestre.
Strinse le labbra ed i pugni.
Era giusto?
No, per niente. Era solo un suo capriccio.
Aprì il telefono. Il suo.
Non lo faceva da mesi.
I messaggi si accumularono immediatamente, tutti avvisi di chiamata di Alexis.
Attese solo qualche istante cosciente che l'sms che avvertiva l'altro che ora il telefono era acceso, sarebbe arrivato come un lampo.
L'aiutò la notte.
Era buio, non si vedeva e nascosto dietro il muretto che delimitava il giardino, sbirciò le finestre dove le luci erano accese.
Un'ombra.
Un battito mancato.
Il telefono cominciò a vibrare. Non riusciva più a piangere da quella giornata con Samir. Nemmeno quel giorno traumatico piangeva.
Però, lì, tremò.
Si sentiva un ragazzino, di nuovo.
Il telefono continuò a vibrare a lungo, poi si decise.
Schiacciò il tasto verde e l'ombra sulla finestra si mosse mentre la voce ansiosa chiamava il suo silenzio mortale.
- Totò? - Lo chiamò sapendo che doveva essere lui.
Niente. La sua voce, però, era dolce. Era dannatamente dolce. Splendida.
Come la ricordava.
Il suo accento spagnolo l'aveva sognato tante di quelle volte...
- Totò, so che sei tu... ti prego parlami... - Era la prima volta che lo faceva ma non voleva rovinare tutto. Non riusciva a parlargli. Non riusciva ad essere così egoista.
Si affacciò alla finestra, ora poteva vederlo. Non poteva sapere che Antonio era lì però sembrava lo cercasse lo stesso. Istintivo, selvatico.
Splendido.
La maglietta nera semplice, lo sguardo ansioso, speranzoso... addolorato.
Era bello, ai suoi occhi, e forse lo era davvero.
- Non ho mai smesso di amarti... devo vederti... ti prego... Totò... fatti vedere... - Per un momento credette che sapesse che era lì, poi però si voltò di schiena verso la finestra e capì che non era così.
Chiuse gli occhi e si voltò anche lui.
Quello poteva essere sufficiente. Vederlo. Sentirlo. Sapere che l'amava ancora.
No, si disse... non era giusto.
Ognuno le proprie sofferenze, la propria vita. La propria strada.
Non era giusto, però sarebbe dovuto esserlo.
Non riuscì a mettere giù il telefono, rimase ad ascoltare le sue preghiere sempre più disperate e finalmente riuscì a piangere di nuovo. Pensò che probabilmente Piermario aveva pregato così, Dio, prima di morire. Aveva sicuramente pregato di rimanere vivo ancora un po'. Gli venne in mente la sua voglia di vivere ed il desiderio di riprendere a correre e giocare la sua partita. Alexis in questo gli somigliava molto. Nemmeno lui si sarebbe mai arreso, quella voglia di vivere l'aveva anche lui.
Sicuramente si sarebbe ripreso, ce l'avrebbe fatta.
Le lacrime lo corrosero e sovrapponendo il suo amico ad il suo amore si trovò a non sapere nemmeno per cosa piangeva di più. Se per la fine di una vita a lui cara oppure per l'amore che continuava a provare per la persona sbagliata.
Forse era per entrambi.
A far sì che mettesse giù, una macchina parcheggiò poco distante, capì che era una persona che andava da Alexis, vide il ragazzo e lo riconobbe come un suo compagno di squadra, non gli venne in mente il nome. Lo intravide nell'ombra ma non fece niente, come se, nonostante non l'avesse riconosciuto, sapeva che non era una minaccia.
Comunque non si parlarono e mentre il ragazzo entrava da Alexis, Antonio se ne andò.