Il Cancello Oscuro
CAPITOLO I
Il sole, che stava tramontando oltre la
linea appuntita delle montagne all’orizzonte, inondava il cielo con la
sua luce insanguinata. Il deserto sembrava uno sterminato e brillante
mare di oro liquido. Sey Pears aveva camminato per tutto il giorno e
ora era stanco, i vestiti che indossava erano consunti e impolverati.
Alzò un po’ la tesa del cappello da davanti gli occhi e vide che, ai
piedi della collina su cui si trovava, sorgeva un piccolo villaggio.
Per la prima volta negli ultimi giorni sentì la speranza rinascere
dentro di lui. Il suo cavallo era morto alcune settimane prima e i suoi
viveri erano terminati da un paio di giorni: nonostante il suo fisico
fosse molto resistente, era ormai giunto al limite. Si aggiustò la
sacca quasi vuota sulle spalle e iniziò a scendere il fianco della
collina.
Arrivò al villaggio che era ormai sera inoltrata. Gli uomini stavano
tornando a casa dopo una dura giornata trascorsa a cercare di dissodare
e rendere produttiva quella terra arida, mentre le donne stavano
preparando la cena dopo essere state a pregare al Tempio. Sey Pears si
deterse il sudore dalla fronte con il dorso della mano e, a passi
strascicati e pesanti, raggiunse l’unico saloon di quel posto. Era
stato costruito sull’angolo del crocevia che intersecava le uniche due
strade del villaggio e per questo si trovava in una posizione
strategica. Si fermò sotto il portico del saloon e annusò l’aria,
percependo un forte odore di whisky e tabacco. Entrò e si guardò
intorno. Il locale era modesto e costruito su due piani: al piano
superiore si trovavano le camere, mentre quello inferiore era ingombro
di tavoli sparsi confusamente in tutto l’ambiente, attorno ai quali
stavano giocando accanitamente alcuni uomini. In fondo alla sala era
stato collocato il bancone, dietro il quale si affaccendava un uomo di
spalle.
Attraversando una spessa nuvola di tabacco, Sey Pears si sedette al
bancone, appoggiando la sacca sullo sgabello accanto a sé e sorrise
notando, attraverso lo specchio che ricopriva la parete di fronte, un
fucile nascosto sotto il bancone.
- È possibile mangiare qualcosa?- domandò.
L’uomo dietro il bancone si volse verso di lui e lo scrutò attentamente
cercando di capire a quale categoria d’uomo potesse appartenere e se
rappresentasse un pericolo per loro.
- Tutto è possibile se si ha la grana.- rispose guardingo.
Sey Pears frugò fra le pieghe polverose del suo spolverino e ne tirò
fuori un obolo d’oro del Governatorato di Fals.
- Basta questo?- chiese sornione all’altro uomo mentre gli porgeva la
moneta.
Questi l’agguantò incredulo di tanta fortuna e sparì dietro una
porticina laterale. Tornò pochi minuti dopo con un vassoio che
conteneva uova fritte, della carne bruciacchiata e un boccale di birra
chiara e fresca. In un piattino c’era il resto delle monete, nel
metterle in tasca Sey Pears si rese conto che l’uomo aveva trattenuto
qualcosa per sé, ma era troppo stanco e affamato per protestare.
- Ehi straniero, come ti chiami?- gli domandò l’uomo che non aveva
perso d’occhio nemmeno uno dei suoi movimenti.
- Mi chiamo Sey Pears – inghiottì un pezzo di carne quasi senza
masticarlo – E tu, invece, un nome ce l’hai?- .
- Mi chiamo Hall Durden e sono il proprietario di questo posto, il Falco.-
rispose impettito.
Sey Pears terminò la sua cena e chiese una stanza e il proprietario del
saloon prese un mazzo di chiavi arrugginito da sotto il bancone.
- A noi non piacciono i problemi, se sei un fuorilegge sparisci prima
del sorgere del sole.- gli intimò porgendogli .
Un sorriso enigmatico schiuse le labbra di Sey Pears a quelle parole.
- Non si preoccupi Mr. Durden, non le causerà nessuna noia!- gli
sorrise e prese il mazzo di chiavi.
Si alzò e lentamente salì le scale, si guardò intorno cercando il
numero della sua stanza e quando la trovò sospirò sollevato. Finalmente
avrebbe potuto riposare su un letto comodo, aveva ormai perso il conto
delle notti che aveva passato all’addiaccio e dei giorni che aveva
trascorso a camminare senza mai fermarsi. Inserì la chiave nella toppa
della porta e, mentre la ruotava, un rumore attirò la sua attenzione.
Si volse incuriosito e vide un uomo enorme, con una cicatrice che gli
tagliava metà faccia e un occhio, uscire da una delle stanze alla sua
sinistra, mentre si riabbottonava i pantaloni sui quali ricadeva una
disgustosa pancia flaccida. Ruttò e tirò con malgarbo una ragazza
tremante da dentro la stanza, afferrandola per i capelli la costrinse a
sollevare il volto verso il suo e la baciò rudemente. Dopo la scostò da
sé con uno spintone e si allontanò con un’espressione soddisfatta ben
stampata in viso.
Sey Pears vide la ragazzina in lacrime cadere a terra e rannicchiarsi
contro il muro, il corpo scosso violentemente dai singhiozzi che non
riusciva a trattenere. Non ci voleva molto per capire cosa le avesse
fatto quell’uomo e corse da lei per aiutarla: era coperta di lividi,
sia vecchi che recenti, e da graffi e morsi che sanguinavano ancora.
Sey Pears allungò una mano per toccarla, ma la ragazza si ritrasse
spaventata, strisciando contro il muro. Dentro di sé imprecò
violentemente contro quell’uomo che aveva osato ridurla in quello stato.
- Non avere paura, non voglio farti nulla. Voglio solo dare un’occhiata
alle tue ferite.- le spiegò cercando di essere il più rassicurante
possibile.
Sentendo quel tono di voce gentile e dolce, la ragazza si voltò
guardinga verso di lui e Sey Pears credette davvero che il cuore gli si
fosse bloccato nel petto per la sorpresa: le assomigliava! Quella
fanciulla era identica a lei. Per un lungo,
perfetto istante fu come se fosse stato catapultato indietro nel tempo,
a quei giorni felici in cui lei era ancora viva e risplendeva della sua
fulgida bellezza.
- Come ti chiami?- le chiese piano, come se temesse la sua risposta.
- A… Alina…- gli rispose la ragazza con una voce roca e calda.
Sey Pears la guardò ancora un attimo, poi, cercando di evitare gesti
bruschi che la potessero spaventare ancora di più, le prese
delicatamente la caviglia nella mano destra e le sollevò la gamba.
- Perché lo fai?- le chiese dopo una lunga pausa di silenzio mentre le
esaminava le ferite.
Alina si morse le labbra indecisa se potesse o no fidarsi di quello
straniero. Lo scrutò in volto sperando di trovare qualsiasi cosa
potesse aiutarla a prendere una decisione. Era incredibilmente bello.
Non riusciva a credere che potessero esistere uomini così affascinanti
al mondo. I suoi tocchi su di lei erano delicati e rispettosi, come se
non volesse spaventarla o farle del male ed era la prima volta che
qualcuno la trattava con tale riguardo.
- Quell’uomo è Urro ed è un fuorilegge temuto da tutti, anche dallo
sceriffo. Io e papà non siamo ricchi e non possiamo pagare la sua protezione.
Così lui ha preteso di essere rimunerato in natura. – e un sorriso
amaro le piegò le labbra – Ogni volta che ne ha voglia mi trascina in
una camera libera e…- la voce le morì in gola, mentre le lacrime
stavano ricominciando a rigarle le guance.
Sey Pears, mettendole due dita sotto il mento, le sollevò il viso verso
il suo e la guardò con le sue iridi celesti incredibilmente buone.
- Basta così, Alina. – la sua voce era calda e dolce, mentre le
asciugava le lacrime con gesti delicati, che sembravano accarezzare
direttamente la sua anima ferita – Non dire più nulla. Adesso vai in
camera tua e chiuditi a chiave. Riempi una tinozza di acqua calda e
diluiscici dentro questa – e le porse una bustina contente una polvere
– Resta immersa il più possibile e non uscire per nessun motivo, va
bene?- .
Un lampo metallico attraversò l’azzurro del suo sguardo e Alina
comprese all’istante cosa volesse fare.
- Non lo faccia! Urro la ucciderà!- urlò aggrappandosi disperatamente
al suo braccio, tentando di fermarlo.
Sey Pears la guardò sorpreso, poi la sua espressione si addolcì
nuovamente, rendendolo di una bellezza quasi dolorosa.
- Fai come ti ho detto e non preoccuparti di nulla.- le ripeté
tranquillamente, mentre si liberava con ferma gentilezza della sua
stretta.
Alla ragazza non rimase altro da fare che osservare la sua schiena che
si allontanava, mentre scendeva le scale per ritornare al piano
inferiore.
- Mr. Pears ha cambiato idea?- gli chiese curioso Hall Durden,
vedendolo.
Sey Pears non gli rispose, ma si diresse direttamente verso il tavolo a
cui Urro era seduto intento a bere e gli si sedette di fronte.
- Quella ragazzina è solo per te?- gli chiese in tono piatto.
Il fuorilegge lo scrutò malevolo con il suo occhio buono, mentre
ingollava rumorosamente un lungo sorso di birra.
- Quella puttana è solo per me, per il grande Urro!- gli ringhiò
contro, sbattendo il boccale sul tavolo come a voler sottolineare il
concetto.
- Se la cava bene?- indagò ancora Sey Pears.
- All’inizio fa un po’ di storie, non vuole stare ferma e per questo
devo convincerla, ma poi devi vedere come si muove
sotto di me!- e un ghigno osceno gli deformò le labbra.
Un velo calò davanti agli occhi di Sey Pears, mentre la rabbia montava
sempre di più dentro di lui. Ancora dopo tutto quel tempo non riusciva
a capire come certi uomini potessero considerare le donne degli oggetti
da usare e rivoltare a piacimento, senza alcuna accortezza, e poi
gettare via. E quel pensiero gli portò alla mente lei.
Lei bellissima e triste, umiliata nel corpo e nello
spirito. - E se non le piacesse quello che le fai?- e la sua voce sfumò
in un ringhio feroce.
Urro si fermò, con il boccale sollevato davanti le labbra, a guardare
quello straniero che se ne stava seduto davanti a lui, con la testa
china in avanti e il volto coperto dalla frangetta bionda.
- Vorresti combattere contro di me per il suo onore? – scoppiò in una
risata untuosa – Non pensarci nemmeno: non vale la pena morire per una
come quella.- .
La rabbia crebbe in Sey Pears fino a raggiungere il punto di rottura,
poi tutto divenne rosso e ogni cosa venne divorata del ruggito del
sangue. Il tutto si svolse così rapidamente, che Urro comprese quello
che era accaduto solo alla fine: il cowboy scattò dalla sedia e lo
afferrò per il bavero della camicia, sollevandolo di peso e
scaraventandolo sul tavolo, che si spaccò a metà sotto il suo peso. Sey
Pears gli sferrò un rapido pugno nello stomaco che gli ruppe due
costole, poi iniziò a percuoterlo al volto con una ferocia tale che
ogni colpo tirava via brandelli sanguinolenti di pelle.
Il fuorilegge urlava di dolore, paura e sorpresa, scalciava e si
dibatteva con tutte le sue forze, ma non riusciva a liberarsi dalla
ferrea presa del suo aggressore. Attorno a loro c’era solo il silenzio
attento di chi assiste finalmente a un evento che si era desiderato per
molto tempo e che si aveva perso la speranza di vedere.
- Smettila, ti prego!- implorò Urro.
- Nemmeno per sogno. Quante volte quella ragazza ti ha implorato di
smettere, ma tu hai fatto finta di non sentire, continuando a farle del
male? – gli sferrò l’ennesimo pugno che gli fracassò un altro osso –
Rispondi bastardo!- gli ordinò rabbioso.
- N… non… non… lo so…- cercò di replicare Urro, con la bocca fracassata
nella quale si mischiavano saliva e sangue.
Sey Pears emise un verso infastidito, prima che il suo volto iniziasse
a mutare. Urro spalancò gli occhi terrorizzato, non riuscendo a capire
se ciò che stava vedendo fosse reale o solo un’illusione frutto della
sua mente accecata dal dolore. L’azzurro delle iridi del cowboy venne
rapidamente divorato da un feroce rosso sangue e le labbra morbide e
rosee si trasformarono in mostruose fauci schiuse su di una chiostra di
denti affilatissimi. Sulla sua fronte un segno simile a un drago iniziò
a brillare di una fredda luce azzurrina. Urro a quella vista urlò
ancora più forte.
Con un movimento fulmineo, Sey Pears si sfilò il pugnale dalla cintura
e lo piantò nel fianco del fuorilegge, poi il simbolo sulla sua fronte
iniziò a brillare più intensamente, schiuse le fauci e succhiò qualcosa
dalla bocca di Urro, spalancata in un grido atterrito.
Quando Sey Pears si rimise dritto e si voltò, i lineamenti del suo
volto erano tornati normali, perfetti come se fossero stati levigati
nel marmo da un abile scultore, come se non fosse accaduto nulla. A
passi pesanti si incamminò verso le scale, desiderando solo poter
dormire per una notte intera, ma Hall Durden lo bloccò e gli offrì un
boccale di birra.
- Grazie. Prima di te nessuno aveva osato sfidare Urro. Noi valiamo
meno di niente, possiamo vivere finché facciamo divertire uomini come
lui… e io ho dovuto sacrificare mia figlia…- e abbassò il capo,
schiacciato dal senso di colpa e dalla vergogna verso se stesso.
- Non mi devi spiegazioni né ringraziamenti. La tua birra è la migliore
che abbia bevuto.- vuotò il boccale tutto d’un fiato e poi si congedò.