IL PECCATO DI AMARE

Capitolo 1: Simile ad un angelo


La pianura si apriva a ventaglio davanti i suoi occhi, come un immenso mare bianco e morbido, punteggiato qua e la da pinete ed abetaie. Il piccolo gruppo di Cavalieri teutonici attraversava quel deserto di neve lentamente, a fatica. Erano stati chiamati da uno dei villaggi sul confine orientale per porre fine alle scorribande dei Borussi, la loro vittoria su quegli infedeli era stata rapida e letale, avevano passato a filo di spada tutti quelli che non volevano convertirsi al Verbo Incarnato, trascinando in catene quelli che avevano accettato di diventare Cristiani per non essere uccisi. Ma avevano lasciato molti loro confratelli sulla neve, uccisi dalla furia indomabile con cui i demoni dell’Inferno sospingevano quei selvaggi. Hans rabbrividì ad un’improvvisa folata di vento che spalancò il suo mantello svelando la nera e lucida armatura, gonfiando la stoffa bianca alle sue spalle. Nero e bianco. I colori dell’Ordine Teutonico. I cavalieri dovevano indossare armature nere come la notte più profonda e mantelli bianchi come il giglio più candido, innalzavano drappi bianchi con enormi croci nere, portavano in trionfo aquile intagliate nell’ebano, come i pagani prima di loro. Il cavaliere si riaccomodò il mantello in modo che lo avvolgesse e lo proteggesse dalle intemperie: i Teutonici erano cavalieri duri e spietati, non avevano paura né della morte né della fame né della sete, non temevano il freddo né il caldo, ma Hans preferì ripararsi comunque: bastava un piccolo, innocuo raffreddore per uccidere un uomo.
Hans Bauer era il figlio illegittimo di un conte tedesco e di una delle dame di compagnia delle contessa, di cui portava il cognome, non aveva diritto all’eredità di famiglia, ma il conte aveva comunque preteso che ricevesse una degna istruzione, dato che portava il suo sangue. Arrivato alla maggiore età il conte aveva ordinato che entrasse in convento, in modo che non potesse avanzare pretese sul patrimonio di famiglia, ma Hans non era molto attratto dalla vita ritirata e contemplativa dei chiostri, lui amava correre libero a cavallo, tirare di scherma e fare a pugni in qualche bettola innominabile dei bassifondi. Per questo aveva chiesto ed ottenuto di poter entrare nell’Ordine dei Cavalieri Templari: monaci guerrieri che con la mano destra impugnavano la spada e con la sinistra tenevano il breviario, e combattevano per diffondere la Parola di Cristo tra gli infedeli che invadevano dall’Est il Sacro Romano Impero. Tra i suoi confratelli Hans non era molto amato: sia per la sua dubbia nascita avrebbe dovuto essere relegato tra i Fratelli Servitori, ma nemmeno il papa in persona si sarebbe accollato la responsabilità di aver messo un figlio del Conte, seppure bastardo, tra la servitù; sia per i suoi capelli neri e gli occhi nocciola, eredità di sua madre, figlia di Italici. In teoria tutti potevano entrare nell’Ordine Teutonico, a prescindere dalla loro etnia, nella pratica l’Ordine era stato tenuto sempre da uomini di pura razza tedesca, per questo i suoi confratelli sfoggiavano con orgoglio i loro capelli biondi e gli occhi azzurri, emblema della loro sicura origine. Lui non era altro che un bastardo mezzosangue e come tale veniva trattato, non contavano il suo valore né la sua abilità con le armi né la sua intelligenza, era già stato bollato e classificato e niente avrebbe potuto mutare quel giudizio. A peggiorare la situazione era intervenuta la decisione del Gran Maestro di affidargli un apprendista, a lui che non aveva mai partecipato ad una guerra contro le orde dei Mongoli, lui che aveva preso parte solo alle scaramucce fra cristiani e pagani di quelle terre…
… cosa poteva lui insegnare ad un figlio dei Tedeschi?
Hans sbuffò sonoramente: era stanco degli sguardi di disprezzo, delle parole a mezza voce pronunciate alle sue spalle, era stanco di dover stare sempre attento a non fare passi falsi per non dare ai suoi confratelli nuovi motivi per accusarlo, per chiedere al Gran Maestro la sua espulsione dall’Ordine. Lui era sempre il primo a gettarsi all’attacco, e continuava a colpire ignorando le ferite e la stanchezza, quando gli altri iniziavano a cedere alla fatica; aveva ampiamente dimostrato in quegli anni che il suo valore non era inferiore di certo a quello di quei cavalli di razza, anzi! Era quello il motivo principale per cui il Gran Maestro gli aveva affidato un apprendista, perché si fidava di lui e delle sue capacità.
Piccoli fiocchi bianchi cominciarono a fluttuare nell’aria mentre la temperatura era scesa ulteriormente, Hans sollevò lo sguardo verso il cielo perlaceo osservando la loro leggera danza contro il cielo. Era stato un paio di volte in Italia ed era rimasto incantato dalla bellezza di quei boschi del colore dello smeraldo più puro, da quei mari simili a lapislazzuli e da quel sole torrido, accendendo tutti i colori di quella terra che sembrava essere perennemente in festa, anche nei lunghi mesi invernali. Invece in quelle lande i colori dominanti erano quello perlaceo del ghiaccio ed il verde scuro degli abeti, che davano un’idea di silenzio, calma e tranquillità, come se quelle terre fossero state create apposta per consentire agli uomini di riflettere, per questo amava il paesaggio che si stendeva attorno alla loro sede.
Improvviso come sempre il castello di Malbork si stagliò contro tutto quel candore con la sua immensa mole scura: i pinnacoli, le guglie e le merlature, risaltavano come se fossero state ritagliate e cucite appositamente su un pezzo di stoffa chiaro.
Appena le guardie sui camminamenti di ronda li avvistarono diedero ordine di sollevare la saracinesca e calare il ponte levatoio, il cui bordo cozzò sordo contro il terreno. Il passi dei cavalli sul legno rimbombarono mentre la corte si animava del frenetico andirivieni degli scudieri che si preparavano ad accudire il destriero del proprio padrone.
Hans fermò il suo cavallo al solito posto, in un angolo piuttosto defilato del cortile, sotto le pesanti mura di cinta, lontano dagli altri cavalieri. Appena smontò di sella gli si avvicinò un ragazzo dai capelli biondi e grandi occhi azzurri, il viso pallido e paffuto arrossato dal freddo e spruzzato di efelidi.
- Bentornato padron Hans! Date pure a me Blitz, dovrete essere molto stanco!- lo salutò cordialmente con il suo eterno sorriso gentile.
- Grazie Claus!- ricambiò il saluto con un piccolo sorriso mentre gli porgeva le redini.
Lo scudiero si allontanò con il cavallo verso le scuderie, ed Hans sorrise divertito quando sentì il ragazzo promettere all’animale una porzione di fieno in più, per il coraggio che sicuramente aveva dimostrato in battaglia.
Percorse il cortile a passi ampi e veloce, desiderando solo di allontanarsi da quel branco di stupidi vanagloriosi che riempivano la propria bocca e le orecchie degli altri di vanterie per la maggior parte inventate. Lui era molto più chiuso e riservato di carattere, non amava molto la confusione, per questo si chiese come avrebbe dovuto rapportarsi con il suo apprendista...
Claus era uno dei suoi due scudieri, ma era troppo giovane per seguirlo in battaglia, quindi, quando partiva, lo lasciava al castello ad addestrarsi, promettendogli ogni volta che alla successiva battaglia lo avrebbe condotto con sè, portandosi dietro Krum, un veterano dei campi di battaglia più grosso e massiccio di lui, segnato così da tante cicatrici che era impossibile contarle, sempre abile e fedele con lui.
Entrò nella torre del castello, trovando subito davanti la scala a chiocciola appena distinguibile nella penombra. Sicuro iniziò a salire verso i piani altri: il Gran Maestro lo attendeva nel suo studio al secondo piano. Nonostante vivessero in un castello così ampio e sfarzoso, i cavalieri erano costretti a vivere una vita austera e rigida, possedevano poche cose, quelle ritenute strettamente necessarie, come un solo cambio d’abiti e di stivali ed un pagliericcio su cui coricarsi la notte, e tutto il resto veniva condiviso. Tutti i confratelli erano uguali, non importava quale fosse la loro posizione nella società, davanti a Dio non c’erano distinzioni. Aprì la pesante porta di legno ed i cardini ruotarono con un intenso cigolio metallico che si spense nel buio su cui si apriva. Hans richiuse la porta alle sue spalle ed iniziò a percorrere il corridoio, scuro nonostante le ampie finestre ad arco a sesto acuto che si aprivano sulla parete che dava sull’esterno. Il cavaliere si fermò un attimo ad osservare il paesaggio circostante: la sera stava avanzando rapidamente, scurendo il grigiore del cielo, rendendo quella nevicata un trappola mortale. Presto si sarebbero celebrati i vespri. Affrettò il passo, ignorando le scure armature che decoravano il passaggio ad intervalli regolari e che sembravano osservarlo minacciosamente nella loro silenziosa immobilità, finché non si trovò davanti la porta dello studiolo del Gran Maestro. Inspirò a fondo, per prendere coraggio, poi sollevò la mano a pugno e bussò pesantemente sul battente. Una voce severa e potente dall’altro lato della porta lo invitò ad entrare. Lo studio del Gran Maestro era costituito da una stanza abbastanza ampia, che volgeva a levante, al centro campeggiava una grande scrivania di ebano spesso e lucido, con davanti una semplice sedia costruita nello stesso legno. Il Gran Maestro sedeva invece su una sedia ad alto schienale con braccioli intagliati, era un uomo imponente e massiccio, dall’aspetto arcigno, nonostante fosse in la con gli anni era ancora molto forte e sapeva incutere rispetto e terrore con un solo sguardo, in tanti anni nessuno aveva mai messo in discussione la sua autorità. Hans entrò e si inginocchiò.
- Rialzati pure fratello Hans!- la sua voce era simile allo scoppio del tuono, ed altrettanto temibile.
Il cavaliere si rimise in piedi, ma mantenne comunque la testa leggermente inchinata in avanti come segno di rispetto. Solo in quel momento si accorse di una figura ammantata di bianco, che se ne stava ritta in un angolo alle spalle del Gran Maestro.
- Lui è il motivo per cui ti ho convocato! – spiegò l’uomo intuendo cosa stesse guardando – È il tuo apprendista!- e gli fece segno di mostrarsi.
Lentamente, quasi intimidita, la persona ammantata si staccò dal muro contro cui si addossava ed avanzò a passi leggeri, misurati, quasi felini. Hans lo vide scostare appena il mantello dal corpo rivelando un paio di eleganti mani pallide, dalle dita lunghe ed affusolate ed il polso sottile, che si sollevarono verso la testa per scostare il cappuccio. Quando la stoffa cadde all’indietro, Hans credette di trovarsi davanti un angelo: morbidi capelli del colore del miele gli incorniciavano il volto piccolo, dai lineamenti fini e delicati, perfettamente modellati, il naso dritto ed elegante, le labbra rosa piccole e piene, sensualmente imbronciate, grandi occhi cobalto lo fissavano curiosi, la pelle lattea, priva della più piccola imperfezione. Sembrava una statua scolpita nell’alabastro da uno scultore particolarmente abile. Hans si disse che stava sognando, non poteva esistere una creatura così bella in quel mondo, quel ragazzo era stato creato per cantare insieme agli angeli del cielo la gloria di Dio, non per stare con loro imperfetti, comuni mortali. Il suo mondo scomparve in un mare nero quando quel ragazzo sorrise, un sorriso ampio e solare, che, se possibile, rendeva ancora più bello e perfetto quel volto stupendo.
- Il mio nome è Peter Sholberg!- si presentò tendendogli la mano.
La sua voce era leggera e cristallina, rispecchiava fedelmente il suo aspetto fragile ed etereo. Hans attese un attimo che quella voce dolce smettesse di pulsargli nel cervello, prima di stringere la mano al ragazzo, ed il contatto tra le loro pelli scatenò in lui un fremito così violento da scuoterlo fin dentro le ossa. Il cavaliere si chiese seriamente quali effetti potesse avere quel ragazzino su di lui. Aveva avuto delle donne quand’era più giovane e non aveva ancora preso i voti, ma nemmeno nell’amplesso più lussurioso aveva mai provato qualcosa di simile al brivido che gli aveva increspato la pelle e l’anima al solo stringere quella mano piccola, tiepida, elegante ed affusolata. Cercò di nascondere l’inquietudine dietro al suo solito sguardo di pietra. Nemmeno un’emozione era sfilata sul volto di Peter.
- Bene! Ora ascoltatemi entrambi: il vostro rapporto sarà quello di un maestro con il suo allievo, quindi dividerete ogni attimo della giornata, dormirete nella stessa stanza e mangerete dallo stesso piatto, secondo la Nostra Regola.- .
Hans deglutì cercando di forzare il nodo che gli si era formato in gola alle parole del Gran Maestro: non riusciva a capirne il motivo, ma la sola idea di passare tanto tempo con quel ragazzino lo turbava e lo infiammava. Aveva già visto ragazzini come quello, efebi perfetti, usati dai Signorotti al posto delle donne nel buio segreto dei loro manieri.
Disgustoso, assolutamente disgustoso! Come si poteva desiderare sensualmente un altro uomo?
Aveva sempre guardato con sospetto quei sodomiti che offendevano continuamente Dio con le loro azioni, credendo di non essere visti da Lui: avrebbero pagato alla fine dei tempi il loro peccato!
Eppure, nei recessi più bui della sua mente, non gli sembrava poi un’idea così disgustosa quella di fare qualcosa di simile con quell’essere bellissimo e perfetto…
Scosse la testa per scacciare quel pensiero: avrebbe dovuto pregare il doppio per scontare quel peccato, quella sera!
- Sia come tu vuoi Gran Maestro!- esclamarono in coro.
E nuovamente qualcosa vibrò al risentire quella voce, nel profondo della sua anima.
Nel momento stesso in cui uscirono dallo studiolo del Gran Maestro, la campana suonò i vespri. Hans fece segno a Peter di seguirlo e mentre camminavano nel corridoio, ormai avvolto in una spessa penombra, il cavaliere si rese conto che il suo apprendista camminava a testa bassa e rasente il muro, quasi come se fosse intimorito da quel luogo, e si stringeva forte il mantello attorno al suo esile corpo. Era normale infondo: ricordava ancora l’inquietudine che lo ghermiva ogni volta che camminava in quei tetri corridoi perennemente sprofondati in quella spessa oscurità che nemmeno la luce delle torce riusciva a rischiarare; sentiva sempre la pelle incresparsi in brividi che non erano di freddo, nonostante l’umidità che impregnava quegli ambienti, e si guardava sempre intorno come se si aspettasse che qualche mostro potesse spuntare dal buio per ucciderlo. Poi con il tempo aveva fatto l’abitudine a quel cupo maniero in cui erano costretti a vivere e non aveva fatto più caso all’ambiente circostante. Presto o tardi anche quel moccioso si sarebbe abituato. Gettò un’occhiata in tralice a Peter, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, e rimase abbagliato da quello che vide: la luce delle torce disegnava morbidamente i suoi tratti pieni, tingendo d’oro quella pelle d’alabastro, scurendo maggiormente quegli occhi blu, riempiendoli con il loro riflesso di pagliuzze dorare, facendo brillare come fili d’oro i suoi capelli. Era uno spettacolo da mozzare il fiato. Ad Hans sembrò davvero di stare ad osservare un essere proveniente da un altro mondo, una creature fatta di luce, pura ed innocente, capace di incantare chiunque lo guardasse. Ad Hans sembrò di camminare al fianco di un angelo. Distolse velocemente lo sguardo sentendo il sangue iniziare a scorrere più velocemente nelle sue vene. Se fosse stato da solo in quel momento si sarebbe preso a ceffoni da solo. Seguirono sempre in silenzio il corridoio che piegava ad est ritrovandosi, dopo un altro tratto, davanti la piccola porta di legno da cui era entrato nel corridoio. Rientrarono nella torre e salirono un altro paio di rampe di scale, quindi si ritrovarono in una sala immensa, satura del buio e del freddo di quella notte germanica, illuminata esclusivamente dalle fiaccole che bruciavano appese ai muri, che non riuscivano a fendere le tenebre con le loro fiammelle fumose; il soffitto era così alto che non si riusciva a scorgerlo, si distinguevano solo le finte colonne che, contro le spesse pareti a vista, immense salivano verso l’alto perdendosi nel buio; le finestre erano coperte da vetri colorati assemblati a rappresentare storie del Vecchio e Nuovo Testamento, impedendo alla luce di penetrare all’interno; infondo, sull’abside, illuminata da una doppia fila di candele, si disegnava morbidamente la figura della Madonna protettrice dei Cavalieri Teutonici. La chiesa in cui pregava l’Ordine. Hans guidò il suo apprendista verso una delle panche più desolate: neanche in un luogo così sacro gli era concesso di mischiarsi agli altri Cavalieri come un loro pari. Peter si sedette al suo fianco senza fare domande, sembrando, anzi, soddisfatto per quella decisione. Presero in mano i rosari: il più anziano tra i loro confratelli era salito sull’altare per iniziare i vespri. Dopo la preghiera i cavalieri si diressero nel refettorio per la cena, un ambiente ampio come quello che ospitava la chiesa, solo che questo era bene illuminato e riscaldato, occupato da varie file di lunghi tavoli, su un rialzo in fondo alla stanza svettava il leggio. I cavalieri presero posto ordinatamente e sempre in rispettoso silenzio, gli anziani contro il muro ed i giovani con la schiena rivolta alla sala, di fronte a loro. Come ad un ordine silenzioso i Fratelli Servitori entrarono trasportando a fatica i calderoni pieni di pappa d’avena, che servirono il più velocemente possibile. Il vino era vietato, la carne poteva essere mangiata solo in occasioni particolari, perché ritenuta un alimento impuro. Anche a tavola spiccava l’assoluta rigidezza della loro Regola: i cavalieri dovevano condividere il piatto ed il calice con il proprio compagno, possedendo solo il cucchiaio di legno; dovevano mangiare nel più assoluto silenzio mentre uno dei fratelli leggeva un passo del Vangelo. Per Hans quella sera le vicende dell’Esodo non avevano alcuna attrattiva, tutto il suo interesse era concentrato su Peter che, seduto alla sua sinistra, stava mangiando a testa china, alcune ciocche d’oro a coprirgli il bel volto di marmo levigato, come se stesse meditando sul passo biblico. Il cavalieri rimase incantato dai piccoli movimenti eleganti e misurati, ipnotici e languidi, con cui si portava il cucchiaio alla bocca, sicuramente era il figlio di qualche grande signore feudale, magari era l’ultimogenito, per questo suo padre aveva preteso che seguisse la carriera ecclesiastica, e forse lo aveva fatto entrare nell’ordine Teutonico per preservarlo dalla lascivia di quei vecchi immorali cardinali, che usavano la loro fede solo per ottenere sempre più potere, ignorando completamente la Legge di Dio. Infondo tra i Teutonici quello era un peccato punito con la morte, un deterrente altamente efficace che avrebbe tenuto alla larga quella feccia da lui.
Intanto il Gran Maestro aveva dato il segnale per la fine della cena. Hans era stanchissimo, sentiva tutti i muscoli dolergli, e voleva solo gettarsi a peso morto sul pagliericcio e dormire fino al mattino; invece tra lui e l’alba c’erano ancora la Compieta ed i Mattutini…
… quindi silenzioso ed ubbidiente seguì gli altri fino in chiesa, magari, pensò, se si fosse tirato il cappuccio in testa, avrebbe potuto schiacciare un pisolino mentre fingeva di pregare…