Capitolo
dieci: Il bacio di Giuda
Il vino scivolò dal
becco ricurvo dell’elegante brocca argentea riversandosi con
un debole gorgoglio nel calice. Il colore suo vermiglio riluceva di
bagliori insanguinati con l’argento della coppa, accarezzato
com’era dal rosso riverbero del fuoco che ruggiva nel camino.
Con malagrazia rimise la brocca sul ripiano del tavolo ed il tonfo
echeggiò per qualche istante nel silenzio della stanza.
Gustav Lammer portò la coppa alle labbra trangugiandone il
contenuto in un unico sorso, asciugandosi poi con il dorso della mano e
puntò lo sguardo nel vuoto.
Lui era il terzogenito della più antica famiglia tedesca.
Com’era consuetudine tra le famiglie nobili,
l’intero patrimonio spettava al maggiore tra i figli, gli
altri avevano l’obbligo di contrarre matrimoni vantaggiosi
che avrebbero portato nuove alleanze e ricchezze alla famiglia oppure
di seguire la carriera religiosa. Lui aveva scelto
quest’ultima strada, consapevole che il nome che portava non
gli avrebbe chiuso nessuna porta, nemmeno in quell’ambiente,
anzi. La sua sete di sangue e guerra aveva fatto il resto.
Suo padre da anni possedeva il titolo di Consigliere Reale, quindi
passava la maggior parte dell’anno al castello, demandando
l’amministrazione del proprio maniero e dei propri
possedimenti a pochi uomini fidati, in attesa che il suo primogenito
fosse abbastanza grande per prendere in mano le redini della famiglia.
Gustav ed i suoi fratelli erano stati allevati severamente dai
precettori scelti dal padre, che li avevano istruiti in ogni aspetto
della cultura e dell’uso delle armi, rendendoli pienamente
coscienti del posto che ricoprivano nella società e della
sua importanza, dei doveri e dei privilegi che esso comportava. La mano
di Dio li aveva posti ai vertici della scala gerarchica, li aveva fatti
di Suo pugno dominatori, e dovevano essere fieri di questo e
comportarsi di conseguenza.
I Lammer erano una famiglia così ricca e potente che anche
il re doveva abbassarsi a chiedere favori a loro. Erano temuti ed
odiati dalle altre famiglie per quello che rappresentavano. E questo
era il loro vanto. E la loro forza.
La prima lezione che Gustav aveva appreso da bambino era il motto della
sua famiglia: “Prendi tutto quello che desideri, senza farti
scrupolo alcuno, spazza via con ogni mezzo, lecito o no, gli ostacoli
che si frappongono tra te ed il tuo obbiettivo.”.
Questo erano i Lammer. Questo era lui.
All’età giusta era entrato nei Cavalieri Teutonici
rifiutandosi di contrarre un matrimonio vantaggioso con una contessa
spagnola. Aveva convinto suo padre che lui era nato per difendere il
Papa e la Santa Chiesa dagli infedeli. In realtà protetto
dalla croce nera dell’Ordine avrebbe potuto soddisfare
tranquillamente i propri vizi.
Presto aveva scoperto di preferire le linee languide del corpo di un
efebo a quelle morbide di un corpo femminile. Presto aveva iniziato ad
appagare il suo desiderio nascondendosi nelle zone del castello che
solitamente non venivano usate. Suo padre non aveva mai saputo nullo o
non aveva mai voluto sapere. Aveva soltanto sospirato di sollievo
quando aveva lasciato il castello per andare a vivere a Malbork.
Anche tra i Teutonici il suo nome aveva mantenuto il proprio peso: era
l’unico in tutto il castello a possedere una cella singola,
ammobiliata con un letto vero, una cassapanca di legno elegantemente
lavorata, un tavolo con un paio di sedie e un camino proprio. Il Gran
Maestro aveva chiuso entrambi gli occhi fingendo di non vedere il lusso
di cui sfacciatamente si circondava ed i novizi che nottetempo
entravano nella sua cella.
Gustav Lammer si considerava al di sopra di ogni legge, nessuno poteva
dargli ordini, tutto gli era dovuto.
Eppure qualcuno aveva osato appropriarsi di qualcosa che apparteneva a
lui solo! A quel pensiero serrò le mani sulla coppa fino a
farsi sbiancare le dita.
Quel verme che avrebbe dovuto solo strisciare nella terra da lui
calpestata aveva osato mettere le sue sudice mani su ciò che
orami considerava di sua proprietà!
Lo detestava! Odiava quell’uomo come non aveva odiato
nient’altro in tutta la sua esistenza. Un bastardo
mezzosangue che aveva ottenuto il posto che occupava solo per
intercessione del padre. Non aveva proprietà né
ricchezze, possedeva solo se stesso, nemmeno il nome di famiglia gli
era stato concesso. Non era null’altro che un parassita che
viveva appropriandosi di ciò che non gli apparteneva! Era
un’infamia tenerlo li, nell’Ordine, non come
servitore ma come Cavaliere, un onore che spettava solo ai figli
dell’aristocrazia. Era un abile combattente certo, non poteva
negarlo, ma questo non lo riscattava dalle sue oscure origini.
Come aveva potuto un uomo simile ottenere ciò che lui
bramava? Cosa aveva di speciale per essere preferito a lui che aveva
potere e denaro in quantità superiore a chiunque altro?
Spostò lo sguardo sulle fiamme che ruggivano nel grande
camino di pietra, e gli sembrò quasi di rivedere quella
scena rivoltante nella loro luce rossastra.
Già alla messa della Vigilia gli era sembrato che ci fosse
qualcosa di strano tra quei due. Erano entrati insieme nella cappella,
insolitamente in ritardo. Hans era un uomo discreto ed orgoglioso,
aveva sempre evitato di attirare l’attenzione dei confratelli
su di sé e di fornire loro l’occasione per nuove
accuse e critiche. In tanti anni di servizio non era mai arrivato in
ritardo ad una messa. Questo aveva attirato l’attenzione di
Gustav Lammer, che invece di concedere la propria totale attenzione al
Signore, aveva iniziato a studiare accuratamente il Cavaliere con il
suo apprendista.
Immediatamente aveva notato che il moccioso camminava a fatica, a
tratti sorretto dal suo maestro. Quando il cappuccio gli era scivolato
accidentalmente dalla testa, aveva scorto quel volto niveo animati da
un insolito rossore sulle guance che aveva circonfuso il suo volto di
una bellezza quasi insostenibile. Lo aveva guardato con maggiore
interesse e le labbra gli erano sembrate troppo rosse e gonfie, e gli
occhi blu sempre calmi ora erano accesi e lucidi.
Una visione sensuale talmente violenta da rivoltargli le viscere per il
desiderio. Gustav aveva dovuto aggrapparsi allo scranno per
trattenersi, così forte da scheggiare il legno. Poi era
venuta la consapevolezza e subito dopo la rabbia, gelida e violenta,
capace di tendergli ogni muscolo e tendine, e di fargli vibrare ogni
cellula.
Come aveva osato quel miserabile mettere le mani su ciò che
apparteneva a lui solo e strapparglielo? Come aveva osato insudiciarlo
in quel modo?
Lo stato del ragazzo non lasciava adito a dubbi su cosa avessero fatto
rinchiusi nella loro cella, ma non bastava, non per un’accusa
così grave. Aveva bisogno di una prova inconfutabile.
Per questo quel giorno li aveva seguiti al campo di addestramento,
nascondendosi dietro una rientranza delle mura, sperando sempre di
riuscire a carpire anche un piccolo indizio sulla reale natura del loro
rapporto. Le ore erano scivolate lente e senza risultati, stava quasi
per desistere quando Dio era finalmente sceso al suo fianco, aiutandolo.
Aveva visto Peter abbassare la spada, stremato da tutte quelle ore di
allenamento, ed asciugarsi il volto dal sudore con la manica della
casacca. Hans era una presenza severa e silenziosa al margine del
campo. Il ragazzo aveva sollevato il volto verso il proprio maestro ed
il suo sguardo era stato attraversato da un rapido quanto
inconfondibile lampo. Camminando lentamente gli si era avvicinato
inchiodando su di sé lo sguardo di Hans ed il proprio.
Gustav deglutì penosamente al ricordo di quelle movenze
langue e feline, assolutamente naturali ed inconsapevoli.
Peter si era fermato davanti ad Hans e lo aveva guardato per un lungo
istante, prima di aggrapparsi alla sua casacca e tirarlo verso di
sé, per baciandolo.
- Possono vederci!- aveva protestato debolmente l’altro
Cavaliere dopo qualche istante, la voce impastata di timore e desiderio.
- Uno solo…- un mormorio basso e roco, quello di Peter, che
avrebbe potuto sciogliere anche le pietre.
Infatti Hans aveva avuto soltanto la forza di abbandonarsi a quelle
labbra, stringendolo forte contro di sé, sollevandolo
appena. Quando si erano separati, Gustav aveva incrociato lo sguardo
che Peter stava rivolgendo al Cavaliere. In quelle iridi cobalto era
stato riversato tutto l’amore che un essere umano poteva
provare per un suo simile. Nessuno aveva mai guardato lui in quel modo
così intenso ed assoluto, amandolo per se stesso, per quello
che era, e non per quello che rappresentava. La gelosia e
l’invidia avevano immediatamente divorato Gustav come acido,
smembrando la sua ragione ed impedendogli di pensare razionalmente.
Lui, rampollo della grande famiglia dei Lammer, si era ritrovato ad
invidiare un mezzosangue! Non si era mai sentito umiliato come in quel
momento!
Aveva ottenuto la prova che cercava, quei due erano amanti, ora non
doveva far altro che consegnarli al Gran Maestro. Per un attimo davanti
ai suoi occhi balenò il dolce volto arrossato di Peter e la
sua determinazione vacillò. Consegnarli all’Ordine
avrebbe significato la morte per entrambi. Far uccidere anche quel
moccioso, non solo Hans. Restò per qualche istante immobile,
con il calice vuoto ancora stretto tra le dita, ad osservare il gioco
sensuale delle fiamme contro le pietre chiare del caminetto, come se
fosse indeciso sul da farsi. Rivide la scena del bacio di quella
mattina e la sua decisione ritornò immediatamente ferrea:
Gustav Lammer non si sarebbe mai accontentato degli avanzi di un
bastardo mezzo sangue, neanche di così succulenti.
Serrò i denti l’uno con l’altro,
piegando le labbra in smorfia severa e determinata sotto
l’ispido pelo rosso della sua barba.
Rimise la coppa sul tavolino di legno e si alzò dalla sedia
di scatto: non era un codardo, doveva vendicare il suo onore macchiato
e riscattarsi. Anche a costo di sacrificare il moccioso.
Il corridoio vuoto, appena rischiarato dalla luce giallognola delle
fiaccole appese ai muri, risuonava del passo secco e cadenzato dei suoi
stivali. Salì gli ampi ed antichi scaloni di pietra fino a
ritrovarsi al secondo piano, davanti gli alloggi del Gran Maestro. Una
lama di luce ambrata filtrava da sotto la porta dello studio, segno che
l’uomo era ancora al lavoro. Si fece coraggio e
bussò. Dopo qualche istante la voce del Gran Maestro lo
invitò ad entrare. L’espressione
dell’uomo si fece sorpresa e curiosa quando vide Gustav
Lammer entrare nel suo studio a quell’ora tarda. Lo
osservò attentamente e, dalla sua espressione tesa, comprese
che non portava buone notizie.
Gustav stava per inchinarsi come prescritto dalla Regola, ma il Gran
Maestro lo bloccò.
- A quest’ora simili formalismi sono del tutto superflui.
Siedi pure. – lo invitò indicando la sedia ad alto
schienale posta al lato della scrivania – Allora, di cosa
vuoi parlarmi?- .
- Ho fatto una scoperta terribile Gran Maestro, qualcosa che potrebbe
gettare discredito sull’Ordine ed attirare su di noi le ire
dell’Altissimo!- iniziò concitato.
- Di cosa si tratta?- chiese ancora corrugando la fronte preoccupato.
Gustav Lammer era arrogante e presuntuoso, ma era un uomo delle cui
parole ci si poteva fidare.
- Hans Bauer ha una relazione carnale con il suo apprendista!- disse
tutto d’un fiato.
Il Gran Maestro si fermò un attimo a guardarlo, scrutandolo
nei suoi inquietanti occhi acquamarina, come se stesse ponderando il
reale significato di quella rivelazione e tutte le implicazione che ne
seguivano…
… eppure lo stava fissando fermo e sicuro di sé,
non stava mentendo!
Sospirò poggiandosi con la schiena contro lo schienale ed
intrecciando le mani sul ripiano dello scrittoio.
- È un’accusa grave, sei sicuro di quello che
dici?- chiese severo.
- Si Gran Maestro. Stamane li ho sorpresi mentre si baciavano nel campo
d’addestramento.- asserì.
La massima carica dell’Ordine Teutonico chiuse gli occhi
pensoso. Tutti al castello erano a conoscenza del profondo odio che
Lammer nutriva verso l’altro Cavaliere, ma era abbastanza
spregiudicato da creare una simile macchinazione per sbarazzarsi
definitivamente di Hans? Comunque lui era colui che comandava, che
rappresentava la Legge e l’Ordine stesso, ed era suo dovere
raccogliere qualsiasi denuncia ed accertarsi della sua
veridicità. Espirò pesantemente si
alzò in piedi facendo cenno a Lammer di seguirlo. Fuori
dallo studio chiamò due dei quattro Cavalieri che montavano
la guardia e si avviò verso le scale. Sperò che
le accuse di Gustav Lammer fossero infondate: era stato lui a garantire
per Hans ed a fare in modo che fosse accettato tra i Cavalieri. In
tutti quegli anni si era sempre comportato con onestà,
lealtà e coraggio, difendendo l’onore
dell’Ordine con tutto se stesso, provando un giorno dopo
l’alto il proprio valore. Cosa che non poteva dire di molti
purosangue. Si fidava di quel giovane uomo che non l’aveva
mai tradito… almeno fino a quel momento.
Si fermarono un istante nel corridoio in ascolto, ma nessun rumore
sospetto filtrava dalla pesante porta di legno della cella. Con un
cenno della testa il Gran Maestro ordinò al Cavaliere di
aprirla. Il battente ruotò sui cardini docilmente, senza
produrre alcun rumore, svelando, sotto la pallida luce delle lucerne,
la più imprevista delle scene. Hans e Peter erano
distesi entrambi sullo stesso pagliericcio, nudi e coperti solo dal
bacino in giù dal ruvido lenzuolo di lana, uno fra le
braccio dell’altro. Peter era sdraiato supino e stringeva
spasmodicamente l’amante contro di sé
abbracciandolo per le spalle, aveva la testa gettata
all’indietro appena piegata di lato, la bocca aperta ad
inseguire il respiro spezzato dai gemiti e gli occhi spalancati sul
nulla. Hans era sdraiato su di lui, le sue braccia muscolose che gli
abbracciavano la schiena, la sua testa era premuta contro il collo
delicato del suo apprendista mentre gli tormentava la pelle con baci e
morsi, il suo bacino si trovava tra le gambe aperte del ragazzo ed il
suo movimento sotto la coperta era inequivocabile.
Un ghigno vittorioso schiuse le labbra di Gustav Lammer. Il Gran
Maestro impiegò qualche istante per capire quello che stava
guardando.
- Arrestateli!- urlò all’improvviso quando si fu
ripreso.
La rabbia gli aveva arrossato pesantemente il volto e tremava
vistosamente, era possibile vedere il ritmico pulsare di alcune vene
sulla sua fronte e sul suo collo.
Hans e Peter sussultarono spaventati a quel grido rabbioso e si volsero
contemporaneamente e di scatto verso l’uscio. Un colorito
terreo si diffuse sui loro volti quando compresero di essere stati
scoperti, stringendosi incosciente l’uno all’altro,
come per proteggersi a vicenda.
I Cavalieri di scorta del Gran Maestro scattarono all’interno
della cella ed afferrarono i due rei per le spalle e le braccia,
allontanandoli l’uno dall’altro e scaraventandoli
sul pavimento, dove furono bloccati.
Peter si contorceva nel disperato tentativo di liberarsi e raggiungere
il suo maestro, urlano ed invocando il suo nome tra lacrime di dolore e
frustrazione. Hans, bloccato prono contro la gelida roccia da un piede
del Cavaliere che lo aveva catturato, urlò
anch’egli il nome del suo apprendista, sporgendosi
più che potesse ed allungando una mano verso di lui, in un
inutile e vano tentativo di aiutarlo. Le dita delle loro mani erano a
pochi centimetri le une dalle altre, in un paio di tentativi erano
anche riuscite a sfiorarsi. Il dito medio di Hans era riuscito ad
ancorarsi a quello del suo compagno quando un potente calcio del Gran
Maestro schiacciò le loro mani sul pavimento fratturandole.
- Conduceteli nei sotterranei!- la voce gelida, trasudante
d’ira repressa, del Gran Maestro sferzò
l’aria soverchiando le loro urla.
Hans e Peter si sentirono afferrare da grosse e salde mani, e
sollevare. Il Cavaliere approfittò di quel momento per
colpire con una gomitata il volto del suo aguzzino che, per il dolore
improvviso, allontanò le mani da lui portandole al punto
leso, liberandolo. Più veloce che poté Hans
cercò di scagliarsi anche sul Cavaliere che teneva
prigioniero Peter, ma qualcosa lo colpì violentemente alla
nuca. L’ultima cosa che vide prima che i suoi sensi si
oscurassero fu il volto arrossato dalle lacrime ed impaurito del suo
angelo, che cercava di sottrarsi alla presa su di sé, mentre
tendeva una mano verso di lui e lo chiamava.