Capitolo 11: Sul ciglio del baratro

La frusta fendeva l’aria con un sibilo sinistro prima di colpire la pelle martoriata della sua schiena. Assaporava con crudele lucidità ogni attimo, poteva addirittura anticiparne i movimenti. Sapeva quando e come il Mastro Carnefice sollevava il braccio facendo schioccare la frusta sul pavimento prima di lanciarla in aria, poteva immaginare l’andamento sinuoso che assumeva in quel momento di stasi a mezz’aria che sembrava prolungarsi all’infinito, prima di ritornare indietro e sferzale la sua pelle. Ad ogni scontro sentiva l’epidermide spaccarsi ed un bruciore infernale spandersi per tutto il suo corpo mentre sangue denso e caldo scivolava lungo la sua schiena.
- … 32… 33… 34…- contava intanto la voce eccitata del carnefice accanto a lui.
Peter si morse il labbro impedendosi di urlare e serrò gli occhi contro le lacrime che gli stavano inondando gli occhi. Non avrebbe dato loro anche quella soddisfazione. Non gli avrebbe dimostrato che era un debole, avrebbe affrontato tutto a testa alta.
Sollevò la testa verso il lucernaio che si apriva come una ferita nella parte superiore della parete di roccia. Non riusciva a scorgere il cielo da quella posizione, poteva solo scorgere la luce biancastra di un debole chiarore.
Da quanto tempo era li? Erano passate poche ore oppure settimane intere?
Da quando lo avevano rinchiuso in quella cella umida e buia, scavata nelle viscere del castello, aveva perso completamente la cognizione del tempo. Gli sembrava quasi di essere già stato sprofondato all’Inferno, accompagnato da una parvenza corporale che rendeva più reale ed immediato il dolore che avrebbe dovuto affrontare per il resto dell’eternità. A volte la sua mente vacillava e dolci illusioni si innalzavano dal fondo della sua mente illudendolo per qualche istante, scomparendo al successivo colpo di frustra ed allora pregava Dio che quello fosse solo un terribile incubo dal quale si sarebbe presto risvegliato ed allora avrebbe incrociato lo sguardo gentile e rassicurante del suo compagno ed ogni dolore sarebbe scomparso, ogni cosa sarebbe andata al posto giusto. Perché non era quello il loro destino: loro avrebbero dovuto andare via di li e ricominciare daccapo da qualche altra parte. Glielo aveva promesso ed Hans manteneva sempre le sue promesse.
Le speranze di Peter venivano sistematicamente disattese ed ogni volta che risollevava tremante le palpebre si ritrovava inginocchiato su quel pavimento di pietra viscida del suo stesso sangue e gelida con indosso solo delle vecchie braghe nere e lacere, sostenuto solo da spesse catene fissate al muro alle sue spalle che, almeno, gli impedivano di crollare in avanti; aveva i polsi feriti dai ceppi e rivoli di sangue gli scorrevano lungo le braccia sottili, intorpidite ed illividite dalla posizione e dalla perdita di sangue. Il suo volto era gonfio e tumefatto, non riusciva ad aprire l’occhio sinistro tanto era grossa e pesante la palpebra ed aveva le labbra spaccate.
Era stato torturato per ore per costringerlo a confessare il suo peccato. Lo avevano percosso su tutto il corpo ed insultato pesantemente godendo dei suoi gemiti di dolore, gli avevano strappato le unghie, tranciato alcune dita con tenaglie e bruciato interi pezzi di pelle con ferri arroventati. Quando avevano compreso che a dispetto di qualsiasi sevizia e minaccia non avrebbe mai parlato, lo aveva trascinato in quella cella e lo avevano gettato malamente sul pavimento per poi incatenarlo. Il Gran Maestro in persona aveva dato ordine che lo frustassero fino a che non avrebbe confessato tutte le loro colpe.
Aveva urlato con tutta la voce che aveva in corpo, fino a sentire la gola in fiamme ed a non riuscire più ad articolare alcun suono, ma non aveva detto una sola parola contro Hans e quello che li legava. Contro quel sentimento che loro vedevano come una colpa mostruosa e che per lui invece era solo il perfezionamento della sua vita, il fine ultimo della sua esistenza. Quell’amore lo abbelliva e rafforzava, era come una luce che lo traeva dalle tenebre e riscaldava la sua anima ghiacciata. Non vedeva nulla di male nell’amare un uomo come Hans, giusto, leale e coraggioso più di chiunque altro membro di quell’Ordine.
Hans…
… il suo maestro…
L’uomo che amava!
Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo con sé in quel momento, per poter trovare la forza necessaria a resistere nella sua figura salda e forte, nel suo sguardo severo sotto al quale ribolliva una gentilezza insospettabile.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere dove fosse e se stava bene in quel momento.
La frusta calò nuovamente su di lui, strappandogli altri brandelli di carne, gelandogli il respiro in gola ed i pensieri nella testa, facendolo gemere ed inarcare di dolore.
Probabilmente era nella sua stessa condizione. Forse anche lui era stato imprigionato in una delle tante celle che occupavano le viscere del castello, magari in una pochi passi dalla sua, ed era stato incatenato al muro sotto la sferza sadica di una frusta. Forse era già stato giustiziato.
E quel pensiero gli gelò il sangue nelle vene per il dolore. Non riusciva nemmeno ad immaginare un mondo in cui quell’uomo taciturno non esisteva. Ma sarebbe davvero esistito un mondo senza Hans?
E lui? Lui sarebbe esistito senza quell’uomo che lo aveva fatto sentire vivo, pulito ed amato per la prima volta nella sua vita?
Si morse il labbro per scacciare quella sensazione d’angoscia dal suo cuore, facendo appello a tutto il proprio coraggio per non crollare. Non potevano già averlo giustiziato, la loro morte doveva essere un esempio per tutti gli altri confratelli a non cadere nel peccato, a combattere l’azione del maligno. La morte di entrambi doveva essere pubblica e spettacolare, le forze del bene che vincevano su quelle del male.
Perso nei propri pensieri non si era reso conto che il suo carnefice aveva smesso di frustarlo. Ritornò presente a se stesso solo quando, attraverso i ciuffi biondi dei suoi capelli che gli velavano scompostamente il volto, vide un paio di stivali di renna puliti e lucidi comparire nel suo campo visivo.
- Lasciaci soli!- ordinò al carnefice la voce sicura ed autoritaria di Gustav Lammer.
Una vampata d’odio attraversò il corpo piagato di Peter. Cos’era venuto a fare fin li? Voleva godersi il risultato dei suoi intrighi? Mai avrebbe potuto dimenticare l’espressione vittoriosa che aveva illuminato il suo volto quando erano sati colti in flagrante da lui e dal Gran Maestro.
Era colpa sua tutto quello che era accaduto a lui ed Hans, ognuna delle ingiurie che li avevano colpiti, ognuna delle ferite che solcavano le loro pelli portava inciso il suo nome. Se lui non li avesse denunciati sperando di ottenere chissà cosa, in quel momento sarebbe potuto essere accanto al suo maestro, non incatenato in una sudicia cella e coperto di lividi e sangue.
Il Cavaliere attese che il torturatore fosse uscito dalla prigione prima di parlare.
- Non volevo che andasse a finire così, credimi, l’ultima cosa che avrei voluto è la tua sofferenza, ma è stato inevitabile. – esordì con un tono pacato e così sincero che quasi gli credette – Però siamo ancora in tempo per rimediare!- .
- Che cosa vuoi da me?- chiese a fatica il ragazzo, la voce trasudante di collera, prima di scoppiare a tossire furiosamente.
Faticava a parlare, aveva la gola secca per le urla e la sete, ed ogni parola sembrava grattarla stuzzicandone sadicamente la pelle arrossata.
- Tutto! Voglio tutto di te!- rispose Gustav con estrema semplicità.
Peter sollevò la testa, quel tanto che glielo permettessero i suoi muscoli doloranti, per fissarlo stupefatto. Il Cavaliere sorrise davanti il suo stupore: nonostante tutto non aveva rinunciato a lui e se avesse giocato bene le proprie carte, avrebbe potuto avere quella bellezza per sé, solo per sé.
- Pensaci bene: cosa può offrirti quel bastardo ora? Solo dolore e morte, un’atroce ed umiliante fine. Nient’altro. Ma se tu scegliessi me io potrei far decadere tutte le accuse contro di te, ti porterei via di qui e ti nasconderei nel mio castello. Li nessuno verrebbe a cercarti. Ti darò tutto quello che desideri: pellicce, gioielli, buon vino e cibo. Non ti farò mai mancare nulla e sarai trattato con il rispetto dovuto al tuo titolo ed al nome che porti. In cambio voglio solo che tu divida il tuo letto con me. Non ti chiedo molto, non ti sembra?- .
Aveva parlato con un tono di voce basso e calmo, le labbra piegate in un sorriso sicuro che avrebbe voluto essere sensuale. Tutti gli esseri umani avevano un prezzo, bastava soltanto scoprire quale fosse e li si aveva in pugno. Peter era ancora un ragazzo che non aveva mai conosciuto veramente la vita, e per questo era ingenuo, sarebbe stato fin troppo facile ingannarlo con promesse e parole che non lo avrebbero impegnato più di tanto. Soltanto finché avrebbe saputo tenere acceso il suo interesse verso il suo corpo. Infondo gli sarebbe bastato possedere quel corpo una sola volta, poi avrebbe potuto gettarlo via: ormai era null’altro che un giocattolo usato che aveva perso quel dolce candore che lo rendeva così attraente. Era un vero peccato che si fosse lasciato insudiciare da quel mezzosangue, avrebbero potuto divertirsi più a lungo insieme.
- Tu meriti di adornare solo l’uomo più potente di queste terre!- .
Ma cosa stava dicendo? Peter non riusciva a dare un senso a quelle parole. Gli stava davvero chiedendo di vendersi a lui come una prostituta? Cercò di intercettare il suo sguardo e vi lesse tutto quello che voleva da lui. Non gli interessava niente di lui, solo di rivoltarlo come un calzino fino a che non gli fosse venuto a noia. Un sorriso amaro schiuse le labbra del ragazzo. Non era il primo che lo guardava in quel modo, come se fosse null’altro che un corpo con cui divertirsi. Per tutta la sua giovane vita era stato oggetto di simili sguardi, come se lo scopo per cui era venuto al mondo era soddisfare le oscure voglie di quanti lo circondavano. Parlava di lui come se fosse null’altro che un oggetto da possedere e gettare via. Poteva già sentire sulla pelle le mani di Gustav Lammer che lo sfioravano, lo cercavano, invadenti, fastidiose.
- Tutto quello che voglio?- chiese dopo un lungo silenzio.
Per un istante il Cavaliere lo fissò sorpreso: era stato fin troppo semplice. Un ghigno rapace gli schiuse le labbra. Alla fin fine i sentimenti non contavano a nulla neanche per uno come Peter, l’unica cosa che aveva davvero importanza era salvaguardare la propria vita, a qualsiasi costo! Il moccioso aveva abbandonato il suo maestro al proprio destino appena ne aveva avuto la possibilità.
- Tutto!- promise solennemente.
- Allora ridammi Hans!- sbottò in un soffio rauco e rabbioso.
- Cosa?!- Gustav non si sarebbe mai aspettato una risposta simile.
- Ridammi Hans! Ridammi l’uomo che amo! Ridammelo!- ripeté fissandolo con sfida ed odio, prima che la testa gli ricadesse in avanti, provato dal dolore e dallo sforzo.
Un’ondata d’odio sommerse il Cavaliere a quelle parole. Non poteva essere surclassato ancora una volta da quel mezzosangue! Non poteva! Con uno scatto intrappolò in una mano il mento del ragazzo e lo costrinse a sollevare il volto verso il suo. Per un istante rimase immobile ad osservarlo, soggiogato dal tormento di quei bellissimi occhi cobalto. Neanche tutti quei lividi e quel sangue erano riusciti ad oscurare la sua bellezza!
- Finora sono stato gentile con te moccioso. Il tuo caro maestro è spacciato ormai, ma tu puoi ancora cavartela. Ti ho offerto una via di fuga dignitosa ed una vita che altrimenti non avrai mai. Né il tuo titolo né il tuo nome vale più qualcosa a questo punto, non hai niente oltre a questo corpo. Accetta se non vuoi essere condannato a morte. Non ci sarà una seconda opportunità per te!- .
Peter lo guardò come se fosse un pazzo prima di sputargli in volto. Niente di quello che aveva detto possedeva un senso per lui. Preferiva di gran lunga condividere il destino di Hans, morire al suo fianco, piuttosto che lasciarsi toccare da quell’uomo. Perché lui gli apparteneva, semplicemente. Non esisteva altro destino per lui, per loro, se non affrontare quello loro riservato, fianco a fianco, eternamente uniti.
Gustav si ripulì la guancia con un gesto stizzito. Come osava quel moccioso trattarlo in quel modo? Gli avrebbe fatto pagare cara quell’umiliazione. A lui. Ad entrambi.
Con il dorso della mano lo colpì al volto così brutalmente da fargli rimbalzare la testa all’indietro e far tintinnare violentemente le catene. Peter batté le palpebre più volte stordito, mentre il Cavaliere lo strattonava per i capelli costringendolo a tirare la testa indietro.
- Adesso ti insegno io il rispetto!- sibilò sulle sue labbra per poi baciarlo.
Peter gli morse le labbra, forte, non era lui la persona che desiderava, lui voleva solo Hans sulla sua pelle, nella sua anima e nel suo corpo, nessun altro! Gustav si allontanò dal ragazzo con il labbro sanguinante e un luccichio rabbioso nelle iridi acquamarina e lo colpì al volto con un altro manrovescio.
- Se non vuoi essere mio, allora non lo sarai nemmeno di quel mezzosangue!- ghignò con una luce malata ad illuminargli il volto.
Non avrebbe mai permesso che quell’essere inferiore avesse qualcosa che lui non avrebbe mai potuto ottenere.
All’improvviso scattò indietro, addossandosi alla parete umida della cella, fissando Peter come se fosse terrorizzato da chissà cosa.
- Guardia! Guardia!- urlò fuori di sé.
Non fece in tempo a chiamarlo una terza volta che la porta metallica si aprì e l’uomo piccolo e sudicio che, fino a poco prima, lo stava frustando, entrò lanciando a Peter un’occhiata malevola.
- Cosa succede mio signore?- chiese con deferenza al Cavaliere.
Gustav deglutì a vuoto prima di portare lo sguardo sul carnefice.
- Ha cercato di sedurmi! – rispose con un tono fintamente allarmato – Ha cercato di sedurmi per convincermi a liberarlo! È pericoloso! La sua malia sconvolge la mente di chiunque posi lo sguardo su di lui, stai attento mastro Scholl!- .
Il carnefice emise un verso sprezzante.
- Quel piccolo demonio non ha alcuna influenza su di me. Lasciatelo nelle mie mani padron Gustav, lo farò pentire io dei suoi turpi atti!- lo rassicurò prima di scivolare alle spalle del ragazzo.
Prima di uscire dalla cella Gustav rivolse a Peter un ghigno soddisfatto. Il rumore metallico della porta che veniva chiusa coprì il sibilo della frusta che stava fendendo l’aria prima di sferzare la sua pelle. Un gemito di sorpresa e dolore scoppiò sulle sua labbra mentre inarcava la schiena in avanti come per fuggire a quel bruciore. Le catene tintinnavano accompagnando la sua agonia.
Peter chinò la testa in avanti, ansimando pesantemente e le iridi cobalto che fissavano il vuoto.
- Hans!- invocò disperato prima di mordersi ancora una volta le labbra.
Una lacrima scivolò silenziosa sulla sua guancia creando una striscia scura ed umida sullo strato di polvere e sangue rappreso che la ricopriva.