Se un
uomo ha relazioni con un altro uomo,
fa una cosa disgustosa e tutti e due devono
essere messi a morte. Essi sono responsabili
della loro morte.
(Levitico, 20,13)
La
luna brillava nel cielo come un’enorme perla, irraggiando ovunque la
sua luce argentea, facendo scintillare la neve come polvere di diamanti
e scivolare le ombra negli angoli più bui e remoti della boscaglia. La
foresta era un immenso mare di pini e abeti che si stagliavano
silenziosi e antichi contro lo sfondo nero del cielo notturno, appena
illuminati dal riflesso della luna sul candore della neve.
La sagoma del castello Malbork si ergeva in tutta la propria austerità,
animata a tratti dalla luce ambrata dei fuochi accesi nel cortile. I
Fratelli Servitori si affaccendavano attorno al palco di legno che
aveva approntato quel giorno per sistemare le ultime fascine secche.
Tutti gli abitanti del castello, dal Gran Maestro agli stallieri, erano
in fermento. Subito dopo aver celebrato i mattutini era stato un
continuo di ordini e uomini che correvano freneticamente per eseguirli.
Appena sorto il sole il Gran Maestro, accompagnato dal Vescovo, aveva
dato ordine che venisse costruito rapidamente un palco su cui i due
condannati sarebbero stati arsi vivi. E tutti erano scattati ai loro
posti, iniziando a lavorare di buona lena, senza mai protestare o
riposarsi.
E ora il Vescovo, in piedi davanti al palco, osservava soddisfatto i
due pali ai quali Hans e Peter sarebbero stati legati di lì a poco. Un
ghigno malevolo gli schiuse le labbra al solo pensiero.
Mancava poco all’inizio dell’esecuzione, presto avrebbe potuto lavare
via l’onta subita tanti anni prima. Non era il trionfo della giustizia
divina a interessargli in quel momento, l’unica cosa di cui gli
importasse era vendicarsi di Isabelle Bauer. Ricordava ancora quella
donna che passeggiava per i corridoi del castello in cui lavorava
bellissima ed eterea, affascinando tutti coloro che poggiavano
incautamente lo sguardo su di lei.
Lui stesso, che si credeva al sicuro dagli attacchi del Maligno, era
rimasto prigioniero della sua rete. Nel momento stesso in cui l’aveva
vista per la prima volta accanto alla moglie del Conte, Isabelle gli
era entrata dentro, radicandosi nella sua anima e infettandola. Per
quanto avesse lottato contro se stesso, non era più riuscito a
togliersela dalla testa.
Isabelle Bauer era diventata la sua ossessione, riducendo in cenere
tutto quello in cui credeva e che aveva faticosamente costruito in
tutti quegli anni. E dopo vari tentennamenti si era fatto avanti
gettando il proprio cuore ancora pulsante ai suoi piedi, pronto a
rinunciare a tutto quello che possedeva, alla sua carica sacerdotale,
ignorando tutte le malelingue che circolavano su di lei. Ma Isabelle lo
aveva respinto, spiegandogli con voluta cattiveria che portava in
grembo il figlio del Conte e che mai avrebbe rinunciato ai privilegi
che ne sarebbero derivati se fosse stato un maschio.
Scoprendo che altre mani l’avevano già toccata, che tutto quello che si
raccontava su di lei era vero, che Isabelle Bauer era poco più di una
prostituta di strada pronta a soddisfare le voglie di qualsiasi uomo,
il suo cuore era andato letteralmente in pezzi, trasformando l’amore
feroce che nutriva per lei in odio spietato e implacabile. Si era fatto
da parte, mettendosi in paziente attesa del momento in cui avrebbe
potuto vendicarsi.
Isabelle era morta da alcuni anni ormai, ma c’era sempre quel figlio
bastardo per il quale lo aveva respinto. Per questo quando aveva saputo
che Hans Bauer era sotto processo per un reato capitale, aveva fatto
tutto quello che era in suo potere per farsi assegnare dalla Santa Sede
il caso. Quella era la sua opportunità di lavare via quella macchia che
lo insudiciava.
Lo sferragliare di catene strattonate e trascinate lo strappò dai suoi
pensieri, si volse e con un ghigno feroce a disegnargli le labbra
accolse i due condannati. In piedi sul bordo del cortile, malfermi
sulle gambe e vestiti solo dei loro abiti ormai sbrindellati e
macchiati di sangue e sudiciume, incapaci di proteggerli dal gelo di
quella notte, strettamente sorvegliati da due Cavalieri per impedire
ogni contatto tra loro, vide i due condannati a morte. Erano ormai
giunti al limite fisico e mentale, osservò il Vescovo compiaciuto.
Sentiva già tra le labbra il sapore dolce della vendetta e pregustava
il momento in cui avrebbe potuto berne ad ampie sorsate dal suo calice.
Riportò lo sguardo sul palco e il sorriso sulle sue labbra si ampliò
quando vide che era tutto pronto per l’esecuzione. Sollevò lo sguardo
verso il cielo di un nero vellutato e spruzzato di polvere di diamanti
e vide che anche la luna era al culmine della sua corsa. Mancava solo
il Gran Maestro e poi avrebbero potuto procedere.
Il Vescovo si avvolse maggiormente nella pelliccia e si avvicinò ai due
condannati con l’espressione di un predatore che ha intrappolato la sua
preda. Le guardie scattarono immediatamente sull’attenti, facendo
tintinnare pericolosamente le catene, mentre i due detenuti non si
mossero dalla loro posizione.
- E così siamo giunti al dunque, herr Bauer!- esordì con un tono
flautato, fin troppo casuale.
- Così pare!- rispose calmo Hans, osservando il vescovo come si fissa
un oggetto inutile.
E sotto quello sguardo di superiore disprezzo che sembrava perforargli
l’anima, il prelato digrignò i denti. Era a un passo dalla morte e
invece di gridare spaventato e implorare il perdono di Dio, quell’uomo
restava fermo nelle sue convinzioni, senza provare alcun pentimento, ma
anzi sfidando a viso aperto la morte. E lui aveva quell’atteggiamento
solo nei condannati a morte che credevano fermamente nei propri ideali.
Hans si era aggrappato a quel folle amore che provava per Peter e in
esso trovava la forza per accettare e affrontare il proprio destino. E
il ragazzo doveva provare la stessa cosa.
Il Presule provò una certa invidia davanti quei due uomini che
provavano per l’altro un sentimento così forte da essere diventato la
ragione stessa della loro vita. Poteva vedere quell’amore che li univa
trasparire da ogni gesto, da ogni parola e da ogni sguardo. Ricordava
benissimo il brivido che gli era sciabordato lungo la schiena quando,
alla fine del processo, Hans aveva baciato Peter: era stato un fremito
di desiderio così profondo da averlo squassato fin dentro le viscere.
Lui non aveva mai assaporato niente di simile. Credeva di aver trovato
l’amore negli occhi scuri di Isabelle Bauer, invece era stato
null’altro che il suo pallido riflesso. E l’aver scorto negli sguardi,
nei gesti e nelle parole dei due condannati il sentimento crudo e
profondo, quasi violento, che li legava, gli aveva acceso dentro una
gelosia devastante che aveva trasformato il disprezzo che provava per
loro in odio e crudeltà senza limiti.
Se lui non aveva potuto assaporare l’amore, allora nessun altro avrebbe
potuto farlo: avrebbe distrutto ciò che legava quei due, li avrebbe
colpiti dove avrebbe fatto più male, nei sentimenti, e avrebbe fatto in
modo che di esso non restasse niente.
Un malevolo ghigno di trionfo schiuse le labbra del Vescovo quando vide
il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico entrare nel cortile seguito dai
Cavalieri e apprendisti. I Fratelli Servitori incuriositi erano
affacciati alle finestre delle varie stanze in cui avrebbero dovuto
lavorare, ansiosi di assistere all’esecuzione.
Il Prelato e il Gran Maestro si scambiarono un cenno d’intesa, poi
quest’ultimo salì sul palco e fece scorrere il suo sguardo gelido su
tutti gli astanti, soffermandosi un istante in più sui due condannati.
- Fratelli siamo qui riuniti questa notte pieni di vergogna verso Dio e
per chiedere umilmente il Suo perdono. Il Maligno ha operato contro di
noi per indebolirci e impedirci di portare a compimento la missione
salvifica che ci è stata affidata. Si è infiltrato tra le nostre fila e
ha indotto due di noi a violare la Legge di Nostro Signore. A volte
dimentichiamo che siamo solo deboli uomini sempre assediati dalle
tentazioni del male e questa nostra arroganza ci rende più vulnerabili.
Alcuni di noi sono abbastanza forti da resistere, ma altri cedono e
trascinano tutti noi nel peccato insieme a loro. E per purificare le
loro anime dalla colpa commessa, bruceranno le loro anime nel fuoco,
come bruciarono le città dannate di Sodoma e Gomorra. Preghiamo Dio
affinché sia misericordioso con i nostri confratelli.- e congiunse le
mani davanti al volto, in un gesto di preghiera.
Hans sputò a terra disgustato. Era entrato nell’Ordine Teutonico da
abbastanza tempo da sapere che non c’era nessuno lì che non avesse
sperimentato tutti i peccati vietati dalla Bibbia e anche quelli che
nemmeno Dio era riuscito a immaginare. Giocavano a fare i sant’uomini,
ma avevano l’anima così lorda che Satana li avrebbe accolti tra i suoi
luogotenenti senza battere ciglio. Eppure solo lui e Peter erano
incatenati e pronti per essere bruciati per purificare le loro anime. E
non c’era niente d’immondo nel loro amore, sarebbe stato pronto a
gridarlo ai quattro venti se solo sarebbe servito a far liberare almeno
Peter.
Spostò il suo sguardo acceso di furia repressa su Gustav Lammer che, a
testa bassa e con gli occhi chiusi, fingeva di pregare per loro. Era
stata colpa sua. Se loro erano arrivati a quel punto la colpa era solo
di quel ridico omuncolo pieno di sé e totalmente incapace di misurare
le proprie capacità. Lo dimostrava il fatto che, invece di sfidarlo a
viso aperto, aveva preferito tessere i suoi intrighi nell’ombra,
aspettando solo l’occasione buona per inastarli, strisciando alle loro
spalle come il verme che era.
Se solo fosse stato libero di agire come preferiva, Lammer avrebbe
pregato per avere una morte breve e indolore! E invece doveva restare
fermo al suo posto, conscio che al primo movimento le guardie lo
avrebbero duramente colpito: era già riuscito a eludere la loro stretta
sorveglianza due volte e non si sarebbero fatte sorprendere una terza.
Gustav Lammer dovette percepire gli occhi di Hans su di sé perché si
volse nella sua direzione e quando incrociò il suo sguardo rabbioso,
un’irritante sorrisetto di divertita cattiveria gli tese le labbra. In
quel momento il Cavaliere decaduto avrebbe dato qualunque cosa per
avere una spada a disposizione e le mani libere per usarla!
Distratto dai suoi pensieri non si accorse che il Vescovo si era
avvicinato al Gran Maestro per scambiare con lui poche parole dette a
voce bassissima, né della sua espressione profondamente compiaciuta
quando l’altro annuì.
- Portate sul palco Peter Sholberg! – ordinò secco il Gran Maestro –
Egli è il mezzo con cui il Maligno ha tentato l’anima di Hans Bauer e
di molti altri Cavalieri, e per questo sarà bruciato per primo, per
purificare la sua anima corrotta dal peccato e anche tutti noi che
siamo stati contaminati! In questo modo placheremo le ire di Nostro
Signore.- .
Hans si volse lentamente, raggelato dal significato di quelle parole.
Come se stesse osservando la scena dall’esterno, vide le guardie
spingere con malagrazia Peter verso il palco. Aprì la bocca come per
protestare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Inebetito guardava
il ragazzo venire trascinato a forza sopra il palco, dimenarsi
furiosamente e inutilmente, come se ciò a cui stava assistendo fosse
solo la scena di un terribile incubo che sarebbe evaporato alle prime
luci dell’alba. Solo quando legarono Peter al palo di legno e
posizionarono le fascine secche tutt’intorno a lui, Hans si rese conto
che era tutto reale, che avrebbe dovuto assistere alla morte della
persona che amava senza poter far niente.
- No! – esclamò quando il Gran Maestro diede ordine di accendere il
fuoco – No! No! No! Lasciatelo! Fermatevi per pietà di Dio!- urlò
disperato slanciandosi in avanti in un ultimo disperato tentativo di
raggiungere Peter.
Ma i suoi carcerieri lo afferrarono per le braccia e le spalle,
cercando di tenerlo fermo. Hans era grande e grosso, incredibilmente
forte, ci vollero quattro Cavalieri per riuscire a bloccarlo mentre si
dibatteva nel tentativo di liberarsi e correre dal suo innamorato. Un
paio di volte riuscì a sgusciare via dalla loro presa, ma fu subito
riagguantato e riportato al suo posto.
Gli occhi scuri del Cavaliere decaduto osservano increduli e angosciati
le fiamme che si innalzavano sempre più alte dalla legna accatastata,
che coloravano di pennellate ambrate la pelle lattea di Peter. Il volto
del ragazzo che scorgeva tra le lingue di fuoco era deformato dalla
paura e dal dolore, ugualmente colme di terrore e sofferenza erano le
urla che emetteva, che fluivano dentro Hans come lame affilate che
incidevano lentamente la sua anima.
Il Cavaliere Decaduto si divincolava tra le mani dei suoi carcerieri
come un cane rabbioso, straziato dal tormento del suo compagno, urlando
a sua volta fino a sentire la gola in fiamme, sperando che la sua voce
superasse il rombo delle fiamme che ormai avevano completamente avvolto
il ragazzo, per fargli sentire che era lì con lui, che non lo aveva
abbandonato al suo destino.
Peter emise un ultimo grido di crudo dolore, poi un pesante, irreale
silenzio scese nel cortile del castello. Gli astanti osservavano
turbati le fiamme che continuavano a divorare la carne e il legno.
Persino Gustav Lammer distolse lo sguardo, incapace di continuare a
guardare la scena.
Hans rimase immobile mentre un sordo dolore gli riempiva il corpo,
torcendogli le viscere, accartocciandogli il cuore. Ma nessuna
sofferenza fisica poteva essere paragonata con quella che gli aveva
procurato l’uccisione di Peter. Non poteva essere già tutto finito, non
poteva essere già morto, ruggì una voce disperata dentro la sua testa
mentre osservava il fuoco, che aveva ormai consumato tutto, iniziare a
ritirarsi. E un conato di vomito gli risalì in gola acido, piegandolo a
metà.
Hans cadde poi a terra, inginocchio, con la testa piegata in avanti,
senza più un briciolo di forza in corpo, come una marionetta a cui
avevano tagliato improvvisamente i fili, abbandonato completamente al
dolore che pulsava spietato dentro di lui, e, almeno quella volta, le
guardie ebbero la decenza di lasciarlo fare. Immagini di Peter e
piccoli frammenti del breve periodo che avevano trascorso insieme,
riemersero dai suoi ricordi come gemme luccicanti all’interno di un
forziere impolverato.
A essi si aggrappò Hans per recuperare un minimo di forza e della sua
presenza di spirito quando le sue guardie lo tirarono su per condurlo
al patibolo. Le gambe parevano pesanti come blocchi di pietra mentre
saliva i pochi gradini, tanto che le guardie dovettero spintonarlo
rudemente per costringerlo a muoversi. Non voleva salire sul palco, non
voleva vedere quei poveri resti carbonizzati che fino a poco prima
erano stati il corpo bellissimo della persona di cui si era innamorato.
Si fermò sull’ultimo scalino, ignorando le minacce e i colpi delle
guardie, e chiuse gli occhi. Nel buio della sua mente si delineò la
figura impalpabile di Peter con i capelli dorati mossi dal vento della
sera, gli occhi animati dalle mille scintille della luce morente del
tramonto e le labbra piene e morbide schiuse in un sorriso dolce come
miele. Una calma irreale si sciolse dentro di lui al suo solo pensiero
e le labbra si piegarono in modo irresistibile in un piccolo sorriso,
come per rispondere a quello che Peter gli stava rivolgendo nei suoi
ricordi.
Era così che voleva ricordarlo. Era quella l’unica immagine che avrebbe
voluto a riempirgli la mente mentre la Nera Signora reclamava la sua
vita.
E poi saremo di nuovo insieme, si disse serio.
Perché ora era più che mai convinto che Dio avrebbe perdonato il loro
peccato, proprio come Peter gli aveva detto solo poche sere prima, e
avrebbe permesso loro di stare insieme per tutta l’eternità. E davanti
il conforto di quel pensiero parve ritrovare una parte di quel se
stesso finito in cenere insieme al suo compagno.
Riaprì gli occhi e raddrizzò la schiena, ergendosi in tutta la sua
altezza, sovrastando con la sua imponenza le guardie. I muscoli del
collo e delle braccia si contrassero e gonfiarono, con le vene in
rilievo che strisciavano sottopelle come lombrichi, come se stessero
lottando per trattenere una forza pronta a esplodere. Il suo sguardo
scuro ridivenne gelido e fiero, la piega della sua bocca dura come
marmo.
Non avrebbe dato a quel branco di ipocriti l’opportunità di umiliarlo
anche in quel modo, mostrandosi sconfitto ai loro occhi. Avrebbe
dimostrato loro che nemmeno così erano riusciti a piegarlo, né
tantomeno a spezzarlo. Lui era vissuto con orgoglio e coraggio, e
sarebbe morto con orgoglio e coraggio, sempre coerente con se stesso.
Hans con un brusco strattone si liberò dalla stretta delle guardie e
determinato salì l’ultimo gradino, ritrovandosi sul palco con gli occhi
e il cuore pieni dello straziante spettacolo dei resti di Peter.
Lentamente si avvicinò, fermandosi davanti il palo di legno a cui era
legato un piccolo scheletro annerito, ripiegato su se stesso in modo
sbilenco, che lo fissava con le orbite vuote e un macabro sorriso.
Vacillò ancora una volta non riuscendo a far coincidere quei poveri
resti con l’immagine splendente di Peter che conservava gelosamente tra
i suoi ricordi. Quello era davvero il corpo bellissimo che aveva
desiderato, stretto a sé e amato fino a perdere la ragione?
Distolse lo sguardo non riuscendo a sostenerne la vista. Per la prima
volta ringraziò i suoi carnefici, perché giustiziandolo subito non lo
avrebbero costretto a vivere con il ricordo della morte di Peter nei
suoi occhi.
- Muoviti!- una guardia lo spinse piantandogli una mano al centro della
schiena.
- Un po’ di gentilezza Nicholas, non lo vedi che sta riconciliandosi
con il suo amante? – sogghignò l’altra guardia in tono malizioso –
Peccato che sia finita così, quel moccioso era davvero un gran bel
bocconcino.- e scoppiò a ridere in modo sguaiato.
- Già! – si intromise Nicholas – Ammetto che anch’io ho fatto su un
paio di pensierini su di lui.- e concluse con un gesto allusivo.
Quel discorso così volgare colpì Hans come uno schiaffo in pieno volto
e il sangue iniziò a vorticargli furioso nelle vene. Come si
permettevano di parlare in quel modo di Peter, davanti al suo cadavere,
senza il benché minimo rispetto e senza curarsi di lui? Credevano forse
che essendo legato non costituiva una minaccia?
Con uno scatto così rapido che non riuscirono a scorgerlo, girò su se
stesso e diede una spallata alla guardia subito dietro di lui
mandandola lunga distesa sul legno del ripiano. L’altra pur sorpresa
cercò di reagire, ma, prima ancora che riuscisse a sfoderare la spada,
Hans caricò e lo colpì allo stomaco con una testata, facendola cadere
dal palco. Si volse e iniziò a prendere a calci allo stomaco il
Cavaliere che era ancora steso ai suoi piedi, animato da una furia
selvaggia alimentata dalla rabbia e dalla sete di rivalsa.
Lui era una perfetta arma da combattimento, forgiata nel fuoco e nel
sangue della battaglia, e niente avrebbe potuto piegarlo e
annichilirlo, nemmeno quel branco di banditi travestiti da preti.
Vedeva tutto rosso e ogni rumore era inghiottito dal ruggito del sangue
delle orecchie, per questo non sentì il Gran Maestro che urlava ordini
agli altri cavalieri perché lo fermassero.
Hans avvertì soltanto un dolore lancinante al centro della schiena che
gli mozzò il respiro in gola e gli fece calare un panno nero davanti
agli occhi, poi qualcosa che lo colpiva alle gambe e allo stomaco, e un
colpo forte alla nuca che fece defluire via la sua coscienza. Per
qualche istante si sentì fluttuare in un morbido nulla e quasi credette
di essere finalmente morto, certo che presto si sarebbe ritrovato
insieme a Peter. Ma una sensazione improvvisa e gelida al viso lo
riscosse dal torpore in cui era precipitato, riportandolo alla realtà.
Sbatté più volte le palpebre intontito, come se si fosse appena
svegliato da un sonno profondo, e la prima cosa che vide fu un
Cavaliere in piedi davanti a lui con un secchio svuotato e gocciolante
d’acqua in mano. Si guardò intorno cercando di capire dove fosse.
Era sul patibolo, legato al palo del rogo mentre un paio di Cavalieri
affastellavano le fascine secche attorno alle sue gambe, ai piedi del
palco erano riuniti tutti gli altri membri dell’Ordine, in impaziente
attesa di vederlo bruciare vivo. Fece scorrere lo sguardo su di loro e
un ghigno compiuto gli schiuse le labbra quando scorse l’espressione
furiose dal Gran Maestro: anche a un passo dalla morte era riuscito a
creargli problemi.
La pelle della gola e del viso dell’uomo si colorò di un forte rossore
davanti quell’ultimo gesto indisponente di Hans. Come poteva avere
ancora lo spirito di farsi beffe di tutti loro? Indignato, il Gran
Maestro ordinò che venisse appiccato il fuoco con un cenno del capo:
doveva scrivere la parola fine a quella storia prima che il seme della
ribellione e del peccato attecchisse tra i Cavalieri.
Sul palco un Cavaliere prese una torcia accesa e avvicinò la fiamma
alle fascine, che presero subito fuoco. Han osservò le lingue di fuoco
levarsi e crepitare, bruciare il legno e i vestiti prima di iniziare a
lambirgli la pelle. Non aveva paura. Aveva guardato la morte in faccia
molte volte e aveva sempre provato un vago senso di inquietudine, ma
ora sentiva la calma colare dentro di lui come i granelli di sabbia
all’interno della clessidra. Si sentiva tranquillo perché sapeva che al
di là delle fiamme del rogo e del gelo della morte c’era Peter ad
attenderlo. Chiuse gli occhi e ripercorse i pochi momenti vissuti
insieme come compagni e amanti, rivide ogni gesto di Peter, riascoltò
le sue parole e si perse un'altra volta nel blu cobalto dei suoi occhi,
traboccante di tutto l’amore che provava per lui.
E improvvisamente si rese conto che non avvertiva il calore né il
dolore delle fiamme sulla sua pelle che stava bruciando. Era come un
incantesimo, che sembrava strappare l’anima dal suo corpo agonizzante e
trascinarla via, lontano da lì, in un nulla dorato e ovattato dove
nessun male poteva toccarlo. Si sentiva leggero, senza peso, gli
sembrava di galleggiare: possibile che fosse già morto? E Peter? Peter
dov’era?
Hans. Hans. HANS. Sovrastando il ruggito delle
fiamme che s’innalzavano sempre più alte attorno a lui, divorando la
carne, i nervi e la ragione del Cavaliere Decaduto, la voce dolce e
melodiosa di Peter gli carezzò l’udito. Quel moccioso era morto da
quanto, pochi minuti, e già aveva le allucinazioni! Forse era impazzito
completamente, ma quella era la migliore illusione che Dio potesse
donargli in punto di morte.
Hans. Hans. Hans. Hans. La voce dell’apprendista
ritornò ancora più dolce di prima, un caldo sospiro soffiato
direttamente nelle sue orecchie. Possibile che quella creatura pura
fosse ancora lì con lui, in quell’inferno di fiamme e morte, invece di
schiudere le sue candide ali e librarsi verso il Cielo, da cui era
caduto? Lo immaginava già accolto fra le schiere angeliche, perché era
ancora lì?
Piano schiuse le palpebre, per dirgli di andare via, di ritornare in
Paradiso e di non preoccuparsi, perché lui sarebbe andato all’inferno
per entrambi. Invece davanti ai suoi occhi trovò soltanto lingue di
fuoco che danzavano eleganti contro il cielo nero della notte e
ferivano il suo sguardo con il loro rosseggiare. Le fissò senza capire,
sollevato e deluso insieme per non aver trovato Peter accanto a sé.
Hans. Hans. Udì di nuovo la sua voce dentro e
attorno a lui, si guardò intorno cercandolo, scrutando ovunque
riuscisse a spingersi il suo sguardo, senza riuscire a vederlo. Hans.
Hans. Hans. Le lingue di fuoco iniziarono a danzare più
freneticamente nell’aria fredda, intrecciandosi l’una con l’altra.
Forse era davvero impazzito, ma a tratti riusciva a scorgere fra di
esse una figura vagamente umana. Hans. Hans. Hans. Hans.
E finalmente lo vide, un angelo di fuoco, con le ali aperte in tutta la
loro ampiezza, che gli tendeva sorridente le braccia in una promessa di
unione eterna. Hans fissò Peter negli occhi, incredulo, nonostante lo
stesse vedendo con i suoi occhi. Possibile che fosse venuto a
prenderlo, per trascorrere insieme tutta l’eternità?
Hans. Il Cavaliere Decaduto chiuse di nuovo gli
occhi, lasciando che quella voce dolce lo riempisse fin dentro l’anima.
E si abbandonò completamente al suo abbraccio ardente, lasciò che
quelle immateriali dita di fuoco gli accarezzassero la pelle,
penetrando fin dentro il suo corpo. Si lasciò bruciare, nel corpo e
nell’anima, perché sapeva che solo in quel modo avrebbe potuto
ricongiungersi con Peter.
- Moccioso.- sussurrò sulle sue labbra, prima che le fiamme lo
avvolgessero completamente.
Fine