Alla
fine non ho resistito e ho deciso di scrivere un finale alternativo per
questa long. Forse sarà meno realistico e meno bello di quello
ufficiale, ma non sono mai riuscita a rassegnarmi all’idea che Hans e
Peter venissero giustiziati. Mi sono affezionata a loro due in maniera
viscerale e dovevo scrivere un finale in cui dar loro la possibilità di
essere felici. Mi sono resa conto di non aver adoperato un personaggio
in particolare, di averlo presentato nel primo capitolo e poi messo nel
dimenticatoio, quindi ho deciso di rispolverarlo e di utilizzarlo.
Purtroppo però la storia ha preso una piega che non mi aspettavo.
L’avevo pensata in un modo, ma mentre scrivevo il personaggio in
questione si è animato di vita propria e ha iniziato a esprimere
sentimenti che non mi sarei mai immaginata di fargli provare. E qui
sorge un altro problema: mi fa una tenerezza immensa e vorrei fare
qualcosa anche per lui… ma bando ai convenevoli e dedichiamoci a
questioni più pratiche: con questo finale alternativo torniamo indietro
di tre capitoli, fino al capitolo dieci che ho riscritto. Pensavo di
poter concludere il tutto in un solo capitolo, ma come al solito mi
sono lasciata prendere la mano e ho allungato.
Capitolo
10: Sliding doors
Klaus
infilzò il forcone nel mucchio di biada e ne tirò su una buona
porzione, che gettò nella mangiatoia con un gesto sicuro. Blitz al suo
fianco, legato per la cavezza, nitrì contento. Al ragazzo piaceva
prendersi cura di quel cavallo, era un animale socievole e raramente si
innervosiva. Era un bell’esemplare dal pelo nero come la pece e la
muscolatura forte, che misurava al garrese sessanta pollici circa, la
criniera lunga e lucente che scuoteva con fierezza. Poteva immaginare
il rumore terribile che doveva fare quando, lanciato al galoppo, i suoi
zoccoli battevano minacciosi sul terreno. Era convinto che per i nemici
fosse un’immagine terrorizzante.
Inoltre
credeva che fosse l’animale più adatto per padron Hans. Era un uomo
imponente e dallo sguardo altero, proprio come quella bestia. Per
alcuni tratti sembrava combattivo e scostante come un cavallo appena
catturato e non ancora domato, che aveva ancora in bocca il sapore
dolce della libertà ed era per questo insofferente al collare. A volte
il cavaliere faceva paura quella sua imperturbabile freddezza, quasi
che vivesse in un mondo a parte tutto suo dove nessuna delle umane
miserie poteva toccarlo.
Klaus
accarezzò la criniera di Blitz con un piccolo sorriso sulle labbra.
Ricordava ancora la prima volta che aveva incontrato padron Hans. I
Tartari avevano sconfinato nei loro confini, razziando e mettendo a
ferro e fuoco ogni villaggio che incontravano sulla loro strada. Anche
quello dove viveva lui dove era nato lui aveva subito la stessa sorte,
nonostante fosse così povero che non avevano di che mangiare
quotidianamente. I ricordi di quel giorno che possedeva erano stati
confusi dalla paura e dallo scorrere del tempo. Rammentava la campana
della chiesa che suonava l’allarme e la gente che si riversava nelle
strade strette e sudice urlando disperata. Sua madre lo aveva preso in
braccio e lo aveva nascosto, raccomandandogli di non uscire. L’ultimo
ricordo che aveva di lei era il suo volto sfocato che gli sorrideva
incoraggiante con le lacrime agli occhi, poi più nulla. Se chiudeva gli
occhi e si concentrava poteva ancora sentire le grida di dolore e
terrore degli altri abitanti del villaggio, che si confondevano con
quelle belluine degli assalitori, che venivano soffocate dal rombo
delle fiamme dell’incendio che avevano appiccato, prima di ricominciare
daccapo.
Non
sapeva per quanto tempo era rimasto nascosto, se erano trascorse ore
oppure giorni interi, ma quando finalmente si azzardò a uscire il
silenzio lo colpì come uno schiaffo in pieno viso. L’odore di sangue
risaltava su tutto quanto, ovunque c’erano solo cadaveri disarticolati
e smembrati, abbandonati come giocattoli vecchi e rotti per le strade.
Stranamente non si era messo a piangere, ma aveva vagato a lungo
intontito da tutto quello che era accaduto e che non riusciva a
comprendere, fino a quando non aveva trovato il corpo esanime di sua
madre e le si era sdraiato accanto in attesa. Non aveva saputo cosa
stava veramente aspettando, fino a quando non aveva visto Blitz
muoversi con silenziosa eleganza e con la testa fieramente eretta,
mentre veniva condotto per la cavezza da un uomo. Klaus lo aveva
guardato e, forse a causa dell’armatura nera e dell’elmo crestato che
indossava, gli era sembrato gigantesco. Ma forse erano stati
semplicemente i suoi occhi da bambino ad averlo ingannato. Lui era
scattato immediatamente in piedi terrorizzato e, quando il cavaliere si
era liberato dell’elmo e lo aveva guardato con quei suoi occhi
glaciali, si era rannicchiato in un angolo tremante e aveva implorato
la sua pietà. Padron Hans gli si era avvicinato con un paio di passi
lenti e pesanti che avevano alzato piccoli sbuffi di polvere, ma ancora
non aveva detto una parola, limitandosi a osservarlo con quel suo
sguardo che pareva sezionargli l’anima.
-
Non voglio ucciderti!- e la sua voce era bassa e fredda come la lama di
un pugnale, ma Klaus era comunque riuscito a sentire una nota gentile.
E
allora aveva guardato quell’uomo dal volto serio e aveva trovato in lui
qualcosa che era riuscito a calmarlo. Aveva lasciato che lo sollevasse
tra le sue braccia e lo facesse sedere sulla sella del cavallo senza
piangere né tremare. Nel momento esatto in cui padron Hans si era
posizionato dietro di lui e aveva avvolto entrambi nella lana pesante
del suo mantello bianchissimo, aveva capito che quell’uomo era
diventato la sua nuova famiglia. Non si era mai più sentito vicino al
cavaliere come in quel momento. Lo aveva seguito fiducioso a Malbork e
lì aveva ricominciato a vivere, aveva trovato un posto tra i Fratelli
Servitori e uno scopo: servire il cavaliere che lo aveva salvato da
morte certa.
Klaus
appoggiò la guancia contro il muso del cavallo e un soffuso rossore gli
colorò le guance la pensiero di padron Hans. Quante volte, nel buio
della notte, aveva desiderato di stringersi al suo corpo forte, di
perdersi nel suo calore e di lasciarsi vincere dalla sua forza. Spesso
si era domandato se i baci di Hans sarebbero stati dolci e umidi oppure
rapidi e lievi, e avrebbe dato qualunque cosa per potersene accertare
di persona. Un sorriso gli piegò irresistibilmente le labbra e nascose
metà del suo volto nel pelo nero dell’animale, perché pensieri come
quelli che stava facendo erano pericolosi. Era assolutamente vietato
per un uomo pensare a un altro uomo in modo meno che rispettoso. Le
regole nell’Ordine erano rigorose, dovevano essere rispettate e
applicate alla lettera, perché l’unica sorte possibile per i colpevoli
era una morte dolorosa e infamante. Eppure Klaus non poteva evitare di
pensare in quel modo all’uomo che l’aveva salvato e a cui doveva tutto.
Erano sentimenti nati dentro di lui lentamente, che con il passare
degli anni erano diventati più definiti e radicati dentro di lui.
Avrebbe glorificato Dio in ogni modo se avesse ascoltato le sue
preghiere e realizzato almeno una volta quei suoi desideri nascosti, ma
sapeva che Hans lo vedeva tutt’al più come un fratello minore, che non
avrebbe mai messo in pericolo la sua vita e la sua carriera all’interno
dell’Ordine per uno come lui. Lo sapeva, ma non per questo faceva meno
male.
Il
cavallo sbuffò dalle froge e Klaus gli batté una pacca leggera sul
muso, prima di allontanarsi da lui. Aveva del lavoro da fare e non
poteva farsi trovare a oziare, sulla schiena aveva ancora i segni
dell’ultima volta che lo avevano frustato per punizione. Inspirò
profondamente per calmarsi e fare mente locale. Per prima cosa doveva
cambiare gli zoccoli al cavallo, quelli che aveva erano consumati e
rischiavano di farlo sanguinare. Si guardò in cerca del martello e solo
in quel momento rammentò che Johannes, l’assistente del giardiniere,
gliel’aveva chiesto in prestito alcuni giorni prima per alcune
riparazioni alla baracca che usavano come magazzino. Klaus sbuffò
sonoramente al pensiero di dover attraversare mezzo castello con quel
freddo, ma non poteva fare diversamente: servire era il suo compito
nell’Ordine. Si avvolse bene nel vecchio mantello di lana grezza e,
sfregandosi le mani l’una con l’altra per riscaldarle, si avviò
maledicendo la dimenticanza dell’amico. Camminando svelto deviò a
destra perché, tagliando per la piazza d’armi, avrebbe risparmiato un
bel po’ di strada. La maggior parte dei cavalieri erano ancora nel
Ducato Polacco per respingere l’invasione Mongola e quei pochi che
erano rimasti al castello di certo non avrebbero sprecato tempo ad
allenarsi.
Invece,
contro ogni sua aspettativa, gli giunse alle orecchie il familiare
rumore di spade che duellano. Ormai era arrivato fin lì, non poteva e
non aveva voglia di tornare indietro. Si fermò dietro l’angolo tra due
muri e sbirciò: nell’immenso spazio della piazza d’armi vide la figura
snella ed elegante di Peter Scholberg che stava menando fendenti contro
un fantoccio. Una fitta di gelosia gli trapassò il petto da parte a
parte. Non gli piaceva che quel ragazzo poteva passare con padron Hans
tutto il giorno, mentre lui doveva accontentarsi di osservarlo da
lontano per la maggior parte del tempo. Ma quello che gli piaceva
ancora di meno era il suo aspetto: Peter era bellissimo, attirava su di
sé gli sguardi affascinati di ogni essere vivente che abitava in quel
castello, non si poteva non notarlo. Klaus invece era consapevole del
suo aspetto ordinario, sapeva di essere bruttino e così normale da
scomparire nella massa di persone che si muoveva attorno a lui. Nessuno
si era mai fermato a guardarlo mentre svolgeva i suoi compiti e
scommetteva che nessuno gli avrebbe mai prestato la sua attenzione. Un
groppo amaro gli strinse la gola, perché non gli interessava di essere guardato da quei
boriosi cavalieri che non capivano nulla a eccezione della loro spada,
l’unica persona da cui gli sarebbe piaciuto essere notato era padron
Hans e non lo avrebbe mai fatto.
Fece
scorrere lo sguardo sulla piazza d’armi e lo vide. Il cavaliere era in
piedi al bordo dello spazio, con le braccia incrociate al petto, e
osservava concentrato i movimenti del suo apprendista. Klaus avvertì il
suo cuore sussultargli nel petto, alla vista della sua figura
imponente, disegnata dalla stoffa leggera degli abiti che indossava, e
del suo volto virile e bellissimo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per
potersi trovare al posto di Peter in quel momento.
-
Alza il braccio sinistro e porta la gamba destra indietro. Devi
rafforzare la tua difesa, ha troppe falle.- gridò la voce del cavaliere
al suo apprendista.
Klaus
sussultò, mentre il cuore riprendeva a battere nel suo petto più cupo.
Conosceva la voce di Hans, lo aveva tirato fuori dalle tenebre e a essa
si aggrappava disperato quando gli incubi tornavano ad assediarlo.
Poteva intuire dall’inflessione che assumeva se era calmo o arrabbiato,
ma non l’aveva mai udita assumere quella sfumatura particolare. In quel
momento nella voce di Hans c’era una nota che non aveva sentito, gli
era sembrata così dolce sotto
quello strato di gelo che solitamente adoperava quando parlava. Deglutì
a vuoto e rimase a guardare, mentre ogni parte del suo corpo gridava
dal dolore e l’ombra della consapevolezza si faceva strada dentro di
lui.
Peter
si girò verso il cavaliere e gli rivolse uno sguardo inconfondibile, in
cui dolcezza e amore di diluirono in modo feroce, prima di annuire. Ma
non era ritornato ad allenarsi. Klaus lo vide abbassare la spada che
teneva in pugno e asciugarsi il sudore dal viso con la manica della
casacca, prima di dirigersi verso Hans. I suoi movimenti erano lenti e
languidi, per un attimo lo scudiero pensò che volesse sedurlo. Vide
Peter fermarsi davanti al cavaliere, così vicini da non esserci più
spazio tra i loro corpi, sollevare le braccia e afferrare tra le dita
lo scollo della casacca dell’altro. Prima ancora che lo scudiero si
chiedesse quali fossero le intenzioni del ragazzo, Peter strattonò la
stoffa, tirando giù Hans, e lo baciò.
E
qualcosa si ruppe nel petto di Klaus.
Perché,
nonostante il cavaliere avesse opposto una blanda resistenza iniziale,
ora stava rispondendo con una passione insospettabile in un tipo come
lui, mentre aveva abbracciato così forte l’apprendista da averlo
sollevato da terra. Klaus dovette distogliere lo sguardo da quella
scena. Si appoggiò con la schiena e la nuca alla parete alle sue spalle
e serrò le palpebre per impedire alle lacrime di uscire. Era un dolore
soffocante, che gli mozzava il fiato in gola e gli toglieva la ragione.
Era sempre stato consapevole che Hans non gli sarebbe mai appartenuto,
ma vederlo con i propri occhi era sconvolgente. In quel momento si
sentiva come se tutto quello che aveva costruito fino a quel momento
gli scivolasse dalle dita, come sabbia dentro una clessidra rovesciata.
Se fosse stato di nobile nascita, se fosse stato almeno un po’
attraente, se avesse avuto un destino differente, le cose sarebbero
potute andare diversamente? Tremante inghiottì una generosa boccata
d’aria, riaprì gli occhi e una lacrima scivolò via, ridisegnando la
morbida curva della sua guancia, tracciando una traccia umida sullo
strato di polvere che ricopriva la pelle.
E
fu allora che lo vide. Gustav Lammer stava cercando di nascondersi
dietro la scaffalatura in cui venivano riposte le armi che venivano
usate per l’allenamento e anche lui aveva visto Peter e Hans baciarsi.
Perfino lui sapeva quando odiasse il suo padrone e non presumeva nulla
di buono, sapeva che avrebbe cercato di sfruttare la meglio quella
scoperta per vendicarsi. Come aveva potuto Peter essere stato tanto
sciocco da compiere un’azione così avventata e pericolosa dove tutti
avrebbero potuto vederli? Lui non avrebbe mai commesso un errore
simile, avrebbe atteso di essere nel chiuso della loro cella, prima di
cedere al desiderio. Klaus scosse la testa rimproverandosi del suo
stesso pensiero. Era la gelosia a parlare per lui in quel momento, però
davvero non riusciva a non avercela con lui.
L’espressione
sul volto di Gustav Lammer divenne più letale e Klaus comprese che
stava per fare la sua mossa finale. Ormai dimentico del martello che
avrebbe dovuto prendere per ferrare Blitz, si mise a seguire il
cavaliere che era rientrato nel castello, per scoprire cosa stava
architettando e avvertire padron Hans in caso di pericolo.
Lo
stava facendo solo per lui, non per quell’altero ragazzo che percepiva
così distante da sé, come se fosse stato una creatura sovrannaturale
che non voleva mescolarsi con i comuni mortali come lui, perché non
avrebbe mai sopportato la morte di quel cavaliere silenzioso e gentile.
Di Peter non gli importava nulla, ma sapeva che qualsiasi cosa fosse
accaduta avrebbe minacciato di trascinare entrambi nel baratro e lui
non poteva permettersi che accadesse qualcosa a Hans, anche se questo
avesse significato perderlo per sempre, non poterlo rivedere mai più.
Tutto ciò che contava davvero per lui era che il cavaliere rimanesse
vivo e vegeto, qualunque fosse stato il prezzo che avrebbe dovuto
pagare in cambio.
Nascosto
dentro una nicchia nella parete che in passato aveva dovuto essere
usata per ospitare una statua di culto, Klaus attendeva che il
cavaliere facesse la sua mossa. Il tempo scorreva lento e lui occupò
ogni istante con il pensiero di Hans. Ancora non gli sembrava vero che
fosse accaduto davvero. Poggiò la testa contro la pietra gelida e fissò
lo sguardo sul nulla davanti a sé. Che stupido era stato a sperare per
tutti quegli anni che il cavaliere potesse vedere al di là dello
scudiero, che potesse scorgere solo lui e che
finalmente le cose potessero cambiare in meglio per lui nel loro
rapporto. Si era illuso che ci fosse qualcosa dietro i
gesti gentili e i piccoli sorrisi che a volte gli rivolgeva. Era stato
cieco e sordo, nonostante tutto dentro di lui avesse iniziato a urlare
disperato quando aveva visto Peter per la prima volta, per avvertirlo
del pericolo che rappresentava. Non aveva voluto vedere per paura di
soffrire, di vedere tutte le sue speranze frantumarsi una dopo l’altra
davanti alla realtà dei fatti. Avrebbe dovuto comportarsi meno da
stupido, accettare l’eventualità che Hans avrebbe potuto innamorarsi
del suo apprendista e premunirsi in tempo, se lo avesse fatto ora non
starebbe così male. Voleva piangere e sfogarsi, urlare di rabbia fino a
non avere più voce, perché non aveva più un posto accanto a Hans, quel
piccolo cantuccio che era riuscito a ricavarsi a fatica in tutti quegli
anni gli era stato strappato via e niente sarebbe più stato come prima.
La
sua vita gli sembrava così vuota in quel momento, come se non avesse
più uno scopo. Quella sera di tanti anni prima, in cui Hans lo aveva
trovato mezzo morto di fame e freddo e lo aveva portato con sé sul suo
cavallo, avvolgendolo nel suo mantello candido per riscaldarlo mentre
cadeva la prima neve, aveva giurato che gli sarebbe rimasto accanto per
tutta la vita, servendolo e aiutandolo come meglio poteva. E ora capiva
che non avrebbe mai potuto adempiere a quella promessa, perché sarebbe
stato Peter a restare accanto a lui per sempre.
Il
cigolio di una porta che ruotava sui cardini non oliati spezzò il
silenzio e si diffuse per tutto il corridoio. Klaus si volse e vide che
Gustav Lammer stava uscendo dalla sua stanza. Finalmente si era deciso
a fare la sua mossa, pensò lo scudiero mentre, il più silenziosamente
possibile, scivolava fuori dal suo nascondiglio e seguiva l’altro. I
suoi sospetti furono confermati quando vide il cavaliere bussare alla
porta dello studiolo del Gran Maestro. Deglutì pesantemente, mentre
l’ansia e la paura si dibattevano dentro di lui: di cosa doveva parlare
tanto urgentemente con il capo supremo di tutto l’Ordine a quell’ora
così tarda? Si guardò intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno
in giro e, scivolando nel corridoio, si acquattò dietro la porta che
Lammer aveva chiuso dietro di sé e appoggiò l’orecchio al legno per
origliare la loro conversazione. Sapeva che non era corretto quello che
stava facendo, che se lo avessero sorpreso ad ascoltare di nascosto una
conversazione privata del Gran Maestro sarebbe stato punito duramente,
ma in quel momento pensava solo all’incolumità di Hans, nient’altro
contava.
Inveì
sonoramente, mentre la paura montava sempre più dentro di lui, quando
intese che Gustav Lammer aveva denunciato il suo padrone, raccontando
al Gran Maestro di aver visto lui e Peter baciarsi nella piazza d’armi
quel pomeriggio. E ancora una volte maledisse l’incoscienza dell’altro
ragazzo, mentre si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare. Nonostante tutte
le riserve che poteva avere sull’onestà dell’accusatore, il Gran
Maestro non avrebbe potuto ignorare la denuncia del cavaliere, non per
un peccato grave come la sodomia. Presto avrebbe radunato i cavalieri
che formavano la sua guardia scelta e si sarebbe recato nella cella del
suo padrone per verificare l’accusa. Se li avessero trovati in una
situazione anche solo lontanamente equivoca per loro sarebbe stata la
fine. Bastò quello, il pensiero di Hans che veniva giustiziato a
sbloccarlo. Con uno scatto si rimise in piedi e il più velocemente
possibile iniziò a correre nei corridoio, pregando Dio che lo facesse
arrivare in tempo per avvertirlo di quanto stava accadendo.