IL PECCATO DI AMARE

Capitolo 2: 

Preparazione alle armi

Le corte spade di legno cozzarono l’una contro l’altra con un tonfo sordo, imitando un vero combattimento, cercarono di sopraffarsi per qualche istante, poi si respinsero a vicenda con una pesante spinta all’indietro. In quella gelida mattina di metà Gennaio Hans e Peter avevano ripreso l’addestramento pratico dopo un lungo periodo dedicato allo studio teorico, costretti all’interno del castello a causa delle tormente di neve che si erano susseguite una all’altra senza pausa per una settimana, grazie a quella giornata inaspettatamente limpida per quel periodo. Il cielo era così terso da accecare, privo di ogni nuvolo, ed il sole brillava tiepido sulla neve che riempiva la piazza d’armi. Sembrava una giornata di metà Marzo, quella. Un cumulo di neve spezzò il ramo su cui si era posato durante la nevicata del giorno precedente, e cadde a terra con un tonfo morbido sul tappeto di neve spalata ed accumulata ai bordi del vasto piazzale. Il cavaliere scattò improvvisamente in avanti, come se quello fosse il segnale che attendeva per poter attaccare. Peter si rese conto a malapena delle mosse del suo maestro e si mise il più velocemente possibile in posizione di guardia; ma la spada di Hans era ancora troppo veloce per lui: il cavaliere avanzava sulla terra battuta, bagnata di neve sciolta, rapido come il respiro, eseguendo stoccate e parate con letale precisione, superando senza sforzo apparente le sue difese, ogni sua azione di concludeva con un livido scuro su quella pelle lattea. Peter gemette per il dolore dell’ultimo colpo, andato a segno sulla sua coscia sinistra, dove aveva già un altro paio di lividi lunghi e sottili, dati con il taglio di quelle spade finte, ormai in via di guarigione, ma comunque ancora dolorosi: quel cavaliere aveva dell’inumano! Da piccolo suo padre lo aveva affidato ad un istruttore affinché apprendesse l’uso della spada ed era sempre stato piuttosto bravo grazie al suo fisico minuto che gli consentiva una maggiore velocità ed agilità, ma non aveva mai visto niente di simile prima d’ora! Hans era rapido come un lupo ed altrettanto pericoloso, si muoveva sinuoso e lesto mettendo sempre a segno i suoi colpi, continuava a seguire il suo bersaglio senza mai perderlo di vista con l’ostinazione di un segugio fino a trovare un modo per sorprenderlo, e niente sembrava avere il potere di distrarlo. Non sembrava mai patire la stanchezza o la sete, era capace di allenarsi per tutto il giorno senza mai fermarsi.
All’inizio gli aveva fatto paura, temeva che potesse anche arrivare ad ucciderlo preso dalla foga del combattimento, ma poi, pian piano, aveva compreso che Hans era anche molto attento e misurato, ponderava attentamente le mosse che doveva compiere, scegliendo sempre quelle che si adattavano meglio alla situazione, e la forza da usare per non lasciargli troppi segni.
Non gli avrebbe mai fatto veramente del male.
Non sapeva perché, ma sentiva che era così, sentiva un forte istinto di protezione filtrare da quell’uomo enorme e burbero…
La campana della chiesa suonò la terza ora ed Hans si fermò, con la spada abbandonata lungo il fianco, annunciando che avrebbero fatto un po’ di pausa. Peter sospirò sollevato e crollò a sedere a peso morto sulla panca ansimando pesantemente: si sentiva al limite delle sue forze, sentiva muscoli delle gambe e delle braccia dolergli e tremare per lo sforzo, mentre in gola sembrava gli fosse scoppiato un incendio; dopo i Mattutini avevano fatto colazione con un po’ di latte e miele, e poi Hans lo aveva trascinato li, nella piazza d’armi, per il consueto addestramento; nonostante fossero settimane che teneva simili ritmi, non si era ancora abituato, anzi! Più andava avanti più era peggio… Pregò che riuscisse ad abituarsi al più presto, o sarebbe crollato senza potersi mai più rialzarsi. Lanciò uno sguardo al suo maestro, rimasto in piedi poco distante dalla panca, che si stava asciugando il sudore dal viso con la manica della casacca bianca che indossava sopra un paio di brache nere, la spada di legno ancora stretta in pugno, gli abiti larghi che mettevano in risalto la sua figura imponente ma in qualche modo aggraziata; a volte si sentiva come un bambino al suo fianco… Vide la pelle del collo e delle spalle, lasciata libera dal collo slacciato della casacca, raggrinzirsi come se fosse improvvisamente consapevole del freddo che impregnava l’aria. Ormai erano tre settimane che divideva le sue giornate con quel cavaliere e l’unica cosa che aveva capito di quell’uomo misterioso era che era diverso da tutti gli altri uomini di quel castello, sia per il suo aspetto che per il suo carattere. Tra loro c’era un rapporto molto formale, che raramente andava oltre le nozioni tecniche che Hans doveva impartirgli, ma almeno poteva vantarsi che con lui qualche parola più dell’essenziale la diceva, con gli altri cavalieri parlava solo se direttamente interrogato e se era strettamente necessario, per il resto si limitava a sguardi apatici ed a mugugni incomprensibili; quel cavaliere sembrava essersi trincerato dietro spesse barriere e non permetteva a nessuno di valicarle, non concedeva mai niente di sé… come se volesse difendersi dagli altri… anche se aveva scoperto che era capace di gesti di profonda e disinteressata gentilezza, che nascondeva dietro espressioni esasperate e borbottii forzati, ma che valevano molto più di tutti quei sorrisi falsi ed ipocriti che gli rivolgevano solo perché era figlio di suo padre…
… come quando, la prima notte che aveva trascorso al castello, gli aveva gettato la sua coperta addosso perché stava tremando per il freddo, senza una parola, avvolgendosi subito solo nel suo ampio mantello si era coricato dandogli le spalle… era rimasto a fissare a lungo quella schiena ampia, senza pensare… quel gesto lo aveva riscaldato più delle coperte in cui si era avvolto…
… come quando la sera, nella loro cella, gli ordinava bruscamente di togliersi la casacca e, poco gentilmente, gli esaminava i lividi che gli aveva fatto durante gli allenamenti, e su quelli più dolorosi spalmava una strana pasta dal colore giallo-grigiastro e dal pungente odore di erba marcia… per poi allontanarsi altrettanto bruscamente come se scottasse…
… e Peter iniziava a provare il desiderio di scoprire chi c’era veramente dietro quegli occhi di ghiaccio, di vederlo rilassarsi e ridere come tutti i comuni mortali…
… di ottenere da lui un gesto ed una parola gentili…
Voleva essergli vicino…
… quell’uomo gli sembrava infinitamente triste…
Il rumore morbido dei passi del cavaliere sulla neve, che gli si stava avvicinando, lo distrassero da quei pensieri.
- Come va?- gli chiese inaspettatamente mentre si sedeva accanto a lui.
- Meglio.- rispose con un piccolo sorriso dopo un attimo di sorpresa.
Hans emise un borbottio di approvazione prima di ritornare a guardare davanti a sé qualcosa che lui non poteva vedere, trincerandosi dietro le barriere del suo onnipresente silenzio, capaci di tenere chiunque lontano da sé. Anche Peter, dopo una manciata di secondi, distolse lo sguardo da lui, portandolo ad osservare il volo timido di qualche uccello più coraggioso degli altri che aveva deciso di sfruttare quella giornata per raccogliere un po’ di cibo. Su tutto regnava un morbido, pacifico, perfetto silenzio.
Si stava bene così, ognuno immerso nei propri pensieri, a contemplare la magnificenza delle creazioni di Dio.
- Ti batti bene.- per la seconda volta in quella mattina la voce del cavaliere lo sorprese.
Peter si volse velocemente verso il suo maestro, il cuore gli batteva appena più veloce nel petto per quella conquista inaspettata: non era mai accaduto prima d’allora che il cavaliere aprisse volontariamente un discorso, più spesso era lui che cercava di coinvolgerlo, sommergendolo con valanghe di parole, ottenendo solo qualche occhiata raggelante e vaghi borbottii che potevano essere interpretati in più di un modo; eppure quella mattina lo aveva fatto, e per ben due volte di seguito.
- Grazie.- rispose timidamente Peter senza sapere veramente cosa dovesse dire.
- Sei stato affidato ad un istruttore da piccolo, vero?! – più un’affermazione che una domanda, quella, alla quale il ragazzo rispose solo un assenso.
Lentamente le iridi nocciola e fredde di Hans ritornarono su di lui, illuminate da pagliuzze dorate per il riflesso del sole, piantandosi come lame affilatissime nei suoi occhi blu; il volto del cavaliere era tirato, severo, burbero come al solito; eppure sembrava anche estremamente tormentato da un conflitto interiore…
- La guerra è molto diversa dai giochi che facciamo qui! – parlò con il suo tono di voce aspro e diretto, sollevando davanti a sé la spada di legno che teneva poggiata sulle gambe – Le battaglie vere non sono quei duelli eleganti a cui si dedicano i nobili per divertirsi, sono un inferno di corpi che si scagliano urlando l’uno contro l’altro. Non esiste un solo nemico da affrontare, ma ti attaccheranno in gruppi e non sempre avrai un compagno al tuo fianco; gli arcieri nemici lanciano frecce ovunque non lasciando respiro. Non puoi sopravvivere solo con le tecniche di scherma.- .
Peter deglutì a vuoto davanti quelle parole dure come la pietra. Il cavaliere aveva dipinto un tipico scenario delle battaglie, privo di fronzoli, mostrandola solo per quello che era; non per spaventarlo, ma per prepararlo che quello che si sarebbe trovato ad affrontare.
- Nella guerra non c’è niente di eroico, solo morte e sangue!- la voce del cavaliere si era abbassata fino a diventare un flebile sussurro.
Era come se stesse parlando a se stesso, piuttosto che a Peter…
I suoi occhi nocciola in tempesta fissavano Peter come se non lo vedessero realmente, come se dietro di esse avessero ripreso vita tutti i guerrieri del suo passato e si stessero confrontando con loro in nuove, cruente battaglie dentro il suo spirito.
Nemmeno lo stesso Hans sapeva perché avesse parlato in quel modo, non era da lui. Aveva visto decine di ragazzini come Peter, imbottiti fino all’istupidimento da ideali eroici di onore e gloria, buttati allo sbaraglio nelle battaglie, agnelli sacrificali che si gettavano alla cieca sui nemici brandendo le spade sguainate ed urlano il nome di Dio, senza sapere veramente cosa stavano facendo; non ricordava nemmeno più quanti dei loro cadaveri smembrati e disarticolati avesse contato sui campi, a sera, a battaglia conclusa, quante fosse le sue mani avessero scavato per gettarceli dentro, uno sopra l’altro, come pedine ormai prive d’importanza, giocattoli usati e rotti che presto sarebbero stati sostituiti da altri nuovi e funzionanti…
Ormai era abituato, o almeno credeva di esserlo prima di incrociare quegli stupefacenti occhi blu, che ora lo stavano fissando con l’innocenza di un cerbiatto.
Aveva parlato in quel modo perché non avrebbe mai sopportato che Peter rientrasse nel novero di quegli agnelli sacrificali. Non voleva sopportare il peso di trovare il suo cadavere sporco e lacero abbandonato sul campo di battaglie, per poi doverlo gettare insieme agli altri in una squallida fossa comune. Sentiva che non avrebbe mai potuto sopportare il peso che avrebbe lasciato nel mondo la morte di quel moccioso, di dovergli sopravvivere e portare il suo ricordo nel cuore.
Gli faceva assaggiare il dolore per farlo abituare in modo che non lo sconvolgesse durante gli scontri; non gli lasciava tregua attaccandolo senza lasciargli tempo di pensare, perché non si lasciasse impressionare; lo trattava duramente affinché non abbassasse mai la guardia e fosse sempre pronto a qualsiasi cosa…
… per non permettergli di morire.
Era il suo fantasma che si agitava dietro i suoi occhi, in quel momento, non quelli di tutti i guerrieri che aveva ucciso nella sua lunga carriera.
Approfittò di quella pausa tra loro per poterlo guardare a piacimento, per potersi riempire la mente, il cuore e l’anima della sua immagine, e conservarla, così, all’interno del suo cuore. Lo osservò fino a portarsi al limite estremo dei suoi desideri, fino a che si sentì incapace di controllare il suo corpo ed il suo cuore.
Quindi scattò in piedi come una molla e gli fece segno con la testa che era ora di riprendere ad allenarsi. Come ogni giorno, anche quello lo spesero interamente ad allenarsi: Hans aveva promesso a se stesso che avrebbe preparato quel moccioso al meglio, che avrebbe fatto di tutto per prepararlo all’inferno che lo attendeva, pregando che non ci fossero guerre o battaglie ancora per molto, molto tempo.