Capitolo
5: Alla fine della battaglia
Il
cielo color lavanda della sera era coperto da un soffice strato di
nuvole, sfumate all’orizzonte dagli ultimi bagliori del sole
morente, un’enorme chiazza insanguinata tra le montagne ad
ovest, la cui luce si infrangeva in mille riflessi screziati sulla
superficie agitata del lago. La neve era un morbido manto che si
scioglieva sotto i passi, il cui candore era stato macchiato dal rosso
del sangue che era stato versato a fiumi quel giorno. La sagoma
dell’accampamento si stagliava netta e discordante sullo
sfondo, come se la natura stessa la rifiutasse. Il campo di battaglia
era attraversato da sagome sbattute dal vento, piegate alla ricerca dei
caduti.
Hans
riabbassò lo sguardo verso il suolo, dove una grossa chiazza
cresimi si stava allargando a macchia d’olio sotto i cadaveri
di due soldati che nell’impeto della battaglia si dovevano
essere uccisi a vicenda. Con la punta dello stivale voltò il
guerriero Mongolo: nella morte non era più il feroce
guerriero che combatteva per il suo Kahn, ma solo un uomo con tutte le
sue miserie ed i suoi peccati… esattamente come il Cavaliere
che giaceva senza vita accanto a lui.
Nonostante
i bei discorsi con cui volevano convincersi, restavano semplici uomini
nell’immenso gregge di Dio!
Vide
due Cavalieri caricare un confratello su una barella e portarlo via.
Anche senza seguirli sapeva bene dove lo stessero portando: alla fossa
comune che avevano scavato alle spalle dell’accampamento, in
cui buttavano indiscriminatamente tutti i cadaveri del loro esercito.
Era
quello che restava della carità cristiana.
Una
sepoltura infamante in un paesaggio idilliaco, e la voce dispersa dal
vento di un sacerdote che intonava i salmi per i defunti.
Sollevò
la mano e la passò tra i capelli incrostati di sudore e
sangue, arruffandoli ancora di più. Sentì la
nausea salirgli in gola al pensiero di quanti erano morti quel giorno
per seguire sciocche utopie: perché lo sapeva benissimo lui,
come tutti gli altri, che la crociata per diffondere il cristianesimo
non era altro che una scusa dietro cui si nascondevano i generali e gli
alti prelati, per aumentare le proprie ricchezze ed il proprio potere.
Teutonici
e Templari non erano altro che avventurieri senza scrupoli attaccati
alle ricchezze terrene, che si travestivano da mistici e distaccati
guerrieri della fede. Anche lui infondo era così: non era
entrato nell’Ordine come fervente cattolico che desiderava
difendere il papa ed il suo gregge dagli attacchi degli infedeli, ma
perché desiderava lo scontro, la lotta, perché
amava combattere e tirare di scherma, e perché inorridiva al
pensiero di essere rinchiuso a vita in un convento in cui
l’unica cosa che avrebbe potuto fare era pregare, pregare e
pregare.
La
vita del Cavaliere di fede si sposava bene con la sua indole
brigantesca, come amava definirla la sua balia. Sorrise appena: era
tantissimo tempo che non pensava alla sua amata balia…
…
chissà come stava, forse era ormai andata a rendere la sua
anima al signore dato che già quando aveva preso lui era
piuttosto avanti con gli anni…
La
voce forte del capitano li avvertì che i corpi erano stati
tutti recuperati e che potevano tornare all’accampamento.
Hans iniziò a seguire i suoi confratelli, in silenzio, a
testa bassa, combattendo contro la furia del vento che lo sospingeva
indietro, troppo stanco per fare qualsiasi cosa che non fosse ordinare
alle sue gambe di mettere un passo davanti l’altro.
All’interno
delle fortificazioni le tende erano state piantate disordinatamente a
semicerchio per lasciare un vasto spazio al centro in cui accendere i
fuochi, che stavano già bruciando da un po’,
risaldando l’aria e dando un colore arroventato a tutto
quello che la loro luce riusciva a sfiorare. Il vento aveva
ricominciato ad ululare velocemente, spazzando tutta la piana,
sollevando dalle fiamme delicate fusciacche dorate che danzavano
qualche secondo nell’aria prima di scomparire in un delicato
svolazzo, simili ad ali di fate. Attorno stavano seduti i Cavalieri,
intenti a bere ed a mangiare, l’aria riecheggiava delle loro
risate e bestialità. Sembravano non ricordare i loro amici
morti quel giorno, sembrava che tutto quello che avevano fatto e visto
gli fosse scivolato addosso senza lasciare nessuna traccia dentro di
loro.
Nella
penombra del muro di cinta vide Gustav Lammer sollevarsi in piedi,
traballando, ed alzare la brocca sulla sua testa con mani tremanti,
alcune gocce di vino traboccarono e caddero, rilucendo come rubini
liquidi nella luce dei fuochi; lo sentì proporre con voce
instabile e colorata pesantemente di scherno, un brindisi ai nemici
morti.
-
Che Iddio li accolga tutti all’inferno e li condanni a
rosolare per l’eternità nelle sue fiamme!- rise
sguaiatamente seguito subito da molti altri.
Hans
scosse la testa e si affrettò ad allontanarsi subito da li:
un incontro con un Lammer ubriaco non era consigliabile. Da quando
aveva incontrato lui e Peter nella cappella, sentiva costantemente i
suoi occhi gelidi su di sé, se lo ritrovava sempre davanti,
anche nei luoghi più impensati e lo fissava con gli occhi
pazienti di un ragno che ha intrappolato una mosca nella sua ragnatela
e sta attendendo che finisca le forze per poterla divorare.
Stava
tramando qualcosa alle sue spalle! Era una sensazione indefinita e
priva di qualunque prova materiale, ma sapeva che il suo istinto non
sbagliava mai, soprattutto quando urlava in quel modo. Era solo
questione di tempo prima che facesse scattare la trappola, lo sapeva,
proprio come sapeva che l’esca sarebbe stata Peter. Si chiese
se avesse capito come stavano veramente le cose, o se la sua fosse solo
una speranza che le cose andassero in quella direzione. In ogni caso
Lammer si era messo di guardia e stava attendendo che facesse una sola
mossa falsa. Hans si morse a sangue il labbro inferiore: la situazione
per lui stava precipitando sempre di più, l’unica
cosa che lo facesse ancora resistere era che non sembrava che Peter
avesse certe tendenze, e ringraziò sentitamente Dio per
quello…
Forse
avrebbe dovuto chiedere di essere trasferito in un altro castello
dell’Ordine, magari in un avamposto di frontiera in cui
avrebbe sfogato la sua frustrazione ed i suoi inconfessabili desideri
massacrando tutti i Mongoli che gli fossero capitati a tiro di spada.
Sospirò
pesantemente: sapeva già che quella proposta sarebbe rimasta
li dentro di lui, inespressa, che non sarebbe mai scappato, non era
nella sua natura…
…
lui era il tipo che affrontava le situazioni, anche a costo di
lasciarci la pelle.
Appena
vide la malconcia tenda dei cucinieri recuperò la sua solita
espressione impenetrabile. La tenda era più grande delle
altre, con grosse macchie e strappi un po’ ovunque, poco
davanti al suo ingresso un calderone incrostato di fuliggine stava
bollendo su un fuoco enorme. Alcune bolle scoppiarono e lunghe lingue
di pappa d’avena scivolarono oltre il bordo. L’aria
era impregnata di decine di odori grassi che si mescolavano tra loro in
un unico, disgustoso aroma. Un cuciniere dell’aria arcigna e
seccata uscì dalla tenda iniziando a rimestare con un lungo
cucchiaio di legno nel calderone. Il Cavaliere arricciò il
naso disgustato alla vista del grembiule vecchio ed unto che indossava.
-
Messere dammi una ciotola di brodo caldo!- ordinò
avvicinandosi.
Il
cuciniere sollevò appena la testa verso di lui, lo
osservò un istante inespressivo per poi ritornare al suo
lavoro.
-
Aspettate il vostro turno e lo avrete!- rispose distrattamente mentre
sfilava il cucchiaio dal calderone e gli voltava le spalle.
Hans
era troppo stanco e snervato per mettersi a discutere con
quell’inserviente un po’ troppo irriverente per i
suoi gusti: con un paio di ampie falcate lo raggiunge, lo
afferrò per il bavero della tonaca e lo sollevò
da terra di qualche centimetro.
-
Voglio una ciotola di brodo caldo! Ora! Bada bene: non amo ripetermi!-
gli ringhiò in faccia con la sua espressione più
feroce.
Il
cuciniere spaventato balbettò un assenso incomprensibile e,
appena il Cavaliere lo lasciò andare, velocemente
entrò nella tenda per procurare quanto gli era stato
ordinato.
Una
manciata di minuti dopo Hans stava dirigendosi verso la sua tenda con
una scodella piena di caldo brodo di carne in mano. Era sicuro che gli
avrebbe fatto bene! Anche se quella non era la sua prima battaglie e
combatteva sempre più lucidamente, a sera continuava ad
essere assaltato da tutti gli incubi e le paure che riusciva a
ricacciare durante il giorni; e non gli piaceva ritrovarselo davanti
tremante mentre lo rassicurava che andava tutto bene. Era un buon
guerriero e con il tempo avrebbe potuto diventare uno dei migliori, ma
la sua pecca era l’emotività: apparteneva alla
categoria degli insicuri che venivano letteralmente divorati dalla
paura; per fortuna che non arrivava mai al livello di lasciarsi
paralizzare da essa e rischiare così di farsi infilzare da
qualche nemico…
Si
diede dello stupido, ma non riusciva a non preoccuparsi per quel
moccioso.
La
prima di molte barriere era stata infrante quando, quella sera nella
loro cella, lo aveva abbracciato per scacciare la paura che minacciava
di sopraffarlo. E per questo ora gli riusciva più facile
avere qualche accortezza nei suoi confronti, anche se rivestite dei
suoi borbottii e dei suoi gesti ruvidi.
Scostò
il telo d’ingesso della sua tenda e, dopo tanto buio, ebbe
bisogno di alcuni istanti per abituarsi al morbido chiarore dorato che
illuminava l’interno; alla fine riuscì a scorgere
la sagoma tremante del suo allievo rannicchiata sotto la ruvida coperta
del pagliericcio.
Appena
era rientrato nella buia sicurezza della tenda, Peter si era rintanato
sotto le coperte nella speranza che potessero proteggerlo da tutti i
brutti ricordi di quella giornata che già stavano iniziando
a riversarsi nella sua testa. Per qualche istante era stato tranquillo,
avvolto dal calore della lana grezza, poi nella sua mente, pian piano,
avevano iniziato a materializzarsi le immagini dei guerrieri che si
erano scontrati quel giorno, figure di fantasmi che si ferivano a
vicenda e morivano, illusioni che combattevano senza produrre alcun
suono e per questo ancora più terrorizzanti. Appena la paura
aveva iniziato a soffocarlo, con gli occhi pieni di lacrime ed il corpo
scosso dai brividi, aveva iniziato a desiderare il ritorno del suo
maestro: quando era vicino a lui, Peter non aveva paura di niente e di
nessuno, si sentiva stranamente più forte e determinato;
Hans gli conferiva una tale sensazione di sicurezza da non sentirsi
nemmeno se stesso…
…
semplicemente in quel momento lo voleva accanto a sé! Voleva
che lo abbracciasse come quella volta al castello, prima di partire, e
che disperdesse così la sua paura. Anche se non sapeva
perché lo volesse con quell’intensità,
né cosa celasse veramente quel desiderio; sapeva solo che
quando lo aveva abbracciato la prima volta si era sentito subito bene,
al posto giusto, in pace con se stesso… che sarebbe stato
bene solo quando il suo maestro fosse tornato da lui.
Come
materializzato dai suoi stessi desideri, Hans entrò nella
tenda, poggiò la ciotola a terra, accanto alla testa di
Peter e si sedette accanto a lui. Per un attimo il Cavaliere fu
divorato dal bruciante desiderio di svegliarlo con una carezza sul
volto e tra quei capelli che sembravano fili d’oro.
-
Ehi moccioso, svegliati!- riuscì a dire dominandosi a fatica.
Subito
Peter sollevò le palpebre, svelando un paio di occhi azzurri
liquidi di paura, la cui vista colpì con una potente
stilettata Hans al petto. Con un enorme sforzo di volontà
riuscì a staccare lo sguardo da lui ed a rivolgere la sua
attenzione alla ciotola accanto a sé.
-
Tieni!- e gliela porse appena si fu messo a sedere a mezzobusto.
-
Grazie!- sorrise il ragazzo davanti l’espressione imbarazzata
del suo maestro.
Il
suo maestro si sarebbe ritrovato maggiormente a suo agio ad affrontare
l’orda Mongola da solo ed armato solo di uno pugnale,
piuttosto che avere qualche gentilezza per qualcuno. Eppure non gli era
mai sembrato così umano come in quel momento!
E
la consapevolezza che avesse preso quella ciotola per lui, che aveva
avuto un pensiero solo per lui, lo riscaldò più
del liquido caldo che gli stava scorrendo in gola.
Rimasero
in silenzio per tutto il tempo che Peter impiegò per bere il
suo brodo, con la piacevole sensazione di non essere più
così soli nell’anima, che il silenzio non era
più un baratro che li divideva ma un compagno. Era bastata
la sola presenza di Hans a ricacciare indietro l’onnipotente
presenza della guerra con tutti i suoi spettri, a placarlo.
Eppure
il desiderio di tornare tra quelle braccia forti e calde stava
diventando sempre più prepotente dentro Peter. Si morse il
labbro sentendo una sottile corrente d’agitazione scorrergli
nelle vene insieme al sangue a quel pensiero. Da sopra il bordo della
scodella fece scorrere lo sguardo dal profilo severo del suo maestro al
suo fisico scolpito…
…
e prese la sua decisione.
Poggiò
la ciotola vuota sul terreno accanto al pagliericcio e
chiamò il suo maestro con una voce debole e tremante. Il
Cavaliere si volse verso di lui trovandolo con un’adorabile
espressione impaurita e confusa sul volto arrossato. Pregò
Dio anche in lingue che non sapeva di conoscere perché gli
desse la forza di resistere.
-
Ecco… io… potrei dormire con te stanotte?- chiese
tutto d’un fiato pregando che Hans non lo uccidesse.
Per
la prima volta dopo tanto tempo la maschera sul suo volto si infranse
rivelando una buffa espressione stupita. Aveva sentito bene? Peter
voleva dormire con lui?
Si
morse l’interno della guancia imponendosi di non essere
assurdo.
-
In che senso?- chiese appena ebbe ritrovato la facoltà di
parlare.
Il
rossore sul volto del ragazzo si accentuò, mentre si
stringeva sempre di più nelle spalle in un misero tentativo
di proteggersi dalle reazioni dell’altro. Era sicuro che gli
avrebbe detto di no, ma non poteva tirarsi indietro ora che aveva
iniziato…
-
A… al castello prima di partire tu… tu mi hai
abbracciato ed io non ho più avuto paura…-
cercò di dargli una spiegazione logica per convincerlo.
Hans
lo osservò divertito mentre si ingarbugliava in quel
discorso, perdendosi in mille giri di parole che non lo conducevano da
nessuna parte. Che doveva fare? La tentazione di dirgli di si era
fortissima, ma doveva tener conto che ora non si trovavano protetti
dalla pesante porta di legno e ferro della loro cella, ma dietro un
misero telo di stoffa che chiunque avrebbe potuto aprire e scoprirli.
Cosa sarebbe accaduto se li avessero trovati abbracciati? Niente di
buono ovviamente…
…
Eppure sapeva già di aver scelto. Nonostante tutte le scuse
dietro cui stava tentando di nascondersi, sapeva di aver già
deciso.
Sbuffando
fintamente irritato si alzò in piedi e si spostò
alle spalle di Peter, si liberò del mantello e si distese
supino sul pagliericcio, lasciando un braccio disteso di traverso in un
tacito invito. Peter, comprese le intenzioni dell’uomo,
sorrise entusiasta, voltandosi poi per sdraiarsi al suo fianco con la
testa sulla sua spalla e le braccia attorno la sua vita. Quando il
braccio di Hans cinse le sue spalle, avvolgendolo in un calore
intossicante che ubriacava tutti i suoi sensi, tutto il resto del mondo
scomparve per Peter, lasciando come unica cosa reale
quell’uomo burbero e gentile, che sembrava fare sempre le
cose di malavoglia, ma che ora lo stava stringendo come se fosse un
delicato oggetto di vetro.
Hans
attese lottando contro se stesso finché Peter non si fu
addormentato: la sua intenzione era di alzarsi ed andare a dormire nel
suo letto, ma quando fece per muoversi si ritrovò il volto
del ragazzo a pochi centimetri dal suo ed ogni pensiero e
volontà scomparve da dentro di lui. Il volto di Peter era di
una bellezza irreale, che incantava chiunque lo osservasse. Quasi senza
che se ne accorgesse il cavaliere sollevò la mano libera
portandola sul suo volto, accarezzandone i lineamenti con la punta dei
polpastrelli per non svegliarlo, rabbrividendo al contatto con il suo
calore. Nella loro esplorazione di quel volto angelico, gli occhi del
cavaliere incontrarono le labbra, quelle labbra piccole e piene, calde
ed un po’ screpolate dal freddo di quella terra, che
popolavano i suoi sogni. Le accarezzò premendo appena il
pollice, sentendolo affondare nella loro carnosità; subito
una fitta di desiderio gli contorse le viscere in fitta dolorosa. Non
doveva farlo e lo sapeva benissimo, ma ugualmente non riuscì
a resistere: tutti i suoi buoni propositi ed i divieti che si era
imposto fino a quel momento, si erano infranti al contatto con quel
corpo.
Stringendo
delicatamente il mento di Peter tra l’indice ed il pollice lo
sollevò verso di sé, si avvicinò fino
a sfiorargli il volto con il suo, quindi si fermò un istante.
-
Perdonami!- sussurrò sulle sue labbra.
Un
tono disperato, colpevole, carico di tutti i sentimenti che provava per
quell’angelo, che vibrò appassionatamente sulla
pelle di Peter. In un ultimo scatto di follia, Hans annullò
l’ultima distanza tra loro, sfiorando le labbra di Peter in
un bacio lieve, appena una carezza pelle contro pelle, un gesto
riverente ricolmo di tutto l’amore che gli portava, ma che
comunque lo fece vibrare fin nel profondo della sua anima.
Quando
si allontanò da lui, ogni volontà di andare via
era sparita; Hans si sistemò meglio sul pagliericcio e
chiuse gli occhi addormentandosi poco dopo.
Nell’ultimo
bagliore della candela Peter sollevò le palpebre sorpreso:
qualcosa si era spezzato dentro di lui, dando una risposta a tutte le
domande che non aveva mai osato porre.