Capitolo
otto: Amami!
Hans
seduto su una panca al bordo della piazza d’armi, osservava
Peter allenarsi con un fantoccio di paglia. Il suo occhio allenato
scorse alcuni errori e richiamò il suo allievo. Quando il
ragazzo si volse verso di lui una folata di vento freddo lo
investì scompigliandogli i capelli ed animandoli di mille
scintille d’oro, e disegnandogli l’ampia casacca
sul torace che ne rivelò ogni forma. Una visione che
svuotò all’istante la mente del Cavaliere. Rimase
li a fissarlo incantato fino a quando la voce del suo allievo non lo
riscosse. Bruscamente gli spiegò dove sbagliasse e gli
ordinò di ripetere l’esercizio. Peter
annuì con un sorriso che per un attimo sembrò
oscurare la luce del sole, quindi gli diede le spalle e riprese
l’allenamento.
Hans
sospirò frustrato: stava diventando sempre più
difficile resistere. A volte dubitava del suo autocontrollo,
così saldo prima di incontrare quell’angelo. Peter
stava infrangendo le sue barriere una dopo l’altra, presto
sarebbe rimasto totalmente sguarnito. L’immagine del suo
allievo legato ad un palo e divorato dalle fiamme gli bruciò
la mente e l’anima, facendolo istantaneamente arretrare
dietro le ultime difese che gli erano rimaste.
Distolse
lo sguardo dal corpo flessuoso del ragazzo e lo portò sul
cielo insanguinato del tramonto, percorso da larghe pennellate dorate e
violacee. Calcolò che dovesse essere più o meno
l’ora quattordicesima, presto sarebbe stato il momento di
interrompere l’addestramento.
Mosse
involontariamente la spalla ancora fasciata ed una fitta di dolore gli
trapassò il cervello. Serrò le labbra per non
urlare e sollevò la mano per massaggiarsi l’arto.
La lama di quel guerriero Mongolo gli aveva passato il muscolo da parte
a parte, ma per fortuna non aveva tranciato i nervi: aveva ancora il
pieno controllo del braccio e poteva ancora sollevarlo sopra la testa.
Era tornato al castello da quattro settimane, ma la ferita era ancora
fresca, forse a causa del difficile viaggio di ritorno. Il medico
militare gli aveva vietato categoricamente di viaggiare a cavallo
perché i sobbalzi gli avrebbero riaperto la ferita, quindi
lo avevano caricato su un carro coperto. Peccato che le strade fossero
ancora dissestate dalle alluvioni invernali e dalle piogge continue, e
che quindi aveva dovuto sopportare violenti scossoni che gli avevano
strattonato la spalla e sottoposto a fitte lancinanti. In qualche modo
Peter era sempre accanto a lui: a volte cavalcava accanto al carro, in
modo da essere scorto attraverso l’apertura del telone; altre
volte entrava nel vano e si sedeva accanto al suo maestro, trascorrendo
il tempo del viaggio in silenzio, beandosi solo della presenza
dell’uno accano all’altro. Una volta la febbre era
salita così tanto che il Cavaliere si era addormentato senza
nemmeno rendersene conto, quando si era risvegliato si era ritrovato
avvolto in una coperta calda con la testa poggiata alla spalla di
Peter. Si era sentito bene come mai prima d’allora: quel
contatto innocente lo aveva riscaldato fin nel profondo della sua
anima, lasciandogli in corpo una sensazione di serenità e
benessere che non aveva mai provato. Arrivato al castello la febbre si
era improvvisamente acuita, sia per i travagli del viaggio che aveva
affrontato, sia a causa del freddo umido delle stanze in cui erano
costretti a vivere, sia perché la ferita stava iniziando ad
infettarsi. Il medico aveva lottato a lungo contro il suo male, usando
tutte le sue conoscenze, ed alla fine la febbre aveva iniziato a
scendere fino a scomparire del tutto poche settimane dopo. Hans non era
stato spesso malato e gli davano fastidio le restrizioni a cui lo aveva
sottoposto il medico e quel senso di spossatezza che gli aveva lasciato
la malattia. L’unica cosa buona era che, invece di una
vecchia suora arcigna con l’animo freddo come il suo corpo,
avevano lasciato che fosse Peter ad occuparsi personalmente di lui.
Lo
scricchiolare di alcuni passi sul selciato di ghiaia attrassero la sua
attenzione, si volse e scorse l’imponente figura di Gustav
Lammer avanzare a fatica verso di loro, l’andatura
claudicante sostenuta da un bastone. Hans corrugò la fronte:
tre giorni dopo la sua partenza dal fronte, Lammer era stato ferito
gravemente al polpaccio destro ed il medico di campo aveva ordinato il
suo rientro. Era arrivato al castello poco dopo di loro. A causa della
guerra contro l’orda Mongola, Malbork si era quasi
completamente svuotato, oltre i feriti erano rimasti solo i pochi
Cavalieri che avrebbero garantito la difesa del castello. Le stanze che
fino a pochi mesi prima erano abitate dai loro confratelli, ora erano
solo una serie di ambienti desolati e freddi, immersi nel
più completo silenzio. Com’era possibile che
Lammer riuscisse a scovare lui e Peter ovunque fossero in quella vuota
immensità? La stessa storia della ferita non convinceva il
Cavaliere: un uomo ferito al polpaccio poteva andarsene continuamente a
zonzo con quell’espressione serena? Poteva non sentire il
dolore fino al punto di sostenere quell’andatura troppo
veloce? E l’essersi ferito appena dopo che il generale
Böll aveva comunicato alle truppe il loro rientro al
castello...
…
Una coincidenza, oppure…?
Con
un sorriso fin troppo amichevole Gustav Lammer si trascinò
fino alla panca dov’era seduto.
-
Dio sia lodato!- salutò l’altro Cavaliere
lasciandosi cadere di peso sullo scanno.
Sospirò
di sollievo prima di spostare la gamba davanti a sé,
poggiandola sul bastone, con una straordinaria abilità per
un uomo ferito in quel modo.
-
Sempre sia lodato.- rispose Hans brusco osservandolo guardingo di
sottecchi.
Gustav
Lammer ridacchiò stranamente ilare mentre scuoteva la testa.
-
Ma come fai ad essere sempre di pessimo umore fratello? Come fai con
tutte le bellezze che Dio ha creato e ci ha donato?- chiese
ridacchiando e facendo scorrere uno strano sguardo sulla piazza
d’armi, fermandosi un attimo di troppo sulla figura di Peter.
Un
cupo borbottio indistinto fu la risposta di Hans. Lammer lo aveva
sempre fissato dall’alto della sua posizione sociale come se
fosse stato un rifiuto, un qualcosa di vergognoso che insudiciava
l’elite di quell’ordine monastico e di cui
bisognava sbarazzarsi immediatamente. Non gli aveva mai rivolto la
parola, se non per fare allusioni alla condotta poco etica di sua madre
ed al suo stato di figlio bastardo. Gli aveva sempre rivolto occhiate
sprezzanti e disgustate. Per questo non riusciva a capire quel
comportamento improvvisamente confidenziale, quel modo di parargli e
sorridergli come se fossero amici da sempre.
Per
un istante venne sfiorato dall’idea che l’altro
volesse metterlo a suo agio, fargli sentire che andava tutto bene, che
tra loro era tutto cambiato…
…
che l’altro volesse fargli abbassare la guardia…
-
Si è comportato meglio di quanto ci aspettassimo.- la voce
di Gustav Lammer, che pacatamente stava facendo quella considerazione,
lo strappò ai suoi pensieri.
Hans
sollevò lo sguardo, seguendo quello dell’altro, e
notò con un certo fastidio che stava riferendosi a Peter. La
sua risposta fu un borbottio indistinto. L’altro Cavaliere
riportò lo sguardo su di lui, scrutandolo con quei gelidi
occhi acquamarina, che nella luce del tramonto si erano tinti di
riflessi insanguinati.
-
Hai fatto davvero un buon lavoro! – disse con un sorriso
tanto ampio quanto falso – E’ la prima volta che ti
abbiamo visto relazionarti con qualcuno!- rise.
Un
brivido serpeggiò lungo la schiena di Hans, lo stesso
brivido che gli urlava che il pericolo era imminente. C’era
qualcosa in quelle parole, dette così semplicemente, che lo
turbarono a fondo. Sembravano le stesse parole che può dire
un vecchio amico durante una conversazione, ma suonavano stonate su
quelle labbra, sotto quegli occhi, come se intendessero
qualcos’altro.
Per
non tradire la sua preoccupazione, Hans si limitò a
guardarlo con un sopracciglio inarcato. Un ghigno strano, ambiguo,
schiuse le labbra dell’altro.
-
Con il caratteraccio che ti ritrovi abbiamo tutti scommesso che sarebbe
scappato a gambe levate nel giro di una settimana! – gli
confidò a bassa voce, trattenendo a stento una risata
– Evidentemente ha trovato… qualcosa
d’interessante anche in te!- aggiunse poi, dopo una breve
pausa, scrutandolo a fondo.
Gustav
Lammer lo fissava in attesa che le sue parole cogliessero nel segno,
cercando una variazione d’espressione, qualsiasi cosa che gli
indicasse di aver fatto breccia nella difesa dell’altro.
Invece il Cavaliere continuava a fissarlo sospettoso, con quel suo
sguardo di ghiaccio che pareva inattaccabile. Eppure anche la piega
dura ed inespressiva di quelle labbra poteva indicare qualcosa.
-
Hans!- la voce argentina di Peter interruppe quella piccola guerra di
sguardi.
I
due Cavalieri si voltarono nella direzione da cui era giunta la voce, e
lo stupore cancellò ogni pensiero dalla loro mente,
concentrando le loro menti solo su quello che stavano vedendo. Peter
era una visione eterea e devastante. Correva verso di loro elegante e
leggero, la luce del sole alle sue spalle animava la sua pelle lattea,
lucente di sudore, di centinaia di scintille ambrate; mentre i capelli
biondi ondeggiavano come oro fuso attorno alla testa. Lo scollo della
casacca, troppo ampia per il suo fisico esile, gli era scivolata
languidamente sul braccio, lasciando alla vista la forma delicata del
suo collo e della sua spalla. Con un movimento aggraziato Peter si
fermò davanti a loro, le labbra stese in un morbido sorriso
che pareva illuminargli tutto il volto. Gli occhi cobalto di Peter si
posarono sul maestro, rilucendo per un istante di una profonda dolcezza.
Gustav
Lammer si ritrovò a deglutire a vuoto, davanti
l’innocente sensualità che emanava quel ragazzo.
Come poteva condannare Hans se aveva ceduto a quell’angelo?
Aveva subito notato la delicata bellezza dell’apprendista, ma
quella era la prima volta che lo guardava davvero e
fu completamente soggiogato dal fascino che emanava. Si
ritrovò ad invidiare quell’uomo di oscura origine
che otteneva tutto quello che non gli spettava, a cui non aveva
diritto. Il suo corpo si contrasse per uno spasmo violento di
desiderio. Voleva quel ragazzo per sé. Una simile bellezza
poteva stare solo tra le braccia di un aristocratico com’era
lui, un uomo di sicura stirpe ed antica discendenza, non era certo
destinato a sciogliersi tra le braccia di un uomo di bassa lega come
Hans Bauer. Quei capelli d’oro e quella pelle
d’avorio erano un tesoro che spettava al più
illustre e potente tra i Cavalieri Teutonici; una simile gemma doveva
ornare solo lui, nessun altro! Il ragazzo divenne per Lammer solo un
altro motivo per eliminare definitivamente Hans. Poteva già
immaginare Peter steso tra le coltri vermiglie del suo palazzo, che lo
accoglieva con morbido languore tra le sue braccia.
Hans
sussultò impercettibilmente notando lo sguardo
dell’altro Cavaliere: era lo stesso sguardo affamato che
aveva indossato egli stesso nelle lunghe veglie notturne, durante le
quali cercava di resiste alla tentazione di assalire il suo allievo.
Un’ondata di gelida furia lo invase, facendogli vibrare ogni
muscolo. Non gli piaceva quello sguardo che Lammer stava facendo
scorrere su Peter. Sembrava che quelle iridi incendiate dal sole
morente e dal fuoco che quel moccioso aveva acceso in lui, potessero
infiltrarsi sotto i suoi vestiti, scivolare su quella pelle alabastrina
e penetrare fin dentro la sua anima. Nemmeno lui aveva mai avuto
l’impudenza di fissarlo in quel modo, nemmeno quando si
abbandonava alle sue carezze. Hans provò il desiderio
irrefrenabile di agguantare il suo allievo e di trascinarlo via di la,
portarlo nel chiuso della loro stanza e ripulirlo con i baci da quegli
sguardi impudichi.
-
Fratello Gustav!- lo salutò allora Peter con un sorriso di
cortesia.
Rabbrividì
quando, incrociando lo sguardo del cavaliere, riconobbe
l’espressione che animava quegli occhi. Aveva già
sentito su di sé uno sguardo simile ed un ondata di nausea
gli risalì lungo la gola andando a scontrarsi con i denti
serrati l’uno con l’altro. Si ritrasse appena,
disgustato dalla sensazione appiccicosa che gli trasmetteva
quell’uomo.
-
Maestro ho terminato gli esercizi!- lo informò con un tono
quasi supplichevole.
Voleva
andare via. Voleva stringersi al corpo solido del suo maestro,
ritrovarsi nell’unico posto al mondo capace di infondergli
tranquillità, spegnere l’angoscia che gli stava
invadendo il petto nella dolcezza dei baci.
In
quel momento il suono acuto della campana risuonò
nell’aria, infrangendone l’immobilità e
spezzando l’atmosfera strana che si era creata tra di loro.
Hans sollevò lo sguardo ad occidente, dove il sole era ormai
ridotta ad una chiazza sanguigna annegata nel mare indaco del cielo
della prima sera. La luce si era abbassata di molto rendendo tutti i
contorni sfumati, quasi onirici. Sospirò sentendo una
sensazione di calma ritornare a serpeggiare in lui.
-
Rientriamo: tra poco sarà ora di cena!- disse con un tono
secco mentre si alzava senza guardare nessuno.
-
Giusto! Giusto! Fratello Hans ha ragione moccioso! Non è
più tempo di giocare con le spade!- rise sguaiatamente il
Cavaliere.
Poggiandosi
pesantemente al bastone e storcendo la faccia in una smorfia dolorante,
Gustav Lammer si rimise faticosamente in piedi. Peter
sospirò sollevato e subito si diresse alla rastrelliera per
deporvi la spada che aveva usato per allenarsi. Lo sguardo di Gustav
Lammer seguì affamato ogni suo movimento ed Hans
avvertì distintamente il sangue accendersi
dall’ira.
I
due Cavalieri, seguiti ad alcuni passi di distanza da Peter,
rientrarono nel castello.
Avvolti
nei mantelli candidi per scacciare il gelo che gli era penetrato fin
dentro le ossa durante la compieta, Hans e Peter rientrarono nella loro
cella. L’essere ritornati dalla guerra li ricollocava sotto
la Legge dell’Ordine, obbligandoli a presenziare a tutte le
funzioni religiose per onorare Dio.
-
Ti cambio la fasciatura.- disse Peter liberandosi del mantello e
dirigendosi verso il tavolo dove erano ammassati i farmaci
prescrittigli dal medico.
Hans
rispose con un brontolio sordo, sedendosi poi sul suo letto e si
liberò del mantello e della casacca. Rabbrividì
per il cambio di temperatura. Con un paio di viaggi avanti ed indietro,
Peter portò tutto il necessario accanto al letto del suo
maestro, quindi si sedette sulla sponda accanto a lui. Ormai compiva
quell’operazione da alcune settimane ed era diventato
particolarmente abile. Con gesti sicuri disfò la fasciatura,
cercando di essere il più delicato possibile dove la stoffa
si era attaccata alla pelle che stava ricrescendo. Quindi prese un
panno di lino, lo immerse nell’acqua fresca e lo
passò sulla ferita per ripulirlo della pasta che vi aveva
steso quella mattina. Per un lungo istante Peter si soffermò
ad osservare le due labbra della ferita tenute rozzamente insieme da
quella che doveva essere nelle intenzioni del medico di campo una
sutura. Sollevò la mano, appena tremante, e passò
la punta delle dita su di essa, sentendo la ruvida consistenza del filo
nero contro la pelle. Era tutta colpa sua! Avrebbe dovuto esserci lui
al posto di Hans! Quel peso continuava a premere sulla sua coscienza,
strappandogli l’aria dai polmoni e stringendogli il cuore in
una morsa. Istintivamente spostò, in una languida carezza in
punta di dita, le mani sul petto del suo maestro ed abbassò
il capo fino a poggiare le labbra sulla ferita, cospargendola di tanti
piccoli baci leggeri, come per ringraziarlo di quello che aveva fatto
per lui.
A
quel gesto Hans inspirò bruscamente irrigidendo i muscoli
della schiena e delle braccia. Doveva allontanarlo da sé
prima di commettere qualcosa di irreparabile, lo sapeva, ma ugualmente
non ci riusciva.
Da
quando erano tornati al castello Peter gli aveva fatto capire
chiaramente che i baci e le carezze che si scambiavano nel segreto
della notte non gli bastavano più, che voleva arrivare fino
in fondo. Hans, con una forza di volontà che non sapeva
nemmeno lui di avere, lo aveva respinto ogni volta con ferma
gentilezza; ma onestamente non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a
resistere. Solo la paura di quello che avrebbero potuto fare al suo
allievo riusciva ancora a frenarlo.
-
P… Peter basta… - ansimò riaprendo gli
occhi – Smettila!- ringhiò in un ultimo disperato
tentativo di resistenza prendendolo per le spalle ed allontanandolo
bruscamente da sé.
-
Perché? – chiese contrariato il ragazzo
– Perché non mi vuoi?- .
Hans
lo fissò mordendosi le labbra. Lo voleva. Lo voleva
così disperatamente da sentirsi quasi sull’orlo
della pazzia. Ma non poteva! Non potevano concedersi quello che stava
chiedendo Peter! Baci e carezze erano facili da nascondere, ma se
qualcuno avesse scoperto una cosa simile…
…
Nessuno, neanche suo padre, avrebbe potuto salvarli dal rogo. Non gli
importava niente di lui, ma neanche da morto sarebbe mai riuscito a
sopportare l’idea di essere stato la causa della scomparsa di
quell’angelo.
Si
perse negli occhi di Peter, simili a mari sbattuti da venti di
tempesta, e seppe di aver già perso la sua
guerra… Ma ugualmente non volle rinunciare ad
un’ultima perorazione, a cercare di convincerlo della
bontà delle sue motivazioni. Quella volta i silenzi ed i
gesti non sarebbero bastati, avrebbe dovuto usare le parole che tanto
odiava.
Prese
il volto di Peter nei palmi delle sue mani e lo trascinò
verso il suo, fino a poggiarsi fronte contro fronte. Sospirò
pesantemente, chiudendo gli occhi e sentendo quell’odore di
neve e pino invadergli la bocca.
-
Non bestemmiare: ti voglio con una fame disperata.- la sua voce
risuonò bassa e roca, quasi un sussurro disperato.
-
Ed allora perché non vuoi?- insistette il suo allievo
aggrappandosi spasmodicamente alle sue mani così grandi da
coprirgli il volto dal mento alla testa.
-
La sola idea di te divorato dal fuoco di questo e dell’altro
mondo – deglutì a vuoto – mi
è insopportabile!- bisbigliò sulle sue labbra.
-
Ma non capisci? Io sono già dannato, che tu lo voglia o no!
Ti amo Hans! Basta questo a condannarmi! E se proprio devo finire
all’Inferno voglio andarci perché ti ho amato
completamente, con l’anima ed il corpo, non per qualcosa che
ho potuto solo desiderare!- .
Qualcosa
di sconosciuto vibrò violentemente nelle
profondità dell’anima di Hans a quelle parole. Era
una sensazione quasi dolorosa che gli serrò la gola in un
nodo.
-
Non sai quello che mi stai chiedendo…- esclamò a
denti stretti, cercando un’ultima via di fuga.
-
Davvero credi questo? Che io non sappia cosa voglia dire?- il tono
amaro nella voce di Peter attirò l’attenzione del
Cavaliere.
Hans
riaprì gli occhi scontrandosi con due polle
d’acqua cupa e ribollente di terrore, le labbra morbide e
rosse dell’altro erano ora ridotte ad una piega bianca e
dura, mentre il colorito di quel volto delicato era di un pallore
malato. Era la stessa espressione che aveva alterato il volto di Peter
la sera in cui era arrivato al castello quel Cavaliere per informarli
dell’invasione Mongola.
-
So cosa vuol dire essere desiderati da un’altra persona.
– continuò il ragazzo parlando a fatica tra i
denti – So cosa vuol dire avere le mani e le labbra di
un’altra persona sul proprio corpo. So cosa vuol dire essere
soggiogati con la forza!- .
Quell’ultima
frase colpì il Cavaliere come un pugno in pieno stomaco.
Rimase intontito per un lungo istante cercando di mandare
giù e digerire quella scoperta. Poi un miscuglio letale di
odio e furia gli incendiò l’anima facendogli
ribollire il sangue. Come Dio aveva potuto lasciare che qualcuno
facesse del male ad una simile creatura innocente e fragile? Come
poteva ancora esistere su questa Terra un essere che aveva sporcato
tanta divina perfezione? Provò l’impulso di
stanare all’istante quell’essere ed ucciderlo.
-
Chi è stato?- chiese con pacata furia.
-
M… mio padre…- esalò in un basso
sospiro.
Un
pugnale piantato al centro della sua schiena avrebbe fatto ad Hans
minor effetto. Come poteva un padre fare una cosa simile alla creatura
che aveva messo al mondo? Dove aveva trovato il coraggio per commettere
un simile turpe atto ai danni di un essere così etereo? Una
persona simile non aveva alcun diritto di continuare ad esistere!
-
Sono riusciti a fermarlo prima che arrivasse fino in fondo. –
precisò velocemente prima che potesse essergli chiesto
– Ha detto che è stata tutta colpa mia, che sono
un demone e che gli ho confuso il cervello per divorare la sua anima.- .
Hans
serrò i denti fino a farsi sanguinare le gengive, mentre
l’anima gli pulsava dolorosamente e la voglia di uccidere
quel verme gli ruggiva nelle vene. Peter tremava vistosamente contro di
lui. Gli liberò la testa dalla sua presa e gli
passò le braccia attorno alla schiena, attirandolo contro di
sé in un gesto goffo ed esitante, ma che racchiudeva una
profonda delicatezza. Il ragazzo gli passò le braccia
attorno al torace, premendo forte le dita sulle scapole
dell’uomo, poggiando la testa sul quella spalla nuda e forte,
nascondendo il volto contro il collo del suo maestro e
sospirò di sollievo e soddisfazione. Peter si strinse ad
Hans il più possibile, come se fosse in cerca di protezione,
e pian piano i fremiti del suo corpo si spensero. Hans
ricambiò timidamente l’abbraccio, sentendolo
infinitamente fragile tra le sue braccia muscolose.
-
Dimostrami… - iniziò a mormorare Peter muovendo
le labbra contro la pelle del suo collo – Dimostrami che
è un atto d’amore, che non
c’è nulla di turpe. Amami Hans!- lo
implorò sollevando la testa e fissandolo intensamente negli
occhi.
Hans
avvertì la sua anima infrangersi in mille frammenti
incandescenti, la sua volontà venire divorata dalla passione
che da troppo tempo cercava di tenere a freno. Chinò la
testa fino ad incontrare le labbra di Peter con le sue, per un bacio
denso e morbido.