Capitolo uno: Perdonami, ma
ti amo.
L’aveva
detto lui che era un suicidio, che avrebbero dovuto attendere i
rinforzi. Invece no! Danny non aveva voluto sentire ragioni: aveva
impugnato la pistola, era sgusciato fuori dal loro nascondiglio e si
era avvicinato alla baita. Anche lui era conscio che il ragazzino
rapito rischiava la vita ogni secondo che scorreva, che dovevano fare
qualcosa e non restare li con le mani in mano; ma sapeva anche che
affrontare una banda di rapitori alla cieca ed in due era un suicidio!
Poi era lui quello impulsivo che si buttava a capofitto in ogni
situazione senza calcolare i pericoli da affrontare, rischiando sempre
la vita! Scosse la testa: peccato che il cane da guardia avesse fiutato
la sua presenza ed iniziato ad abbaiare mandando in fumo il loro piano.
Prima ancora di riflettere sulla situazione in cui si erano cacciati,
in una manciata di secondi Martin aveva raggiunto Danny e lo aveva
afferrato per un polso e trascinandolo poi via, ignorando le sue
proteste, prima che i rapitori potessero organizzarsi e difendersi.
Ed ora si trovavano a correre nella boscaglia, con la neve alle
caviglie e la tormenta che occludeva la loro vista con un velo di
nevischio; l’unica nota positiva era che la neve cancellava
sistematicamente le loro tracce. Incespicavano continuamente, ormai
sfiniti dalla loro lotta impari con gli elementi naturali: dovevano
trovare un riparo altrimenti quella sarebbe stata davvero la fine per
loro. Non sapevano dove stessero andando, sapevano soltanto che
dovevano continuare ad andare avanti per salvare la propria vita.
Martin non aveva mai allentato la presa sul polso del compagno per
paura di perderlo. In quel momento non pensava a se stesso, ma era
concentrato solo su Danny, sul compito di salvarlo da
quell’inferno di vento e neve, e riportarlo a casa.
Riportarlo da Elena. Un pensiero amaro, che lo trapassò come
un proiettile, ma che non si impedì di formulare: amare
significava soprattutto lasciare che l’altro fosse felice, e
se Danny era felice con Elena e la sua bambina, allora anche lui lo
era. Doveva esserlo.
Solo pensieri buonisti di cui cercava di convincersi per non annegare
nella disperazione.
Un rumore soffocato e poi Martin si sentì trascinare verso
il basso, cercò di opporre resistenza, ma il peso di Danny
era troppo per lui. Per un istante fluttuò nel nulla, prima
di venire brutalmente sbattuto con la faccia contro la neve gelida e
ghiacciata. Lui e Danny rotolarono verso il basso per un tempo
infinito, sbattendo di tanto in tanto contro i tronchi nascosti degli
abeti. Quando finalmente si fermarono Martin sentiva tutto il corpo
dolorante, come se lo avesse investito un tir. Cercò di
guardarsi attorno, ma la bufera di neve nascondeva ogni cosa. Sapeva
della presenza di Danny accanto a sé solo perché
stringeva ancora la sua mano, si avvicinò al compagno
gattonando malamente nel mantello di neve, fino a che il suo volto si
delineò sfumato nella luce del crepuscolo e nel nevischio.
Con orrore scoprì che era svenuto. Con quelle temperature
doveva restare vigile altrimenti sarebbe potuto morire assiderato!
Iniziò a schiaffeggiarlo forte in volto per farlo rinvenire,
chiamando contemporaneamente il suo nome, ma le sue urla si perdevano
nel ruggito del vento.
Alla fine si arrese: non potevano restare li, sarebbero morti entrambi,
doveva trovare immediatamente un rifugio. Ma dove? In quel momento gli
sembrava di essere piombato in un mondo dove cielo e terra si
confondevano in un’unica distesa bianca, senza alcun confine.
Si morse le labbra: era la cosa più stupida a cui potesse
pensare, ma al momento non riusciva a vedere nessun’altra
alternativa.
Si liberò del pesante giaccone del FBI, avvolgendoci
completamente Danny ancora incosciente, per tenerlo al caldo, ed
iniziò a scavare con le mani un buco nello spesso mantello
candido che copriva il suolo. In un documentario aveva sentito che la
neve era un isolante, che manteneva il calore all’interno e
non lasciava penetrare quello esterno: era il momento di scoprire se
tutti quegli esperti dicessero stupidaggini oppure no.
Quando si fermò, credendo di aver scavato una
cavità che sembrava abbastanza grande per ospitare entrambi,
aveva le mani violacee e spaccate dal gelo, piccoli rivoli di sangue
rigavano la pelle tumefatta cadendo poi a macchiare il candore della
neve. Con le ultime energie che gli restavano, Martin riuscì
a trascinare di peso l’amico all’interno ed una
volta all’interno vide che la gamba destra di Denny era
girata in una posizione innaturale: durante la caduta doveva essersela
rotta. L’agente sospirò: ci mancava solo quella!
Prima del mattino successivo non avrebbe potuto uscire da li: con la
tormenta e la notte incipiente non sarebbe più riuscito a
trovare quel rifugio improvvisato. E poi, a dirla tutta, non gli andava
di lasciare Danny da solo, non in quelle condizioni. Gli mise una mano
sulla fronte e la trovò appena più calda del
naturale: gli stava salendo la febbre! Per fortuna aveva abbastanza
ghiaccio per gli impacchi, pensò con amara ironia.
Danny tremava per il freddo e respirava affannosamente, Martin sapeva
che in quel caso c’era una sola cosa da fare, ma il solo
pensiero lo riempiva di terrore. Desiderava con tutto se stesso avere
un contatto simile con lui ed era proprio questo a spaventarlo: sarebbe
riuscito a resistere, oppure si sarebbe lasciato andare ed avrebbe
approfittato della situazione? Scosse la testa scacciando tutti quei
pensieri oziosi che gli affollavano la testa: erano in una situazione
così critica che non poteva davvero scendere a patti con se
stesso. Doveva pensare a Danny prima di tutto. Prese un respiro
profondo e si stese accanto a lui, passandogli un braccio sotto la
schiena se lo strinse contro. Fece scorrere lo sguardo sul volto
insolitamente pallido di Danny, soffermandosi un istante di troppo su
quelle labbra sottili ed illividite. Si sentiva mortalmente stanco!
Stanco di quel rigido controllo che si imponeva quotidianamente per
resistergli. Stanco di camminare continuamente sul ciglio di un
burrone, costantemente diviso tra amore ed odio. Stanco di poterlo solo
guardare da lontano, divorato dalla gelosia e dal desiderio. Stanco di
doverlo dividere con Elena. Passò un dito tremante sulla
morbida carnosità delle labbra, sentendole tiepide e
screpolate dal vento gelido. Solo un bacio, non avrebbe chiesto niente
di più, avrebbe cercato di accontentarsi. Poggiò
la fronte contro quella di Danny, con gli occhi chiusi, respirando in
modo pesante e scoordinato, ancora combattuto tra quello che desiderava
fare e ciò che la sua coscienza gli vietava.
L’odore di menta di quella pelle brunita entrava dentro i
suoi polmoni ad ogni respiro, intossicandolo, infrangendo sempre
più la sua lucidità.
- Perdonami Danny, ma… ti amo!- mormorò sulle sue
labbra con la voce tremante di paura e disperazione.
Con un gesto rapido del capo annullò la distanza tra loro e
sfiorò le labbra dell’amico con un bacio leggero:
non voleva approfittare troppo della situazione. Si era messo
già troppo alla prova: non avrebbe retto ad un contatto
prolungato.
Danny si sentiva come se fluttuasse nel nulla, come se il suo corpo non
esistesse più, come se fosse cosciente e perso allo stesso
tempo. Si sentiva leggero. Si sentiva incapace di fare qualsiasi cosa,
come se quel torpore che gli stava invadendo gli arti ed il cervello,
lo stesse svuotando di ogni volontà. Si sentiva bene!
Non sapeva come fosse arrivato in quel luogo, non ricordava niente di
quello che era accaduto prima, come se fosse nato in quel momento, ma
non aveva paura: si sentiva in pace con se stesso e con il resto del
mondo, come se quel buio avesse il potere di rassicurarlo. Doveva
essere la stessa sensazione di quando si trovava nella pancia di sua
madre, quando era al sicuro in un luogo ugualmente umido e
buio…
Un morbido tepore lo stava avvolgendo invitante, sciogliendogli
piacevolmente il corpo. Ma la sua mente stava, intanto, registrando
quello che accadeva attorno a lui e la sua attenzione era stata
catturata da una voce lontana e sfumata, vagamente familiare, che stava
invocando disperatamente il suo nome. Era straziante ascoltare quella
voce che lo implorava di svegliarsi. Danny avrebbe voluto avere labbra
e voce per rassicurare chiunque fosse che stava bene, che non
c’era nulla da preoccuparsi. Quella voce era troppo dolce non
doveva essere alterata da tutto quel dolore.
Il calore attorno a lui aumentò all’improvviso ed
un odore intenso e sconosciuto aveva iniziato a solleticargli il naso;
una strana corrente tiepida gli carezzava ad intervalli irregolari il
volto. Era piacevole, dannatamente piacevole! Stava così
bene in quel momento, da desiderare di non voler mai lasciare quel
luogo.
Poi quella voce era tornata a farsi sentire, nostalgica come il rumore
della risacca sulla battigia, tremante di dolore e paura, di ansia.
- Perdonami Danny, ma… ti amo!- .
Ed un istante dopo dalle sue labbra era divampato un incendio
improvviso che aveva arroventato tutto il suo corpo, squassando la sua
anima, ed il buio attorno a lui era stato illuminato da una luce di un
candore abbacinante. Nessuno in tutta la sua vita si era mai rivolto a
lui con parole così colme d’amore e
d’affetto. Quelle parole erano così cariche di
sentimento da lasciarlo per un attimo senza fiato.
Chi era? Chi era quella persona che lo amava in quel modo?
Voleva saperlo. Non sapeva perché, ma voleva sapere chi era
quella persona…
Forse se avesse aperto gli occhi, avrebbe potuto vederla…
Concentrò ogni sua energia sulle palpebre, cercando di
sollevarle, ma sembravano essere state pietrificate tanto erano
pesanti. Ed allora provò e riprovò, fino a che
quel buio non venne tagliato da una lama di luce grigia…
La prima la cosa che Danny vide riaprendo gli occhi fu una parete
stranamente curva di un bianco lucido, come se alla vernice fossero
stati mescolati dei brillantini. Intontito sollevò a fatica
la mano toccando la parete e le dita affondarono nella sostanza
morbida, umida e fredda. Neve? Corrugò la fronte nel
tentativo di ricordare: rammentava la baita con i rapitori, la fuga con
Martin in mezzo alla bufera di neve e poi… il nulla! Era
come una grossa macchia d’inchiostro che oscurava tutto fino
a quel momento.
Solo quando tentò di muoversi si rese conto che qualcosa gli
stringeva i fianchi e premeva sul suo stomaco, impedendogli di
muoversi. Abbassò curioso lo sguardo e vide che erano mani
grandi dalle dita lunghe e sottili, ma forti, da uomo; mani piagate e
macchiate di sangue rappreso, di uno strano colore violaceo.
Corrugò la fronte ed, a fatica, cercò di capire
la situazione in cui si trovava: era sdraiato sul fianco, un paio di
braccia muscolose gli stringevano la vita ed un torace ampio era
premuto contro la sua schiena, un volto era poggiato contro il suo
collo.
Facendo il più piano possibile tentò di voltarsi,
ma un movimento scoordinato alla gamba destra lo fece sussultare e
guaire per il dolore. La persona stretta lui si rialzò di
scatto, fissandolo con un paio di iridi azzurre liquide di sonno e
preoccupazione.
- Danny! Tutto bene?- la voce di Martin lo raggiunse, perforando le
maglie del dolore che gli avevano artigliato la gola.
- La… la gamba…- ansimò pesantemente,
spostando lo sguardo su di lui.
Le mani di Martin cercarono di bloccare i suoi movimenti e di calmarlo:
se avesse continuato ad agitarsi in quel modo, il dolore sarebbe
aumentato.
- Hai una gamba rotta, Danny, calmati non è niente!-
cercò di rassicurarlo.
Danny, bloccato per le spalle dalle mani dell’amico,
iniziò a respirare profondamente, lentamente il dolore
iniziò a sfumare e, tra il velo di lacrime che gli aveva
involontariamente riempito gli occhi, Danny scorse il volto di Martin:
gonfio di sonno, tagliato dal gelo, gli occhi arrossati dal vento.
- Cos’è successo?- chiese cercando di distrarsi,
con un tono di voce così roco da far rabbrividire Martin.
- Mentre ieri stavamo fuggendo siamo incappati in una scarpata e siamo
caduti di sotto. È così che ti rotto la gamba.-
rispose cercando di ignorare le reazioni inopportune del suo corpo.
Danny annuì distrattamente, mentre prendeva respiri sempre
meno profondi.
- E questo cos’è?- chiese poi indicando con un
cenno della testa la parete di neve.
Martin arrossì: era certo che quando avesse raccontato anche
quella parte, Danny sarebbe scoppiato a ridere.
- Eri svenuto e non sapevo dove portarti, tutto era coperto dalla
bufera e non vedevo ad un palmo dal naso, quindi ho scavato una buca
nella neve, come una specie di igloo… hai presente?
Trattengono il calore.- spiegò imbarazzato.
Gli angoli della bocca dell’amico si tesero pericolosamente
verso l’alto.
- E non ridere! – gli intimò prima che potesse
parlare, distogliendo lo sguardo – Tu non saresti riuscito a
fare di meglio!- borbottò incrociando le braccia al petto.
In realtà Danny pensava che l’amico fosse stato
grande: pochi sarebbero riusciti a non farsi prendere dal panico in una
situazione simile ed a restare abbastanza lucidi da trovare una
soluzione per sopravvivere. Lui non credeva di saper fare altrettanto.
Osservò il suo profilo teso e stremato dell’amico,
la linea delle spalle rigida, ed uno strano, doloroso calore gli si
sciolse nel petto.
- Grazie.- sussurrò con un piccolo sorriso.
Martin si volse verso di lui e quando incrociò
l’espressione dolcemente divertita con cui Danny lo stava
guardando si sentì sul punto di cedere, di commettere
l’irreparabile. Tossicchiò imbarazzato cercando di
distogliere la mente da quei pensieri inopportuni.
- Vado a cercare qualcosa per steccarti la gamba, tu resta qui e cerca
di muoverti il meno possibile. Controllo anche se
c’è campo qui sotto.- e si volse per uscire.
Solo in quel momento Danny si rese conto che Martin indossava solamente
il maglione a dolcevita e che la sua giacca era stesa su di lui a mo di
coperta.
- La tua giacca!- lo fermò prima che uscisse.
- Ho il maglione non preoccuparti!- gli sorrise prima che il candore
della neve lo inghiottisse.
Aveva bisogno che quell’aria gelida e pulita gli schiarisse
il cervello e gli raffreddasse il sangue. Quella stretta vicinanza con
Danny lo stava uccidendo. Ogni volta che lo guardava o gli sorrideva
una stilettata gli si piantava con precisione chirurgica nel cuore.
Respirò ad ampie boccate sentendo i polmoni infilzati da
decine di aghi ghiacciati. Sollevò lo sguardo e vide
innalzarsi davanti a sé una ripida parete, non molto alta ma
ora ricoperta di neve ghiacciata, attorno a lui c’erano abeti
e pini con le chiome imbiancate. Aprì lo sportellino del
cellulare e vide che non c’era campo, la bufera di neve
doveva aver disattivato i ripetitori e le linee telefoniche erano
ancora isolate. Martin sospirò frustrato: erano bloccati li,
in mezzo al nulla! Era bloccato in mezzo al nulla con Danny!
Rabbrividì e sperò che Jake avesse già
attivato le squadre di ricerca e che fossero sulle loro tracce. Rimise
il cellulare in tasca ed iniziò a cercare un paio di rami
per la gamba di Danny. Non poteva permettersi di restare la fuori a
lungo: i rapitori probabilmente stavano ancora setacciando il bosco
alla loro ricerca. I rami erano umidi e difficili da spezzare senza
attrezzi, le sue mani martoriate urlavano di dolore ad ogni minimo
movimento, ma alla fine riuscì a conquistarne un paio
abbastanza lunghi e robusti.
Rientrò nel loro rifugio una manciata di minuti dopo, con il
volto e le mani intirizzite. Danny riaprì gli occhi,
sollevato di averlo di nuovo accanto a sé: aveva temuto a
saperlo li fuori al freddo e con il pericolo costante di finire nel
mirino dei loro inseguitori. Ora si sentiva rassicurato, tranquillo.
- Non c’è campo. Dobbiamo vedercela da soli e
sperare in Jake!- disse mentre portava le mani al bordo del maglione.
Con un movimento rapido lo sfilò insieme alla canottiera,
restando a torso nudo sotto lo sguardo perplesso dell’amico.
Danny fece scorrere gli occhi sui bicipiti allenati, sulle spalle ampie
e sul torso perfettamente delineato; vide la pelle incresparsi in
decine di brividi prima che indossasse nuovamente il maglione.
Avvertì le viscere contorcersi in uno spasmo a quella vista.
Martin passò più volte le mani sulle braccia per
riprendere calore, prima di dedicarsi all’amico che lo
fissava immobile, con uno strano sguardo negli occhi sgranati.
- Che c’è?- gli chiese sollevando un sopracciglio.
- Stavo godendomi il tuo spogliarello!- ghignò
l’altro, decidendo che era meglio buttarla sul ridere.
Ma neanche lui stesso si rese conto di quanto veritiere fossero quelle
parole. Martin aprì le labbra come per dire qualcosa, ma
alla fine rinunciò per il bene di entrambi, e scosse la
testa prima di afferrare la propria canottiera e farla a pezzi,
riducendola in lunghe strisce di stoffa.
- Cercherò di farti meno male possibile, ma tu stringi i
denti, ok?- gli disse prendendo i due rami.
Ottenuto l’assenso preoccupato dell’amico, Martin
gli prese delicatamente la gamba poggiando i rami ai due lati, passando
le strisce di stoffa attorno, stringendole ed annodandole in una
steccature rudimentale. Danny sibilava di dolore tra i denti serrati,
gocce di sudore gli imperlavano la fronte, aveva le palpebre serrate e
le mani strette a pugno contro il torace.
- Scusa, non volevo farti male!- disse Martin una volta terminata la
fasciatura.
Danny, la voce congelata in gola dal dolore, scosse la testa: non era
stata colpa sua! Quando fu nuovamente in grado di respirare
normalmente, sollevò le palpebre e vide l’amico
seduto accanto a lui che guardava la luce declinante al di la
dell’apertura, con le braccia strette attorno al corpo come
per trattenere il calore.
- Vieni qui!- disse senza nemmeno accorgersene, la voce ancora
arrochita.
- Come?- ribatté Martin sorpreso: forse aveva capito male.
- Vieni qui! Dai!- ripeté scostando, questa volta, il
cappotto che lo copriva in un chiaro invito.
La testa di Martin si svuotò completamente quando comprese
il senso di quelle parole: lo stava davvero invitando a stringersi a
lui sotto quel misero pezzo di stoffa? Deglutì a vuoto
incapace di fare qualsiasi altra cosa. Nella sue mente immagini
infuocate sfrecciarono incendiandogli il sangue, scosse la testa
scacciandole.
- Ti muovi o vuoi un invito scritto?- lo canzonò
l’altro agente.
- Vengo, vengo!- e Martin sperò che la sua voce risultasse
abbastanza ferma.
Si stese al fianco di Danny, il più lontano possibile,
coprendosi solo con un misero lembo del cappotto.
- Ti vergogni per caso?- gli chiese Danny a bruciapelo.
- No!- saltò Martin sentendosi punto nel vivo.
- Ed allora perché non ti avvicini?! Non mordo mica e,
davvero, sto gelando Martin!- sbottò esasperato indicando il
cappotto sospeso tra loro che lasciava entrare aria gelida.
Doveva comportarsi come al solito, come se fossero semplici amici, come
se lui non provasse nulla per l’altro. Doveva indossare
nuovamente la sua solita maschera per non destare sospetti. Con il
cuore che gli martellava nel petto, Martin si avvicinò fino
a poggiare la testa sulla spalla dell’altro, lasciando che il
cappotto li avvolgesse completamente. Tutto quello superava di molto le
sue più rosee aspettative: fino a due giorni prima, mai
avrebbe scommesso che si sarebbe ritrovato in una situazione simile.
Danny era piacevolmente caldo e quell’odore dolce che aveva
la sua pelle gli intorpidiva i sensi. Più i minuti
scorrevano, più Martin si rilassava, godendosi quel dono
inaspettato ed irripetibile, mentre gli spiegava a grandi linee quale
fosse la loro situazione.
- Domani andiamo via di qui!- decise per entrambi Danny.
Doveva pensare, cercare di concentrare la propria mente su qualcosa che
non fosse la propria pelle che bruciava a contatto con quella di
Martin, ed il suo odore deciso e sensuale dell’altro che gli
stava confondendo la mente.
- È fuori discussione: dove pensi di andare con quella
gamba?- ribatté l’altro agente.
- Hai intenzione di restare qui un mese intero? – chiese
l’altro sarcastico – Non possiamo restare qui
ancora per molto, prima o poi quei bastardi ci troveranno, ed allora
faremo la fine dei topi! E se non ci uccidono loro, lo farà
il freddo!- .
Martin non rispose, sapeva che l’altro aveva ragione ma era
troppo impegnato a godersi quel momento per preoccuparsi di altro.
Involontariamente spinse il volto contro l’incavo del collo
di Danny e subito si ritrasse, come se si fosse scottato.
- Ma tu hai la febbre!- esclamò allarmato mettendogli una
mano sulla fronte.
Bruciava. Bruciava così tanto da sembrare una stufa!
- Ecco perché mi sento così strano…-
constatò Danny in tono totalmente disinteressato, come se
fosse una cosa normale.
- Accidenti!- imprecò Martin tra i denti mentre si
allontanava da lui.
Prese quello che restava della sua canottiera, lo bagnò con
la neve gelida e lo pose sulla fronte dell’amico, che al
contatto sospirò in modo dannatamente sensuale. Ora Martin
ne era davvero convinto: dovevano andare via di li a qualsiasi costo,
prima che l’altro prendesse una polmonite, prima che fosse
troppo tardi.
Danny osservò lo sguardo colmo di furibonda preoccupazione
con cui l’altro lo stava fissando, senza capire il motivo di
tutta quell’ansia rivolta verso di lui.
Un pallido sole faceva capolino dal velo di nuvole che coprivano il
cielo, rivestendo ogni cosa di una luce lattea che feriva lo sguardo,
la neve aveva avvolto tutto in una inquietante coltre di silenzio.
Martin fece capolino dall’apertura e lanciò uno
sguardo attorno, quando fu sicuro che era tutto tranquillo
aiutò Danny ad uscire: un braccio attorno alle spalle
dell’altro e la gamba piegata per non toccare il terreno. Si
fermarono davanti la scarpata da cui erano precipitati.
- Ci conviene seguirla e cercare un punto più favorevole per
risalirla.- propose Martin.
Danny con la testa poggiata contro la guancia dell’amico,
rispose qualcosa di intellegibile. Quella notte all’addiaccio
aveva contribuito ad innalzargli la febbre ed ora si sentiva intontito
e senza forze, riusciva a malapena a restare aggrappato a Martin.
L’agente cominciò a trascinarsi, sostenendo tutto
il peso dell’amico e pregando il Cielo che gli desse la forza
per portarlo in salvo. Passò una mano attorno alla vita di
Danny per sorreggerlo meglio e stringerselo contro. La testa ciondolava
avanti ed indietro come quella di una bambola di pezza, gli occhi
socchiusi come se stesse per perdere conoscenza. Non poteva lasciare
che si addormentasse, doveva tenerlo desto in qualsiasi modo.
Parlò per un tempo infinito di tutto e di niente, anche se
gli rubava fiato ai polmoni e gli costava una fatica immane,
parlò per tenerlo sveglio, parlò
perché non lo lasciasse.
Il rumore di legno spezzato si diffuse all’improvviso nel
silenzio della boscaglia, infrangendolo. Martin non sapeva quanta
distanza avessero coperto fino a quel momento, quanto si fossero
allontanati dalla baita, sapeva soltanto che erano spacciati. Con le
poche energie che gli erano rimaste si caricò Danny sulle
spalle ed iniziò a correre, cercando una via di fuga per
portare l’amico in salvo. I muscoli iniziarono ben presto a
bruciare come se fossero immersi nell’acido da batteria, le
ossa sembravano sul punto di spezzarsi. Il cuore pulsava furibondo nel
petto ed i polmoni respiravano gas incandescenti. Si sentiva sul punto
di crollare. Durante quella folle corsa udì
l’abbaiare di cani sovrapporsi al respiro affannato dei loro
inseguitori: ecco come avevano fatto a trovarli! Martin
imprecò tra i denti aumentando, per quanto poteva, la
velocità. Lo sparo di un fucile gli aggredì
l’udito prima che la sua gamba sinistra cedesse sotto il suo
peso ed un dolore folle gli mordesse ogni centro nervoso.
Crollò nella neve fresca, di fianco, trascinando con se
anche il corpo febbricitante di Danny. Martin abbassò lo
sguardo e vide la stoffa dei suo pantaloni inzupparsi rapidamente di
sangue sulla coscia. Mentre i loro inseguitori si avvicinavano, si
trascinò pietosamente a terra, striando il candore della
neve di tracce cremisi, cercando di spostare Danny al riparo del tronco
di un abete. Frapponendosi, poi, fra lui e la morte. Quel calore contro
la schiena gli dava coraggio, quella forza che gli mancava per guardare
i loro rapitori in faccia, di attendere la morte a testa alta, senza
battere ciglio davanti il freddo metallico della canna della pistola
che gli era stata puntata sulla fronte. Martin non implorò
per avere salva la vita, rimase soltanto a fissarli impassibile.
Registrò chiaramente l’indice poggiato sul
grilletto fare pressione.
Lo sparo però non giunse dalla direzione giusta, ma da
qualche parte alla loro destra. Martin vide il corpo del criminale
cadere a peso morto senza un gemito, un gruppo di uomini armati vestiti
con mimetiche nere che circondarono gli altri rapitori, confondendogli
la vista ed urla che si infrangevano nella sua testa frastornandolo.
Una mano si poggiò sulla sua spalla attirando la sua
attenzione, si volse di scatto e vide Jake Malone chino su di lui, con
un’espressione preoccupata e sollevata insieme in volto, e la
pistola ancora in pugno. Erano salvi! Quella consapevolezza sciolse
tutta la tensione dentro di lui, i muscoli si rilassarono e le forze
defluirono via lasciandolo spossato, incapace di muoversi e di pensare.
- Come…?- .
Jake ghignò divertito mentre riponeva la pistola.
- Il GPS nei vostri cellulari.- spiegò trattenendo una
risata davanti l’espressione del sottoposto.
Il GPS! Come aveva fatto a non pensarci prima? Era così
semplice che gli veniva da ridere! Una risata isterica con cui
scacciare tutta la paura provata.
- Agente Fitzgerald potrebbe lasciare la mano dell’agente
Taylor? Dovremmo portarlo via.- la voce di un paramedico lo riscosse
dai suoi pensieri.
Solo in quel momento, vedendo le loro mani intrecciate, Martin si rese
conto di non aver mai lasciato Danny, di aver sempre mantenuto un
contatto con lui.