Note: Ammetto di essere decisamente emozionata a scrivere una fic su questo pairing perché è stata la mia sensei Akane a farmelo scoprire. Quando ho iniziato a navigare su questo sito due sono le coppie che mi hanno letteralmente folgorato: la prima è, ovviamente, quella formata da Gibbs e Tony di NCIS, l’altra è proprio questa, poi sono venute tutte le altre. Ho letteralmente divorato tutte le fic che Akane ha dedicato a questa coppia, innamorandomene sempre più. Infatti la mia sensei ha cercato di farmi interessare agli altri pairing di questa serie (Mac/Danny e Danny/Don) tutti validissimi e stupendi, ma nessuno è stato capace di catturarmi come la coppia Mac/Don. Non ho mai scritto niente su questa coppia e non so come sia nata questa fic, anche perché il contenuto è un po’… come dire… ‘particolare’ ecco! L’idea è nata un po’ per caso l’ho girata e rigirata molte volte chiedendomi se fosse il caso, ma alla fine non ho resistito ed eccomi qui! ^^
E’ ambientata alla fine della puntata 4x10, dopo la cattura di Mr. 3:33.
Dediche: Dedico questa fic alla mia sensei Akane: questa è la sorpresa di cui ti parlavo un po’ di tempo fa, spero che ti piaccia nonostante tutto e che non abbia combinato un disastro totale ^^’’’ Comunque è stata tutta un’idea di Mac, non mia! Si è messo a fare di testa sua senza consultarmi! >.<
Ringraziamenti. Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Adesso vi lascio alla lettura, baci Taila -____^


This love


La sua coscienza emerse lentamente quando qualcosa nel sogno che stava facendo si spezzò. Mac rimase immobile, steso di fianco e con gli occhi chiusi, cercando di riafferrare i fili sfilacciati del sonno che si stavano disperdendo nell’aria. Si sentiva mortalmente stanco eppure la sua coscienza si rifiutava i farsi imbrigliare nuovamente dall’oblio del sonno; se fosse dipeso da lui avrebbe dormito per una settimana di fila: ne aveva un disperato bisogno per riprendersi. Provò a muovere le gambe sotto le coperte e, in risposta, tutto il suo corpo iniziò a protestare indignato.
Sospirò e si voltò in posizione supina, facendo attenzione a stendere gli arti, trattenendo il respiro quando i crampi diventavano più acuti. Quella appena conclusasi era stata una giornata a dir poco infernale!
Tutto aveva ipotizzato, perfino gli scenari più ridicoli ed assurdi, quando aveva iniziato ad indagare su Mr. 3:33, tranne che un simile fantasma potesse riemergere dal suo passato appositamente per tormentarlo.
Aveva cercato di non pensare più a quella vecchia storia, di dimenticarla, di cancellarla dalla memoria; invece era rimasta sempre la, ai margini della sua mente, tormentandolo con la sua silenziosa presenza, guidando le sue azioni ed i suoi pensieri. Poteva quasi affermare che se svolgeva il lavoro di poliziotto della scientifica era anche colpa di quell’evento: aveva sempre cercato di riscattarsi, eliminare il senso di colpa, purificarsi in qualche modo, e quello era un modo per iniziare. Aveva cercato di convincere se stesso e gli atri che era ancora poco più di un bambino, che non avrebbe potuto fare molto in quell’occasione, che era stato normale essere preso dal panico. Ma il senso di colpa non svaniva, continuando a roderlo piano, lentamente, giorno dopo giorno.
Sollevò a fatica le palpebre gonfie di sonno arretrato e fissò il proprio sguardo sul soffitto che riluceva perlaceo nella debole luce che filtrava dalla finestra.
Ancora non credeva che quel bambino biondo che ricordava vagamente avesse potuto mettere a punto un simile, cervellotico piano, perseguitandolo e togliendogli il sonno, avvicinandosi a lui talmente tanto da catturarlo. Quella notte, mentre scappavano, non si era reso conto della sua presenza fuori dalla porta, loro tutti avevano pensato soltanto a salvare la propria vita ed a non venire coinvolti.
Mac non riusciva ad immaginare cosa fosse stata la vita di quel ragazzino. Semplicemente doveva essere stata un inferno. Non visto aveva seguito i fratelli maggiori ed il loro amico che volevano giocare a fare i grandi, che si erano immischiati in un giro troppo grande per loro, che non avevano compreso completamente. Non avevano voluto portarlo con sé perché era soltanto un moccioso e lui li aveva seguiti comunque, per rubare un pezzo di quel loro segreto, vedere un mondo che credeva fantastico ed inavvicinabile. Perché da grande voleva essere come loro. Peccato che avesse rubato il segreto sbagliato, quello che nessun altro avrebbe dovuto sapere e che loro stessi avevano giurato solennemente di non rivangare mai più.
Li aveva seguiti ed era stato costretto ad assistere all’assassinio del proprio fratello. Impaurito quanto e più di loro aveva visto il proprio fratello, il proprio idolo, morire pestato a sangue da un piccolo, squallido spacciatore di periferia. Li aveva visti restare impalati a guardare, senza fare nulla per aiutarlo, non capendo quanto fossero spaventati anche loro.
Era stato facile scaricare la colpa su di lui. Su colui che la stampa newyorkese aveva osannato come un eroe coraggioso ed implacabile contro il crimine. Doveva essere stata quella molla che aveva fatto scattare nella sua testa l’istinto della vendetta.
Non si sentiva in colpa, questo no, ma quella storia gli aveva lasciando in bocca un brutto sapore. Sapeva di fallimento e di rimpianto. Era conscio che per le prossime settimane quella faccenda avrebbe continuato a tormentarlo con i suoi ‘se’ ed i suoi ‘ma’. Sapeva che avrebbe continuato a chiedersi se, nel caso non fosse stato così spaventato, avesse potuto vedere quel bambino nascosto dietro la porta, se avesse potuto fare ancora qualcosa per lui per trarlo fuori da quel baratro di odio in cui si era rinchiuso.
Oramai non avrebbe più potuto fare niente per lui, soltanto sperare che le sue ferite morali guarissero e liberassero almeno un po’ la sua anima dai fantasmi che lo assediavano. Poteva solo sperare che superasse in qualche modo quel giorno lontano e che si dimenticasse di lui, dell’eroe che aveva salvato New York, con tante macchie a sporcare il suo mantello candido.
Un fruscio di lenzuola scostate attrasse la sua attenzione. Girò la testa incontrando il viso rilassato dal sonno di Don. Almeno uno che riuscisse a dormire in quella casa c’era. Mac sorrise e si mise sul fianco sinistro per osservarlo meglio. Si era così preoccupato per lui in quei giorni da averlo seguito ovunque, sorvegliandolo discretamente perché non gli accadesse nulla. Si era persino assunto la colpa del suo rapimento.
Un piccolo sorriso sereno gli stirò le labbra ricordando come era apparso a Chicago, cogliendolo per una volta di sorpresa. Sentì nuovamente la sua voce chiamarlo all’improvviso. Di primo acchito aveva creduto che fosse solo un’illusione, una chimera partorita dalla sua mente. Era partito improvvisamente, senza avvertire nessuno, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse condurlo dal suo persecutore, e quando aveva trovato quel cadavere con scritto sul muro alle sue spalle ‘Codardo’ si era sentito improvvisamente solo. Per questo si era voltato lentamente, per dare a se stesso il tempo di prepararsi nel caso fosse stato uno scherzo della sua immaginazione. Rivide la sua figura alta e snella in piedi sul ponte a pochi passi da lui ed avvertì nuovamente quella sensazione di casa colmarlo. Aveva assaporato piano, prendendosi tutto il tempo che voleva, le delicate volute che disegnavano le corte ciocche dei suoi capelli sotto il sospiro gelido del vento, quel suo sorriso ironico e dolce insieme, ma sempre schietto che lo caratterizzava, e si era immerso alla fine nell’azzurro brillante dei suoi occhi che contrastava nettamente con il grigio cupo del cielo di quella mattina autunnale. Ridacchiò sottovoce, per non svegliarlo, ricordando la sua voce che gli spiegava che era li per portargli un messaggio di Sinclair, facendo quello sguardo peculiare che indossava quando voleva schernirsi o nascondergli che era preoccupato per lui.
Mac si era sentito immediatamente bene, come se fosse tornato a respirare dopo una lunga apnea. Ogni tassello era andato al posto giusto consentendogli di vedere nuovamente in modo chiaro e razionale. Con lui al proprio fianco si era sentito pronto ad affrontare qualsiasi cosa.
Aveva raccontato a Don di quell’unica macchia che lo infangava, tenendosi pronto a qualsiasi sua reazione, anche alla peggiore, invece il suo compagno lo aveva fissato con quei suoi occhi azzurrissimi, privi di qualsiasi ombra, e con un tono pacato gli aveva dato quell’assoluzione che cercava da tanto tempo. Aveva ascoltato i fatti senza giudicarlo, senza per una volta cercare vittime e colpevoli, guardandolo solo per quello che era, per la persona che era ora.
Quelle iridi azzurre lo avevano colpito fin dal primo guardo che aveva scambiato con quell’ispettore di polizia apparentemente troppo giovane per il ruolo che ricopriva, ma che si era subito scoperto in gamba, intelligente, un po’ folle, fedele alle regole di dipartimento ma ancor più alle proprie, coraggioso e leale come pochi. Mac sollevò la mano portando le dita ad accarezzare lievemente le palpebre del compagno ancora chiuse. Adorava il colore di quegli occhi: un azzurro carico, intenso, pulito, così brillante da poter essere scorto anche a distanza, simile a quello dolce di un cielo primaverile dopo essere stato spazzato da un temporale; l’azzurro di quegli occhi era così limpido che non poteva mentire.
Ancora una volta aveva avuto la conferma di quanto fosse importante quel loro amore. Quando era con lui si sentiva bene come non gli succedeva da tantissimo tempo, era come una forte sensazione di calma che soffocava tutti i suoi fantasmi. Con lui aveva trovato davvero quella pace che aveva così a lungo cercato. Don era il regalo migliore che la vita potesse concedergli.
Si era scoperto ad amarlo con un’intensità che non credeva possibile potesse mai provare. Tutto spariva al suo confronto. Non ricordava come era iniziata, sapeva soltanto che era li da tantissimo tempo, ben nascosto dentro di lui in attesa di essere scoperto. Forse era accaduto al loro primo incontro o forse, più semplicemente, era una naturale conseguenza di quella loro amicizia. Però ricordava bene la gelosia che lo aveva divorato improvvisa quando gli si affacciava alla mente il pensiero irrazionale che potesse essere tra le braccia di un’altra donna, era una corrente violenta ed incandescente che risaliva il suo corpo con la stessa potenza devastante di uno tsunami, artigliandogli violentemente la gola. Così come rammentava la corrente di benessere che lo avvolgeva ogni volta che incrociava l’azzurro dei suoi occhi.
C’era voluta una bomba per fargli comprendere l’origine di quei sentimenti. Dio, l’immagine del suo corpo dilaniato era impressa a fuoco nella sua mente ed era sicuro che non se ne sarebbe mai più andata via. Se si concentrava appena poteva risentire contro la pelle dei polpastrelli l’umido calore del suo sangue, la viscida consistenza del cuore che cercava di riattivare.
Aveva infilato le mani nel suo corpo, d’istinto, iniziando a pompare disperatamente il suo cuore, con la mente traboccante della consapevolezza di non volerlo perdere.
Riaprì gli occhi di scatto puntandoli su Don, come per accertarsi che fosse ancora li con lui. Vivo.
Uno sbadiglio gli risalì fino alle labbra, ricordandogli la propria stanchezza. Aveva urgentemente bisogno di dormire, altrimenti il giorno dopo sarebbe crollato.
Scostò le coperte e si rimise in piedi, cercando di non fare movimenti bruschi che avrebbero potuto svegliare Don, rabbrividendo, poi, per il cambio di temperatura.
L’odore rilassante della camomilla riempì l’aria quando, poco dopo, versò l’acqua calda sulla bustina nella tazza di ceramica. Osservò distrattamente tra i vapori l’alone giallo liberarsi dalla tela in eleganti volute prima di sciogliersi colorando l’acqua. Mac prese la tazza dal ripiano e la portò alle labbra bevendone un sorso: immediatamente il calore gli scivolò dolce lungo la gola fino ad esplodere nello stomaco, facendolo rabbrividire per contrasto.
Ritornò a letto, sedendosi con la schiena contro la testiera, per sorseggiare la bevanda avvolto nella penombra. Era una sua consolidata abitudine quella, alla quale non avrebbe saputo rinunciare: era rilassante. Ebbe appena il tempo di bere quasi metà della tazza, che una mano strisciò sul materasso tastando e cercandolo, prima di fermarsi sul suo braccio. Mac sorrise prima di voltarsi ed incrociare l’azzurro liquido di sonno delle iridi di Don. Prese la mano nella sua intrecciandone le dita.
- Scusa, non volevo svegliarti…- mormorò piano, con quel tono basso e seducente che sapeva piacesse molto al suo compagno.
- Non mi hai svegliato, non preoccuparti…- rispose Don con una voce roca di sonno.
Mac adorava ascoltare la voce di Don in quel modo, ogni volta produceva una scarica di brividi che gli sciabordava lungo la schiena elettrizzandolo.
Muovendosi piano Don si spostò dalla sua posizione fino a poggiare la testa sullo stomaco del compagno e stringergli la vita con le braccia. Mac lo osservò perplesso per una manciata di secondi prima di sorridere comprensivo. Tra loro i momenti di effusione erano tanti, più importanti ancora del sesso perché facevano sentire l’altro in qualche modo più vicino, ma mai prima di quel momento Don si era lasciato andare in quel modo, lasciando trapelare quanto bisogno avesse realmente di lui.
Gli passò la mano libera tra i capelli, sentendo le ciocche scivolare lisce tra le sue dita. Voleva fare qualcosa per lui, qualcosa per tranquillizzarlo, per dimostrargli che, anche se ancora una volta la Morte gli era passata vicino, troppo, vicino, era ancora li con lui. E ci sarebbe rimasto ancora a lungo.
Con la mano sinistra ridisegnò la linea della mandibola fino a portargli le dita sotto il mento ed a sollevarlo verso il proprio, contemporaneamente abbassò il volto per cercare le labbra dell’altro con le proprie. Gli erano mancate. Come tutto di lui in quel giorno da dimenticare. Per questo lo strinse maggiormente contro di sé, per soffocare quella stessa mancanza che nutriva anche lui, la paura di non avere un’altra opportunità per stare ancora con lui.
Lentamente, quasi senza rendersene conto, Mac scivolò con la schiena verso il basso, fino a trovarsi all’altezza dell’altro. Senza mai smettere di baciarlo, gli passò le braccia attorno alle spalle ampie, trascinandolo su di sé.
Ora che finalmente erano li, l’uno tra le braccia dell’altro, sentivano secco e sempre più prepotente il bisogno di trovarsi, di sentirsi, di sapersi finalmente insieme.
I vestiti scivolarono velocemente via dai loro corpi ed ogni centimetro di pelle scoperta veniva ricoperto da baci, rapide lappate e morsi. Le mani percorrevano quella pelle nota disegnando su di essa nuovi percorsi, arabeschi immaginari che increspavano le epidermidi di decine di brividi.
Don premeva le sua mani su Mac, cercandolo con ogni cellula del suo corpo, mentre continuava a ricercare la sua bocca con la propria, come se avesse bisogno di sentirlo completamente, con tutto se stesso per avere la prova che fosse davvero li con lui, reale, caldo e vivo.
Era sempre così. Ogni volta che Mac rischiava la vita la paura montava dentro di lui come l’onda di una marea, confondendolo. La paura di perderlo era una sensazione immensa, sconfinata, sempre al limite della sua anima, che minacciava di esplodere da un istante all’altro. Forse soltanto quel distintivo che portava riusciva a fargli mantenere il controllo impedendogli di precipitarsi da lui. E quando Mac ritornava da lui, guardandolo con quello sguardo vittorioso ma stanco, qualcosa di incandescente si scioglieva dentro di lui, lottando con la paura che ancora dilagava dentro di lui, straziandolo.
Anche quel giorno era andata così ed ora aveva un disperato bisogno di sentirlo, con tutto il corpo fino a che il resto del mondo non fosse sparito.
Si allontanò dalle labbra del compagno e, per la prima volta, Don notò che era completamente disteso su di lui. Mac gli stava accarezzando il collo e la nuca facendo scivolare le dita sulla pelle con piccoli movimenti circolari dei polpastrelli, fissandolo con quei suoi occhi azzurri calmi ed appena più lucidi del normale ed un piccolo sorriso sulle labbra. Bellissimo.
Così bello da divorare la ragione.
Don lo baciò ancora mentre le braccia di Mac si strinsero attorno alle sue spalle e le gambe gli circondarono i fianchi. Era stretto contro quel corpo solido e forte, ritrovandosi nell’unico luogo in cui avrebbe voluto essere.
I loro corpi ricominciarono a cercarsi, sentendo l’eccitazione sciogliersi nel sangue e raggiungere ogni cellula dei loro corpi. Le labbra di Don erano scese a baciare la gola del compagno, quando avvertì il bacino di Mac scivolare sulle lenzuola portandolo a contatto con il proprio in un invito inequivocabile. Sorpreso sollevò la testa per guardarlo negli occhi. Non poteva essere, sicuramente era stato un gesto involontario!
Ed invece Mac lo stava fissando deciso e pacato, fermamente consapevole della propria decisione, divertito dallo stupore che leggeva sul volto dell’altro.
Non c’era nulla di cui sorprendersi. Don gli apparteneva esattamente come gli apparteneva lui. Il loro era un rapporto alla pari dove ognuno dava e riceveva dall’altro. Era sempre stato lui a condurre i loro rapporti, ma quella notte aveva un sapore strano, c’era qualcosa di particolare che vibrava nell’aria. Non era stato solo Don ad avere paura quel giorno. Anche se non lo dimostrava apertamente, anche lui aveva avuto paura di morire e di non poterlo più rivedere. Ed ora avvertiva un profondo desiderio di averlo dentro di sé, per poter spegnere con il suo calore tutti i ricordi spiacevoli.
- Ne sei sicuro?- gli chiese la voce bassa ed incerta di Don.
Mac sorrise, portò le mani ai lati del suo volto e lo trascinò verso il proprio, cercando le sue labbra. La sua risposta fu un bacio lungo e lento, morbido, con il quale cercò di infrangere le ultime barriere di razionalità del compagno.
Don fece scivolare la mano sulla schiena del compagno per prepararlo, mettendo a sua disposizione tutta la propria esperienza per rendergli le cose più facili. Mac si rilassò sotto i tocchi delicati di quelle mani, il disagio lentamente stava mutando in piacere.
- Rilassati adesso!- gli sussurrò Don all’orecchio.
Da dove aveva tirato fuori una voce così zuccherosa, che scioglieva la ragione ed annullava ogni volontà? Sentendolo entrare nel proprio corpo, Mac lo tirò verso di sé per un altro bacio. Il dolore iniziò a serpeggiare come fuoco nelle sue viscere, facendogli digrignare i denti ed inarcare la testa all’indietro sul cuscino. Si impose di calmarsi e di respirare a fondo. Tra le spire incandescenti in cui si sentiva avvolto, percepiva le mani di Don accarezzarlo su tutto il corpo nel tentativo di calmarlo e le sue labbra baciargli il collo e le spalle per distrarlo.
Si concentrò su di lui, su Don, sul proprio compagno. Per lui lo aveva fatto, si era dato a lui con fiducia e naturalezza, sopportando quello stesso dolore. Mac avrebbe fatto altrettanto! Spostò la propria attenzione su tutte le piccole, piacevoli sensazioni che si trovavano al margine della sua coscienza, troppo deboli per superare quel dolore. Il lieve bruciore che lasciavano sulla sua pelle le labbra di Don, i piccoli brividi che sfrigolavano sulla propria epidermide al passaggio delle sue dita e delle sue mani, il calore dilagante nell’avere il suo corpo perfetto sul proprio e nel proprio, quel suo odore forte che inghiottiva ad ogni respiro e gli incendiava i polmoni.
Lentamente il dolore sfumò lasciando al proprio posto una scintilla di piacere che agguantò con entrambe le mani, facendo vibrare impazzito ogni suo senso, lasciandola crescere ed espandersi dentro di lui, fino a che non esplose avvolgendolo in un’accecante luce bianca.
Stretti l’uno all’altro sotto le coperte cercavano di ricordare come si facesse a respirare normalmente, la mente completamente concentrata sull’altro, le mani che scivolavano sulla pelle umida nel tentativo di placare il tremore dei loro corpi.
Appena fu in grado di articolare qualche parola, Mac chinò la testa fino a raggiungere l’orecchio dell’altro con la propria bocca.
- Ti amo!- un bisbiglio così basso da essere appena udibile.
Perché quella era una confessione privata che nessuno, al di fuori di Don, avrebbe dovuto udire, perché racchiudeva in sé tutto quell’ampio sentimento che provava per lui e che sembrava non avere alcun confine.
Perché quando si amava in un modo così totale ed assoluto, provando sensazioni simili che spazzano via ogni altra cosa lasciandolo cosciente solo dell’altro, non c’era spazio per nient’altro che per quel sentimento, per la persona amata. Tutto il resto passava in secondo piano.
Perché Don era tutto ciò che sentiva con la mente ed il corpo, era tutto ciò che lo possedeva fin nelle estreme profondità di se stesso, era tutto ciò che lo completava, l’unica persona che voleva accanto a sé.
- Ti amo anch’io Mac!- sospirò il compagno stringendosi maggiormente a lui.
Ed era tutto quello che voleva sentire in quel momento, la conclusione perfetta ad un momento altrettanto perfetto.