CAPITOLO
20
La
stanza in perfetto stile gotico come il resto dell’abitazione
e dell’intero giardino, era immersa nel silenzio. Un silenzio
graffiante e insostenibile per chiunque tranne che per lui, lui lo
amava quel silenzio così perfetto, così
assolutamente mortale.
Il
giovane uomo era in piedi e non proferiva parola. Stava lucidando con
meticolosità e cura fuori dal comune una delle tante armi
presenti nella stanza, aveva il volto in ombra, si vedeva di lui una
minima parte dal corpo posizionato davanti ad un grande armadio a muro
lavorato in legno semi aperto che conteneva tante boccette e scatole
con polverine dai mille colori.
Si
poteva vedere di quell’uomo solo le mani, una lucidava la
pistola nera con uno straccio, l’altra sosteneva con
esperienza l’arma priva di sicura inserita. Quella stessa
mano dove l’indice era coperto da un ditale in argento
appuntito con disegni in argento bianco.
Aveva
delle belle mani, curate con dita affusolate. Mani da pianista, da
artista. E quel ditale gli dava un aria così lugubre, solo
alla mano, che era un tocco di mistero delizioso.
Di
lui si vedevano anche le gambe avvolte in pantaloni di raso nero dai
riflessi color del fuoco. Gli scivolavano lisci e comodi sulle gambe
snelle e lunghe.
Si
potevano intravedere le braccia e la schiena avvolti da una camicia
senza maniche anch’essa di raso di un colore indistinguibile
ma scuro. Sulla pelle delle braccia abbastanza muscolose spuntavano avvolgendole
dei tatuaggi color rosso cupo, come quello del sangue che comincia ad
indurirsi sulla ferita. Erano tribali molto eleganti che si
attorcigliavano salendo sparendo sulle spalle e sulla schiena, coperte
dall’ombra e dalla camicia.
Immerso
nel suo silenzio e nel suo lavoro osservava con attenzione le boccette
di varia forma e colore davanti a lui.
Composti
chimici….semplici composti chimici, fra i più
svariati, composti con ogni sostanza da lui, cose talmente inutili per
chiunque potevano dare vita tramite le sue dita a mille e mille veleni.
Lui li collezionava tutti, non esisteva uno che non lo conoscesse e che
non l’avesse creato lui stesso. Sulla parete accanto si
potevano ammirare molte armi fra le quali spade di ogni tipo, pregiate
e letali lame affilate. Oltre a
quelle stavano armi da fuoco di ogni calibro e cilindrata.
Su
un'altra parete si estendeva una libreria, al suo angolo
c’era una porta chiusa. Nella libreria oltre ai libri
c’erano diverse statue e trofei. La parete restante era
coperta in tutta la lunghezza e larghezza da un enorme tendone nero di
velluto antico. Quella tenda era semiaperta e sotto faceva intravedere
un dipinto che si estendeva in tutta la parete sottostante. Un dipinto
dal quale non si capiva il soggetto e cosa vi fosse raffigurato. Solo
poche candele erano accese negli angoli della stanza buia.
Qualcuno
bussò alla porta ma fu ignorato, l’uomo sembrava
non aver nemmeno sentito. Non si mosse, non fece assolutamente nulla.
La
porta in legno lavorato in perfetto stile con l’armadio e il
resto dell’arredamento gotico si aprì facendo
entrare un giovane ragazzino, era uno dei servitori probabilmente.
Teneva in mano una lanterna anch’essa in stile antico come il
resto della casa a tre piani. Si avvicinò titubante
all’uomo che continuava a non accennare a nessuna reazione.
“Signore…Signor
Conte…”
Ancora
nulla, nessuna risposta, nessun accorgimento. Il ragazzo lo
affiancò e gli toccò la spalla
“Signor
Tarabas…”
Uno
scatto. Un movimento. Un brivido.
L’uomo
si era voltato solo con la testa…la lanterna fioca
illuminava il suo viso. Finalmente si poteva vedere. Eppure di tutto
quello che si
poteva ammirare in quel bel viso dai lineamenti semplici e
aristocratici dalla pelle pallida si veniva catturati, bloccati e
terrorizzati dallo sguardo minaccioso che non si potrebbe definire che
velenoso.
Aveva
sottili occhi arancioni dalle pupille molto ristrette. Non avevano
assunto un’ espressione particolare, erano rimasti invariati,
nemmeno il filo di un’ inclinazione…eppure uno che
veniva guardato da quegli occhi ne rimaneva paralizzato.
L’uomo
che corrispondeva al nome di Tarabas non aveva detto nulla.
“Signore…scusi
se la disturbo…è l’ora della
sauna…è pronta…inoltre è
arrivata questa lettera. Sua sorella l’aspetta di
là come sempre per farle compagnia durante la sua sauna
serale.”
Pregando
mentalmente che non lo toccasse con quel suo dito velenoso come aveva
fatto spesso in passato con gli altri camerieri, si chinò e
uscì velocemente dopo aver appoggiato la lettera chiusa su
uno scaffale dell’armadio aperto.
Tarabas
la prese con movimenti nobili e tranquilli. Non aveva fretta. Lui non
l’aveva mai.
Riconosceva
quella carta…all’apparenza poteva sembrare una
comune carta da lettere…ma lui e pochi altri la
riconoscevano.
Non
l’aprì. Depose la pistola nella tasca della
cintura che aveva alla vita, quella cintura possedeva anche un'altra
pistola e lo spazio per attaccare
tre delle sue spade.
Uscì
senza nessuna inclinazione o segno di turbamento, camminava in modo
slanciato e aristocratico.
Che
fosse veramente un conte?
Ciò
che girava sul suo conto in quella casa e fuori di essa era ben strano
e poco raccomandabile.
Costui
non era stato sempre lì…i vecchi conti avevano
avuto una figlia femmina e subito dopo nacque anche lui, dopo averlo
messo al mondo sparirono misteriosamente in seguito sparirono anche i
due figli con pochi anni di differenza. La casa fu affidata a dei
custodi che dopo anni si videro riapparire davanti la figlia maggiore
che riprese il controllo della casa diventando Contessa.
Altri
pochi anni tornò anche
il figlio, Tarabas, ereditando il titolo di Conte. Ma lui
era cambiato, non solo d’aspetto, anche i modi di fare, ogni
cosa era strano in lui.
Sembrava
essere sordo e muto….ma in realtà nemmeno la
sorella, forse sapeva se era vero o se non parlava e se non calcolava
nessuno per chissà quale motivo.
Inoltre
tutti pensavano fosse allergico alla luce del giorno e del sole, aveva
fatto murare tutte le finestre e al posto di essere aveva ricoperto la
casa di dipinti sul muro che venivano tutti coperti da tendoni neri di
velluto. Anche lo stile era mutato…da rinascimentale a
gotico.
E
tutti conoscevano la sua mania. Lui collezionava cose fra le
più strane e pericolose. Veleni che lui stesso fabbricava,
armi e spade che lui usava magistralmente e senza una piega, e
scorpioni.
Collezionava
scorpioni morti o vivi non aveva importanza, li teneva in uno
scantinato chiuso ermeticamente in modo che non potessero scappare, le
chiavi le possedeva solo lui.
Aveva
un sacco di usanze strane. Non era più uscito di casa da
quando era tornato e aveva fatto togliere la luce elettrica. Si usavano
candele e lanterne. E ogni sera alla stessa ora prima del pasto faceva
una sauna accompagnato dalla sorella.
Il
loro rapporto era molto strano e ambiguo come loro stessi. Si
vociferava di tutto, ma nessuno aveva coraggio di andarsene o dire
qualcosa. Avevano visto il Conte uccidere camerieri e gente che veniva
da fuori, che l’avevano infastidito, col solo suo tocco.
Ecco
la cosa più spaventosa di
quell’essere…il suo sangue, nelle sue vene cosa
scorreva?
Qualunque
cosa fosse poteva venir trasmessa tramite l’unghia appuntita
e rossa del suo indice sinistro, lo stesso che teneva coperto col
ditale in argento lavorato.
Veleno…l’unica
cosa che potesse uccidere in quel modo.
Ma
come era possibile?
Era
anche curioso il fatto che gli scorpioni stessi sembravano amarlo e
adorarlo…anzi, ne avevano paura.
Si
supponeva molto su di lui. Non aveva mai parlato, ma riusciva lo stesso
a comunicare…come se parlasse mentalmente con la sorella.
Lui lo capiva.
Ma
in realtà non si sapeva nulla…solo la certezza
che lui fosse quel piccolo conte sparito a pochi anni assieme alla
sorella.
Tarabas
dagli occhi arancioni velenosi e spaventosi come ogni fibra del suo
essere entrò nella sala antecedente alla sauna.
Si
muoveva molto bene alla penombra delle candele e delle torce e lumini.
Cominciò a spogliarsi rivelando il suo fisico asciutto,
snello dai muscoli atletici ma non esagerati. Anche il corpo era
nobiliare, indubbiamente.
La
sua schiena presentava il resto del tatuaggio che si estendeva alle
spalle e braccia finendo sul busto per avanti, quindi sul torace e
sull’addome. Il centro di quei tribali rosso sangue su quella
pelle delicata e pallidissima era uno scorpione sulla schiena. Da esso
si diramavano gli altri tribali che percorrevano il corpo arrivando
anche sul collo e su metà viso. Quella che prima era in
ombra. Faceva parecchia impressione ma aveva il suo fascino.
I
capelli erano corti un po’ spettinati
neri con ciocche dello stesso colore degli occhi.
Una
volta nudo si attorcigliò intorno alla vita un asciugamano
rosso ed entrò nella sala della sauna.
Una
voce suadente lo accolse.
Era
femminile con un fondo di allegria…come potesse mantenere
sempre quel tono non lo capiva mai nessuno.
“Sei
arrivato, fratellino…vieni, ti
aspettavo…”
Entrò
con la busta che senza dir nulla, come sempre,
aprì…ma era strano, perché dalla sua
espressione non stupita era come se se lo aspettasse da un giorno
all’altro.
Conteneva
una piuma alata…
Nadar
inarcò un sopracciglio a quell'affermazione.
"Come interpreti questa visione?" domandò accarezzandosi il
mento con un dito.
Il Corvo sospirò.
"Non saprei...in teoria è solo un sogno...non mi era mai
capitato. Ma potrebbe essere una premonizione...credo che sia meglio se
ne parlo a Bea!"
Il Leone annuì a quella sua decisione. Poi il suo sguardo si
fermò sui fascicoli in cui c'era tutta la loro vera storia,
sospirando.
"Dovremo mettere tutti al corrente di queste scoperte..." fu
più un suo pensiero detto a voce alta che un'affermazione
"...se ne parlerà domani mattina presto!" decise alzando lo
sguardo d'ambra "Ora vai pure a riposarti Judas..."
Il giovane annuì, anche se era convinto che avrebbe passato
un'ennesima notte insonne. Lasciò lì il suo
fascicolo anche se si rodeva dal desiderio di poterlo leggere per filo
e per segno in quello stesso istante. Decise infine di aspettare di
poterlo fare insieme a tutti i suoi compagni.
Lasciò lo studio e i due membri della Triade alle loro
discussioni e si avviò alla sua camera.
Da quel poco che era riuscito a carpire, su quei fogli c'era tutta la
sua storia, per filo e per segno. Dalla sua nascita alla sua crescita,
c'era persino riportata la sua storia con Ester.
Ma in quell'attimo che aveva avuto tra le mani quel fascicolo, la prima
frase gli aveva trafitto il cuore come una freccia.
...Judas Himael...
...nato a Gerusalemme
(Israele)…
...il 09/06/81...
...trasferito a Fallen
(città sperimentale) il 06/08/81...
...padre: Ibrahim
Himael, umano...
...madre: Lianna Bright,
prototipo AI, esemplare: Corvo, note: imperfetto. Morta per rigetto
enzimatico...
...rigetto enzimatico...?
Cosa voleva dire?
Non riusciva a capire.
Ma era nervoso...e aveva delle domande da porre...e sapeva anche a
chi....
Entrò nella sua camera avvolta dall'oscurità
notturna affievolita solo dalla luna brillante nel cielo.
Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse alla finestra dalle ante
aperte.
La brezza smosse i suoi capelli, mentre poggiò le mani sul
davanzale.
Una mano...
Una mano...dal tocco gelido si posò sulla sua spalla...
"Perchè non me l'hai detto?" domandò senza
nemmeno voltarsi, con un tono freddo e carico di rancore. Una
sensazione che aveva provato solo una volta in tutta la sua vita.
La mano si ritrasse leggera.
"Perchè non mi hai detto...cosa eri...e cosa sono?"
Si voltò di scatto ad osservare quella presenza avvolta da
uno strano bagliore bluastro, che non emanava nessun calore.
La figura stringeva la mani al petto e non aveva il coraggio di alzare
lo sguardo verso di lui.
"Chi sei...mamma? E chi o cosa diavolo sono io?".
La donna continuava a mantenere un rigoroso silenzio alle sue domande.
Il capo chino dai lunghi e liscissimi capelli neri.
Identici ai suoi.
Così come gli occhi.
Quei due elementi che li consacravano madre e figlio.
-Perdonami...-
Mormorò.
Judas alzò le braccia al cielo in uno scatto d'ira.
"Perdono..." ripetè con disprezzo "...se davvero vuoi farti
perdonare vedi di raccontarmi tutta la verità! TUTTA!" il
colpo sordo del suo pugno sbattuto sul tavolino presente nella stanza
la fece sobbalzare.
Poi sospirò e si preparò alle dovute spiegazioni.
-Noi siamo un
progetto...di ingegneria genetica...chiamato Animal Istinct...o
più semplicemente...AI...-
"Come funziona?"
-Venivamo scelti tra
numerosi volontari, arruolati nell'esercito. Si trattava di un
esperimento governativo, una nuova arma di difesa dagli attentati. La
creazione di un esercito speciale fatto di uomini il cui patrimonio
genetico veniva combinato con quello di alcune specie animali.-
"Tsk..." esclamò stizzito "...cavie da laboratorio...va
bene...va molto, molto bene..."
la donna continuò -...Però...non per tutti
l'esperimento andò a buon fine...l'inserimento degli enzimi
nel mio organismo stava apportando la sua corretta mutazione, ma
qualcosa ad un certo punto cominciò ad andare storto. Tu non
eri ancora nato quando cominciò il mio rigetto...e credevo
che sarei morta prima di poterti dare alla luce, ma per fortuna la
gravidanza andò a buon fine e tu nascesti perfettamente
sano..."
Una risata carica di ironia sfuggì al controllo del Corvo
"Ahahah...certo...sanissimo come no...ti pare che io sia sano??
Io...vedo morte ovunque vada...anime che mi stanno intorno, non mi
fanno dormire...e quelle poche volte che chiudo gli occhi non ho altro
che incubi! Isolato, odiato, temuto...sono sempre stato da solo
perchè nessuno mi voleva intorno...bella vita non ti pare? E
adesso....vengo a sapere che ho anche un fratello!!" e si sedette
pesantemente sul davanzale affondando la testa nella mano.
La donna sospirò.
-Angel...non
è tuo fratello...-
Quell'affermazione gli fece alzare lo sguardo di scatto ad incontrare
quello di sua madre.
-Lui...è un
tuo clone...Il direttore dell'ingegneria Labotech, che effettuava gli
esperimenti, rimase molto colpito dai successi ottenuti da AI e decise
di dar vita ad un nuovo e più folle progetto. Il progetto
IBRIDO...voleva creare creature mitologiche...dotati di poteri
straordinari...ed i tuoi erano perfettamente adatti a quello che poi
venne chiamato Angel...dalle tue cellule, conservate in laboratorio,
come quelle dei tuoi compagni, ne vennero prelevate alcune e poi
leggermente modificate per far ottenere a quel giovane le ali ed il suo
aspetto attuale...-
Judas non aveva più parole ormai, e per quella sera aveva
sentito abbastanza. Avrebbe riportato tutto alla riunione di domani.
"E tu...sapevi tutto questo e per anni non mi hai mai detto niente..."
scosse la testa "...io non so più chi sei...di sicuro non
quella che credevo..."
-Ma...Judas...piccolo
mio...-
"BASTA!!" gridò carico d'odio "Basta...non ho voglia di
sentire nient'altro..." si passò le mani sul viso "...domani
tu verrai con me alla riunione di Lion-ho...e darai tutte le
spiegazioni...".
L'immagine annuì e lentamente scomparve, lasciando il
giovane ai suoi pensieri e al suo terribile rancore.
Prese uno dei vasi decorativi. Lo osservò. Avrebbe voluto
scagliarlo contro qualche cosa, ma cercava di mantenere il controllo di
sè...lo stringeva...mentre sentiva ancora l'amaro in bocca
che avevano lasciato i racconti di sua madre...odio...profondo...come
non aveva mai provato, nemmeno per Ester...e fu in quel momento...che
il vaso gli esplose tra le mani.
Dalla violenza venne scaraventato contro la parete opposta.
Scosse la testa e non riusciva ad alzarsi.
Si sentiva incredibilmente debole...osservò le sue
mani...erano roventi...poi, piano piano il rossore scomparve.
Poggiò la testa al muro.
"Che cosa diavolo...sono...?" mormorò, mentre una lacrima
prese a scendere dai suoi oscuri occhi fatti di tenebra.
Jericho
sedeva in una delle poltrone della camera da letto della Vedova.
Una elegante tazza era ricolma di tè fumante.
La donna si muoveva per l'ambiente.
"Non dovevi disturbarti Jericho, sono sicura che per stasera non mi
daranno più fastidio...avevano l'occasione di uccidermi...ma
non l'hanno fatto!"
Il killer fece spallucce "Non si sa mai..." disse solo e
cominciò a sorseggiare la bevanda calda.
Era pensieroso.
Da quando era finita la riunione e si erano ritirati aveva la testa
altrove.
"Cosa ti preoccupa?" domandò all'improvviso Bea, sedendosi
di fronte a lui.
L'uomo assunse un'aria sorpresa.
"Sono cieca è vero...ma certe cose le vedo benissimo!" disse
sorridendo, facendo arrossire l'uomo che tossicchiò.
"Mah..." disse solo "...c'è qualcosa che mi sfugge..."
"Cosa?" e bevve un sorso dalla sua tazza.
"E' da prima della riunione che stiamo facendo controllare l'intera
villa...ed io ho personalmente perquisito la tua stanza..."
"Ebbene...? Trovato qualcosa di interessante?"
Lui sospirò contrariato.
"Niente! Niente di niente!! E la cosa mi insospettisce! Come fanno a
sorvegliarci se non ci sono telecamere e microspie??"
Bea sorrise "Magari hanno anche loro un veggente..."
"Si, probabile...però non ne sono sicuro..." e si
passò una mano sul mento pensieroso "...ne ho parlato anche
con il rospetto, magari lui conosceva qualche strumentazione
particolare a noi sconosciuta...ma nemmeno lui ha trovato nulla...non
ci sono telecamere qui!"
"E allora perchè ti preoccupi..."
Lo Squalo alzò gli occhi al cielo.
Certe volte la calma di Bea lo sapeva mandare davvero fuori dai
gangheri.
"Sei sempre così serafica tu?" disse bevendo il suo di
tè "Hanno cercato di farti la pelle e sembra che la cosa non
ti tocchi minimamente..."
"Forse perchè sono abituata a pensare che un giorno
toccherà a tutti..."
"Adesso mi sembri Judas..." affermò con un sorriso.
Fece per posare la tazzina sul tavolino, ma si fermò
sospendendola a mezz'aria.
La Vedova si riscosse.
"Cosa c'è..?" domandò.
C'era qualcuno nella stanza con loro e checchè ne dicessero
le perquisizioni, in questo momento erano spiati!.
Con il suo senso infallibile poggiò la tazzina sul tavolino
e rapidamente estrasse la Magnum, esplodendo un colpo in direzione
della libreria nella stanza di Bea.
Si sentì un gridolino acuto.
"L'avevo detto io!" esclamò alzandosi di scatto e
dirigendosi verso cui era provenuto il rumore.
Una strana cosa scattò tra i libri dirigendosi verso la
finestra da cui sarebbe poi riuscita a scappare, ma Jericho
l'agguantò prima che potesse fuggire.
"T'ho preso!" disse con il suo tono impassibile, mentre veniva
raggiunto dalla Vedova.
"Che cos'è?" domandò la donna e lo Squalo
aprì lentamente la mano.
Uno piccolissimo e minuto esserino stava raggomitolato sul suo palmo.
Aveva delle trasprentissime e sottilissime ali. La pelle verdastra
emetteva un'intenso bagliore ed indossava degli abiti dello stesso
colore verdognolo.
"Ma dico sei scemo!!!" gli ringhiò la figura osservandolo
irritata "Per poco non mi fai la pelle con quella tua
stramaledettissima pistola!!"
Per la prima volta nella sua vita, Jericho, sbattè le
palpebre non credendo ai suoi occhi.
"Una fatina...?" disse inarcando un sopracciglio.
"Tsk! Che ignorante!! Ti pare che adesso esistano anche le fate???Sono
una Lucciola tesoro!" e detto questo di mise in piedi portandosi le
mani ai fianchi.
Aveva i capelli verdi e lunghi e due occhi molto grandi di colore scuro.
"Lucciola...?" fece eco il killer
"Si! Non vedi come sbrilluccico?? Cosa credevi che fossi?? Una
lampadina??"
"Ehi! Senti un po' moscerino! Cerca di non farmi arrabbiare ok?" la
rimproverò con il solito tono duro.
Lei storse il naso, guardando altrove.
Aveva una piccola telecamera appesa al collo.
"Ah! Ecco come facevano!" esclamò avvicinando le dita
all'oggetto, ma la creatura si ritrasse inorridita.
"Porco!! Non permetterti di toccarmi maniaco!!!"
E fece per scappare di nuovo, ma lo Squalo non era un tipo che si
lasciava sorprendere e la riafferrò prima che potesse
dileguarsi.
"Eh no!" e la mise sotto un bicchiere di vetro trasparente "Tu non ti
muovi piccola!"
La Vedova sorrise "Non trovi che sia graziosa?" disse, poi rivolta alla
creatura "Come ti chiami cara?"
"Lilienne!" disse sedendosi a mo' di indiano
"E sei la spia che ci osserva!" concluse Jericho.
"Io mi occupo solo della Vedova, grand’uomo!"
"Ah! Vuol dire che ce ne sono altri come te?!"
"Non te lo dico! Parlo solo in presenza del mio avvocato!"
"COSA????MA TU GUARDA SE...!!!"
Bea lo calmò toccandogli un braccio.
"Dai non arrabbiarti!" disse sorridendo "In fondo non ha fatto nulla di
male..."
"Ma...ma...." cercò di replicare, ma con la Vedova non si
poteva controbattere ed incrociò le braccia azzittendosi.
"Per chi lavori Lilienne?" chiese la donna con gentilezza.
"Non sono affari tuoi!" rispose acida.
"Lilienne..." i suoi occhi bianchi divennero glaciali, mentre
pronunciava quelle parole "...io ho moltissima pazienza, ma visto che
ci sono altri come te Jericho non ci metterà molto a
trovarli, quindi se non vuoi parlare tu lo farà qualcun
altro, in questo caso...non ci servi a nulla...e per quanto io sia
cieca, non ci metterò molto a schiacciarti sotto il tacco
della mia scarpa!"
La Lucciola rabbrividì a quell'idea e, deglutendo a fatica,
disse "...Mi...hai...convinta..."
Il Killer osservò la donna con un sorriso "Ehi, vuoi farmi
concorrenza?? Sono io il killer spietato..."
Lei sorrise a sua volta.
"Siamo al servizio dei laboratori di ingegneria Labotech...e in questa
casa...ci sono tantissime lucciole come me...!"
I due annuirono pensando che se stava dormendo, Nadar Lion-ho non
avrebbe avuto di certo un ottimo risveglio