Note:
Ho deciso di fare un salto indietro e di ritornare alle puntate in cui
Colby viene accusato di tradimento, per poi scoprire che in
realtà era un agente sotto copertura. Sono venute fuori tre
fic nelle quali ho cercato di reinventare i fatti della serie originale
per riadattarli ai miei scopi ^^ In questa prima fic Charlie chiede ed
ottiene un incontro con Colby, pochi giorni dopo il suo arresto. La fic
si è scritta praticamente da sola, rapidamente, quando mi
sono messa al computer non avevo assolutamente idea di cosa volassi
scrivere.
Tre passi verso di te
Primo
passo.
La sfera infuocata del sole al tramonto stava
inabissandosi all’orizzonte, tingendo di riflessi infuocati
il cielo ed allungando a dismisura le ombre. La leggera brezza serale
aveva preso a sospirare scivolando fresca e piacevole sulla pelle e
portando con sé un lieve sentore di salsedine.
Tutt’attorno era immerso in un silenzio profondo,
inquietante, opprimente.
Charlie avanzava incerto, scontrandosi furiosamente
con i sentimenti che mulinavano violenti dentro di lui. Da quando aveva
ascoltato il suo nome sulla Lista di Giano, da
quando lo avevano arrestato, non era più riuscito a chiudere
occhio. Si era sentito confuso, perduto in una congerie di emozioni
contrastanti che non riusciva ad afferrare ed a comprendere, e questo,
di contro, gli faceva ancora più male. Si era, quindi,
rifugiato nell’unico luogo che la sua mente aveva reputato
sicuro, per cercare di fare chiarezza dentro di sé: la
matematica. Da allora aveva trascorso tutte le sue notti chiuso nel
garage a cercare di risolvere qualche problema matematico, sperando di
soffocare tutto quello che sentiva esplodere dentro di lui, sentendosi
pericolosamente sul punto di impazzire.
Con gli altri aveva fatto finta di niente, che non
gli importasse nulla…
… ma con se stesso non aveva potuto
mentire…
Come poteva cancellare tutto con colpo di spugna?
Era impossibile, lo sapeva, e più
cercava di allontanarlo dalla sua mente, più i ricordi che
lo legavano a lui si riversavano impietosamente nel suo cervello.
Ricordava distintamente ogni suono, ogni parola, ogni odore, ogni
sapore, come se fosse il primo istante; anche il particolare
più insignificante, anche quello che non ricordava di aver
memorizzato, veniva impietosamente rievocato dalla sua mente.
Com’era possibile che il suo corpo
ricordasse tutto quello e, nonostante tutto, ne chiedesse ancora,
ancora, ancora? Come poteva desiderare ancora di incrociare quegli
occhi azzurri, profondi e limpidi come il mare? Come poteva ancora
desiderare di vederlo sorridere in quel modo così
particolarmente suo, di sentire il proprio nome pronunciato da quella
voce roca e densa, di avere le sue labbra ed il suo corpo su di
sé?
Aveva tradito, gli aveva mentito, probabilmente
anche i suoi sentimenti erano null’altro che un cumulo di
menzogne per avvicinarlo e carpire qualche sua scoperta da vendere ai
cinesi…
… allora perché non riusciva
ad odiarlo, ma, al contrario, lo desiderava sempre di più?
Aveva fatto il possibile per rispondere alle mille
domande che lo dilaniavano impietosamente, ma non era arrivato a capo
di nulla. Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, ma nessuno, nemmeno
Lerry, era a conoscenza della sua relazione con Colby. Sarebbe stato
troppo difficile ed imbarazzate da spiegare e non era sicuro che gli
altri capissero quella complessa rete emozionale che si era creata tra
lui e Colby.
Per questo era li, per avere delle risposte. Anche
se significava che si sarebbe fatto male da solo. Anche se sapeva
benissimo che ogni parola, ogni sguardo dell’altro, sarebbe
stata come una coltellata sferrata con precisione chirurgica nel suo
petto. Solo così avrebbe potuto mettere un punto a quel
capitolo della sua vita, voltare pagina e ricominciare. O, almeno,
quello si augurava di poter fare.
Il problema era che Colby era penetrato troppo a
fondo dentro di lui, arrivando a toccare corde del suo animo che
nessuno aveva mai sfiorato, lasciando una traccia indelebile dentro di
lui, una cicatrice che mai si sarebbe rimarginata. Lo sentiva
profondamente dentro di sé. Tutto in lui urlava il nome di
Colby.
Non sarebbe mai finita. Mai.
La recinzione del carcere federale si
delineò a pochi metri da lui, animata delle mille scintille
della luce morente del sole. Charlie si fermò un attimo a
fissarla, mentre una folata lo investì in pieno dal fianco.
All'improvviso tutta la sua decisione era scomparsa, lasciando dietro
di sé solo una profonda ansia. Non si sentiva più
così pronto per affrontare quell’incontro.
Aveva paura.
Aveva paura di ascoltare quella voce, di incrociare
quegli occhi e di ricordare tutto quello che c’era stato tra
loro e che si era trasformato solo in una splendida, dolorosa bugia.
Non era mai stato un tipo coraggioso, ma in quel
momento il bisogno di sapere era più
forte della sua paura.
Inspirò a pieni polmoni prima di
decidere di andare avanti, a qualunque costo, qualsiasi avrebbe dovuto
affrontare. Mentre copriva gli ultimi metri si chiese come avrebbe
trovato Colby. Temeva che i carcerieri avrebbero potuto lasciarsi
scappare la mano con un poliziotto del FBI accusato di collusione con
la Cina, una delle potenze nemiche degli USA. Non voleva vedere quella
pelle, che infinite volte aveva amato, segnata da lividi e cicatrici.
Quando scorse la sua figura salda al di la della
maglia metallica della recinzione, non poté impedire al suo
cuore di battere forte, sempre più forte. Solo in quel
momento si rese di quanto gli fosse mancato in quei giorni di
lontananza, quanto desiderasse vederlo, accertarsi che stesse bene. Ed
il suo corpo desiderò soltanto stringersi a lui e non
lasciarlo più andare.
Indossava una divisa carceraria azzurra ed aveva i
polsi e le caviglie incatenati; due guardie lo sorvegliavano a
distanza. Era molto più magro di quanto ricordasse. Vide
distintamente i suoi occhi azzurri allargarsi stupiti quando lo
riconobbe. Si fermò giusto davanti alla rete, sentendo il
calore del metallo sulla sua pelle.
- E così eri tu che volevi vedermi!-
esordì divertito Colby avanzando di qualche passo verso la
rete.
Subito le guardie lo richiamarono intimandogli di
non andare oltre, l’ex poliziotto annuì e
riportò l’attenzione sul matematico. Fece
scivolare il proprio sguardo su di lui, sul suo fisico gracile fasciato
in completo classico indossato con la solita negligenza, come una
languida carezza, indugiando un istante di più nei suoi
occhi neri addolorati e su quelle labbra sottili e dannatamente
invitanti, desiderando che in quel momento non ci fossero state
né catene né reti, per poterlo toccare ancora una
volta, bearsi del dolce tepore della sua pelle e perdersi completamente
in lui.
- Come ci sei riuscito?- gli chiese indicando se
stesso.
- Ho delle conoscenze…- rispose il
professore evasivo.
- Già…- annuì
l’ex poliziotto – Come stanno gli altri?-
domandò ancora, cautamente.
- Arrabbiati. Megan è sempre cupa, David
è furibondo e Don… beh, chiunque attraversi la
strada di mio fratello deve stare attento a non dire la cosa
sbagliata!- .
- E tu come stai Charlie?- la
voce di Colby tremò appena d’insicurezza nel porre
quella domanda, come se temesse la risposta.
- Vuoi la verità? Non lo so.
È tutto troppo… strano!- e si
strinse nelle spalle, come per dirgli che non sapeva aggiungere altro.
Per qualche minuto si guardarono a disagio, mentre
altri momenti ed altre emozioni che avevano trascorso insieme si
riversavano incontrollatamente nelle loro menti, desiderando con tutto
loro stessi di poter tornare indietro, a quei giorni, per poterli
rivivere ancora una volta.
- E tu come stai Colby?- chiese il professore per
infrangere quel silenzio che diventava sempre più pesante
ogni secondo che passava.
- Non mi lamento. Il vitto è decente ed
letti sono comodi. Forse gli altri ragazzi sono un po’ troppo
rumorosi…- rispose con noncuranza.
- Capisco…- sospirò Charlie
guardandosi intorno.
Ovunque in quel cortile c’erano ragazzi,
ex soldati o persone comuni, che in qualche modo avevano tradito la
patria ed erano stati rinchiusi li in attesa di giudizio. Una morsa
gelata gli strinse lo stomaco al pensiero di non poter più
vedere l’uomo che amava. Realizzando in quel momento che lo
vedeva disegnato davanti a sé sui muri intonacati di bianco
del carcere, che Colby, anche se fosse sfuggito alla pena capitale, non
sarebbe mai più uscito da quel posto.
- Cosa vuoi Charlie?- la voce seria di Colby lo
strappò ai propri pensieri.
Il professore riportò lo sguardo su di
lui, perdendosi per un attimo nei riflessi dorati che gli ultimi raggi
di sole avevano disegnato nell’azzurro dei suoi occhi.
- Volevo sapere perché proprio io!-
rispose a quella domanda con una calma ed una naturalezza che dentro di
sé non provava.
Colby lo fissò un attimo, intensamente,
come se stesse cercando di capire cosa nascondessero quelle parole.
Un’ombra d’incertezza attraversò lo
sguardo di Charlie che stava cercando le parole giuste per spiegarsi.
Lui era uno dei pochi matematici migliori sulla faccia della terra e
grazie a questo aveva lavorato per la difesa nazionale, elaborando
schemi difensivi e d’attacco. Distolse quindi lo sguardo da
quel volto che aveva il potere di confonderlo, per puntarlo nel vuoto
davanti a sé. Non riusciva a pronunciare quelle parole che
si erano fermate sulle sue labbra, perché quella era la
domanda più dolorosa che era riuscita a porsi, alla quale
non aveva voluto dare una risposta da solo e che era l’unico
motivo per cui si trovava li.
- Volevo sapere se sono stato un ordine.-
sussurrò alla fine di un’altra lunga pausa.
Colby sussultò come se lo avessero
frustato quando ascoltò quelle parole, ma a fargli
più male fu il tono pacato, rassegnato con cui Charlie le
aveva pronunciate, come se fosse realmente convinto
di quanto aveva appena detto. Come poteva credere che si era avvicinato
a lui solo per raccogliere delle maledettissime informazioni? Avrebbe
voluto abbracciarlo, stringerlo forte a sé, e spegnere il
dolore che provava nei baci. L’unica cosa che poté
fare fu di stringere forte la catena che legava le manette
l’una all’altra tra le mani, sentendo il metallo
conficcarsi nella pelle, fino a far sbiancare le nocche.
- Sei l’unica cosa vera tra le menzogne
della mia vita!- esalò deciso, cercando di trasmettergli con
quelle poche parole tutto quello che provava per lui.
Charlie riportò lo sguardo su di lui,
mentre un sorriso amaro gli stirava appena le labbra. Colby poteva
leggerlo nel nero delle sue iridi quanto desiderasse
credergli, ma si frenava per non permettergli di ferirlo ancora. Ed
allora provò il desiderio bruciante di dare qualcosa a
quell’uomo fragile e ferito che aveva davanti, per provare a
cancellare un po’ di quel dolore che gli aveva causato e,
magari, per poter sperare di ricominciare dopo…
Ma ci sarebbe stato davvero un dopo?
Pensò l’ex poliziotto, mentre una stilettata
dolorosa gli trapassava il petto da parte a parte.
Deglutì la saliva che, in quel momento,
aveva lo stesso sapore amaro della bile, non riuscendo a scorgere
nessun futuro per sé, per loro, nessuna scappatoia nessuna
via di fuga.
- Non ti ho mai mentito. Con te sono sempre stato
sincero. Non avrei dovuto farmi coinvolgere, ma tu mi sei entrato
dentro così a fondo che non ho potuto ignorarti. Non ho mai
giocato con te. Mai!- disse serio l’ex poliziotto desiderando
disperatamente di potergli dire di più, di potergli spiegare
tutto.
Aveva parlato seriamente, fissandolo negli occhi
con decisione, pronunciando quel “mai” finale con
una tale intensità da far rabbrividire Charlie. Eppure non
gli aveva detto le uniche parole che avrebbe voluto sentire.
Con un piccolo cenno del capo il professore
annuì. Le guardie si stavano avvicinando per riportare Colby
all’interno e non era il caso di lasciarsi andare a discorsi
personali.
In quel momento Charlie provò il
desiderio di poter restare ancora li, con Colby davanti a
sé, di poterlo toccare attraverso gli anelli della
recinzione, di non doversi separare da lui. Ma poté soltanto
osservare le guardie che si affiancavano all’altro e lo
spingevano in malo modo. Gli diede le spalle e fece per allontanarsi
per non guardare quella scena troppo dolorosa, ma la voce
dell’altro lo richiamò.
- Fidati di me!- gli disse con una sicurezza ed una
determinazione che sottintendevano molte cose.
Per poi sillabare un ti amo
senza voce, che si sciolse come miele caldo sotto la pelle di Charlie,
che gli rispose con un ampio sorriso, sempre, però,
offuscato dalle nubi del dubbio. Un ti amo che
ammetteva soltanto la completa fiducia dell’altro in
risposta, come quello che Charlie aveva pronunciato durante la loro
prima volta insieme.
La stretta delle guardie si fece più
decisa e Colby, dopo un ultimo scambio di sguardi fu costretto ad
andare via. Ma almeno in quel momento sapeva che aveva una persona da
cui tornare, per la quale sarebbe valsa la pena di resistere e di
arrivare fino in fondo, e per la quale sarebbe venuto fuori da quella
storia.