Terzo passo

La coscienza di Colby riemerse lentamente, liberandosi a fatica dei tentacoli viscosi dell’oblio in cui era immersa. Rimase immobile per alcuni lunghi minuti, ascoltando il silenzio che lo circondava nel vano tentativo di capire dove fosse e cercando di riallacciare i fili tranciati dei suoi ricordi.
Per quanto si sforzasse di ritornare indietro con la memoria, non ci riusciva.
Era come se si ritrovasse a sbattere contro un muro invisibile, al di la del quale ogni cosa era inghiottita dal buio. Ricordava l’arresto, l’evasione e la sua fuga con Carter…
… ma dopo? Dopo cos’era accaduto?
Cercò di concentrarsi ancora di più ma il suo cervello si rifiutò di concentrarsi e collaborare, procurandogli solo un leggero mal di testa in cambio.
Stava per riprovare, ma qualcosa attrasse la sua scarsa attenzione, distraendolo dalla frustrazione che stava provando. Una mano calda stava stringendo la sua ed un morbido tepore si irradiava da essa, serpeggiando lungo tutto il braccio per poi diffondersi nel suo corpo.
Chi era?
Lottando contro le sue palpebre gonfie e pesanti come macigni, Colby riuscì a riaprire gli occhi e la prima cosa che vide fu un soffitto bianco, appena striato dalle ombre chiare proiettate dalle tapparelle abbassate. Sconosciuto. Lo osservò il più attentamente possibile cercando di capire dove fosse, ma aveva ancora la mente impastata. Era come se ogni sua funzione fosse rallentata al minimo indispensabile, garantendo solo quelle basilari e bloccando quelle superflue; gli sembrava quasi che il suo cervello si fosse tramutato all’improvviso in un blocco di cemento, tanto gli era difficile in quel momento concentrarsi e pensare.
- Ciao!- una voce calda e familiare, lo raggiunse accarezzandogli l’udito.
A fatica Colby girò la testa e vide Charlie seduto accanto a lui che lo fissava con una bella espressione felice e sollevata. Era sua la mano che stringeva la propria. L’altra teneva un libro chiuso poggiato sul ginocchio.
- Charlie…- biascicò sorpreso di vederlo di li.
Aveva immaginato che quel sentimento che li univa si fosse spezzato e che niente sarebbe stato più lo stesso tra loro. Ritrovarlo al proprio fianco era l’eventualità a cui aveva dato minor probabilità di realizzarsi. Per quanto glielo consentissero le sue scarse forze, strinse la presa sulla mano dell’altro: aveva bisogno di una prova che fosse davvero li, reale e concreto, e che non fosse frutto della sua immaginazione.
Charlie avvicinò maggiormente la sedia al letto, in modo di trovarsi giusto accanto al volto del poliziotto.
- Come stai?- gli chiese sporgendosi appena verso di lui.
Colby deglutì come per forzare il nodo che gli aveva stretto la gola, prima di poter riuscire a parlare.
- Uno schifo…- rispose con la voce roca di chi non parla da troppo tempo.
E Charlie rise. Rise di divertimento e gioia, come per liberarsi di tutto il dolore, l’angoscia e la paura che gli si era accumulato dentro in quelle settimane e che aveva spesso aveva minacciato di soffocarlo.
- Se hai la forza di essere di cattivo umore dopo essere stato tre giorni in terapia intensiva, allora vuol dire che stai davvero meglio![1]- lo prese in giro sorridendo.
- Terapia intensiva?- ripeté il poliziotto perplesso.
- Non ricordi nulla? – e dopo aver ottenuto il diniego dell’altro Charlie proseguì – Quando Don e gli altri ti hanno trovato su quella barca eri in fin di vita. Sei stato tre giorni in coma farmacologico per consentire al tuo organismo di smaltire le sostanze tossiche. Solo ieri sera ti hanno spostato qui al reparto.- gli spiegò rapidamente mentre i ricordi e l’ansia provati in quei giorni tornavano ad assediarlo.
Ma c’era qualcosa che desiderava sapere, una domanda che premeva dall’interno sulle sue labbra e che voleva formulare qualsiasi costo essa avesse avuto, perché nonostante tutto il male che si erano fatti a vicenda, Carter era un amico importante per lui, la persona che gli aveva salvato la vita, permettendogli così di scoprire cosa significasse davvero amare una persona e farsi amare da lei.
- Che ne è stato di Carter?- chiese con un tono ancora malmesso.
Uno strano lampo attraversò il nero calmo degli occhi di Charlie. Prima ancora che parlasse, Colby aveva letto nella sua espressione contrita cosa fosse accaduto a Carter. Un senso di tristezza gli strinse appena la gola, ma solo per un attimo. Infondo era meglio che fosse andata così se pensava che ad attenderlo c’era solo il braccio della morte.
- Ha fatto resistenza, ha fatto fuoco sui nostri e gli hanno sparato… Mi spiace davvero!- aveva spiegato confusamente.
Charlie non si era mai trovato nella situazione di dover dire ad una persona che un’altra era morta e si era sentito così fuori luogo nel doverlo fare con Colby…
- E Mason Lancer? Don ha preso quel bastardo, almeno?- domandò ancora, una punta di rabbia tremolò nella sua voce.
- Nemmeno lui si è fatto prendere vivo.- rispose piano il matematico abbassando lo sguardo come se fosse colpa sua.
Colby rimase per alcuni minuti immobile rincorrendo i suoi pensieri e cercando di domare la rabbia. Soltanto la presenza di Charlie riusciva ad infondergli abbastanza calma per farlo.
- E Don e gli altri? Coma l’hanno presa?- chiese parlando cautamente, come se quell’argomento fosse troppo pericoloso per essere trattato ad alta voce.
Charlie sospirò e si appoggiò con la schiena alla sedia.
- Sai com’è fatto mio fratello, ha le sue regole da seguire e che non infrangerebbe mai, ma è stato sollevato di sapere che sei ancora dei nostri, che non hai tradito. Megan è sempre stata dalla tua parte, non ha mai smesso di credere in te e nella tua innocenza. Danny… Danny è indubbiamente quello che si è sentito più ingannato da te e non credo che ti perdonerà tanto facilmente.- concluse con un piccolo sorriso dispiaciuto sulle labbra.
- E tu Charlie?- domandò il poliziotto dopo una lunga esitazione.
Quello era sicuramente il giudizio a cui teneva di più. Poteva sopravvivere tranquillamente se Don e gli altri non lo avessero perdonato, ma si sarebbe infranto in schegge di vetro insanguinate, se il suo Charlie non lo avesse graziato. Il matematico riportò lo sguardo su Colby. Ripensò a quanto aveva detto al fratello prima del raid sulla nave e ritrovò dentro di sé la stessa fermezza e le stesse convinzioni.
- Io mi sono fidato di te, come mi hai chiesto!- e gli sorrise, un sorriso ampio e caldo, dolce e limpido, con cui spazzare via tutti i dubbi del compagno.
Per tutto il tempo in cui Charlie aveva parlato, Colby non era riuscito a distogliere lo sguardo da lui, dai suoi occhi di un nero brillante, simili alla distesa piatta ed infinita dell’Oceano di notte scintillante della luce delle stelle. Nonostante tutto Charlie si era fidato di lui. In quel momento non gli importava di sapere null’altro che non fosse scoprire cosa era rimasto del loro rapporto e se aveva ancora un’opportunità per tornare con lui. Tutto il resto sarebbe venuto poi.
Si umettò le labbra secche con lingua mentre cercava a fatica le parole giuste con cui iniziare quel discorso. Era una questione troppo delicata, quella. Se Charlie gli avesse detto che tra loro era finita, allora sarebbe stato meglio morire su quella barca, piuttosto che scoprire di aver perso l’unica ragione che l’aveva spinto a lottare, ad andare avanti ed a sopravvivere. A ritornare.
- Charlie… io… mi dispiace!- confessò guardandolo deciso negli occhi.
- Di cosa?- chiese genuinamente sorpreso il matematico.
- Di averti mentito, di averti ferito, di averti fatto credere che…- aveva parlato con tono contrito, prima che Charlie gli chiudesse le labbra con due dita.
Il professore si sporse verso di lui, avvicinando il suo volto fino a quando i loro nasi non si sfiorarono.
- Non mi interessa! – esclamò serio ed addolorato – Credi davvero che di questa storia mi interessino i giochi di potere tra la Cina e gli Stati Uniti? Stupido! Ho davvero creduto di averti perso, mi sono sentito così smarrito senza di te… Non farlo mai più, ti prego. Mai più!- concluse poggiando la fronte contro quella dell’altro.
Colby non sapeva come rispondere a quella richiesta accorata, era come se le parole gli si fossero congelate in gola per la sorpresa, la felicità e la sofferenza che gli erano scoppiati incandescenti nel petto nell’udirla. Allora sollevò la mano e scostò delicatamente le dita di Charlie che ancora gli premevano sulle labbra, quindi sollevò appena la testa, cercando la sua bocca con la propria.
Per entrambi fu come ritornare a casa dopo anni d’assenza. Al semplice tocco delle loro labbra fu come se quelle cinque settimane di lontananza e tutto il carico di dolore che avevano portato con sé svaporassero, cancellandosi come se non fossero mai esisti, lasciando dentro di loro un’immensa, indefinita sensazione di sollievo e tranquillità.
Assaporarono ogni istante, ogni sfumatura nota e sempre nuova, di quel contatto perdendosi nella spirale di piacere che li stava avvolgendo, ritrovando le sensazione che li avevano ammaliati la prima volta, spingendoli uno verso l’altro, ancora dolci e palpitanti di vita, seppur sopite sotto la cenere di quella lontananza che aveva rischiato di separarli per sempre.
Si riappropriarono con il tatto del volto dell’altro, facendo scorrere le dita sulla pelle in ruvide carezze, scivolando con i polpastrelli per ricalcarne i lineamenti, allontanandosi solo per un attimo dalle labbra del compagno per ridere divertito sentendo l’ispido della barba contro le dita, prima di riprendere quel bacio da dove lo avevano interrotto. Charlie sollevò le palpebre e si ritrovò immerso nell’azzurro liquido e limpido delle iridi di Colby, si fissarono per qualche istante ancora increduli di essersi ritrovati, con le mani che non erano capaci di restare ferme e che continuavano ad accarezzare il volto dell’altro. Un sorriso felice risalì lungo le loro gole, esplodendo sulle loro labbra così vicine che potevano sfiorarsi ad ogni respiro.
Sembrava di essere ritornati ad uno di quei momenti passati in cui si immergevano nell’odore e nel sapore del proprio compagno e non esisteva null’altro che lui, come se il resto del mondo fosse scomparso lasciandoli immersi in un morbido nulla, che li avvolgeva e li cullava dolcemente bel suo dorato calore.
- Ti amo!- bisbigliò Charlie sulle labbra dell’altro, accarezzandole sensualmente con le proprie ad ogni movimento.
E per Colby fu come ritornare a vivere dopo un eterno viaggio tra le tenebre dell’inferno. Spostò la mano che teneva sul collo del compagno e la riportò sulla sua guancia, beandosi del calore della sua pelle, carezzando lo zigomo con il pollice. Si sentiva come se, in quel momento, fosse riuscito a riappropriarsi di qualcosa che gli era stata strappata contro la sua volontà tanti, troppi anni prima.
E si sentiva bene! Bene come raramente era stato prima di allora, nonostante avesse ancora la mente un po’ annebbiata ed il suo corpo iniziasse a dolere per la fine dell’effetto degli antidolorifici.
Con una lieve carezza, spostò la propria mano dalla guancia alla nuca del compagno, intrecciando le dita ai ricci arruffati e neri.
- Ti amo anch’io!- sospirò prima di spingerlo verso di sé e baciarlo.
Un’altra bolla di calore esplose nelle loro menti e nei loro petti, trascinandoli nuovamente via dal mondo reale, riportandoli nel loro personale universo.
Charlie si allontanò dalle labbra di Colby ed accarezzò il suo volto con il proprio.
- Guarisci presto perché voglio fare l’amore con te!- gli disse con un sorriso appena malizioso sulle labbra.
Colby sospirò di desiderio a quelle parole socchiudendo un istante gli occhi, prima di tornare a cercare la bocca del compagno con la propria.
Puoi giurarci!


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[1] Frase presa dalla puntata di Sayuki in cui Sanzo si sveglia dopo tre giorni di incoscienza per essere stato avvelenato nel deserto da quel demone che voleva il suo sutra.