Note: Per motivi di tesi sto studiando approfonditamente la seconda guerra punica, soprattutto le azioni belliche che Annibale eseguì nelle città della Campania. Annibale pose sotto assedio una città chiamata Casilinum (la moderna Capua), costruita su un ansa del Volturno a poche miglia da Capua(l'odierna Santa Maria Capua Vetere). Questa città era difesa da una piccola guarnigione di soldati prenestini, romani della confederazione latina e perugini, che resistettero tutto l’inverno, frustrando ogni tentativo d’attacco di Annibale, senza cibo, nutrendosi di ratti ed altri piccoli animaletti, del cuoio delle redini dei cavalli e degli scudi ammorbidito nell’acqua bollente, e delle radici che crescevano negli interstizi tra le pietre. Alla fine, ridotti allo stremo, i legionari si arresero e, dopo aver pagato un riscatto, poterono tornare a casa dove furono trattati da eroi. Questa fic è nata un pomeriggio sul pullman mentre tornavo dalla facoltà, per non sentire le chiacchiere vuote e vanagloriose di una ragazza della serie ‘Voi al mio confronto siete delle nullità!’. Ovviamente la storia sarà una slash ^^’’’ i protagonisti forse sono risultati troppo OOC per essere dei rudi legionari romani, ma la cosa è stata voluta – quasi – L’omosessualità a Roma era vista come una colpa, i conservatori credevano che una simile pratica indebolisse i loro figli, ed era considerato degradante per un adulto desiderare un ragazzo a cui era già spuntata la barba. Io non volevo che fosse una pratica rituale legata alla formazione del giovane, ma un vero e proprio legame d’amore tra i protagonisti. Valerio e Lucio sono due giovani uomini innamorati, pronti a combattere per difendere il proprio amore, ma che ugualmente si rendono conto di non avere alcun futuro insieme. Ricordo che comunque non ho alcuna pretesa di ricostruzione storica, riporto i fatti così come li ha raccontati Livio. Come sempre spero di aver fatto un buon lavoro.
Ringraziamenti: Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura, alla prossima gente -__^


Un altro giorno ancora


Lucio Cornelio Fulco scosse la testa indignato sentendo tanti discorsi inutili: possibile che nemmeno in una situazione simile si rendessero conto che se non avessero trovato subito una soluzione sarebbero morti tutti quanti? Ed invece tutto quello che quei politicanti sapevano fare era discutere da ore sulla sorte della città, senza trovare peraltro un punto d’incontro, mentre la gente li fuori stava morendo d’inedia! Avevano trascorso tutto l’inverno intrappolati li dentro senza cibo né possibilità di fuga, mentre Annibale si era ritirato con il grosso del suo esercito a Capua, dove aveva affrontato il freddo ingollando litri di vino pregiato e riscladandosi tra le braccia delle belle donne Campane. Vide il pretore alzarsi in piedi ed affermare a gran voce che dovevano resistere, che erano soldati e dovevano lottare, che presto Roma avrebbe inviato truppe fresche per aiutarli. Per ora il partito di coloro che restavano fedeli a Roma era ancora il più forte, ma il malcontento stava iniziando a serpeggiare tra la truppa, ingigantendosi mano a mano che aumentava il tormento della fame; sempre più spesso sentiva legionari mormorare a mezza voce che bisognava abbandonare al nemico quella piccola città che non aveva alcun valore…
Tutta quella guerra era una immensa follia: un nemico aveva avuto il coraggio di sfidare Roma sul suo stesso territorio e non si era riusciti a sconfiggerlo, anzi! Erano stati umiliati e sconfitti più volte da Annibale e, forse, doveva davvero ringraziare gli dei per averlo distolto dall’idea di portare subito l’esercito sotto le mura di Roma per assediarla: se così avesse fatto ora tutta la sua leggendaria potenza sarebbe stata ridotta in polvere ed avrebbero come padrone un barbaro proveniente dalle coste africane, nella migliore delle ipotesi. Correva voce, infatti, che Capua avesse stretto un patto con il Cartaginese: avrebbe defezionato da Roma e lo avrebbe sostenuto nella sua campagna militare, in cambio però, a guerra vinta, avrebbe sostituito l’Urbe nel governo della penisola. Annibale ovviamente aveva accettato: lui voleva soltanto distruggere quella città costruita da pastori che aveva avuto l’ardire di spazzare via il predominio sul mare di Cartagine e di sottometterla con un infamante contratto di pace. Un brivido gli percorse la schiena al pensiero di dover rendere conto ad una massa di vecchi senatori corrotti che vivevano nel lusso e nei vizi…
Non era quello che voleva per se stesso e per la sua terra! Stava patendo per la fame e le dure condizioni imposte dall’assedio come tutti gli altri, eppure lo ripugnava la sola idea di scendere a patti con quel rozzo guerriero.
Uscì dalla sala del presidio che avevano adibito a sala delle assemblee e, dopo aver percorso un breve corridoio in penombra, sbucò nella piazza d’armi. Non si era accorto che fosse già sera, sollevò lo sguardo ed incontrò una manciata di stelle che brillavano timidamente nel cielo di un blu pavone… non doveva essere poi così tardi, allora.
La prima cosa che lo accolse all’esterno fu il lezzo di morte: un altro commilitone doveva essere spirato ed ora stava marcendo in qualche angolo abbandonato del presidio; si appuntò mentalmente di ordinare al primo di legionario che avrebbe incontrato di cercarlo e gettarlo dalle mura. Anche se erano pochi uomini, erano comunque costretti a vivere tutti insieme in uno spazio ristretto, non potevano permettersi epidemie.
All’odore della morte se ne aggiunsero molti altri, tutti ugualmente disturbanti, ma ai quali ormai si era drammaticamente abituato, dato che facevano parte ormai della sua quotidianità.
Mentre attraversava lo spiazzo passò davanti un calderone in cui, a giudicare dal forte odore acido e dolciastro che emanava, stavano bollendo delle strisce di cuoio per ammorbidirle e mangiarle. Ecco a cosa si erano ridotti dei legionari di Roma, a mangiare cuoio, mentre nel campo nemico mangiavano sicuramente la succulenta carne delle loro scorte…
… sentì lo stomaco gorgogliare in risposta a quel pensiero.
Uno squittio terrorizzato attrasse la sua attenzione ed accese una luce di folle smania negli occhi degli altri. Un soldato era appena riuscito a catturare un topo più macilento di lui, e lo aveva addentato senza nemmeno ucciderlo prima. Vide la povera bestia dimenarsi furiosamente e squittire disperatamente, agitare le zampe e le fauci nel tentativo di mordere e graffire il legionario e liberarsi, vide il suo sangue scorrere rosso sulle mani abbronzate che lo tenevano ferme.
Stavano raschiando veramente il fondo del barile!
Lucio si allontanò velocemente, come per non farsi contagiare dalla loro follia e si diresse verso la torre di guardia.
Il tormento della fame stava accendendo dentro di loro degli incontrollabili istinti primordiali che sicuramente li avrebbe spinti a fare qualche pazzia e che li avrebbe uccisi tutti.
Dov’erano gli dei in quel momento? Perché li avevano lasciati soli? Eppure, prima di partire per la guerra, avevano sacrificato abbondantemente sui loro altari, soprattutto su quello di Marte e Giove, affinché li guidassero e li proteggessero durante quel conflitto.
Per un istante si fermò su un gradino: forse aveva ragione quel filosofo a dire che gli dei si divertono ad osservare le disgrazie degli uomini! Forse non intervenivano perché si stavano divertendo a vederli ridotti allo stremo delle forze, ma ugualmente convinti a resistere. Un sorriso malizioso gli inclinò le labbra…
… o magari, più semplicemente, gli dei non esistevano e loro pregavano il nulla!
In quel momento non sapeva più in cosa credere…
Eppure una cosa certa la sapeva: che lui lo stava attendendo in cima alla torre come ogni sera. Ed il sangue prese a scorrergli più veloce nelle vene a quel pensiero. Aumentò i passi con l’aumento dei suoi battiti ed in poco tempo sbucò sulla cima della torre.
Come sempre lui era li, in piedi di spalle, poggiato alla balaustra ed intento a studiare i suoi nemici.
Lucio si fermò, per placare la sua agitazione, e ne approfittò per far scorrere lo sguardo sulla sua figura. Lui e Valerio Sempronio Stabiano erano nati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e, poiché i loro padri era molto amici, erano cresciuti insieme, come fratelli: insieme avevano ricevuto la toga virile, insieme si erano arruolati ed insieme erano partiti per la guerra. Non riusciva a ricordare un solo giorno della sua vita in cui non lo aveva avuto al suo fianco. E molto probabilmente sarebbero morti anche insieme. Stranamente quel pensiero non lo preoccupò, anzi: era felice di compiere anche quell’ultimo, grande viaggio insieme a lui, al suo amico fidato, alla persona che amava di più al mondo.
- Hai intenzione di startene li ancora per molto, Lucio?- gli chiese divertito.
Perso dietro i suoi pensieri, Lucio sobbalzò. Adorava la voce di Valerio: era morbida e calda, non sapeva perché ma gli ricordava quei tessuti pregiati che sua madre amava comprare per farne dei vestiti.
- Anche questa volta mi hai scoperto!- sbuffò cercando di mascherare la risata che gli stava salendo in gola.
Valerio si voltò verso di lui con uno dei suoi sorrisi ampi ed infantili: in quei momenti sembrava ritornare il fanciullo imberbe che rideva rincorrendo il vento nella campagna prenestina. Lucio amava appassionatamente anche quei sorrisi: sembravano avere il potere di scaldargli il cuore.
- Sfido io: quei mostri di granito grigio che si porta dietro il Cartaginese si muovono più silenziosamente di te!- lo prese bonariamente in giro.
- Divertente!- brontolò Lucio avvicinandosi anche lui al parapetto.
Non gli piacevano gli elefanti: quegli animali erano infidi, nascondevano la loro forza e ferocia sotto quell’aspetto tranquillo e stupido, ingannando chi li osservava. Ricordava ancora benissimo quando, in uno degli ultimi scontri prima dell’inverno, Annibale glieli aveva lanciati contro! Sentiva il sangue gelarsi al ricordo del terreno che tremava come scosso da un violento terremoto alla loro carica, dell’ombra nera che li aveva ricoperti quando si erano avvicinati a loro fino a sovrastarli, delle loro lunghe zanne d’avorio che avevano la capacità di infilzare un cavallo come fosse fatto di carta, per poi lanciarlo via come se non avesse peso.
No, decisamente non gli piaceva essere paragonato ad un elefante.
- Te la sei presa?- gli chiese Valerio una volta che gli si fu affiancato, poggiandogli una mano sul braccio.
Lucio si girò a guardarlo: anche nel buio appena rischiarato dalla luce dei fuochi nemici giù nella valle poteva vedere il suo volto, ma forse ci riusciva soltanto grazie alla sua memoria; Valerio non era bello, non nel senso più comune del termine, ma emanava un fascino naturale quasi irresistibile. Aveva un volto che conservava ancora forti tratti dell’infanzia, caratterizzato da un naso pronunciato e da labbra piccole e carnose, come non ne aveva viste nemmeno tra le donne; gli occhi erano neri come ossidiana e brillavano sempre di divertimento e furbizia. I capelli erano una morbida massa di ricci ramati che gli ricadevano lungo i lati del volto ed il collo fin su le spalle. Era appena più basso di lui, ma il suo fisico nonostante fosse scolpito dai lunghi anni di addestramento era rimasto armonioso, per fortuna non aveva assunto linee volgari e rozze come quelle di molti altri soldati. Come poteva arrabbiarsi con lui? Dovette spostare subito lo sguardo perché aveva iniziato ad avvertire una potente fame ruggirgli nelle vene. I fuochi nel campo dei nemici brillavano come stelle nel buio, a Lucio sembrò di osservare un cielo capovolto.
- Ancora non capisco perché ti ostini a passare tanto tempo quassù per osservarli!- commentò cambiando argomento per fargli capire che non era arrabbiato.
- Non li osservo amico mio, li studio!- rispose l’altro piccato.
- Al buio?- lo prese in giro Lucio.
- Almeno non rischio di prendermi un giavellotto al centro del petto! – rispose Valerio con noncuranza – Abbiamo bisogno di viveri se vogliamo resistere ancora un po’, e sto pensando ad un modo per procurarmeli.- .
A Lucio bastò osservare l’amico negli occhi per comprendere le sue intenzioni.
- Non vorrai mica tentare una sortita nel campo dei Cartaginesi per procurarteli, vero?!- esclamò allarmato sgranando gli occhi.
- Vedi forse un’altra soluzione Lucio? Stiamo morendo e tutto quello che sanno fare i nostri magistrati è litigare sulla sorte di questa maledetta città!- confermò l’altro.
- È… è una pazzia! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Li – ed indicò l’accampamento nemico con un dito – ci sono centinaia di guerrieri armati fino ai denti e molto più nutriti di noi: ci schiacceranno appena metteremo la testa fuori dalle mura!- .
- Lo so anch’io che è una pazzia, cosa credi! – ribatté Valerio nello stesso tono seccato – Ma dimmi tu che altra scelta abbiamo! Siamo stati abbandonati da tutti e se non facciamo qualcosa, fosse anche una pazzia, moriremo di fame!- .
Lucio fissò a lungo il volto determinato e disperato del suo amico. Era vero, sembrava che a nessuno interessasse la loro sorte, ma sapeva che non era così: quella era una guerra e c’erano delle priorità e degli ordini da rispettare. Molto probabilmente il dittatore era anche sollevato dal fatto che una grossa fetta dell’esercito nemico, condottiero compreso, fosse bloccata li. Dagli esploratori che avevano mandato a carpire informazioni avevano saputo che Fabio Massimo si stava recando a Roma per riprendere gli auspici e che aveva lasciato il suo esercito poco distante da li al comando di Tito Sempronio Gracco, ma con l’ordine di non prendere iniziative belliche. Marcello, invece, era bloccato a Nola dagli abitanti impauriti.
Lucio sospirò e si sedette a terra, con le spalle contro la pietra gelida. Non era venuto fin li a quell’ora per discutere di quella guerra, ma solo per stare un po’ con lui. Non avevano mai veramente tempo per stare insieme come ai vecchi tempi, prima della guerra, quando avevano a disposizione ogni nascondiglio della campagna che circondava Preneste. Quel luogo era piccolo e da un momento all’altro poteva comparire qualche commilitone che poteva sorprenderli; facevano di tutto per nasconderlo, ma spesso erano stati sul punto di essere traditi dai loro sguardi e gesti. Momenti come quello che stavano vivendo erano rari per questo Lucio non aveva alcuna intenzione di sprecarlo in inutili discussioni che si sarebbero potute rimandare alle assemblee.
- A me sta bene morire qua ed ora! – affermò deciso poggiando la testa contro la pietra e riportando lo sguardo su di lui – Se io morissi qua sarei felice e non perché sarei morto in battaglia eseguendo il mio dovere, ma perché così non dovrei tornare a casa e non sarei costretto a prendere moglie ed a farmi una famiglia.- .
- Lucio…- .
Avevano parlato tante volte di quella questione, ma ogni volta Valerio provava una scarica di commozione che lo faceva vibrare dalla testa ai piedi.
- Ti amo Valerio e questa è l’unica certezza della mia vita!- confesso con un tono serio e deciso, senza inclinazioni o vergogne, tendendogli la mano per farlo avvicinare.
Lucio non avrebbe mai saputo spiegare quando e come era iniziata, sapeva soltanto che era accaduto e che non avrebbe mai rinunciato a Valerio, anche a costo di mettersi contro tutta la sua città. La loro amicizia si era evoluta lentamente ed inesorabilmente fino a diventare quel sentimento che scorreva prepotente ed incandescente dentro di loro, e che era decisamente riduttivo chiamare ‘amore’: era un qualcosa di troppo delicato, complesso e vasto per essere definito con dei miseri termini umani, ma quella era comunque la parola che più si avvicinava a comprenderlo; ora non riusciva più a vedersi con qualcun altro al proprio fianco: per lui ci sarebbe stato sempre e solo Valerio al suo fianco, tra le sue braccia, sulle sue labbra. La cosa non lo aveva mai turbato o sconvolto, non si era mai fermato a riflettere su cosa significassero veramente i suoi sentimenti in una società come la loro, che vedeva il loro rapporto come una colpa. A Lucio sembrava semplicemente la perfezione avere Valerio tra le braccia. Non gli importava di niente e di nessuno quando lo aveva con sé. Amava una delle creature migliori che gli dei avessero mai creato…
… di cosa doveva vergognarsi?
Valerio sollevò la sua mano intrecciandola a quella di Lucio e, docilmente, si lasciò trascinare verso di lui. Lucio portò la mano del suo amore alle labbra e cominciò a ridisegnarne le linee con la lingua. La pelle era ruvida e callosa al tatto come quelle di tutti coloro che erano stati abituati fin dalla più tenera età a lavorare, ma lo faceva impazzire sentirsele scorrere sulla pelle. Valerio rabbrividì e dovette lottare violentemente con se stesso per non mettersi a gemere: qualcuno avrebbe potuto scoprirli e le conseguenze sarebbero state decisamente spiacevoli per loro. Ma ugualmente non ce la faceva più, ad ogni lappata sentiva il suo corpo farsi sempre più incandescente; forse dipendeva dal fatto che erano trascorse molte settimane dall’ultima volta che si erano amati, ed ora i loro corpi si stavano reclamando con una fama disperata.
Liberò la mano dalla bocca di Lucio e, ignorando l’occhiata di disapprovazione che gli stava rivolgendo, si sedette a cavalcioni su di lui, stringendogli le braccia attorno al collo. Un ampio sorriso soddisfatto si disegnò sulle labbra di Lucio, mentre lo stringeva a sé e si chinava a baciarlo. Valerio si strinse a lui fino ad annullare ogni spazio esistente tra loro: desiderava tutto il contatto che potessero avere. Lucio scese con la bocca sul suo collo e Valerio reclinò la testa all’indietro, mordendosi le labbra per non gemere, mentre le sue mani iniziarono ad accarezzare le cosce dell’altro, premendo la punta delle dita sui muscoli sodi e ben definiti. Dei, adorava semplicemente il corpo di Valerio, era una delizia per la vista ed il tatto, ed in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo languidamente abbandonato nudo su un morbido letto, per poterlo amare liberamente, senza alcuna preoccupazione annidata ai bordi della sua mente.
Valerio raddrizzò la testa ed avvicinò le sue labbra all’orecchio di Lucio, impegnato, ora, a ridisegnare la linea della sua clavicola.
- Prendimi!- mormorò languidamente sicuro che così avrebbe acceso i suoi sensi.
Infatti Lucio sollevò la testa di scatto, calando immediatamente sulle sue labbra, che trascinò in un bacio un po’ rude in cui aveva riversato tutta la passione che provava per lui. Voleva che non fosse solo del semplice sesso, ogni voleva che sentisse quanto lo amasse…
… ogni volta sperava di legarlo sempre più a sé, perché Valerio non era uno sfizio da togliersi, né una di quelle sciocche donne che doveva mettersi in casa per volere di suo padre…
… Valerio era la persona che amava, scelta liberamente e conquistata dopo un regolare corteggiamento…
… Valerio era una decisione presa con libertà e piena coscienza di sé, era quello che voleva veramente in quella vita ed in tutte le altre che sarebbero venute.
Le mani di Lucio risalirono fino ai glutei dell’altro, tastandoli a fondo, premendo le dita in quelle soffici rotondità, facendolo gemere nella sua bocca. Lentamente spostò una mano iniziando a prepararlo. Valerio si staccò da lui, inarcandosi violentemente ed emettendo un sonoro mugolio tra i denti serrati. Dolore e piacere si mescolarono in eguale misura dentro di lui, sconvolgendo il suo corpo e trascinandolo velocemente alla follia. Invocò più volte il nome del suo amante, rabbrividendo febbrilmente quando il respiro bollente ed irregolare dell’altro si infrangeva sulla sua pelle sudata. Gemette di anticipazione quando Lucio lo prese per i fianchi e lo portò su di sé, entrando in lui lentamente, per consentirgli di abituarsi e per far si che durasse il più a lungo possibile. Voleva prendersi tutto il tempo che gli dei avevano concesso loro quella notte, voleva assaporarne ogni attimo per imprimerselo a fuoco nell’anima, voleva sentire ogni cosa di Valerio e riempirsene il cuore…
… Perché quella notte poteva essere l’ultima per loro, l’indomani uno o entrambi di loro sarebbe potuto morire in un assalto, perché voleva ringraziare gli dei di avergli concesso un’altra notte ancora solo per loro…
Mentre vedeva Valerio inarcarsi su di lui fin quasi spezzarsi, il suo volto perso nel piacere dell’orgasmo, il vibrante mugolio che vibrava intrappolato nella sua gola…
Mentre si sentiva stringe dai suoi muscoli, mentre sentiva il suo piacere scorrergli bollente addosso, mentre anche lui si sentiva implodere in decine di scintille incandescenti…
… Lucio pregò tutti gli dei di farlo morire li, perché non avrebbe mai sopportato di sposare una donna che non amava e dividere con lei il suo letto…
… non avrebbe mai sopportato di essere costretto a stringere un’altra persona che non fosse Valerio tra le braccia…
… e soprattutto non avrebbe mai potuto sopportare di saperlo fra le braccia di qualcun altro… sarebbe impazzito al solo pensiero!
Mosso da questi sentimenti, quando Valerio, sfinito, si accasciò su di lui poggiando la testa nell’incavo della sua spalla, Lucio lo strinse a sé con tutte le sue forze, nella segreta speranza che qualche dio, impietositosi, li pietrificasse in quella posizione, permettendogli, così, di amarsi per tutta l’eternità.
- Vorrei legarti a me per tutta l’eternità!- mormorò disperatamente riempiendosi i polmoni del suo odore forte e le mani della liscia consistenza della sua pelle.
Valerio sorrise con il volto nascosto contro il suo collo: anche se si atteggiava ad uomo duro ed impenetrabile, Lucio restava comunque il ragazzino spaurito che quella sera di fine luglio di tanti anni prima lo aveva baciato, temendo la sua reazione, all’ombra di un fico.
Strinse maggiormente la presa dei suoi arti su di lui e gli baciò quel pezzetto di pelle che si trovava a portata della sua bocca, risollevando poi la testa per guardarlo negli occhi.
- Io sono già legato a te!- mormorò sollevando la mano che teneva intrecciata alla sua per mostrargliela.
Lucio sorrise comprendendo il significato del suo gesto. Anche se non c’era nessuna pronuba, anche se non c’era nessun testimone, anche se erano due uomini…
… loro due si appartenevano e niente, nemmeno gli dei, sarebbe mai riuscito ad opporsi a quel sentimento.
Lucio prese il volto di Valerio tra le mani e lo avvicinò al proprio.
- Ti amo Lucio!- confessò l’altro sulle sue labbra con un sorriso dolce e sicuro, prima di baciarlo.
Avvertì le labbra di Lucio sorridere contro le sue.
C’era ancora una nuova giornata di scontri ad attenderli, la fame in agguato ad indebolirli, ma loro avrebbero resistito, avrebbero combattuto con le unghie e con i denti per strappare un altro giorno ancora la fato per dichiararsi una volta di più il loro amore.