Note: Ho comprato la trilogia completa de “La leggenda di Otori” per caso, mentre vagabondavo tra gli scaffali di una libreria in cerca di un altro libro. La prima cosa che mi ha colpita è stata la copertina, disegnata dal divino Barbieri, che ritraeva un giovane guerriero giapponese. Ho letto la trama e ne sono rimasta folgorata. E leggerlo è stato ancora meglio. Questa trilogia poi gronda slash da tutte le parti, un’opportunità troppo appetibile per una yaoista convinta come me *çç* La prima coppia a cui ho pensato è stata quella formata da Shigeru e Takeo. C’erano troppi indizi perché non mi attraesse. Ma alla fine non mi convinceva fino in fondo: un po’ per il legame di parentela che unisce i due (e che si scopre alla fine del secondo libro, ma fa niente…) un po’ per quell’amore viscerale che Shigeru prova per la nobile Maruyama, che gli impedisce anche di sopravviverle. Continuando a leggere il secondo libro sono incappata nella parte che mi ha folgorata, letteralmente, convincendomi definitivamente sulla coppia Makoto/Takeo. Parlo della splendida, dolcissima e angosciata dichiarazione d’amore che Makoto fa a Takeo, quando questo scappa dalla Tribù e lo incontra per caso, durante una tormenta, mentre cerca di raggiungere Terayama per cercare rifugio. È un sentimento profondo e struggente, che tocca l’anima più del folle amore che lega Takeo alla nobile Kaede. E non mi sono fatta sfuggire l’opportunità di creare un happy end anche per il nostro povero, infelice monaco. Per inciso: Kaede non mi convince per nulla. È una ragazzetta sperduta, che improvvisamente si trova ad affrontare faccende più grandi di lei, maledetta dalla sua enorme bellezza, che, presa dalla passione per Takeo, ignora tutte le precauzioni e i buoni consigli, facendo più danni che altro. Sembra quasi una caricatura di se stessa a volte… Comunque, tornando a noi, una volta a Terayama l'abate affida a Makoto il compito di insegnare a Takeo a scrivere *__* Nel libro Takeo dice espressamente che per un tacito accordo non hanno avuto rapporti fisici... Ma di cosa??!! I due ingenui non hanno fatto i conti con me *O* Ho pensato a una serie di missing momente che coinvolgono i due, slash ovviamente ^O^
Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che leggeranno e commenteranno.
Adesso vi lascio alla lettura, alla prossima gente \^0^/



Un incontro d’anime



Eravamo ormai in pieno inverno e il tempo sembrava sfuggire via dalle mie dita come granelli di sabbia. Mi sembrava così poco e le cose che dovevo apprendere troppe. Ce l’avrei fatta a prepararmi prima dell’arrivo della primavera? Non lo sapevo, il futuro mi appariva come una di quelle macchie d’inchiostro che cadono sul foglio dopo aver intinto il pennello nel calamaio, imbrattandone il candore: era oscuro, incerto e inviolabile, e per questo mi spaventava ancora di più. A volte mi sembrava di camminare sul ciglio di un burrone e allora pensavo che sarebbe stato bello se tra i miei poteri ci fosse stato anche quello di predire il futuro, di poter penetrare con i miei stessi occhi lo spesso velo del tempo e scorgere le mosse mie e dei miei nemici. Ma subito dopo mi dicevo che erano solo sciocchezze. Mia madre mi aveva insegnato che ogni vita è un disegno del Dio Oscuro, che ha progetti precisi per ognuno di noi e nessuno può conoscerli prima che questi si siano realizzati. Noi esseri umani non siamo altro che fili di paglia in balia dei capricci divini.
Infondo avevo già ricevuto un oracolo dalla profetessa da cui mi aveva condotto Jo – An, ma non riuscivo a crederci fino in fondo. Non avevo un esercito, né ricchezze con cui pagarlo e gli unici alleati di cui ero sicuro in quel momento erano gli Intoccabili, e nessun guerriero avrebbe mai accettato di combattere al loro fianco, e i monaci che risiedevano a Terayama. Non sapevo nemmeno come mi avrebbe accolto Arai dopo che lo avevo abbandonato per unirmi ai Kikuta, invece di assumere il ruolo di erede di Shigeru. Inoltre ero braccato dalla Tribù e non si sarebbero fermati prima di avermi ucciso. In quelle condizione non rappresentavo certo una minaccia, non di fronte agli altri Otori che desideravano mettere le mani su Hagi.
Ma non per questo mi lasciavo abbattere. Al contrario mi applicavo ancora più a fondo nello studio, per colmare le enormi lacune della mia istruzione, con quell’incessante curiosità di apprendere che avevo ereditato dai Kikuta. E ogni giorno che passava potevo rendermi conto di quanto il mio spirito e il mio fisico si stessero rafforzando.
Il vento fuori dalla stanza ululò con più forza, insinuandosi sotto gli shoji e facendo tremolare la luce della lanterna. Una corrente fredda mi scivolò sul collo, facendomi rabbrividire.
- Hai freddo?- mi chiese la voce morbida di Makoto.
Dedicava ogni pomeriggio a insegnarmi a scrivere, la storia, la filosofia, la matematica e tutto ciò che mi sarebbe stato utile per il mio ruolo di Otori. Era un insegnante molto paziente e meticoloso, se non capivo qualcosa me la rispiegava cercando di essere più chiaro. A differenza di Ichiro non mi ha mai preso a bastonate sulla schiena quando sbagliavo qualcosa e di questo gli ero molto grato.
- No, non preoccuparti.- gli risposi, voltandomi verso di lui.
E mi ritrovai immerso nei suoi occhi neri, che mi fissavano con quella dolcezza che non era capace di mascherare, non quando eravamo da soli, come se volesse accarezzarmi con lo sguardo e che mi scioglieva sempre qualcosa dentro. Sussultai imbarazzato, perché non ero riuscito a dimenticare le parole con cui mi aveva dichiarato il suo amore e mai lo sarei stato, come se si fossero marchiate a fuoco dentro di me. La sua angoscia e il suo affetto, sembravano aver toccato la mia anima esattamente come la mia sofferenza per la morte di Shigeru aveva toccato la sua.
Ero innamorato di Kaede, di questo ne ero sicuro, eppure le mie notti si erano popolate di sogni in cui io e Makoto ci stringevamo l’uno all’altro in abbracci appassionati, vestiti solo della nostra pelle. Spesso mi incantavo a osservare il movimento ritmico e morbido delle sue labbra mentre parlava, i riflessi dorati che le fiammelle delle lucerne scioglievano nel nero dei suoi occhi, le sue mani grandi e forti, dalla pelle ambrata, così diverse dalle mie più sottili e affusolate: ho perso il conto delle volte in cui mi sono perso a immaginare cosa si provasse ad averle su di sé.
Mi ero detto che era solo l’effetto di essere rinchiuso in un monastero, che erano mesi che non giacevo con una donna, ma Makoto sembrava essere diventato una presenza ben radicata al limitare della mia anima, che mi scatenava effetti inequivocabili. E in quel momento ero ancora troppo immaturo perché potessi capire che quelle reazioni nascondevano sentimenti molto più profondi e complicati della semplice attrazione fisica.
Imbarazzato dai miei stessi pensieri, distolsi lo sguardo velocemente, troppo perché Makoto non lo notasse.
- Che ti succede Takeo?- mi domandò con un sorriso un po’ triste.
Io mi morsi il labbro inferiore, non sapendo cosa rispondergli. Era innamorato da me, ma come avrebbe reagito se avesse saputo di quei fragili sentimenti che avevo iniziato a provare per lui? Li avrebbe scambiati per semplici capricci di un bambino e se ne sarebbe andato via offeso? Oppure mi avrebbe steso sul tatami e avrebbe realizzato ogni mia fantasia che avevo su di noi?
Deglutii a vuoto cercando di forzare il nodo che mi aveva stretto la gola al solo pensiero del suo corpo caldo contro il mio, e decisi che ancora una volta avrei sfruttato il talento di attore che avevo ereditato dalla famiglia di mio padre.
- È che non riesco a ricordare cosa significhi questo carattere e, dato che me l’hai spiegato già un paio di volte, non volevo fare la figura dell’idiota.- risi imbarazzato e non dovetti nemmeno sforzarmi per esserlo.
Makoto rise con me: aveva una bella risata, chiara e limpida, che echeggiava musicale, come il suono del suo flauto, nel silenzio dell’alloggio che mi era stato assegnato. Rimasi in silenzio ad ascoltarla, cercando di memorizzarla.
- Fammi vedere.- disse ancora ridacchiando.
E si spose verso di me per guardare sul libro che avevo davanti e che stavo copiando, avvicinando i nostri volti tanto che potevo sentire il suo respiro tiepido e umido scivolarmi a intervalli regolari sulla guancia, e il lieve odore di incenso e cera che aveva impregnato la sua pelle. La consapevolezza che sarebbe bastato voltare appena la testa per poterlo baciare, sembrava essere l’unica cosa su cui riuscissi a concentrarmi.
Improvvisamente mi ritrovai con la gola secca e del tutto incapace di pensare a qualcosa che non fosse il giovane uomo vicino a me. Avevo già sperimentato il potere della lussuria, come ogni altro giovane che abitava le Tre Terre, ma nessuna donna che avevo avuto, nemmeno Kaede stessa, aveva saputo accendere i miei sensi in quel modo. Com’era possibile che quella semplice, innocente vicinanza avesse il potere di sconvolgermi in modo tanto violento?
- È questo il carattere che non ricordi?- mi chiese Makoto, indicando con l’indice destro il segno sul libro davanti a me.
Io annuii con un movimento della testa, non fidandomi della mia voce, osservando ipnotizzato la sua mano protesa davanti ai miei occhi, i muscoli che si contraevano mentre la muoveva e le vene in rilevo sul dorso e il polso. Il mio amico iniziò la sua spiegazione, ma la sua voce mi giungeva come un lieve mormorio, che non riusciva a raggiungermi nello stato incantato in cui mi trovavo.
Era in momenti come quello, in cui la mia mente, la mia anima e i miei sensi erano colmi di Makoto, che mi rendevo conto della differenza tra la frenesia e il desiderio. La notte in cui Inuyama era caduta, io e Kaede ci siamo dati e presi l’un l’altro con la disperazione di chi è ormai prossimo alla morte e non vuole andarsene senza aver prima avuto la possibilità di appagare il suo desiderio. Abbiamo fatto l’amore senza pensare a niente, nemmeno alle conseguenze delle nostre azioni, dando sfogo finalmente a quella frenesia che ci colse quando la prima volta incrociammo le armi e gli sguardi. Quello che invece scatenava dentro di me la sola presenza di Makoto era ben diverso e in quel momento riuscivo a scorgerne chiaramente tutto il potere, come se qualcuno avesse aperto improvvisamente una finestra in una stanza buia, lasciando penetrare tutta la luce del giorno. Non era quella corrente violenta e cocente che mi aveva trascinato tra le braccia di Kaede, era un sentimento molto più calmo ma, paradossalmente, più intenso e caldo, che assaporavo lentamente, goccia dopo goccia. Mi inebriava come un bicchiere di vino liquoroso.
Era un desiderio che mi riempiva completamente, coinvolgendo mente, corpo e anima, che mi stordiva e faceva naufragare in gesti o espressioni banali, ma che ai miei occhi assumevano una luce speciale solo perché era stato lui a compierli.
Il canto del corpo di Makoto era una melodia a cui non riuscivo più a resistere.
Per questo quando lui fece per allontanare la mano dal libro gli bloccai il polso in una stretta gentile ma decisa. Si volse verso di me nel momento in cui io mi sporgevo verso di lui e lo baciai. Le sue labbra erano sottili, ma morbide e calde, appena screpolate dal freddo dell’inverno. La sua bocca era umida e dolce, assaporai sulla lingua l’aroma forte del the che aveva appena bevuto.
Bastò quel semplice gesto a spazzare via ciò che restava della mia lucidità, facendomi naufragare in un universo di sensi, il cui centro esatto era Makoto e quel desiderio profondo e violento che provavo per lui. Mentre mi stringevo a lui, affondando le dita nelle sue spalle e approfondendo quanto più potevo quel bacio, avrei dovuto pensare a Kaede, alla donna che avevo giurato di amare e che avevo abbandonato, sentirmi per lo meno in colpa. Invece in quel momento mi sentivo bene, come non lo ero mai stato nell’ultimo anno, in pace con me stesso. Tra le sue braccia mi sentivo, per la prima volta da quando avevo lasciato Hagi in compagnia di Shigeru, nel posto giusto, a casa. Makoto allontanò le sue labbra dalle mie per respirare, restando comunque abbastanza vicino da poter sentire il suo respiro scivolarmi sulle guance. Sarei potuto impazzire solo per la sua mano poggiata sulla mia guancia, per il suo pollice che mi accarezzava piano le labbra. Come riusciva a farmi sentire in quel modo, perso tra ragione e follia, a farmi rabbrividire come avessi la febbre alza senza fare praticamente niente?
- Non avresti dovuto farlo, Takeo.- mormorò la sua voce dopo un lungo silenzio.
Non risposi. Sollevai piano le palpebre, che nemmeno ricordavo di aver chiuso, e mi ritrovai all'istante ad annegare nel nero denso e ribollente di passione dei suoi occhi. Solo dopo un altro attimo mi resi conto che mi trovavo disteso sul tatami, con Makoto sopra di me e le mie braccia incrociate dietro il suo collo, proprio come avevo fantasticato poco prima. Un sorriso affiorò irresistibile sulle mie labbra.
- Perché?- domandai parlando anch’io piano, quasi non volessimo infrangere quell’istante che appariva ai miei occhi fragile e bellissimo come cristallo.
Makoto poggiò la fronte contro la mia e mi sorrise, triste e addolorato. Davanti quel sorriso il mio cuore ebbe un fremito e si contrasse dolorosamente su se stesso.
- Ora sembri davvero il ragazzo impacciato e un po’ sciocco che si è presentato qui al tempio la prima volta. – mi riprese tra il serio e il faceto, ma subito dopo la sua espressione divenne mortalmente seria – Io sono un monaco e per questo motivo ho degli obblighi dai quali non posso prescindere, tu invece hai giurato di esaudire le ultime volontà di Shigeru e quindi di sposare la nobile Shirakawa. Non abbiamo alcun futuro, tutto questo non porterà da nessuna parte.- e chiuse gli occhi per nascondermi la sua espressione straziata.
Sapevo anch’io tutte quelle cose, fin troppo bene, ma ciò che mi legava a lui era un sentimento fortissimo, che andava oltre i legami familiari o dei richiami morali.
- Va bene. – dissi e sollevai appena il volto, accarezzando il suo naso con il mio – Va bene. So benissimo che niente di tutto questo sopravviverà all’inverno, ma ugualmente non posso rinunciarci. Preferisco provarci piuttosto che vivere di rimpianti, anche se tutto questo dovesse tramutarsi in una lama che ci ucciderà. Non posso ignorare quello che provo per te… non posso…- e chiusi gli occhi, sentendomi infinitamente debole.
Nemmeno io sapevo perché avessi parlato in quel modo, ma quel discorso sembrava essermi nato dritto dal cuore. Non lo avevo cercato, quel sentimento aveva messo radici dentro di me senza che me ne rendessi contro, crescendo così tanto che ora non potevo più fingere di non vederlo. Infondo non avevo spesso rimpianto di non averlo accanto a me, quando mi trovavo presso la Tribù a Matsue? Passò un lungo istante in cui Makoto non compì alcun movimento e io mi sentivo sempre più male, consapevole del rifiuto che stava per oppormi. L’unica cosa che potevo fare era preparami a incassare il colpo e, poi, leccarmi le ferite una volta rimasto solo.
Invece Makoto riportò le sue labbra sulle mie, baciandomi come volesse divorarmi. E la mia anima esultò di feroce gioia a quel contatto, che entrambi avevamo desiderato fino a rischiare d’impazzire.
- Sei mio Takeo. – ansimò, allontanandosi un attimo dalle mie labbra – Non ti lascio a nessun altro.- e le sue parole erano un lamento accorato che aveva il potere di ferirmi l’anima.
Gli abbracciai la testa, premendogli le mani sulla nuca lo spinsi contro di me e subito cercai la sua bocca con la mia. Le sue parole, intrise di una profonda disperazione e di tutto l’amore che nutriva per me, accesero dentro di me un fuoco che divampò immediato e violento, incendiando completamente il mio corpo.
Ero suo, appartenevo a Makoto e desideravo esserlo.
- Hai mai giaciuto con un uomo?- mi chiese, con le labbra tanto vicine da sfiorare le mie.
La sua voce aveva tremato appena nel pormi quella domanda, come se temesse di ascoltare la risposta. Io rafforzai il mio abbraccio su di lui e lo guardai negli occhi, cercando di rassicurarlo. Annuii con un piccolo cenno del capo e i suoi occhi furono animati da una gelosia così cruda che per un attimo mi sentii vacillare. Come poteva amarmi così tanto?
Senza parlare, Makoto fece scivolare il suo viso sul mio, in una carezza guancia contro guancia, fino ad appoggiarlo nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla, come se non volesse mostrarmi il tormento che animava il suo sguardo. Come riusciva a farmi tremare il cuore di traboccante dolcezza con un gesto così innocente?
- Shigeru?- mi domandò esitante e le sue labbra e il suo respiro mi accarezzarono la pelle della gola.
Abbassai il capo e gli baciai la tempia, un gesto tenero a cui non mi ero mai abbandonato, con nessuno dei miei amanti. Ma con Makoto tutto era diverso e aveva un sapore speciale. Forse dipendeva dal fatto che non era un amante preso a caso, solo per il piacere di una notte e subito dimenticato, ma era un compagno che avevo desiderato con piena consapevolezza.
- No. – risposi con le labbra sulla sua pelle – Con i ragazzi con cui sono cresciuto a Miso.- gli spiegai nella speranza di placare la sua anima.
Il villaggio dove sono nato era piccolo e semplice, non esistevano i postriboli come a Hagi e ho scoperto cosa fosse il sesso con loro, esattamente come insieme avevamo imparato a pescare e a distinguere i funghi velenosi da quelli commestibili. Shigeru non mi avrebbe mai toccato, non solo per il legame di parentela che ci univa, ma soprattutto per il profondo amore che nutriva per la nobile Maruyama.
Le labbra di Makoto presero a baciarmi la gola, lasciandovi tanti segni invisibili di saliva che si raffreddavano a contatto con l’aria. Risalì fino al mio volto e mi baciò di nuovo, strappandomi il fiato e un gemito dalla bocca. Le sue braccia mi scivolarono sotto la schiena e si aggrapparono alle mie spalle, stringendomi in un abbraccio possessivo, trasmettendomi il suo desiderio di farmi suo, di marchiarmi sopra e sotto la pelle affinché non dimenticassi mai che appartenevo a lui. E io non riuscii a trattenere un gemito nel sentire il suo corpo caldo e forte premere voluttuosamente sul mio.
Mi abbandonai completamente a lui e lasciai che Makoto mi facesse suo. Mi sentivo come cera calda tra le sue mani: il mio corpo combaciava perfettamente con il suo, modellandosi docilmente per seguire le sue forme languide e decise. I suoi occhi non abbandonarono un solo istante i miei, mi fissavano intensi ed affascinati come se stessero osservando qualcosa di molto prezioso, scivolavano su di me e dentro di me cocenti e mi sembrava che mi stesse davvero accarezzando.
Makoto prese una mia mano nella sua e ne intrecciò le dita, poggiandola sul tatami accanto alla mia testa, un gesto affettuoso che mi fece pizzicare piacevolmente l’anima, trasmettendomi un’indistinta sensazione di amore, possesso, forza, gioia e mille altri sentimenti che è impossibile descrivere.
Per un attimo, un breve, perfetto istante, mi sembrò che Makoto toccasse la mia anima, avvolgendola con la sua.
Dopo ci sdraiammo disordinatamente sul pavimento, ancora nudi e sudati, abbracciati in un erotico intreccio di gambe e braccia. A occhi chiusi e con i volti poggiati l’uno contro l’altro, cercavamo di ricordare come si facesse a respirare. Mi sembrava di essere in un mondo a parte, creato appositamente per me e Makoto, una bolla dorata dove non esisteva nessun altro all’infuori di noi. Kaede, Arai, Terayama, la guerra imminente, tutto sembrava essersi dissolto come nebbia ai primi raggi di sole, come se non fosse mai esistito.
Le mani di Makoto risalirono lente lungo la mia schiena, mentre il suo viso accarezzava piano il mio.
- Takeo!- sospirò sulla mia pelle, con un tono strano, quasi trasognato.
Sembrava che fosse la prima volta che pronunciava il mio nome e sentii il mio cuore rabbrividire felice ancora una volta. Alzai il volto e lo guardai nei suoi occhi neri e innamorati, sollevai la mano e con la punta delle dita gli ridisegnai l’arcata delle sopracciglia, la linea della mandibola e quella del naso, e poi le labbra piene e rosse. Mai prima di quel momento mi ero attardato tra le braccia di un amante, mi allontanavo sempre il prima possibile per non creare fraintendimenti e facili illusioni. Avevo sempre pensato che momenti del genere fossero così intimi da essere divisi soltanto con la persona che amavo, eppure nemmeno con Kaede mi ero lasciato andare in quel modo, forse per la fretta di quel momento così poco adatto, forse per quel senso di colpa verso Shigeru che avrebbe dovuto sposarla, forse per mille altri motivi che ancora oggi non sono riuscito a capire.
Invece in quel momento mi stringevo a Makoto, cercandolo con carezze e baci solo per il desiderio di un contatto tra noi, lasciando che i miei gesti e i miei sguardi esprimessero per me i miei sentimenti. Perché infondo, alla fine, lo avevo compreso: una parte del mio cuore apparteneva a Kaede, ma l’altra, più grande, era proprietà esclusiva di Makoto e così sarebbe stato per il resto della mia vita.