Capitolo II: Non solo il
bagnino
Ancora
ridendo Colby e Charlie stavano tornando al loro ombrellone. L’agente
si sentiva felice ogni volta che gli occhi neri del fidanzato lo
guardavano sereni e soddisfatti. Ed era anche profondamente orgoglioso
di se stesso, perché sapeva che il suo professore si era raramente
sentito così prima di allora. Dal disagio che traspariva
dall’atteggiamento del suo corpo, aveva capito subito che Charlie era
la prima volta che entrava in un parco acquatico e non era riuscito a
sopprimere un sottile moto di rabbia verso Don che, in passato, non
aveva fatto niente per avvicinarsi a suo fratello, per farlo sentire un
po’ meno diverso e un po’ più accettato. Ma la
prima volta che aveva stretto il suo compagno tra le braccia, aveva
giurato con se stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per fargli
recuperare il tempo perduto.
E, a quanto poteva vedere, stava funzionando: Charlie aveva trascorso
un’intera mattinata a lanciarsi giù dagli scivoli, assaporando ogni
nuova emozione con la stessa, entusiastica curiosità di un bambino. E
lui in quel momento non avrebbe chiesto niente di meglio di quel
Charlie spensierato e sorridente come mai lo aveva visto.
- Ho una fame da lupo!- si lamentò Colby, infilandosi sotto
l’ombrellone.
- Ci credo: è tutta la mattinata che facciamo movimento, ormai abbiamo
bruciato tutto quello che abbiamo mangiato a colazione.- esclamò
ridendo il matematico.
- Per questo motivo ho portato quella!- e l’agente gli indicò la borsa
frigorifero che aveva portato con sé.
Charlie scosse la testa ridacchiando, ma ogni divertimento sfumò quando
notò che l’ombrellone accanto al loro era stato affittato a un
gruppetto di ragazze che stavano divorando con lo sguardo Colby,
scambiandosi commenti appena sussurrati, ma che poteva facilmente
immaginare. Una nota di fastidio iniziò a vibrare dentro di lui,
insieme all’irrazionale pensiero che nessuno lo doveva guardare
- Charlie vieni.- lo richiamò la voce del compagno.
Il matematico si volse verso di lui con le labbra piegate in una
smorfia rigida, che si sciolse subito in un’espressione sorpresa. Come
poteva dare torto a quelle ragazze? Si chiese mentre lo guardava. Colby
era seduto a gambe incrociate su uno dei teli che aveva steso
sull’erba, un leggero sorriso incurvava le sue labbra morbide, l’acqua
che ancora lo bagnava faceva brillare la sua pelle abbronzata di
riflessi dorati sotto la luce del sole alle sue spalle e gli occhi
erano di un azzurro più carico che concedeva al suo sguardo una
maggiore profondità. Era così bello in quel momento da strappare il
respiro dai polmoni e distruggere la ragione.
- Non ti siedi?- gli domandò ancora Colby, cercando di trattenere una
risata.
Aveva riconosciuto il lampo che aveva percorso lo sguardo del suo
professore, era lo stesso che lo illuminava quando si spogliava davanti
a lui mentre facevano l’amore. Charlie annuì e con un movimento
meccanico si sedette sul telo steso accanto al suo: doveva darsi una
calmata e subito, provò a svolgere mentalmente la dimostrazione di
qualche teorema, ma sembrava che del suo prodigioso cervello non fosse
rimasta altro che cenere. Dopo aver trafficato con la borsa
frigorifero, Colby gli porse un panino e una bottiglietta d’acqua.
- Allora, qual è la versione ufficiale?- domandò al compagno mentre
scartava il suo.
- Come?- chiese sorpreso il matematico, strappato dai suoi pensieri
dalla voce del compagno.
- Ti ho chiesto cosa hai detto a tuo padre e a Don per giustificare la
tua uscita oggi.- ripeté paziente l’agente, prima di addentare il
proprio panino.
A nessuno dei due piaceva mentire, non su quello che provavano l’uno
per l’altro, almeno. Colby l’aveva fatto a lungo, ferendo le persone
che amava, rischiando di rimanere invischiato nella rete di bugie che
aveva dovuto intessere e di non riuscire più a trovare la via per
uscirne. La vita di Charlie, invece, era sempre stata un libro aperto
per tutti: era continuamente sotto i riflettori per i suoi successi
accademici e questo lo portava a confidarsi con i suoi amici su
qualsiasi cosa, anche la più banale, gli accadesse.
Eppure per quanto riguardava la loro storia non potevano esimersi dal
farlo. Al CalSci nessuno si sarebbe interessato alle inclinazioni
sessuali di Charlie, purché queste fossero rimaste semplici voci di
corridoio non suffragate da alcuna prova. Il caso di Colby invece era
totalmente differente: avrebbe potuto giocarsi la carriera se si fosse
venuto a sapere che intratteneva una relazione con il fratello del suo
superiore. Non avevano altra scelta che costruire un castello di bugie
dietro l’altro, nonostante l’unica cosa che volessero era vivere la
loro storia alla luce del sole, come qualsiasi altra coppia felice e
innamorata del mondo.
Charlie portò la bottiglietta alle labbra e bevve un lungo sorso
d’acqua, prendendosi così un altro po’ di tempo per inghiottire la
tristezza e soppesare le parole da pronunciare.
- Ho detto loro che avevo delle ricerche urgenti da fare in
biblioteca.- rispose poggiando la bottiglia sulla tela accanto a sé.
- Anche voi usate le biblioteche?- domandò l’altro stupito, inarcando
un sopracciglio.
- Certo, perché?- chiese di rimando il professore, non capendo le
parole del compagno.
- Vedendo il modo in cui elabori dal nulla i tuoi algoritmi per i
nostri casi, credevo che chi studia matematica non avesse bisogno di
consultare libri.- rispose il poliziotto con una diplomatica alzata di
spalle.
- Non creo le mie teorie dal nulla, Colby. Alle spalle di ogni teorema
che adopero, c’è sempre una solida ricerca, che viene accuratamente
trattata ed esposta nei testi scientifici.- gli spiegò con quel suo
tono professionale che utilizzava quando voleva illustrargli qualcosa.
Sorrise divertito, mentre osservava il suo fidanzato mangiare un altro
pezzo di panino. Era così bello essere lì, semplicemente insieme, senza
alcun pensiero o preoccupazione. Perché non poteva essere sempre così
tra di loro?
- E tu invece? Cosa hai detto a mio fratello?- gli chiese a sua volta
Charlie.
- Niente. Oggi è il mio giorno libero, così non ho dovuto chiedere
niente a nessuno. E poi…- si fermò indeciso se proseguire o no.
- E poi così nessuno si insospettirebbe vedendo che entrambi siamo
scomparsi contemporaneamente. – concluse per lui, mentre una nota di
fastidio gli vibrava nella voce – Complimenti agente Granger: una
perfetta strategia da scafato amante clandestino!- aggiunse poi, più
pungente di quanto volesse essere.
- Charlie…- sospirò l’altro, senza sapere bene cosa dire.
Sentendo il tono stanco nella voce del compagno, il matematico si pentì
immediatamente della sua reazione. Allungò la mano e strinse quella
dell’altro accanto a lui, in un’intima carezza, facendo combaciare i
palmi e intrecciando le dita.
- Scusami, non volevo. Ma è che, a volte, questa nostra società
perbenista mi sta stretta.- cercò di spiegargli, sorridendogli appena.
Colby ricambiò il sorriso, mentre stringeva un po’ più forte la presa
sulla mano intrecciata alla sua, per far capire al suo professore che
aveva compreso le sue parole e le condivideva. Si sporse appena in
avanti, spinto dal forte bisogno di baciare il suo compagno. Desiderava
spazzare via la tristezza e la delusione, per poterlo vedere nuovamente
ridere libero come poco prima. Gli sembrava che in quel momento tutto
quello che c’era attorno a loro fosse scomparso e i rumori giungevano
ovattati alle sue orecchie. Erano coscienti solo l’uno dello sguardo
dell’altro.
Un grido irruppe all’improvviso nella bolla dorata che li avvolgeva,
mandandola in frantumi. Colby e Charlie si allontanarono prontamente
l’uno dall’altro spaventati, riprendendo all'istante coscienza di dove
si trovassero e di cosa stessero per fare. Il poliziotto rivolse un
piccolo sorriso malizioso al suo professore, che lo fissava imbarazzato
e con il viso leggermente imporporato. Con un movimento lento e
studiato, si avvicinò di nuovo al volto del fidanzato.
- Stasera ti divorerò in un sol boccone.- gli soffiò lascivo in viso
quella promessa.
Charlie si scostò di scatto da lui, come se scottasse, mentre una
macchia di rossore gli era salita dalla gola a colorargli tutto il
volto. E questa volta Colby non poté trattenersi dallo scoppiare a
ridere: era così delizioso nella sua candida sensualità, il suo
compagno.
L’urlo ritornò a farsi sentire, più forte questa volta, ed entrambi si
voltarono infastiditi per scoprire cosa fosse quel vociare. Le ragazze
dell’ombrellone accanto stavano giocando a calcio sul prato, poco
distante da loro e schiamazzavano ogni volta che una di esse mancava il
passaggio. Charlie si accigliò appena vide due delle ragazze scambiarsi
un’occhiata allusiva, quando notarono che Colby stava guardando nella
loro direzione. L’avevano fatto apposta. Gridavano di proposito
sperando così di poter attirare l’attenzione del suo fidanzato. A
quella considerazione, l’iniziale fastidio si tramutò in un sottile
senso di rabbia.
Distolse lo sguardo da loro, prese la bottiglietta d’acqua e bevve un
altro lungo sorso, per inghiottire l’ultimo pezzo di panino. Si alzò e
prese dal borsone il libro che stava leggendo, sperando che
concentrarsi sulla lettura avrebbe allontanato da lui quel sentimento
così irrazionale, che gli aveva stretto lo stomaco in una morsa. Si
sedette sul telo con un gesto sinuoso e involontario, di quelli che
piacevano tanto al suo fidanzato. Colby appena lo vide, sbuffò e gli
strappò il volume dalle mani, portandolo fuori dalla sua portata.
- Niente libri oggi professor Epps. Te l’ho già detto: oggi devi solo
divertiti e non pensare a niente. A parte me, ovviamente.- aggiunse con
un ghigno.
Charlie si arrese con un finto sospiro rassegnato, che fece allargare
ancora di più il sorriso sul volto dell’altro: era sorprendentemente
facile avere ragione del suo compagno quel giorno, poteva anche farci
l’abitudine.
- Stenditi accanto a me e prendi un po’ di sole. A volte è piacevole
non fare nulla, sai?- gli disse tra il serio e il faceto.
- A volte.- concordò il professore stendendosi supino sul suo telo.
Il fatto era che non era abituato a stare immobile senza fare nulla.
Lui, in un modo nell’altro, era sempre occupato in qualcosa, ma quel
giorno provava il bisogno di accontentarlo in tutto, per renderlo
felice come stava facendo con lui.
Charlie chiuse gli occhi e si lasciò andare: il cielo dietro le
palpebre era di un azzurro accecante e il sole una carezza bollente
sulla pelle, appena stemperata dalla leggera brezza che soffiava di
tanto in tanto. Ma niente di tutto quello poteva essere paragonato alla
calda presenza di Colby, steso accanto a lui. Non era una percezione
fisica, non solo almeno, ma interessava tutti i suoi sensi: riusciva a
contare i suoi respiri e a sentire il suo odore, avvertiva contro il
dorso della mano la trama morbida della pelle del suo compagno e il suo
forte calore.
Nonostante fossero separati fisicamente, si sentiva completamente
avvolto da Colby, come se ogni spazio fuori e dentro di lui fosse stato
riempito dal suo compagno.
Venne strappato ai suoi pensieri quando qualcosa urtò contro i suoi
piedi. Aprì gli occhi e batté le palpebre come se fosse appena uscito
da un bel sogno, si guardò un attimo intorno per ricordarsi dove fosse
e si mise a sedere sul telo a mezzo busto. Accanto ai suoi piedi c’era
un pallone.
Sollevò lo sguardo e vide una delle ragazze di prima sbuffare
infastidita, evidentemente per aver sbagliato la mira e aver mandato la
palla da lui. Udì il fidanzato muoversi al suo fianco, in un sensuale
fruscio di stoffa.
- Charlie che succede?- la sua voce era un sussurro languido e roco,
che lo fece rabbrividire da capo a piedi.
Si girò verso di lui e lo trovò sollevato su un gomito, che lo fissava
con i suoi occhi azzurri e illanguiditi da un’espressione ancora un po’
assonnata. Come poteva essere così sensuale senza fare praticamente
nulla? Si chiese mentre deglutiva a vuoto. Aprì le labbra per
rispondergli, ma venne interrotto da una voce femminile.
- Scusaci, non volevamo disturbarti ma ci è sfuggita la palla.- era una
di quelle ragazze e ovviamente stava parlando solo con Colby.
- Nessun problema.- rispose lui con fredda cortesia.
Il poliziotto prese la palla con un gesto rapido, curando però di
toccare la pelle del suo compagno, e gliela porse con un sorriso.
Charlie assottigliò lo sguardo sempre più scuro, mentre sentiva la
rabbia scalare picchi sempre più alti dentro di lui.
- Grazie. Vuoi giocare con noi?- gli chiese mentre prendeva la palla
dalle sue mani, rivolgendogli un sorriso che voleva essere seducente.
Ovviamente il doppio senso era solo frutto dell’immaginazione di
Charlie.
- No, grazie. Noi adesso vorremmo provare qualche
altro scivolo.- le spiegò cercando di farle capire che aveva già
compagnia.
- Capisco, ma se cambi idea non farti problemi.- rispose e, prima di
allontanarsi, lanciò un’occhiata inequivocabile a Colby.
L’uomo scosse la testa divertito e poi si volse verso il suo fidanzato,
che lo stava fissando con uno sguardo che non gli aveva mai visto prima
e che non gli piaceva.
- Che ne dici di provare quello scivolo blu che abbiamo visto
stamattina?- gli propose sperando di distrarlo da quei pensieri che
l’avevano fatto incupire.
Charlie lo guardò un attimo senza parlare, annuì poi con un cenno del
capo e si rimise in piedi. Colby sospirò e lo imitò: quando il suo
compagno si comportava in quel modo non riusciva mai a capire cosa
stesse pensando né come comportarsi. Si chiese come facessero Alan e
Don: cercavano di farlo parlare oppure lo lasciavano stare fino a
quando non si fosse calmato? Guardò il profilo teso del suo compagno,
che camminava accanto a lui: no, non avrebbe indugiato, era un uomo
pratico, d’azione, le riflessione le lasciava a quelli più pazienti di
lui.
- Amore che succede?- gli chiese.
- Niente.- gli rispose brusco e insofferente il professore.
- Come niente? Stava andando tutto benissimo, ma
all’improvviso sei diventato scontroso, quindi non venirmi ha dire che
non hai niente.- gli disse fermandolo per un braccio e facendolo
voltare verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Vuoi sapere che cosa ho? Quella lì ci ha provato spudoratamente con
te, ma tu non hai detto o fatto niente per far capire a lei e alle sue
amiche che sei già impegnato. Sei il mio fidanzato dannazione e allora
perché non glielo hai detto chiaro e tondo? Io… è una sensazione che
non riesco a capire: non voglio che quelle ti si avvicinino o che ti
parlino, non voglio nemmeno che ti guardino!- Charlie gli riversò
addosso quel fiume di parole quasi senza rendersene conto.
Colby lo osservò mentre si perdeva nella trama di quel discorso,
gesticolando in modo forsennato. Man mano che ascoltava le sue parole,
sentiva le labbra piegarsi irresistibilmente in un sorriso dolce,
perché sapeva che l’uomo che aveva davanti era semplicemente geloso, ma
che era quasi del tutto impreparato per affrontare un simile,
irrazionale e potente sentimento.
Solo quando si fermò, ansimando per lo sforzo, Charlie si rese conto di
quello che gli aveva detto e distolse lo sguardo imbarazzato da quello
azzurro del compagno.
- Vieni con me!- Colby lo prese delicatamente per il polso e lo
trascinò via.