Una giornata speciale


Capitolo I: Di scivoli e piscine

Charlie sollevò la testa e deglutì pesantemente. L’insegna del parco acquatico campeggiava enorme davanti ai suoi occhi, sopra l’ingresso modellato a forma di arco. Due sagome di delfini poste ai lati gli stavano sorridendo in un modo che a lui sembrava semplicemente inquietante.
Perché si era fatto convincere? Si domandò per l’ennesima volta. Era la prima volta che veniva in un posto del genere e non perché fosse un passatempo troppo frivolo per un tipo come lui, ma perché anche da ragazzo era stato troppo impegnato ad analizzare un problema matematico dopo l’altro per comportarsi come i suoi coetanei. Sicuramente Don aveva frequentato un parco acquatico con i suoi amici, ma a quei tempi non era mai interessato a passare del tempo con lui al di fuori dell’ambiente domestico. E ora invece eccolo lì, eccitato e spaventato insieme, pronto passare un’intera giornata in quel posto. Il problema era che non riusciva a negare mai niente a Colby, soprattutto quando questi lo fissava con quei suoi occhi azzurrissimi e quel sorriso scanzonato che sembravano abbattere le sue barriere una dopo l’altra. Si ritrovava ad acconsentire a tutte le sue proposte senza nemmeno rendersene conto e finiva in situazioni come quella. Piegò le labbra in una smorfia svogliata e si chiese se Colby avesse intuito quanto potere avesse su di lui.
- Allora, pronto per divertirti?- la voce del compagno lo raggiunse allegra e leggera.
Charlie si volse per guardarlo: era strano vederlo con qualcosa addosso che non fosse uno di quei completi casual che indossava sempre, ma doveva ammettere che quella tenuta aveva un effetto devastante su di lui. Indossava un t-shirt grigia e un costume a pantaloncino nero che lasciava scoperte le gambe perfettamente modellate e gli permetteva di vedere il naturale contrarsi e rilassarsi dei muscoli. Un lampo d’eccitazione gli trapassò le viscere al solo pensiero. Distolse lo sguardo, imbarazzato dai suoi stessi pensieri, e lo portò sul volto del compagno dai lineamenti marcarti ma innegabilmente attraenti, su cui si apriva un sorriso ampio e felice che sembrava illuminarlo fin dentro gli occhi.
Così bello da divorare la ragione.
Non fidandosi della propria voce, Charlie annuì con un piccolo cenno della testa. In risposta il sorriso sul volto di Colby si ampliò ancora di più.
- Che stiamo aspettando? Andiamo!- esclamò e si avviò verso l’entrata.
Charlie osservò per qualche istante la sua figura salda, attardandosi sulla schiena: era la parte che preferiva nel suo compagno perché era ampia e muscolosa, gli infondevano una sensazione di forza e sicurezza, e poi gli piaceva aggrapparsi a essa quando facevano l’amore. Scosse la testa per scacciare quei pensieri e raggiunse il suo compagno che stava pagando alla biglietteria.
Con un sorriso incoraggiante Colby gli fece cenno di seguirlo all’interno e, mentre consegnava al bagnino il biglietto con il pagamento, il fidanzato si guardò intorno. Era un bel posto, doveva ammetterlo. Attorno alle piscine non c’era una pavimentazione, ma un prato inglese perfettamente curato, su cui erano disposti ordinatamente ombrelloni e sdraio già affittati, e palme da datteri piantate qua e là.
Il bagnino, dopo aver guardato Charlie in un modo che fece accigliare immediatamente Colby, indicò loro uno degli ombrelloni posti davanti la piscina centrale. L’agente non mancò di notare infastidito che era perfettamente visibile dalla postazione del bagnino.
Posarono le borse a terra, all’ombra e, con un gesto rapido, Colby si sfilò la t-shirt. Come ogni volta, Charlie lo guardò a bocca aperta, sinceramente ammaliato, mentre una sensazione di inadeguatezza iniziava a strisciare dentro di lui. Non dubitava dei sentimenti del fidanzato, non l’aveva fatto nemmeno nel periodo più nero della loro relazione, quando credeva che tutto fosse andato perduto, ma era di se stesso che diffidava. Le vecchie insicurezze non erano mai andate via, era semplicemente riuscito a metterle a tacere, ma a volte tornavano a urlare nella sua testa più forti che mai e in quei momenti il dubbio era un tarlo che lo rodeva piano e impietosamente. Cosa aveva di tanto speciale da attrarre uno come Colby?
L’agente si volse verso di lui ma il sorrisetto malizioso sulle sue labbra sfumò in un’espressione stupita. Si era aspettato di trovare Charlie con indosso solo il costume da bagno e le guance imporporate da un velo d’imbarazzo, invece il compagno era in piedi davanti a lui, la maglietta che indossava stretta contro il corpo e un’espressione indecifrabile in quegli incredibili occhi neri.
- Che fai ancora vestito?- gli domandò dopo aver recuperato un po’ del suo sorriso.
A volte Charlie si perdeva dietro a pensieri tutti suoi, che lo tormentavano, ma che di rado riusciva a confidare. Doveva dargli il tempo per elaborarli, se avesse insistito l’avrebbe fatto sentire sottopressione e si sarebbe chiuso ancora di più su se stesso. Ora però voleva solo disperdere le ombre dal suo sguardo. Gli si avvicinò di un passo e, sempre sorridendo, afferrò l’orlo della sua maglietta e con un rapido gesto gliela sfilò.
- Colby, ma che…- provò a protestare il matematico, che era stato quasi soffocato dallo scollo stretto della t-shirt.
- Girati.- lo zittì l’altro mentre prendeva il flacone della crema solare dal borsone.
Perplesso, Charlie obbedì e dopo un attimo avvertì una sostanza fredda e densa sulla sua pelle accaldata. Subito le mani grandi e ruvide di Colby massaggiare la sua pelle mentre spalmava la crema solare, e si rilassò all’istante. I tocchi del compagno erano lievi e delicati, mentre disegnava ampi archi sulla sua schiena. Non sottintendevano alcuna intenzione erotica, era come se l’altro non volesse fare altro che tranquillizzarlo e vezzeggiarlo. Un sospiro compiaciuto rotolò sulle sue labbra.
Colby sorrise: quando allentava il ferreo autocontrollo che si era imposto, il suo compagno si lasciava andare quasi inconsapevolmente a libere manifestazioni d’apprezzamento come quella, che risultavano decisamente deliziose per lui. Il morbido tepore di quella pelle lo stava conquistando e stordendo, e dovette allontanare le mani da lui per impedirsi di cedere alla fortissima tentazione di abbracciarlo e ricoprire quell’epidermide lunare di baci umidi.
Charlie si volse verso di lui e lo guardò con i suoi grandi occhi neri, velati da un’espressione languida che lo fece fremere fin dentro le ossa.
- Andiamo sui gommoni?- propose per distrarsi.
Il professore batté un paio di volte le palpebre, come se si stesse riscuotendo da un sogno a occhi aperti, e annuì. Passarono attraverso fila di ombrelloni ammassati attorno a delle piscine, in cui si ammassavano gruppi di bagnanti schiamazzanti. Colby lo fece fermare davanti una vasca piuttosto piccola, di forma quadrangolare, su cui torreggiava una costruzione a quattro scivoli multicolori, percorsi da rivoli d’acqua, alta più di un edificio a quattro piani. Un grido esultante attirò la sua attenzione e si volse in tempo per vedere un ragazzo seduto su di un gommone, scendere a tutta velocità da uno degli scivoli. Colby si gustò appieno la buffa espressione perplessa che si stava formando sul volto del compagno, mentre osservava delle persone che si divertivano a lanciarsi giù o ruotare in groppa alla propria ciambella, atterrando con una cascata di spruzzi d’acqua.
Colby avrebbe scommesso qualsiasi cosa che si stava chiedendo cosa ci fosse di tanto interessante nel gettarsi giù da uno scivolo solo per finire di schianto in una piscina piena d’acqua. Con il dorso della mano accarezzò lentamente quello di Charlie, per attirare la sua attenzione.
- Vieni, prendiamo un gommone e lanciamoci.- e lo trascinò verso una tettoia sotto la quale venivano ammassati.
Charlie osservò curioso l’espressione felice del suo compagno mentre prendeva un gommone a due posti e gli faceva cenno di seguirlo: sembrava tenere davvero tanto a quella giornata insieme, a che lui si divertisse e una sensazione calda e dolce gli riempì il petto. Fino a quel momento aveva vissuto solo per i suoi numeri, classificando i sentimenti come incomprensibili elementi di disturbo per la sua delicata psiche, ma da quando Colby era entrato a far parte della sua vita aveva iniziato a scoprirne tutta la bellezza, la fragilità e la potenza ed era stato costretto a rivedere il suo punto di vista: aveva imparato ad accettarli come parte di sé, com’era il sangue che gli scorreva tra le vene, e ora non riusciva più a farne a meno. Ora non viveva più solo per la matematica, ma anche e soprattutto per il suo compagno, ed era un’esperienza nuova e sconvolgente che gli dava la sensazione di trovarsi sulle montagne russe.
La soffice sensazione dell’erba sotto i piedi nudi era piacevole, ma lui era troppo concentrato sulla schiena di Colby, che camminava qualche passo davanti a lui, per curarsene. Gli sembrava di essere ritornato un ragazzino alla sua prima cotta. Era un uomo adulto ora, con una certa esperienza sulle spalle, come poteva eccitarsi solo guardando il suo compagno? L’unica cosa che desiderava fare in quel momento era stringersi a lui e bruciare fino a sciogliersi completamente.
Scosse la testa, facendo ondeggiare i ricci davanti agli occhi, sperando di allontanare quei pensieri che gli sembravano quantomeno inopportuni. Salì la scala di metallo della torretta, facendo attenzione a non scivolare sui gradini già umidi, e si ritrovò in cima agli scivoli. Guardò giù e deglutì a vuoto: non soffriva di vertigini, ma non gli piaceva l’idea di sfidare a quel modo la forza di gravità, lo metteva a disagio perché non riusciva a comprenderne lo scopo.
- Charlie – lo chiamò la voce rassicurante del compagno – Fai quello che faccio io e non preoccuparti, va bene? Pensa soltanto a divertirti.- e gli sorrise.
Avrebbe voluto baciarlo, ma alle loro spalle c’era una fila di mamme con bambini e l’ultima cosa che voleva era sentire i loro commenti velenosi su di loro e rovinarsi la giornata. Dopo aver ottenuto l’assenso del fidanzato, Colby posizionò il gommone sullo scivolo e cautamente si sedette, aggrappandosi al sostegno di metallo e invitando poi l’altro a fare altrettanto. Con movimenti goffi e nervosi, Charlie cercando di imitarlo e di non scivolare, si sedette nel posto davanti. Il suo cervello stava già lavorando velocemente per calcolare quale velocità avrebbero raggiunto e quante possibilità avessero di arrivare giù senza schiantarsi sul bordo della piscina.
- Appoggiati a me!- gli disse la voce dolce del fidanzato.
E lui, un po’ imbarazzato, si sdraiò su quel torace ampio, caldo e comodo, che tante volte lo aveva accolto dopo che avevano fatto l’amore.
- Sei pronto amore?- gli bisbigliò sulla pelle, dopo averla baciata.
Ma prima ancora che il professore potesse rispondergli, con le braccia si diede una spinta lanciandosi giù dallo scivolo. Per Charlie fu un’esperienza stranissima, difficilmente assimilabile dalla sua mente razionale. Per un istante lunghissimo, gli sembrò di non avere peso, di volare quasi, mentre l’aria gli schizzava acqua fredda sul viso e la fine dello scivolo si avvicinava sempre di più, poi si trovò semplicemente in acqua.
Riemerse ansante, mentre si guardava intorno frastornato. Colby era al suo fianco e rideva divertito come un bambino per quel salto appena fatto e per la sua espressione sorpresa. E, forse contagiato dall’allegria del compagno, anche Charlie sorrise.
- Dovete uscire dalla piscina. – la voce del bagnino li richiamò e si volsero verso di lui – Mi dispiace, ma è pericoloso.- .
Si scusarono e uscirono, sempre sorridenti e vicini, sfiorandosi a ogni passo. Le iridi azzurre di Colby brillarono di un lampo metallico, quando fece scorrere uno sguardo sul suo professore: era semplicemente delizioso tutto bagnato e con il costume incollato alla pelle, gli occhi scintillanti per il divertimento e i capelli sciolti dall’acqua sul volto, proprio come aveva immaginato.
E non era il solo a pensarla in quel modo, visto il modo in cui il bagnino stava letteralmente divorando con lo sguardo il suo fidanzato. Indispettito, con un movimento fintamente casuale si mise fra di loro, in modo di nascondere il suo professore a quegli sguardi inopportuni.
- Allora, ti sei divertito?- gli chiese poi, con un ampio sorriso.
- Molto. – fu costretto ad ammettere Charlie – Ma per aumentare la velocità della discesa, dovresti stenderti completamente e sollevare le braccia sopra la testa.- aggiunse con quell’espressione particolare che assumeva quando era impegnato a fare i calcoli.
- Non ti chiederò nemmeno come hai fatto. – sospirò l’agente sollevando gli occhi al cielo – Charlie oggi il tuo solo compito è divertiti, ok? Problemi e analisi mettili da parte, almeno per oggi!- lo riprese bonariamente, senza riuscire a nascondere del tutto un sorriso.
- Va bene.- annuì il matematico dopo un attimo di riflessione, non del tutto sicuro di riuscirci.
- Oh, bene! E adesso: nuovo giro, nuova corsa!- lo prese per il polso e se lo trascinò dietro insieme ai gommoni.
Quel giorno non gli avrebbe dato il tempo per pensare, ma avrebbe riempito ogni secondo di quella giornata, per fargli trascorre una giornata diversa e fargli assaporare un po’ di quell’infanzia che il suo genio matematico gli aveva strappato.