A
Place For Me
PROLOGO:
FUOCO
NEL CIELO
La
prima cosa che si udì fu l’odore di fumo. Non di
sigarette,
quell’odore lo si poteva sentire uscendo in giardino negli
orari
proibiti quando gli assistenti facevano la loro pausa e fumavano.
Quell’odore era di bruciato. Di ‘cose’
bruciate.
Lo
distinsero tutti nettamente.
Pur
essendo bambini lo sentirono come se qualcuno avesse detto loro cosa
succedeva.
Veloci
e curiosi si affacciarono alle porte delle loro camerette per vedere
cosa succedesse e guardarono verso le scale, dove l’odore, o
la
puzza, era più forte.
Bagliori
arancioni e gialli provenivano da laggiù. Come i capelli
mossi
di Nike, ora sciolti e ricadenti lungo la schiena. Sembrava
riflettessero quei colori. Oltre alle luci sempre più
evidenti, si vide del fumo scuro salire, presto arrivò al
corridoio dove i bambini più grandi gridarono spalancando le
porte:
-
AIUTO! È IL FUOCO. L’EDIFICIO BRUCIA!-
E
la consapevolezza di essere intrappolati. Le fiamme ora visibili
erano grandi, sempre più prepotenti avanzavano dopo essersi
nutrite del piano terra. Dopo l’avviso anche i più
piccoli
si unirono alle urla di spavento.
Pochi
non urlarono, anzi. Solo una. Colei che fra i capelli le fiamme le
aveva già. Il fuoco non è rosso vivo. Quando si
dice
‘capelli rosso fuoco’ si è in errore
immaginandoli rosso
acceso, poiché contiene mille colori dal giallo al rosso, ma
non scuro, non sangue. Se qualcuno ha i capelli color fuoco significa
che ci sono una gamma molto vasta di pennellate naturali.
I
grandi occhi verde-dorati ora apparivano arancio, ma sempre da gatto.
Le pupille si restrinsero in due puntini impercettibili per la
sorpresa di ciò che vedevano.
La
compagna di stanza, una bambina più piccola di lei, si
raggomitolò sulla sua camicia da notte carminio che le
sfiorava le caviglie sottili.
Era
notte e stavano per addormentarsi quando il fiuto sviluppato di Nike
aveva allarmato la piccola Marlene. I biondi e corti capelli
arruffati si immersero in quelli ramati dalle mille sfumature
dell’amica.
-
Nike, cosa succede? -
La
calma della ragazzina l’aiutava a non avere una crisi di
panico.
-
Dobbiamo uscire Lene … di qua … -
Giudicò
al volo molto male gli altri che erano corsi per il corridoio senza
criterio né logica pieni di terrore per le fiamme. Che fine
avessero fatto le assistenti non voleva saperlo, come nemmeno
l’origine di quel fuoco. L’undicenne Nike era acuta
e silenziosa,
preferiva agire per i fatti suoi piuttosto che perdere tempo.
Con
grande destrezza e freddezza, si diresse verso la finestra
richiudendo la porta. Aprì i vetri facendo entrare
l’aria
pulita.
-
Ma gli altri?-
Chiese
la piccola.
Lei
evitò il suo sguardo impaurito dove lacrime premevano per
uscire.
-
Si arrangeranno, non posso salvare tutti …
riuscirò appena a
salvare noi due … non sono un pompiere! Come ci ho pensato
io ci
possono pensare loro ad uscire dalla finestra! -
Lei
continuò a stringersi alla compagna osservandola. Non
ribatté
vedendola concentrata e laconica. Non capiva se avesse ragione o
meno, certo era che le dispiaceva perdere le altre amichette, ma non
voleva venire immersa in quelle fiamme roventi.
Con
impressionante agilità Nike saltò sul balcone
guardandosi intorno. Era un salto non indifferente e tutto quello a
cui potevano appoggiarsi era il cornicione, un metro sotto la
finestra, e la grondaia.
Poche
storie, non si poteva certo costruire una fune con le lenzuola come
nei film!
Tese
la mano a Marlene e le intimò di salire con lei.
-
Ho paura, Nike … -
La
voce le tremava senza trovare il coraggio di imitarla e prendere la
sua mano.
-
Vuoi bruciare?-
Dura
e sicura. Anzi. Molto brusca.
Un
po’ seccata di dover fare il giochetto psicologico con il
fondo di
ricatto. Marlene era l’unica amica che si era fatta in quel
maledetto istituto per orfani, non ci avrebbe rinunciato. La piccola
scosse la testa mentre le lacrime uscivano, prese la sua mano e la
strinse incerta, decisa a non lasciarla mai.
-
Vai prima. Guarda, ti calo sul cornicione, ma stai attenta …
siamo
sul retro e prima che i pompieri vengano a salvarci moriamo. Dobbiamo
fare attenzione. Sotto ci sono cespugli e alberi. Stai immobile
finché non ti dico cos’altro fare. -
Annuì
con le lacrime che scendevano calde e copiose. Si mordeva le labbra e
le guance piene. Persino in quel buio si vedevano le iridi azzurre
della bambina.
Con
una forza non indifferente per una della sua età,
l’aiutò
a calarla sul pezzo di cemento sporgente sotto di loro. Si
immobilizzò terrorizzata dall’altezza.
-
Spostati Lene, altrimenti non posso scendere anche io! -
Perse
molto tempo a farla spostare di lato, tempo prezioso durante il quale
la porta finì di bruciarsi. Un lampo. Il pensiero
volò
veloce su due cose:
“Chissà
se gli altri ce l’hanno fatta …”
e poi: “Se
non mi sbrigo sarò io a non farcela, cavolo!”
Poi
saltò abile come un piccolo gatto. Non passava inosservata
nella notte buia, come nemmeno Marlene.
-
Ascolta, ora dovremo calarci per la grondaia. Reggerà,
l’hanno
sostituita la settimana scorsa. Sta tranquilla. È facile
… -
-
Ho paura … -
-
Forza che il fuoco è in camera! -
-
S … i … -
Non
riusciva a sorridere, non era nel suo carattere ma nemmeno per chi
amava ce la faceva.
-
Allora, vedi quegli spunzoni? Fungeranno da scaletta. Sono ogni mezzo
metro, è facile. Le mani salde al tubo e i piedini su quelle
specie di chiodi. -
Una
spiegazione sbrigativa ma coincisa. La biondina tremava ma
eseguì
lentamente, facendo attenzione a non scivolare. Ora grazie al fuoco
si vedeva abbastanza bene, ma il tubo era caldo. Nike vide la camera
invasa dalle fiamme, ma non si fidava a scendere in contemporanea
alla bambina. La grondaia era stata cambiata un anno fa, altro che
settimana!
Aveva
dovuto tranquillizzarla in qualche modo.
Sospirò
lasciando che il vento rinfrescasse il viso dove goccioline di sudore
colavano, si passò una mano fra i lunghi capelli e quando la
vide a terra salva le disse di iniziare a correre lontano
dall’edificio e aspettarla fuori.
Marlene
non voleva andarsene senza di lei, sarebbe stato più brutto
che morire là dentro, stare sola nella notte, ma con un urlo
furioso dell’amica lo fece.
Non
la vide.
Le
dava le spalle correndo veloce.
Quando
fu al cancello dell’enorme giardino udì un forte
boato. Un
esplosione. Si voltò di scatto e un urlo uscì
dalla sua
gola. L’urlo più forte della sua vita.
L’edificio
era esploso … gridava il nome di Nike e continuava a
piangere
copiosamente, accasciandosi al suolo, un gomitolo che non vedeva
più
niente se non fiamme e fumo.
Erano
le mani che le bruciavano per il calore insopportabile della grondaia
invasa dalle fiamme, la sensazione che sentì al tatto
l’ultima
volta prima di sentire solo fuoco.
La
bocca piccola e chiara chiusa e serrata, i grandi occhioni espressivi
risoluti a farcela, la pelle lentigginosa accaldata e sudata, le
manine affusolate annerite e bruciate. Era tardi ma sapeva che ce
l’avrebbe fatta. A metà strada successe che un
forte rumore
proveniente dall’interno dell’edificio, dalla
cucina al piano
terra, la fece sbalzare nel cielo.
Volava.
E
nel calore soffocante ed insopportabile del fuoco sui vestiti e su
qualche filo di capello, che si spense nel volo con l’aria
che
l’accoglieva nelle sue braccia trasparenti, ebbe la
sensazione di
avere le ali e volare lontano anni luce da quel posto che le aveva
suscitato solo sofferenza.
Vedeva
il fuoco levarsi in cielo, sulla notte buia che sembrava diventato
giorno, tramonto. Il fumo nel cielo accompagnato dalle fiamme alte,
alte, sempre di più.
Il
fuoco nel cielo fu l’ultima cosa che vide dopo il tonfo sordo
che
non le fece capire altro se non che poteva essere finita.
Poi
l’oblio e la dimenticanza.