Puro Amore
CAPITOLO
1:
PREGHIERA
PER SOGNARE
/Bring me to life -
Evanescence/
Era
bella quell’aria, era forte, poteva anche riuscirci.
Ci
sarebbe riuscita, si …
…
a volare …
Guardava
il mondo da quella posizione così alta mentre il vento le faceva impazzire i
capelli rossi, sembrava tutto così piccolo ed insignificante.
Non
sarebbe pesato a nessuno.
Nemmeno
a lei.
Il
dolore fisico non contava, se ne avesse sentito si sarebbe ritenuta in buono
stato.
Non
la spaventava la morte, assolutamente. Era un trapasso e il dolore provato in
esso, quello fisico, era comunque di breve durata. Era peggio stare sulle punte.
Lo
era, eccome … quando si hanno i piedi completamente feriti per riuscire a
modellarli nel giusto modo; o così o non avrebbe ballato bene.
Sentiva
i propri abiti alzarsi scoprendole la pelle, brividi, la pelle si indurì per la
sensazione di freddo e divenne ruvida, lei non se ne accorse, come non si
accorse delle persone che erano salite in quel momento sul palazzo.
Solo
un banalissimo gruppo musicale, una banda di … perdenti, a giudicare
dall’aspetto mal ridotto. Probabilmente erano solo dei poveracci che cercavano
un metodo per far soldi, come tutti del resto.
Ciò
che contava era farsi notare, acquistare un nome e salire, diventare i migliori,
farsi ammirare … tutto per un unico scopo reale.
Fare
soldi.
Ecco
perché ora lei si trovava lì.
Le
sembrava tutto così insulso e privo di senso.
Ogni
cosa.
Fino
a quel momento l’aveva tenuta in vita la danza ma ora … ora non provava più
piacere nemmeno facendo ciò che le era sempre piaciuto. Non provava più
piacere in nulla. Ogni cosa aveva perso interesse.
Il
cibo da tempo, si era messa d’impegno per odiarlo o non avrebbe ottenuto il
corpo perfetto per ballare; era stata così brava che il solo pensiero di
mangiare le provocava la nausea, immaginare qualcosa da ingurgitare di
commestibile era una tortura, per evitare quel pensiero si metteva a ballare. Il
ballo era lo scopo per cui odiava il cibo. Il cibo era nemico della danza.
Il
cibo era nemico suo.
Questo
finché non aveva smesso di essere felice anche quando si esibiva.
Quando
era successo aveva visto ogni cosa della sua vita diventare grigio. Né bianco,
né nero, né nessun altro colore.
Solo
grigio.
Qualunque
cosa accadesse non la toccava, lei era diversa, nessuno era come lei, nessuno
poteva capirla, accogliere le sue confidenze, darle buoni consigli.
Quali
buoni consigli esistono per una ballerina che inizia ad odiare l’unica sua
ragione di vita?
Aveva
fatto un errore madornale, modificarsi dal primo alito di vita in modo da
arrivare ad essere la ballerina classica perfetta, in ogni singolo dettaglio.
Avrebbe
dovuto esserlo per tutta la vita invece … invece nessun impedimento fisico era
arrivato a bloccarle la via, niente di esterno, di eliminabile, di ragionevole.
Niente.
Solo
il suo odio, la sua repulsione.
Quando
eseguiva i passi muovendosi nella musica armoniosa che sempre aveva amato, non
sentiva più piacere, non aveva voglia di fare assolutamente nulla.
Una
musica le era giunta all’orecchio, uno strumento che non conosceva, ciò che
non c’entrava con la danza classica l’aveva eliminato di partenza. La sua
vita era SOLO danza classica.
Ora
non sentiva nulla per lei e come potesse essere successo, per lei, era un
mistero. Aveva fatto tutto giusto, curando i particolari, era stata molto
attenta. Stava arrivando ad un livello veramente molto alto eppure … eppure di
punto in bianco più nulla.
Non
si era accorta prima, un giorno semplicemente era successo, si era svuotata e
ragionando sul suo interno, sul suo spirito, si era chiesta che senso avesse
continuare se nulla le interessava.
Nessuno
le aveva mai dato ordini, nessuno era mai stato più di lei tanto da dirle che
DOVEVA fare determinate cose.
Nessuno
era mai arrivato a lei tanto da trattenerla.
Nessuno
c’era perché aveva dato tutto per il ballo.
Aveva
solo il ballo.
Ora
non sapeva come ma non era abbastanza nemmeno quello.
Forse
perché era diventata troppo brava, perché non aveva più nulla da imparare,
perché eseguiva tutto così egregiamente che non aveva senso allenarsi, non ce
n’era motivo … forse perché nessun applauso o complimento era necessario
per dimostrare che era brava … o magari perché, semplicemente, gli stimoli
non c’erano più.
Era
fatta male?
Era
una così?
Allora
fino a quel momento non aveva ballato per il piacere di farlo ma solo per …
per cosa?
Non
aveva saputo rispondersi.
Se
non sapeva perché ballare non sapeva nemmeno perché vivere, poiché aveva solo
quello.
Era
salita su quel palazzo facendosi trasportare dal vento, il maggior contribuito
per danzare. Salita in quella ringhiera, dall’altra parte, si era tenuta ben
salda, facendo attenzione ai movimenti ed alla posizione, qualcosa che desse
espressione di sé.
Cosa
esprimeva in quel momento?
Quando
si scambiò uno sguardo con il ragazzo punk che aveva incontrato la sua
disapprovazione, si era per un attimo vista coi suoi occhi profondi e vuoti.
Aveva
visto un minuto lungo di luce solo perché la guardava in quella posizione.
Ecco
la sua risposta.
Esprimeva
la luce che si faceva vincere dalle tenebre.
Un
angelo che si stava buttando nell’abisso infernale per decadere.
Dai
suoi occhi si vide a quel modo.
Poi
tornò a voltarsi.
Non
avrebbe impedito nulla, quel ragazzo.
Non
era un pericolo, uno come lui non era nemmeno degno di toccarla perché dava
l’idea di sporco e unto, era fuori dalla sua portata.
Quindi
non lo calcolò più di quell’istante e tornò a dedicarsi al suo abisso
profondo.
Ora
che era lì in alto in procinto di farla finita provava qualcosa?
Forse
era andata lì solo per dimostrare a sé stessa che invece era viva e non voleva
morire, che aveva interesse per qualcosa, che non c’era solo la danza, che …
Però
stava ancora aspettando di provare l’istinto di non buttarsi, di scappare da lì
e mettersi al sicuro.
Il
suono di quello strumento non cessava, insistentemente continuava accanto a lei.
Lui
la guardava.
“Allora,
semplicemente, non rimane che una cosa da fare … visto che non trovo
motivazioni valide per non farlo è giunto il momento.
Mi
piacerebbe provare dolore, per una volta.
Dolore
diverso da quello provocato dal ballo. Dolore che mi faccia capire che sono viva
e non una semplice morta vivente.
Mi
chiamano la Rosa Rossa o Angelo.
Ebbene
è giusto che lo faccia così, l’ultima immagine mia che darò sarà quella di
un angelo che, mentre cade nell’Utero di Lucifero, guarda il cielo
allontanarsi, lo guarda per l’ultima volta pensando: Ecco cosa mi perdo …
Voglio
farlo così e vedere se nemmeno allora proverò paura e griderò.
Se
sono viva allora devo dimostrarlo a me stessa. “
Si
girò dando la schiena al vuoto, in quella posizione vide perfettamente il
ragazzo dai capelli neri radi lateralmente e lunghi sopra e centralmente. Si era
messo proprio davanti a lei stringendo ancora la sigaretta fra i denti e lo
strumento fra le mani.
Suonava
ancora, era un suono basso di poche note.
Qualcosa
che faceva da colonna sonora alla sua morte, non molto melodioso od aggraziato.
Deludente
dal suo punto di vista.
Lei
non l’avrebbe mai compreso ma, in realtà, non aveva smesso di provare amore
per la danza di punto in bianco, aveva ignorato i segnali d’allarme così come
faceva con ogni cosa. Lei ignorava tutto finché non era arrivata ad ignorare
anche i segnali del suo corpo, della sua anima. Ecco perché non aveva potuto
rimediare e capire le cose graduali.
Fu
catturata da quel viso così insipido che sapeva di nulla, non aveva quasi
sopracciglia, gli occhi erano sottili e a fatica si intravedeva il colore blu,
la bocca piccola anch’essa, piercing ovunque e abiti rovinati.
Non
era un bel tipo, anzi … se però si fosse curato meglio lo sarebbe stato,
senza dubbio.
Sembrava
incuriosito ma ancora non parlava, come se volesse vedere se l’avrebbe fatto
veramente.
La
sfidava a farlo?
Non
parlava, solo la guardava con attenzione, in contrasto col suo apparente modo di
essere menefreghista.
Le
si staccava solo per qualche centimetro, si era messo il più vicino possibile a
lei.
Silvy
avrebbe voluto sapere cosa pensava, perché lo faceva, cosa avrebbe fatto …
improvvisamente si trovò a voler questo.
Qualcosa.
La
sorprese, la scosse profondamente e con una lieve incrinatura del sopracciglio
fine e curato dimostrò quel suo stato d’animo.
Incertezza.
Allora
non era morta.
Allora
forse poteva ancora provare qualcosa.
-
Non fai niente? –
Disse
lei con un filo di voce, era una voce femminile e delicata ma atona.
Lui
sbuffò buttando la sigaretta giù per il palazzo, poi rispose senza smettere di
suonare:
-
Vuoi che faccia qualcosa? –
Nemmeno
il suo tono aveva inclinazioni particolari, era una voce bassa, rauca e
penetrante. Molto bella.
-
Non ti viene da fare nulla? –
-
Dovrei fare qualcosa? –
Disse
subito lui, in breve si intavolò un discorso veloce fra i due che si scrutavano
a fondo senza far passare i propri pensieri.
-
Sei tu a saperlo … -
-
Forse dovrei fermarti ma non me ne frega nulla, non ti conosco. Che me ne frega
di te? –
Silenzio.
Quella
risposta la colpì, era una persona non molto diversa da lei, dentro. Molto in
fondo cominciava a sentire una similitudine con un’altra persona. Non avrebbe
mollato fino a che non sarebbe stata sicura di poter sperare ancora di essere
viva.
-
Allora perché mi guardi così? –
Syd
rispose senza crearsi problemi, dicendo la verità, senza vergognarsi per
questo.
-
Perché sei bella … voglio vedere se gli angeli sanno uccidersi! –
L’aveva
intuito, lei veramente l’aveva intuito che potesse essere così.
Però
…
-
Non ti dispiace che un angelo muoia? –
-
Non sono degno degli angeli, non ho diritto di impedirgli nulla, nemmeno la
morte … -
Aveva
una visione interessante della vita e delle cose; no, non era proprio come lei e
per questo forse sarebbe potuto essere interessante. Forse.
Ancora
non lo era.
Però
magari in futuro …
-
Non avrai altre occasioni di vedere un angelo … sei sicuro di non volere
niente? –
Sembrò
pensarci un attimo, come se questa risposta fosse effettivamente importante. Non
staccò gli occhi dai suoi, erano belli, erano di uno splendido color azzurro
cielo terso, quell’azzurro che viene dopo il temporale. Pulito.
-
Io non voglio mai niente. Sei tu invece che vuoi qualcosa … -
Trattenne
il fiato … che lui l’avesse capito? Ciò che cercava di capire lei con quel
gesto?
Si
avvicinò impercettibilmente a lui per ascoltare meglio la risposta, erano molto
vicini …
-
Dimmi, cosa? –
Come
se lo stesse pregando, come se gli chiedesse disperatamente una soluzione per
tornare a sognare.
Lui
prima di rispondere la guardò meglio nei dettagli. Prima aveva avuto solo
l’impressione che fosse splendida ma ora che l’aveva così vicina poteva
averne la certezza.
Qualcosa
di diverso dal nulla, nella sua vita, l’aveva appena incontrato.
Nonostante
ne avesse viste di persone belle, nessuno aveva catturato la sua attenzione a
quel modo, solo con un banale gesto di buttarsi giù e farla finita.
-
Vuoi che qualcuno ti salvi riportandoti in vita. Che ti faccia aprire gli occhi
… -
Non
sapeva come aveva potuto dire una cosa simile ma gli era passata nella mente e
l’aveva detta, non era tipo che rifletteva, anzi …
“Ma
come … come può dire una cosa simile questo sconosciuto?
Non
ho nessuno nella mia vita, i miei genitori non ci sono più da molto e in
istituto sono stata abituata a stare sola, isolandomi, nemmeno i miei maestri di
danza mi hanno mai trasmesso altro che non fosse inerente alla danza. Ora questo
ragazzo così diverso da me mi dice una cosa simile e mi ferma. Arriva a dirmi
ciò che speravo che fosse vero. Allora lo è … allora non è come pensavo.
E’
come speravo che fosse.
Sono
viva, devo solo cercare meglio dentro di me …
oh
… ma … ma come farò a capire qual è ciò per cui vivo? Non è la danza e
dunque? E dunque come faccio … io non lo so. So solo ballare, il mio corpo va
bene solo per quello. Il mio stesso carattere non va bene per nient’altro che
sia la danza classica.
Cosa
devo fare e come?
Chi
me lo può dire?
Sono
viva ma … ma tutto ciò che ho sono sogni e speranza. E preghiere di
continuare a sognare. Cosa?”
Il
cuore prese a batterle all’impazzata e qualcosa che non era mai accaduto scattò
in lei, sorprendendola e spaventandola.
Si
agitò.
Cominciò
a sudare e a stringere le labbra fino a farle diventare bianche per lo sforzo,
stessa sorte alle mani intorno alla ringhiera, le pupille le si strinsero per lo
spavento.
Cosa
le succedeva?
Guardò
con speranza le mani del ragazzo, suonava ancora, non l’avrebbe salvata, non
sarebbe stato lui il suo salvatore … fu con questo pensiero che il suo corpo
iniziò a tremare e le gambe immobili per la paura scivolarono.
Scivolò
nel momento in cui l’aveva fissato dritto negli occhi con la sua richiesta, la
sua muta preghiera.
Non
sarebbe mai riuscita a pronunciarla a parole, non ce l’avrebbe mai fatta, non
sarebbe stato da lei, non era capace di esprimersi a parole, non era abituata.
Come
si chiedeva aiuto?
Aveva
bisogno di qualcuno che vedesse di lei, qualcuno che ricoprisse il ruolo che
nessuno aveva mai ricoperto, in fondo non era venuta lì per uccidersi ma solo
per trovare delle risposte, ora che le aveva, però, non sapeva come tornare
indietro e salvarsi da sola … impossibile dal momento che desiderava che
qualcuno la salvasse.
Quando
interruppero quello scambio di sguardi significativo perché lei stava per
cadere, riuscendo solo a tenersi nella ringhiera di ferro, sembrò che qualcosa
scattasse anche in lui.
Come
se avesse capito qualcosa che cercava di capire anche lui … che avesse avuto
una delle risposte alle sue mille domande?
Non
lo seppe, Silvy non lo seppe mai ma si sentì afferrare la mano quando la sua
stava cedendo, si sentì stringere con forza e quando vide chi fosse, mentre
l’alzava di peso, un peso che in effetti era nulla, vide che era lui.
Sempre
quello sconosciuto che le aveva detto la cosa giusta al momento giusto.
In
realtà le persone anelano a questo.
A
risposte.
Risposte
che non sono le verità assolute ma solo le cose giuste dette al momento giusto.
Nient’altro.
Ciò
che poi scatta nella persona quando se le sente dire, è sempre un mistero …
l’importante è che scatti.
In
loro era scattato.
Entrambi
avevano fatto qualcosa che mai, in condizioni normali, avrebbero fatto.
Mai.
Da
lì in poi, cosa sarebbe successo, sarebbe dipeso da loro.