LECCARSI LE FERITE



/Believe in me - Lenny Kravitz/

Bruciava.
Bruciava da morire, in una maniera assoluta ed incontrollata, da far esplodere il petto ed ogni parte dentro di sé, da voler urlare con quanto fiato possibile e non riuscirci perché era completamente prosciugato, fino a sentire il cuore galoppare in gola e voler uscire, fino a tendere ogni muscolo e stringere, stringere e stringere ancora qualunque cosa possibile - solo un lenzuolo -, da nascondere il viso, premerlo e stringere forte forte gli occhi nella speranza che smettessero di bruciare.
Fino a piangere.
Piangere come una bambina, senza riuscire più a fermarsi nemmeno con tutta l’enorme volontà che possedeva.
Piangere senza ritegno, senza asciugarsi le lacrime e tutto quello che bagnava il suo viso femminile, ora contratto in una smorfia senza precedenti.
Come se tutto questo potesse essere sufficiente a calmare quel dolore acuto, quel senso d’umiliazione schiacciante, quella delusione senza pari.
La sua giustizia.
Dov’era la sua giustizia? Quella in cui aveva creduto fermamente da quando si era arruolata in marina? Quella che le aveva dato la forza per andare avanti e farcela anche nei momenti peggiori - e dannazione, ne aveva avuti per poter arrivare al grado di sergente maggiore! -, ora dov’era?
Laggiù era stato l’inferno e lei aveva avuto l’autorità per fermare tutto quello scempio, quelle ingiustizie e quei crimini che avvenivano liberamente sotto i suoi occhi, ma non aveva avuto le forze.
Semplicemente non ci era riuscita.
Inferiore, insufficiente, inadeguata, vergognosa, debole.
Debole.
Oh, come bruciava quella parola.
Era quella la chiave di tutto, no?
O forse no. Forse quello avrebbe potuto sopportarlo, quello che non aveva sopportato era stato il silenzio della gente più forte al servizio della marina, quelli che alzando solo un dito potevano risolvere una crisi che avveniva da anni sotto i loro occhi.
Il re li aveva tenuti fuori, ma quell’organizzazione, la Baroke Works, aveva avuto il tempo di fare tutti i suoi porci comodi, e di notizie su di loro ne avevano, per quanto segreta fosse. Sapevano che esisteva e che erano dei criminali.
Nessuno era venuto a salvare quel regno in distruzione. Avevano lasciato tutto nelle mani inadeguate di un semplice sergente maggiore.
Non voleva dirlo, l’aveva superato il senso d’inferiorità circa il proprio sesso femminile.
Essere una donna non significava nulla. Semplicemente il suo senso di giustizia non bastava per pulire il mondo così come aveva sempre sognato.
Non era bastato.
Lei, un ufficiale della marina, aveva dovuto lasciare che dei pirati risolvessero tutti i problemi!
Pirati!
E non gente qualunque, proprio quelli che stavano inseguendo da mesi!
Però era rimasta là a guardare impossibilitata a fare qualcosa e aveva indicato a Cappello di Paglia il luogo del coccodrillo.
Aveva potuto fare solo quello ed evitare di catturarli a guerra finita, quando sfiniti erano svenuti tutti in strada, davanti ai suoi occhi.
Lei li aveva guardati e aveva detto ai suoi uomini di lasciarli in pace e di andarsene.
Che giustizia era, quella?
Non la sua…
E bruciava peggio di una sconfitta, tanto da non riuscire a smettere di piangere.
Aveva tentato di trattenersi fino all’arrivo alla nave, ma una volta davanti a Smoker, una volta scambiate con lui quelle parole, una volta guardato in faccia non ce l’aveva fatta ed aveva lasciato che quelle dannate lacrime umilianti le rigassero le guance, proprio come una femmina qualunque!
Che vergogna.
Tutto quello che le era rimasto, era stato gridare.
Gridare in risposta ad un altro grido del suo capitano di vascello.
Cosa pensava di fare ora davanti a tutto quello che era accaduto?
MIGLIORARE!
DIVENTARE PIU’ FORTE! SUPERARE QUEI RAGAZZINI!
Ma il pianto non si era fermato, era solo riuscito a nasconderlo, consapevole che l’aveva visto solo lui, Smoker, l’uomo che per assurdo ammirava più di tutti nonostante quel suo caratteraccio e quel suo agire come più gli piaceva, solo per il gusto di farlo, sovvertendo tutte le regole.
Non pretendeva di diventare come lui, ma era contenta di affiancarlo, aveva la sensazione di diventare ogni giorno più forte, di poter essere un giorno qualcuno solo grazie a lui.
Lui non temeva nulla, era forte ed agiva secondo coscienza, qualunque essa fosse, fregandosene delle conseguenze!
Lei non ci riusciva, aveva sempre un etica, una morale, dei valori, degli ideali, dei sensi di giustizia… sempre qualcosa che le impediva di fare liberamente quello che voleva.
E forse non era sufficientemente forte per quello.
Non sapeva nemmeno che momento della notte era, non da quanto fosse lì in ginocchio davanti al letto a piangere come una bambina a dirotto, ancora sporca, affamata e stanchissima.
Ogni muscolo le doleva, aveva del sangue che le usciva da un paio di ferite superficiali, le ossa gridavano vendetta, lo stomaco teoricamente affamato chiuso in una morsa.
E quel dannato senso di debolezza mescolato al bruciore.
Quel fuoco che non si spegneva nemmeno con tutte quelle lacrime.
Avrebbe dovuto farsene una ragione e cominciare a pensare a come rafforzarsi, essere più pratica, più come il suo capitano, ma non ci riusciva. Non lì, non ora. Anche se aveva carattere, se non si abbatteva mai, se si dava sempre da fare, se andava comunque avanti, ora era bloccata come una stupida fra mille piagnistei!
Umiliante oltre ogni dire.
Fu l’odore di fumo a fermarla dal singhiozzare.
Appena capì che erano gli inconfondibili sigari di Smoker, sussultando si tirò su di scatto girandosi verso la porta, lo guardò coi suoi grandi occhi blu sgranati e arrossati, ora totalmente appannati. Sapeva che era lui solo per il fumo, non lo distingueva ancora bene.
Si sentiva come passata dentro un tritacarne ed era consapevole di essere in uno stato pietoso, ma non gliene importava nulla.
- Non l’ho sentita bussare… - Disse la prima cosa che le venne in mente, ora totalmente vuota e nel panico. La voce era roca e spezzata.
Smoker rimase fermo davanti alla porta che non si era nemmeno aperta, aveva a sua volta un aria che dire furente era sminuirla.
- Non ho bussato! - Era una domanda stupida… lui non conosceva le buone maniere nemmeno con una donna, specie perché, probabilmente, non aveva mai considerato Tashigi davvero una donna.
Questa, per lo meno, era la sua convinzione ma in realtà si sbagliava… quell’uomo era semplicemente cafone!
- Sono passato attraverso la porta! - Specificò come se fosse importante. In realtà sapeva che lo era per lei, quindi lo disse solo per quel motivo.
Lo faceva spesso, faceva parte dei suoi pessimi modi!
Aprire porte e chiedere permessi non era per lui… o le trapassava o le buttava giù a calci!
Inoltre quella notte non era di certo di buon umore!
Lei rimase inebetita a fissarlo dal pavimento, mentre cercava di riprendersi per evitare di fare ancora una volta la figura della stupida… ma probabilmente lui ci era abituato!
Smoker strinse gli occhi grigi mentre il fumo dei due sigari si alzava davanti al suo volto per poi disperdersi nell’aria, lasciando quell’odore dolciastro e sgradevole per qualcuno. A lei piaceva non per il fumo in sé, solo perché era il ‘profumo’ del suo capitano.
Più la guardava e più provava fastidio, era qualcosa di incontrollabile… il viso rosso, sporco, stravolto dal pianto, gli occhi gonfi, rivoli di sangue che si facevano strada fra i lividi, capelli spettinati, vestiti sporchi e anche un po’ strappati.
Lei seduta a terra.
A terra!
Una come lei non poteva ficcarsi così in basso, assolutamente!
Cominciò a manifestare il suo disappunto con una specie di basso ringhio con la gola, nulla di preciso ma abbastanza per Tashigi, a lei bastava un solo sguardo per capire quando era arrabbiato - abbastanza spesso in effetti -, compiaciuto - pochissime volte -, o deluso.
- Fai pietà! - Borbottò mettendo una mano al fianco. Era come al solito a torso nudo, allergico ai vestiti com’era, era tanto che indossasse i pantaloni.
Il tatto non era il suo forte ma quest’uscita diede conforto alla ragazza perché significava che era tutto come sempre. Gli uomini erano gentili solo con le donne, no?
Anche se forse Smoker non era di quella razza… trattava male anche Hina, conoscendola da un sacco di anni.
- Lo so, mi scusi, signore. - Cercò in sé quel contegno e quella riverenza che sapeva di dover portare al suo superiore, eppure era in camera e aveva chiesto di poter riposare… cosa pretendeva dopo tutto quello che aveva passato? Suo malgrado cercò di pulirsi il viso alla meglio. La sfiorò l’idea di alzarsi ma nemmeno volendo ci riuscì, le forze erano andate proprio su un altro pianeta!
- Come mai è qui, signore? - Chiese con rispettosità.
- Dalla sede centrale ci daranno dei premi e dei passaggi di grado per aver risolto la crisi di Alabasta! - Lo disse così e basta. Con disprezzo e amarezza, continuando a guardarla dritto negli occhi che si sgranavano di sorpresa a quella frase. Non aveva bisogno di dire altro, sapeva che lei aveva capito e che la pensava come lui!
- Ma come possono? Noi non abbiamo fatto nulla! Sono stati Cappello di Paglia e i suoi! - Si accese indignata ritrovando d’un tratto le forze per replicare ancora. La rabbia le montava dentro ma era solo lontanamente paragonabile a quella di Smoker che si avvicinò sedendosi sul letto, accanto a lei ancora a terra.
Era inaudito per uno come lui. Poteva essere un bastardo e avere metodi discutibili, ma era onesto. Forse l’unico, oltre a Tashigi, in tutta la marina. La sua carriera se l’era costruita da solo, non aveva avuto favoritismi e soprattutto non si era mai preso meriti altrui, pensare che adesso invece era così e non poteva farci nulla, gli rodeva dentro in una maniera indicibile. O trovava il modo di calmarsi, o andava in sede centrale a fare una strage… e allora sarebbe di certo passato dall’altra parte. Anche se si sarebbe tolto una grande soddisfazione!
Ecco perché era venuto da lei che lo fissava ancora dal basso, stupita che si fosse addirittura accomodato nel letto.
- Sei l’unica a cui importi! Gli altri se ne sbattono! Anche quella maledetta Hina! Lei non rischia mai il suo culo coi superiori! La conosco troppo bene, ormai. Ha le palle solo con chi decide lei! -
La ragazza rimase ad ascoltare il suo sfogo stupita, capendolo però bene. Quello era uno di quei macigni duri da digerire in un momento ottimale, figurarsi in uno simile!
- E’ ingiusto… - Si lamentò con un filo di voce abbassando la testa a guardarsi le mani sporche e piene di lividi. - Non ho potuto fare nulla. Non sono servita a niente e loro addirittura ci premiano insabbiano una storia simile! -
- Sono un branco di ipocriti! Se aspetti che la giustizia ti cada addosso dal cielo sei una povera illusa! Te la devi costruire tu, la giustizia. Quella che vuoi! - Disse lui scontrosamente, stufo di sentirla lamentarsi. Certo che l’aveva reso orgoglioso sul ponte gridando che sarebbe diventata più forte, ed era anche certo che era l’unica che nella sua squadra valesse qualcosa. Sapeva che poteva diventare più forte, aveva la stoffa e carattere. Però non doveva farsi abbattere in quel modo dagli ostacoli.
- Lo so ma… a volte… davanti a… - Non riuscì a finire la frase, l’idea di quello che voleva dire le fece tornare il nodo alla gola e di conseguenza la voce si spezzò mentre le lacrime tornavano pietose agli occhi.
Non doveva piangere davanti a lui!
L’aveva già fatto prima, ora basta!
Si impose con tutte le sue forze nascondendo il viso ulteriormente, girandosi dall’altra parte, sperando solo che se ne andasse, che la lasciasse libera di sfogarsi ancora un po’.
Ma in realtà non era vero che voleva se ne andasse.
Proprio durante il clou della sua violenta lotta interiore per non fare ancora una volta la stupida davanti al suo capitano, si sentì strattonare per un braccio e tirare su di peso. In un attimo si trovò seduta sul letto accanto a Smoker che la fissava non male, ma molto di più, poi registrò solo i suoi occhi grigi pieni di rabbia, l’odore fortissimo di fumo e la voce ringhiante che la sgridava:
- Smettila di piangere! Curati, accetta la realtà e diventa più forte! -
Si trovò a sussultare insieme ad ogni parte di sé, dal suo sciocco cuore femminile al respiro mozzato.
- La realtà è che sono debole, ma diventerò più forte! - Lo disse con fermezza, trovando la forza dalla sua vicinanza, con convinzione, pensandolo davvero.
Un lampo di ira maggiore solcò il suo sguardo tagliente, quindi con uno scatto, buttando via i sigari, la prese per le spalle e la spinse giù sul letto, rimanendo sopra di lei ma senza schiacciarla, poi infuriato le gridò in faccia:
- EHI, PRINCIPESSA, NON SEI DEBOLE! NON DEVI MAI PENSARLO! IO NON HO PRESO NELLA MIA SQUADRA UNA FEMMINUCCIA FRIGNONA INDIFESA E BUONA A NULLA! DICI SEMPRE DI NON TRATTARTI CON RIGUARDO PERCHE’ SEI UNA DONNA, MA QUA DENTRO SEI SOLO TU CHE PIANGI! TU SEI FORTE, L’HAI CAPITO? PERCHE’ SE VOLESSI MI RIBALTERESTI E TE NE ANDRESTI! OGNUNO E’ RESPONSABILE DELLE PROPRIE AZIONI, MA NON CI DEVONO SCHIACCIARE! SI VA AVANTI! - Quella ragazza che l’aveva reso orgoglioso davanti a tutti gli altri marinai dov’era? Quello scatto di forza e di orgoglio, quel voler a tutti i costi farcela…
- Lo so, ma brucia lo stesso anche se domani diventerò più forte. - La voce spezzata, gli occhi fissi nei suoi, blu su grigio, niente paura, niente tristezza, niente compatimento. Solo fuoco.
Fuoco e ferite che, sebbene non dovessero mai fermare qualcuno, c’erano, facevano male e andavano curate.
Lei era l’unica che valesse qualcosa nella sua squadra, doveva tirarsi su e andare avanti.
Ma su una cosa aveva ragione… dopo una cosa così oltre alle cure, ci voleva uno sfogo, uno sfogo sano ed efficace e lì per lì, sopra di lei, guardandola nel suo momento più femminile, non riuscì più a pensare ad altro. Non che ci rimuginò molto.
Non addolcì la sua espressione dai lineamenti decisi ed affascinanti, ma abbassò la voce e smise di ringhiare. Un sussurro basso e penetrante.
- Curati… - Qualcosa non da lui, non per il significato letterale del termine, invece tremendamente tipico per invitarla ad accettare quello sfogo sano ed efficace di cui aveva bisogno anche lui.
Aveva il suo corpo soffice di donna sotto di sé e non trovava il sergente maggiore in quel viso graffiato e ingenuo. L’aveva capito benissimo, ma era ovvio che non ci credeva!
Non era mai successo ma non erano nemmeno mai arrivati a quei livelli.
Ai livelli di bruciare dal dolore e piangere.
Ai livelli di cercare di tirarla su perché lei era forte e non doveva scoraggiarsi a quel modo.
Ai livelli di prendere una posizione laddove di suo non gliene sarebbe importato molto.
Quello che gli aveva detto Hina era vero… aveva fatto tutto quello solo per Tashigi, perché a lui quelle menate reali non erano mai piaciute.
Semplicemente era cosciente che invece alla ragazza sarebbero state a cuore perché lei era l’unica ad avere un vero senso di giustizia.
Lì lei non avrebbe mai osato fare nulla in quel senso, quindi lui semplicemente si abbassò e cominciò a leccare via il sangue dal suo viso, non molto in realtà. Tashigi immobile tratteneva il fiato ad occhi sgranati, incredula che stesse davvero accadendo, senza la minima volontà di fermarlo.
Perché, poi? Non era mai stato così dolce con lei… a modo suo lo era… in quel momento, mentre iniziò a leccare via le lacrime che erano rimaste sulla guance, si accorse che ora era diverso perché la vedeva come una donna e capì. Capì che a volte quel ruolo le mancava davvero, in una nave di marinai sottoposti, dove solo uno sta sopra di te e ci sono delle regole ferree da seguire che lei mai pensava di infrangere un giorno.
Era vero che come ufficiale della marina sarebbe riuscita ad andarsene in un modo o nell’altro, ma non ne aveva la minima intenzione.
Era bello essere donne e uomini, e non più capitani e sergenti.
Quando la sua lingua arrivò a bruciarle il mento, l’alzò impercettibilmente schiudendo le labbra. Fu allora che la sentì su di esse e le parve di cominciare a dimenticare qualcosa, mentre la sua pelle si scaldava a vista d’occhio e non sentiva più la stanchezza.
Il cuore martellava ancora ed il respiro era irregolare, ma nella sua immobilità alla totale e volontaria mercede di Smoker, l’eccitazione lo scollegò dalla realtà.
Esattamente quello che voleva.
Per quella notte avrebbero dimenticato le umiliazioni e le ingiustizie con qualcosa di piacevole, l’indomani si sarebbe tornati al lavoro.
Infilò la lingua nella bocca della ragazza che l’accolse andandogli incontro con la propria, quando si trovarono divennero un tutt’uno dando inizio ad una piccola lotta che andava in crescendo, nella quale però prevaleva sempre lui e la sua irruenza.
Mentre si baciavano cominciò sbrigativo a slacciarle quel che rimaneva della sua camicia che ormai lasciava poco all’immaginazione, quando l’ebbe liberata sentì sotto il tatto il reggiseno semplice che le tratteneva a stento i seni. Li prese e li strinse attraverso la stoffa morbida, quindi con quel suo caratteristico ringhio basso con la gola, si staccò dalla sua bocca e scese sul suo petto liberandolo in fretta. Li avvicinò fra loro e tormentò i capezzoli con le dita e la lingua succhiando e lambendoli con la bocca, chiudendo gli occhi e ricordandosi che quella sensazione gli mancava da troppo.
Gli mancava il dimenticare di essere uno della marina che doveva perennemente combattere per qualcosa, anche solo i suoi fottuti capricci di uomo bastardo.
Ogni tanto si concedeva piacevoli parentesi come quelle, ma era diverso dal farlo con qualcuno che si conosceva, con cui si viveva insieme, di cui si sapeva praticamente tutto, anche quello che pensava!
Era diverso farlo con una ingenua e piena di valori ed onestà come lei.
Una così pulita.
Era decisamente meglio.
La sentì sospirare di piacere, quindi con una mano abbandonò un seno per continuare a spogliarla, le slacciò i pantaloni e quando la sua pelle liscia fu abbastanza calda grazie alle sue carezze, si staccò anche dai suoi capezzoli per sfilarle del tutto gli indumenti che rimanevano. Diede un’occhiata penetrante al suo corpo nudo come se lo stesse divorando, poi in silenzio con la lingua si occupò anche della sua parte femminile, senza imbarazzi o pensieri.
Era tutto lontano e lo era finalmente anche per lei, lei che non aveva nemmeno mai osato avere pensieri simili sul suo capitano ma che segretamente avrebbe voluto eccome.
Lei che non si sentiva più un sergente inadeguato e debole ma una donna che veniva appagata.
Le ferite non le facevano già più male, né quelle fisiche, né quelle interiori.
Si inarcò premendo la nuca sul materasso, mentre afferrava le lenzuola ma questa volta non per il dolore bensì per il piacere. Mugolò rossa in viso accesa di desiderio e mentre si trovava in quello stato che era un misto fra la beatitudine e la follia, mentre sentiva la sua lingua dentro di sé che si faceva strada ed in seguito le dita con lo stesso intento, si rese conto di quanto anche lei lo volesse e cominciò ad accarezzarlo provando a seguire quel desiderio nascosto di averlo sopra di lei e farsi possedere da lui, così forte ed eccitante. Talmente bello ai suoi occhi. Così libero di fare tutto quello che voleva.
La sua pelle liscia - di chi non è mai stato ferito per il suo potere - non si dissolveva se la toccava, i muscoli rimanevano delineati in maniera perfetta, esplorarlo era volere di più e dimenticarsi di essere timida.
Quando lui tornò sulla sua bocca, l’accolse con più vigore rispondendo al bacio decisa, senza rendersi conto che le proprie mani avevano preso volontà e si stavano dirigendo ai pantaloni di Smoker. Lui invece capendo perfettamente cosa stava per fargli, si tirò su fermandosi e limitandosi a guardarla curioso, si ritrovò solo più eccitato mentre lei impacciata e timida finiva di spogliarlo sotto quello sguardo tremendamente provocante e rovente.
Esitò guardandolo a sua volta completamente nudo. Non era c’erto uno spettacolo che lasciava indifferenti, ma come tentò di riflettere su quello che avrebbe dovuto fare a quel punto, andò totalmente in caos, così Smoker ridacchiando divertito la ridistese coprendola col suo corpo possente, strofinando l’inguine sulle sue gambe, facendole sentire che sensazione era averlo contro di sé, sulla pelle.
Non smise di fissarla un istante, assorbendo ogni dettaglio del suo viso e delle sue espressioni buffe che erano una lotta fra l’imbarazzo, la confusione e il piacere sempre più intenso.
Quando l’eccitazione di lui fu più evidente, siccome lei rimaneva ancora  ferma a farsi fare di tutto senza osare più nient’altro, le mormorò ad un orecchio, leccandolo e succhiando il lobo:
- Non vuoi? - Un modo personale per dire ‘non sei obbligata’, una specie di gentilezza nei suoi confronti. Bisognava essere abili per capirlo, oppure essere in perfetta sintonia con lui da tempo.
Per loro era la seconda.
Beandosi un attimo della sua lingua che ora era scesa a leccare e succhiare il collo, lasciandoglielo assaggiare immergendo le dita fra i capelli morbidi, sentì ancora una volta il suo membro premerle contro sempre più duro. Doveva almeno provare, era comunque una di quelle curiosità che non poteva perdersi, magari una cosa così non sarebbe più successa!
Non poteva fare la stupida, era ora di svegliarsi, insomma!
Scivolando velocemente in basso, sfuggendo alla sua bocca avida che sapeva darle piacere come nessuno mai, provò a prendere confidenza con quello che era il suo desiderio.
Dopo averlo toccato e massaggiato per un po’, iniziò con impaccio a leccarlo con la punta della lingua e mentre Smoker supino sulla schiena si tirava su sui gomiti guardando se quella era veramente Tashigi, lei divenne più intraprendente semplicemente capendo che a lui piaceva e che finalmente poteva sentirlo godere e non più gridare infuriato per qualcosa!
Si fece ricadere pesantemente sul materasso e le prese la testa con le mani schiacciandola maggiormente sul proprio bacino, spingendo con lo stesso, aumentando l’intensità, andando per una volta in tilt anche lui.
Era forse la consapevolezza che quelle erano le labbra di Tashigi, labbra semplici, pulite e candide, o forse che semplicemente non si abbandonava da tempo a questi semplici piaceri, ma si trovò a gemere e lì ogni rimasuglio di esitazione ed imbarazzo andò via da entrambi.
Quando sentì di essere al limite, Smoker la staccò da sé e la stese di nuovo sotto di sé, baciandola ancora, assaggiando nuovamente la sua pelle ed i suoi seni, mentre con le dita la preparava al passo successivo, andando maggiormente in profondità, violandola di più, aiutandosi di nuovo con la lingua.
Quando la sentì a sua volta al limite, si alzò e facendole circondare le gambe attorno alla vita, guardandola ancora negli occhi liquidi e non più rossi e gonfi, scivolò dentro con lentezza e quasi riguardo. La sentì contrarsi e tendersi mentre si mordeva il labbro inferiore.
La voleva, voleva prendersela, possederla, marchiarla, inglobarla, era quasi un bisogno impellente ormai. Cominciò così a muoversi dapprima lento, poi acquistando sempre più un certo ritmo, più svelto ed incalzante, a seconda di quanto lei riusciva a rilassarsi di volta in volta e donarsi. L’avvolse anche con le braccia premendoselo addosso, cercando più contatto, chiedendo di più per non sentire solo dolore.
E così fu. Trovate le labbra, senza baciarsi si limitarono a succhiarsele distrattamente e quando l’intensità crebbe rimasero solo a semplice contatto col ritmo che cresceva, lui che andava più a fondo, più veloce, sentendo i gemiti fondersi liberarsi nella stanza.
Fu nel caos più completo, immersi totalmente nel piacere, stringendosi l’un l’altra, cercandosi, prendendosi, dandosi e unendosi completamente, che raggiunsero insieme il culmine schizzando via da lì, lontano, dimenticando ogni cosa, senza nessun dolore o pensiero. Senza più nulla se non loro stessi insieme.
Tesi e tremanti, rimasero immobili l’uno sull’altro per un po’, poi si sciolsero accasciandosi privi di forze.
Rimasero così privi di coscienza per un tempo indefinito, poi semplicemente, senza dire la minima parola, si addormentarono con ancora tutto lontano da loro.

Quando la mattina seguente Tashigi si svegliò, era sola nel suo letto più disfatto di sempre, nuda ma coperta.
Rimase un attimo ferma a cercare di riconnettersi, era molto stanca ma nonostante gli eventi dei giorni precedenti, stranamente appagata.
Cercò di svegliare meglio la mente e quando si rese conto che la sera precedente aveva fatto sesso con Smoker, arrossì dalla testa ai piedi, chiedendosi se in realtà non fosse solo uno stupido sogno.
Stupido ma bellissimo e decisamente piacevole!
Non volle crederci nonostante di norma non dormisse nuda visto che era l’unica donna in una nave di uomini.
Quando fu pronta ed uscì dalla cabina andando sul ponte dove sapeva di solito si trovava il capitano, entrò e salutò subito come suo solito:
- Signor Smoker, signore. - Saluto da ufficiale della marina, come sempre.
Cauta gli si avvicinò notando che oltre ad essere mattina inoltrata e che aveva dormito tanto, lui, tanto per cambiare, era a torso nudo!
Come stare indifferenti?
Si fece forza notando con sorpresa che non l’aveva fatta svegliare brutalmente come al solito, ma questo piacevole stupore cadde quando lui la salutò a sua volta con ironia:
- Tò… la principessa si è svegliata! -
- La smetta di chiamarmi così signore! - Rispose imbarazzata dicendosi che forse era stato tutto un sogno… ricordandosi poi però che l’aveva già chiamata così durante quella specie di litigata che avrebbero ipoteticamente avuto quella notte.
Quando fu al tavolo vicino al quale era seduto lui rivolto verso il mare, non la guardò nemmeno ma prese la caraffa del caffè e gliene versò una tazza senza dire nulla.
Quel gesto che non faceva mai con nessuno, figurarsi con lei, la fece rimanere di stucco mentre ringraziava addolcendosi.
Un sorriso le affiorò fugace prima di affiancarlo.
Era accaduto tutto davvero.

FINE