QUANDO LA GUERRA FINISCE

1. NON SEI PESANTE

sanegiyusanegiyu


Non sapeva per quanto aveva dormito, in realtà.
Sapeva solo che ad un certo punto si era ripreso dopo una sorta di incubo su suo padre che lo cacciava dall’aldilà a calci in culo, aveva riaperto gli occhi grugnendo un secco ‘stronzo’ e poi si era ributtato nel mondo dei sogni.
Lì aveva ripercorso pressapoco tutta la sua schifosa vita di merda per poi arrivare a quel finale del cazzo dove aveva perso suo fratello, quel coglione che aveva fatto di tutto per salvare senza riuscirci alla fine. 
Era stato lui quello salvato dal coglione. 
E poi? Dopo tutto quanto che era successo?
Quando la sua vita era giunta a quel punto, al punto in cui aveva perso i sensi combattendo contro Muzan, poi che diavolo era successo dopo?
Ma non l’avevano sconfitto, alla fine?
Ricordava di essersi rimesso in piedi con la forza della disperazione insieme a Giyu e poi il sole che sorgeva. 
Nel sogno più lungo e strano mai fatto, Sanemi riemerse dalla propria coscienza realizzando che dannazione, alla fine avevano vinto, no? 
Quando riaprì finalmente gli occhi di scatto, si sentì abbastanza bene da non aver bisogno di richiuderli subito per riaffondare in un altro ennesimo sogno di merda. 
Fortunatamente intorno a sé il buio gli indicò che doveva essere notte, perciò nessun’azione particolare sarebbe stata richiesta. 
Mise a fuoco il silenzio di tomba intorno a sé.
Nessuna battaglia in corso. 
Allora era vero, si disse meravigliato mentre spalancava gli occhi cercando di mettere meglio a fuoco la stanza in cui era. 
L’avevano sconfitto, avevano vinto la guerra. 
Muzan e tutti i demoni del cazzo erano morti, era tutto finito. 
Potevano seppellire e piangere i morti, chi aveva le lacrime per farlo. 
Potevano... potevano cosa?
Cosa diavolo rimaneva, ora, dopo aver dedicato una vita intera a quello?
Gli occhi si abituarono al buio e misero a fuoco la stanza in cui era, dalle finestre la luce argentata della luna penetrava illuminando fiocamente coi suoi raggi tenui un luogo che non riconosceva, ma non aveva paura.
Istintivamente, non ne aveva più. 
Sapeva che non c’era nulla da temere, lo sentiva nella brezza fresca che entrava dalle finestre aperte. 
C’era una quiete perfetta. 
Sanemi aspirò il profumo del vento per poi rilasciarlo nel realizzare che era davvero tutto finito. Dopo una vita intera passata a combattere, tutto per quel momento.
E ce l’avevano fatta. 
Ma ora? 
Voltò il capo per vedere se era in camera con qualcuno, probabilmente l’avevano raccolto la squadra di soccorso portandolo alla casa delle farfalle, quello che per loro ammazza-demoni era una sorta di ospedale o rifugio sicuro. 
Ora sarebbe stato smantellato tutto, appena ognuno si sarebbe ripreso. 
Percepì un altro respiro, accanto a sé. Uno solo. 
Così pochi, infine, erano sopravvissuti? 
Quando voltò il capo e mise a fuoco il profilo regolare e delicato di Giyu, si stupì di vedere che ad avercela fatta era proprio lui. Quello meno incline a sopravvivere a tutti i costi. Come lui, fra l’altro. 
In questo e forse solo in questo, si somigliavano.
Entrambi avevano fatto di tutto per battere Muzan, senza avere mai cara la propria vita, rispetto agli altri ammazza-demoni, fra le colonne in particolare, erano loro a non aver mai avuto nulla per cui rimanere in vita a tutti i costi. 
Ognuno degli altri aveva avuto qualcosa, una persona od una motivazione, un sentimento, un aspetto del proprio carattere volto sì al sacrificio, ma anche all’apprezzamento della vita, soprattutto dopo l’incontro con Tanjiro che in qualche modo aveva cambiato tutti. 
Loro due no.
Ma di Giyu non sapeva altro che questo. 
La sua apatia verso la vita. 
Sanemi non era apatico. Era pieno di odio e rabbia, ma apatico no. Però proprio come Gyu, anche lui avrebbe preferito vincere a costo della vita, non dover penarsi per capire che diavolo fare di quell’esistenza che gli era rimasta ora fra le dita.
Pensandoci, si voltò con fatica sul fianco a guardare meglio il collega, in parte per capire come stesse, in parte per provare ad immaginare come potesse aver preso lui quella storia dell’essere ancora maledettamente in vita a scapito dei propri amici o dei propri cari. 
Genya... mentre il pensiero volò fugacemente a lui, si oscurò pensando che alla fine l’aveva spuntata lui.
Aveva tanto fatto che aveva dato lui, la vita per salvarlo. 
Maledetto fratello, perché sprecare tutti i suoi sacrifici così? Per la sua misera e patetica vita insignificante? 
Era lui quello che aveva cercato di salvare quel dannato giorno contro sua madre. Si era sacrificato per lui e alla fine che aveva osato fare?
Aveva osato dare la vita per lui. 
Piccolo bastardo...
Lui ed il suo tornado interiore pronto a riemergere, vennero distratti dal braccio di Giyu. Quello mancante. 
Allungò la mano verso di lui notando solo in quel momento le proprie dita recise, ricordando che li avevano persi entrambi in combattimento. Nonostante tutto erano riusciti a combattere ancora, essere più che utili, determinanti. 
Non aveva idea di che cosa fosse successo dopo che era svenuto, ma aveva la sensazione che fosse capitato qualcos’altro che ignorava. 
Anche Giyu si sarebbe sentito perso, nell’essere irrimediabilmente vivo?
E cosa avrebbe fatto, ora, senza lo scopo della sua esistenza? 
Era tutto finito, chi era salvo era salvo, chi era morto era morto. 
Si mise sul fianco e tirò su il capo appoggiandolo sulla mano bendata, nonostante mancassero indice e medio non gli faceva particolarmente male; ignorò comunque le fitte rimanendo appoggiato così, rivolto verso il compagno. Si avvicinò a lui e gli sollevò le coperte per vedere se avesse altre parti mancanti, ma constatò che a parte un leggerissimo yukata da notte, come l’avevano messo a lui, mezzo aperto per non premere sulle ferite e sulle bende, non era stato difettato in altro modo. 
I loro futon erano vicini e la stanza in cui erano stati sistemati era piccola, ma c’erano solo loro e ignorava il motivo per cui non erano stati messi con gli altri nei letti normali. 
“Beh, sanno che non amiamo la folla...” pensò con un ghigno realizzando che svegliarsi solo con Giyu era un conto, sebbene non fosse il suo essere umano preferito, mentre farlo con mille altre persone lamentose era ben altro. 
Come evocato, anche Giyu iniziò a gemere di dolore nel sonno, con la mano rimasta andò a cercarsi il braccio mancante e se lo strinse come se ci fosse ancora. 
Sanemi rabbrividì.
Gli faceva male la parte che non c’era più. 
Lo vide contrarsi in una smorfia sofferente e aumentare i lamenti, a quel punto agì d’istinto e si infilò sotto le sue coperte per raggiungere la mano del compagno stretta dall’altra parte, sul braccio destro, quello mozzato. Gliela strinse obbligandolo a girarsi verso di lui e gliela tenne saldamente nella propria, impedendogli di toccarsi in modo inquietante ciò che non c’era. 
In quel momento Giyu si calmò, lasciando un respiro di sollievo e abbandonandosi contro di lui.
Infatti nel sonno che riprese senza smorfie di dolore e lamenti, si voltò in sua direzione e gli si accoccolò contro. 
Sanemi spalancò gli occhi irrigidendosi e facendosi indietro col capo, ma non si mosse e non lo spinse via. 
Trattenne il fiato chiedendosi che dovesse fare, poi guardò come dormiva finalmente sereno e ricordando quanto brutto era stato vederlo cercarsi un arto mancante che gli faceva male, decise di tenergli la mano e mettersi più comodo verso di lui, abbracciandolo. Dormendo Giyu sgusciò via con la mano per infilarla sul suo fianco, alla ricerca di ulteriore caldo. 
Nascose il viso contro il collo e Sanemi lo lasciò fare. Quando si fu sistemato come meglio si sentiva tornando a dormire serenamente, tirò su le coperte e si rilassò anche lui, sollevando il capo verso la finestra semi aperta. 
La brezza tornò a soffiare, ma era calda e dolce. La luce della luna li carezzò col suo manto argentato e percependo i battiti del suo cuore ora regolari, così come il suo respiro, rimase lì così il resto della notte fino a che tornò ad addormentarsi anche lui. 
Non sognò più nulla di sgradevole. Né la sua famiglia morta che lo cacciava dal mondo dell’aldilà, né la sua vita di merda. 
Era il mare, una spiaggia, il sole ed il vento che profumava di sale. 
Ed era lì a bagnarsi i piedi con Giyu, un Giyu coi capelli corti. 
Lo vide, nel sogno, mentre si girava verso di lui e gli sorrideva ed era la prima volta che lo faceva.
Sanemi non l’aveva mai visto sorridere, né nessun altro, probabilmente.
Ma in quel sogno, lui sorrideva.
Era sempre triste e lo faceva in maniera tirata, ma era anche spontaneo. Un tipo di sorriso che diceva che quella vita che stava provando a vivere, dopotutto, non era poi così male. 
Sanemi nel sogno pensò che era un sorriso strano, grottesco, forse, ma vero e sincero. Ed era bello, perché Giyu non aveva mai sorriso e se lo faceva con lui, significava che stava bene e che era anche merito suo. 
Forse era quello, si disse nel sonno.
Il nuovo scopo della sua esistenza. 
Rendere felice chi aveva accanto, poiché non c’era più niente da cui difenderli. 
Giyu, dopotutto, era fra quelli che non aveva mai riso e che aveva cercato di morire facendo la cosa giusta. Non era forse uno che non aveva mai assaggiato la felicità? 
Probabilmente era l’unico che da lì in poi avrebbe tollerato al proprio fianco fino a vederlo sorridere, seppure in quel modo grottesco e strano, ma vero e sincero.

Aprendo gli occhi non fece differenza. Per un tempo indefinito, impossibile da quantificare, a Giyu parve di essere ancora addormentato. 
In realtà stava sorprendentemente bene, anche se si sentiva stanchissimo. Tuttavia, rimase come in una sorta di dormiveglia ad occhi aperti. 
Quando il sole caldo carezzò il suo volto pallido e freddo, posandosi attraverso la finestra senza tende, le sue pupille misero finalmente a fuoco la stanza circostante in cui era e realizzò di essere sveglio. 
Batté un paio di volte le palpebre per poi roteare gli occhi verso il lato, dove sentiva qualcosa di solido ma al tempo stesso caldo e morbido su cui appoggiava. 
O meglio era letteralmente aggrappato con la mano ed il braccio rimanenti. 
Giyu si aggrottò sorpreso realizzando di star dormendo su una persona, fu anche peggio capire che quella persona era Sanemi.
La scarica di adrenalina che provò gli procurò uno shock non da poco, per un istante si sentì bene e pieno di energie e scattò sul lato opposto per allontanarsi da lui, ma non ci riuscì in tempo per evitare gli occhi inquietanti di Sanemi.
La colonna del vento, infatti, era già sveglio probabilmente da un bel pezzo, ma stranamente non si era scostato.
Si sarebbe riempito di imbarazzo se non fosse stato lui, perciò con la sua tipica apatia che l’accompagnava sempre non fece una piega. Si allontanò un po’ nel futon che avevano utilizzato insieme chissà per quanto e perché, poi realizzò che la stanza in cui erano stati sistemati era molto piccola, ma solitaria. Conteneva solo loro due ed una finestra aperta. 
Il color violetto dei suoi occhi senza ciglia e sopracciglia, inquietanti per questo oltre che per le molte cicatrici che solcavano il suo viso dai tratti selvatici e sempre imbronciati, si posò sui suoi blu privi di alcuna inclinazione. In quel momento Giyu provò per la prima volta qualcosa che esulava da qualunque altra c’entrasse col mondo dei demoni e degli ammazza-demoni. 
Fu imbarazzo misto a gratitudine. 
- Non volevo dormirti addosso, non me ne sono accorto. Non so nemmeno da quanto dormo... - sussurrò basso e roco. 
- Nemmeno io, probabilmente da molto... - rispose semplicemente Sanemi che non pareva minimamente infastidito dall’avergli fatto da cuscino. 
- Potevi spostarmi... - disse poi cercando di mettersi a sedere. Fece fatica essendo steso probabilmente da molto tempo ed avendo sicuramente muscoli e corpo atrofizzati. 
Era molto debole, gli girò la testa e dovette fare con calma. Gli ci sarebbe voluto molto per riprendersi anche solo di un po’ e a dirla tutta, si sarebbe volentieri rimesso a dormire, ma era ora di rimettersi in piedi e darsi da fare. Chissà quante cose c’erano ancora da sistemare? 
- Non sei pesante, non era un problema. Ti cercavi il braccio mancante, mi faceva impressione... 
Giyu lo guardò sorpreso, non tanto che dicesse come sempre quel che pensava senza filtrare, quanto del fatto che fosse vagamente apprensivo. A modo suo. E forse anche gentile. 
La colonna dell’acqua però non traspirò sorpresa, sebbene ne provò. Non fece assolutamente mezza espressione, mentre invece Sanemi si alzava a sedere più facilmente di lui, grattandosi la nuca spettinata con la mano menomata che venne notata da Giyu; non commentò. Lo vide massaggiarsi il collo, sembrava indolenzito, ma in generale pareva stare bene, ferite permettendo e dita a parte. A quanto pare avevano qualcosa in comune, alla fine. Non aveva idea che ce ne fossero più di quelle che immaginava.
Lo guardò con le bende che si vedevano da sotto lo yukata leggero mezzo aperto, il legaccio era andato perso nel futon, sembrava avere molte ferite, ma erano tutte asciutte, così come le proprie. 
Si guardò il braccio fasciato sul moncherino e sospirò immaginandoselo intero come un tempo. Non aveva nemmeno avuto tempo di rifletterci, sul momento era solo rimasto concentrato ed era andato avanti pragmatico dando tutto sé stesso per la causa e per continuare a combattere. 
Del resto erano in guerra. 
- Pensavo non sarei sopravvissuto... - mormorò ad alta voce, più a sé stesso che a Sanemi. 
- Lo pensavamo tutti... - rispose il compagno che si rese conto in un secondo momento di come era suonata la sua frase. - non che tu morissi, che morissimo tutti! 
Giyu non fece una piega come sempre e con fatica provò di nuovo a tirarsi su a sedere. 
Rimase appoggiato alla mano che gli rimaneva e si fermò con il busto sollevato, senza provare ad alzarsi come aveva già fatto Sanemi che si era addirittura affacciato alla finestra.
Una brezza fresca gli carezzò il viso, lo vide chiudere gli occhi e respirare a fondo l’aria, mentre il sole gli illuminava la pelle bianchissima, sembrava straordinariamente rilassato. 
- Dico per il braccio... non ci ho pensato quando l’ho perso. Perché pensavo sarei comunque morto e che quindi non avrebbe avuto importanza. 
Sanemi si voltò col capo rimanendo di schiena ed appoggiato coi gomiti sul balcone della finestra. Gli lanciò un’occhiata penetrante per poi sollevare la mano destra, sventolandola inespressivo.
- Ti capisco perfettamente... 
Giyu provò uno strano sollievo nell’essere compreso sul serio, ma non disse nulla. Sanemi così aggiunse sollevando il mento e fissandogli il braccio: - Ed ora? 
Il ragazzo seduto a terra scosse il capo e si strinse nelle spalle. 
- Ora sono vivo e senza un braccio. - concluse logico e pragmatico senza saper che altro aggiungere. 
Sanemi scoppiò a ridere sorprendendolo. Non l’aveva mai sentito ridere ma solo infuriarsi e gridare od insultare. 
Rimase di stucco, mostrando per la prima volta qualcosa nel suo viso levigato nel ghiaccio. 
- Logica inoppugnabile! - commentò divertito. Giyu ancora non capiva perché fosse divertente quel che aveva detto, ma lo lasciò ridere. Era strano che lo facesse.
Bello. 
Era la prima volta che considerava bello qualcuno o qualcosa, che si fermava a constatare con meraviglia qualcosa di positivo e piacevole. 
Era quello l’effetto della guerra vinta? 
Sanemi smise di ridere e Giyu non commentò oltre, non sapendo cosa dire. Tornò a guardarsi il braccio mozzato e se lo carezzò iniziando a prendere confidenza con quella novità. Gli aveva fatto male mentre dormiva al punto da svegliare il suo compagno; era una cosa strana, sentire il braccio mancante, eppure ancora non riusciva a capire se provasse realmente qualcosa in merito. Forse non ci sarebbe mai riuscito.
Del resto lui non aveva mai provato nulla in vita sua, non che ricordasse.