*Poche chiacchiere, uno dei capitoli più belli che ho scritto (ma che modesta che sono). L’ultimo brindisi e finalmente quel taglio di capelli che per entrambi ha un significato molto più grande di quel che pensavano. Una cerimonia per fare nuove promesse e pensare ad una nuova vita. Grazie infinite a chi legge e commenta. Il prossimo è l’ultimo capitolo. Buona lettura. Baci Akane

10. IL VENTO DEI CAMBIAMENTI

sanegiyu

Infine l’ultimo brindisi, Giyu guardò Sanemi versare il sakè rimanente della fiaschetta di ceramica dalla tipica forma a pera che aveva rubato in cucina. Si domandava chi tenesse delle scorte di sakè considerando che l’età media di chi gestiva quel posto era piuttosto bassa e che lo stesso attuale capofamiglia era un bambino più piccolo di loro. 
Probabilmente Tengen era passato a vedere le condizioni dei superstiti e prima di andarsene per la sua strada definitivamente, aveva lasciato loro un regalo che sapeva Sanemi in particolare su tutti avrebbe gradito. 
Giyu pensò che ormai la fiaschetta fosse finita e calcolò in fretta quanto sakè potesse contenere. Dubitava fosse poi così tanto da ubriacarsi, ma erano ancora giù di forze e c’era il rischio che a breve avrebbe iniziato a dar loro la testa.
Ma lo capiva, in realtà.
Quella era la serata della fine. In quei casi, si beveva e non semplice acqua. 
In silenzio, prese il bicchierino riempito e imitò Sanemi avvicinandolo al suo. Infine disse:
- Ci toccherà vivere ed impegnarci al massimo per essere felici e condurre una vita piena di soddisfazioni e traguardi importanti. Ci toccherà proprio farlo, sai. Per loro. 
Giyu non aveva bisogno di un elenco, né di specifiche particolari. 
Chiuse gli occhi e se li figurò tutti, uno per uno, partendo dal loro prezioso capofamiglia che si era sacrificato per la riuscita del piano. 
Passò tutte le colonne e gli altri ammazza demoni che erano morti insieme ad ogni collaboratore, molti dei quali non conosceva e non sapeva chi fossero, ma consapevole che erano stati molti a dare un prezioso contributo a costo della vita. Per non parlare di tutte le vittime che erano andate di mezzo, quelli per cui loro avevano combattuto fino alla fine.  
Sanemi non disse nulla, guardava i bicchierini vicini senza aggiungere nulla al suo brindisi, ma sapeva che stava pensando a suo fratello e alla sua famiglia. Lo lasciò pensare finalmente a lui e probabilmente scusarsi per qualunque cosa avesse bisogno. 
Non serviva parlare ad alta voce di certe cose, Giyu non pensò l’avrebbero fatto. 
Bevvero metà, ma poi la voce bassa e roca di Sanemi lo fermò sorprendendolo per l’ennesima volta. 
- Non ho mai detto a quel coglione di mio fratello che tutto quel che avevo fatto era sempre stato per lui. Pensavo l’avesse capito da solo, ma era così stupido da non arrivarci. Però so che quando è morto lo sapeva. - Giyu lo guardò sorpreso che lo  condividesse con lui, al suo posto non l’avrebbe fatto. Sanemi alzò ancora una volta il bicchierino verso l’alto, davanti al suo viso, fissandolo torvo. - Genya, sapevi che ti volevo bene, stronzo. 
Non una vera domanda me nemmeno un’affermazione. A quel brindisi strano, portò alle labbra il bicchierino e bevve fino in fondo. 
Giyu sorrise scuotendo il capo. 
- Genya sa che gli vuoi ancora bene. Muoiono le persone, ma non l’amore che proviamo per loro. Con la loro morte, non cessa quel che proviamo per loro. 
Solo dopo lo sguardo sorpreso di Sanemi, Giyu si rese conto d’aver detto qualcosa che andava oltre i suoi soliti canoni. Si ripeté mentalmente le proprie parole e finì per toccarsi anche il viso sentendo i muscoli facciali strani. A quel punto realizzò che oltre a quel che aveva detto, aveva anche sorriso senza rendersene conto. Non sapeva come l’aveva fatto, sperava fosse meno forzato e grottesco degli altri tentativi precedenti, uno peggiore dell’altro, sebbene nobili in quanto tali. Ovviamente arrossì procurando uno scoppio di risa al compagno accanto che lo fece gettando la testa all’indietro e rigirandosi il bicchierino in ceramica vuoto fra le dita.
Tuttavia le sue risa lo rilassarono facendolo sorridere con più consapevolezza.  
Dopotutto esprimere sentimenti non era poi così male e nemmeno tanto difficile. 
- Visto che anche tu provi qualcosa? - sottolineò ironico Sanemi dandogli un colpetto sulla spalla con la propria. Giyu, sentendolo da lui, ci rifletté e capì che aveva ragione.
- Già... - disse più a sé stesso che a lui abbassando lo sguardo pensieroso e meravigliato. - Anche io provo qualcosa... 
“Non sono davvero vuoto...” 
Non riuscì a finire il pensiero perché Sanemi si sporse verso di lui baciandolo con una delicatezza insospettabile. 
Quando si separarono, Giyu era ancora morbido e gli pareva che quel senso di vuoto al di là di Sanemi, stesse migliorando. Si era terrorizzato tanto il giorno prima nel realizzare che senza di lui non era niente, ma stava piano piano capendo che aveva sbagliato. 
Non era facile, in una piccola parte di sé rimaneva quella convinzione da solo non valesse niente e che non ci fosse nulla dentro di sé, ma tutte le volte che lui diceva o faceva qualcosa dimostrando di provare sentimenti e di non essere arido, Sanemi le sottolineava ridendo o dicendoglielo chiaramente. Questo lo aiutava a trovare una miglior consapevolezza di sé.
Ancora col viso sul suo e prima di farlo raddrizzare, sussurrò deciso guardandolo dritto negli occhi: 
- Mi tagli i capelli per favore? 

A far venire un colpo a Sanemi non fu tanto il sorriso addolcito e nemmeno la richiesta di per sé quanto il fatto che gliel’avesse fatta. 
Per non parlare di quel per favore finale!
Quello lo demolì al punto da farlo avvampare come non mai, tanto da fargli girare brutalmente la testa sentendosi ubriaco come mai in vita sua. 
“Stupido sakè!” pensò confuso e seccato la colonna del vento. 
Eppure si trovò a sorridere e scoccandogli un altro bacio sulle labbra, rispose con un assurdo entusiasmo: - Va bene. 
Il vento del cambiamento era infine arrivato, investendoli deliziosamente in pieno. 

A Sanemi non girava più improvvisamente la testa. L’effetto del sakè, se mai ne avesse avuti, era subito andato via grazie allo shock della richiesta degna di questo nome di Giyu e poi, in seguito, per la realizzazione di ciò che lo aspettava. 
Fermo seduto sulle gambe piegate sotto di sé, dietro al suo compagno che come lui si era messo lo yukata per la notte, guardava torvo la chioma selvaggia di capelli neri che ricadeva mossa sulla sua schiena, seduto allo stesso modo davanti a lui. 
La guardava come se fosse una nemica feroce.
Aveva accettato con entusiasmo senza rifletterci come suo solito, preda di un’euforia probabilmente portata un po’ anche dall’alcool, ma in realtà non aveva la più pallida idea di come si tagliavano i capelli. 
Ritornato bruscamente in sé nel capire cosa doveva fare, si grattò la nuca dove i propri biondo platino erano comodamente corti e spettinati.
- Ehm... sicuro che non vuoi chiedere a qualcuno che lo sa fare? Io in realtà sono bravo con la spada, ma non sono pratico di queste cose... 
Giyu nemmeno si voltò, non lo degnò di uno sguardo facendolo irritare di nuovo. 
- Non mi interessa che sia un taglio ben fatto, basta che sia corto e pratico. Prendi la coda e tagliala via. - rispose piatto. Sanemi sospirò seccato scuotendo il capo, infine prese le forbici che si era procurato afferrandogli la coda come da lui ordinato. La magia della richiesta e di tutte quelle belle morbide e dolci espressioni era andata ormai nel cesso. 
A parte i suoi modi che a volte gli facevano venire voglia di impiccarlo, com’era sempre successo, gli dispiaceva che se li facesse tagliare, ma lo capiva. E poi era più un gesto simbolico. Sentiva anche lui il vento del cambiamento. 
Forse nel suo caso sentiva la corrente marina.
- No, fallo con la spada. - disse improvvisamente il ragazzo davanti, fermandolo proprio mentre stava per avvicinare le forbici afferrate a stento fra pollice ed anulare. 
Sanemi guardò la sua nuca come se ci fosse il suo viso inespressivo, shoccato della richiesta piuttosto strana. Sentendo la sua esitazione Giyu voltò il capo e gli mostrò che no, non era propriamente inespressivo come per la maggior parte delle volte e come aveva pensato fosse tornato. Era serio, ma non inespressivo.
C’era una luce diversa, nei suoi occhi blu. 
Era deciso, vivo. 
- Perché? - chiese infine senza fare una piega, lasciando andare fastidi vari venuti di traverso. Rimase rigido con i suoi capelli stretti nel pugno sinistro e le forbici nella destra. 
- Sarà l’ultima volta che la usi. Vorrei che la usassi per dare un taglio alla mia vecchia vita, al vecchio me. Con questo gesto voglio abbracciare il cambiamento. Perché lo desidero davvero. Desidero cambiare, riempirmi di vita. 
Sanemi, fissando i propri occhi viola da gatto in quelli seri e composti ma risoluti di Giyu, comprese profondamente il motivo di tale richiesta, così sospirò e chiuse gli occhi chinando lievemente il capo. Ci pensò un istante, cosa che non spesso gli capitava di fare, poi disse piano:
- In questo caso uso la tua spada. 
Giyu mostrò sorpresa dal suo pensiero, colpito da come avesse capito bene quel che aveva detto; annuì addolcendo di nuovo il suo viso che via via diventava sempre più bello in quella morbidezza d’espressione. 
- Sicuro che non vuoi usare la tua per l’ultima volta? 
Sanemi chiuse ancora gli occhi, pensando a cosa significava per lui quella nichirin del vento. 
Dolore, morte, privazione, rabbia, odio. 
- Non la userò per te. Quella spada per me significano cose brutte. Troverò un modo per usarla un’ultima volta e la poserò per sempre nel posto in cui andremo insieme. 
Voleva portarlo nelle tombe della sua famiglia, dove avrebbe fatto una per Genya che si era dissolto come un demone, nonostante non lo fosse stato sul serio. 
Lì, sulla sua tomba e su quella di sua madre, che nonostante tutto aveva costruito prima di cominciare quella vita all’insegna del dolore e della morte, avrebbe posto la sua nichirin del vento. 
- Va bene, allora usa la mia. Grazie, Sanemi. 
Sapeva perché lo ringraziava, ma non rimase sorpreso di vedere come la trasformazione in umano fosse in lui già in atto. 
Del resto ormai erano entrambi pronti. 
Prese la spada di Giyu e mentre la sfilava dal fodero, capiva quanto importante stesse diventando per lui. Fargli fare un gesto così simbolico in modo tanto solenne, aveva un significato profondo che perfino lui capiva.
Per un momento si fermò chiedendosi se fosse il caso, se ne fosse all’altezza e se non stessero correndo ed esagerando.
Poi guardò la lama affilata su cui si rifletteva il suo viso. Guardò i propri occhi e capì che era giusto così, invece. 
Perché in qualche modo, per qualche ragione, si erano scelti.
Così ognuno avrebbe fatto qualcosa di importante per l’altro. 
- Lo devi fare tu perché sei tu ormai nella mia vita. - disse piano e basso Giyu. Non era né freddo né tagliente. Era serio e calmo. 
Probabilmente in qualche modo ogni tanto gli leggeva dentro. 
“Sei così vuoto da riflettere il mio animo? Per questo lo leggi bene?” pensò maligno per darsi un tono e farsi forza.
Non gliene serviva, non gliene era mai servito. Aveva sempre fatto quel che era da fare, di qualunque cosa si trattasse. 
Ora però era diverso, se ne rendeva conto. 
Non serviva un atto di forza, ma un atto di coraggio perché da adesso in poi si andava a vivere e non a morire. 
I propri piani cambiavano drasticamente ed ufficialmente, così afferrò la coda di Giyu con la mano sinistra, appoggiò la lama sotto al laccio che la legava, infine prese un respiro profondo. 
Niente più morte, d’ora in poi.
Solo vita. 
Poi con un gesto deciso e pulito, tirò con la destra e in un istante i capelli vennero via, liberando gli altri sulla nuca che si aprirono in dei ciuffi scomposti e mossi. 
Fu lì, con quella coda in mano, che capì che non aveva dato solo un taglio alla vita di Giyu ma anche alla sua. Anzi, non alla vita. 
Ai vecchi loro stessi. 
Si sentì gli occhi bruciare e per un istante sentì dei brividi corrergli lungo la schiena, come se proprio dietro di sé ci fosse qualcuno. Si girò di scatto convinto di vedere una persona, ma quando ad accoglierlo ci fu il vuoto della camera, realizzò che era stato il benestare di quello stronzo di suo fratello.
Così sorrise, si asciugò gli occhi prima di far scendere quelle patetiche lacrime, poi gli consegnò la coda e la spada a Giyu, posandoli davanti alle sue gambe ancora unite sul pavimento in tatami dov’era inginocchiato. 
Sentendo d’aver eseguito una cerimonia solenne, fece un lieve inchino per poi alzarsi in piedi, intenzionato ad uscire per lasciarlo solo. Sicuramente doveva pensare ed anche lui, doveva farlo. 

Nell’esatto istante in cui Sanemi gli recise i capelli sulla nuca, Giyu rabbrividì.
Rimase immobile, rigido per qualche secondo, nella sua posa, eretto con la schiena, le gambe piegate sotto di sé, le mani in grembo, lo sguardo fisso innanzi a sé, serio e solenne. 
Guardò Sanemi comportarsi in modo straordinariamente cerimoniale, come capisse lui stesso che era una cosa importante. Guardò posare la propria coda per terra, davanti alle sue ginocchia, insieme alla spada. 
La sua nichirin dell’acqua. 
Prese un respiro profondo e rimase a fissare i due oggetti che per lui avevano significato molto, non notò nemmeno Sanemi alzarsi e andarsene, non si rese conto che l’aveva lasciato solo.
I propri occhi blu rimasero puntati sui capelli e sulla lama che gli aveva salvato la vita tante volte e che aveva versato molto sangue. 
Ricordò tutti i demoni che aveva ucciso, tutte le persone che aveva aiutato e salvato, ogni vittima vendicata.
Ricordò la propria famiglia a cui doveva la vita che aveva scelto.
Ricordò l’origine della strada intrapresa come cacciatore di demoni e tutte le difficoltà, si focalizzò infine sulla persona che più di tutti l’aveva segnato, Sabito, che l’aveva salvato dando la sua vita per lui. 
Su di lui aveva giurato che non avrebbe mai esitato, che sarebbe diventato forte e avrebbe ucciso ogni demone, fino ad arrivare a Muzan e ad eliminare lui, l’origine di ogni male. 
Giyu prese la propria spada fra le mani e la sollevò davanti al viso. L’impugnò raddrizzandola, infine appoggiò la fronte sulla lama, chiudendo gli occhi.
Il viso di Sabito e della sua famiglia affiorarono insieme. 
Sorridevano grati e sembravano stare bene. 
“Verrò a trovarti e poserò per sempre la mia spada nella tua tomba, Sabito. Perché se sono ciò che sono, lo devo solo a te. Se sono vivo, se ho sterminato tanti demoni salvando tante persone, se ho vendicato la mia famiglia, se ho reso onore al tuo sacrificio contribuendo allo sterminio totale di tutti i demoni e di Muzan, lo devo solo a te. So che un giorno rinascerai perché ora hai raggiunto la pace, finalmente. E sarai felice, avrei una vita piena di gioia e soddisfazione e sarai finalmente realizzato. E ci rincontreremo lì, in quella vita. Saremo amici e faremo qualcosa di bello insieme. Fino a quel momento, amico mio, arrivederci.”
Non si accorse di avere il viso bagnato di lacrime fino a che non posò la spada accanto ai capelli. 
La promessa a sé stesso e alla sua famiglia di cambiare modo di essere e di vivere, la promessa solenne di cercare di essere felice, un umano migliore, degno di questo nome. 
Una promessa di cui era stato testimone Sanemi.
Pensando a lui, si rese conto del silenzio totale in cui era rimasto immerso non sapeva nemmeno per quanto. 
Quando si voltò, vide che effettivamente non c’era e sentendosi meglio, si alzò per andare a cercarlo. Varcata la soglia della camera, si fermò per un momento, sorridendo sorpreso.
Era leggero, così leggero non lo era mai stato, ma non vuoto. Si toccò il petto con la mano, i lembi dello yukata da notte si aprirono leggermente, infilò le dita dentro. 
No, non era più vuoto, lì c’era qualcosa, ora. 
Sorridendo contento, andò a cercare il suo compagno.

Forse avrebbe trovato altro sakè, non sembrava sufficiente quello bevuto prima. Aveva dato coraggio per fare quel taglio, ma da ora in poi serviva quello vero. Il coraggio puro di vivere. 
Non sarebbe stato facile, se ne rendeva conto mentre tornato fuori, dove erano stati fino a poco prima a bere insieme e a brindare ai loro compagni defunti e ai loro cari, rimase in piedi con le mani ai fianchi e l’aria tesa ed incerta. 
Alzò lo sguardo in cielo, verso il manto nero tempestato di stelle meravigliose, dove la luna illuminava d’argento sia la sua pelle candida solcata da cicatrici, che il giardino interno che si apriva dietro la villa. 
Ma non vedeva niente, per la verità. 
“Ma che ne so io della vita, quando finora ho corso convinto di andare incontro solo alla mia morte? Ed ora mi tocca camminare per vivere e non per morire. Sarò capace?”
Sanemi scese il gradino di legno inoltrandosi verso il giardino, anche se era notte, la luna illuminava sufficientemente per poter vedere i rami cadenti del salice del giardino.
Si inoltrò sotto di essi e lì, mentre il vento soffiava levandosi come se lo sentisse, circondandolo e spingendolo a lasciarsi andare in quel placido e sicuro cullare, coi rami pendenti che dondolavano intorno a lui, due braccia da dietro lo cinsero dolcemente e con esse, un corpo l’accolsero.
Le sue labbra sul collo, dove lo yukata da notte era aperto e tendeva some al solito a scivolare sulle spalle. 
Sanemi si ammorbidì sorridendo, sollevò il capo poggiando la nuca contro Giyu. 
- Ma sì, lo faremo insieme. Ce la caveremo. 
E quella conclusione piacque anche al vento che divenne caldo e profumato. 
- Abbiamo bisogno di aiuto per questo nuovo passo e ci siamo per darcelo. È questo che cerchiamo. È per questo che le persone si scelgono. Non c’è un motivo specifico, non ci sono predestinazioni o cose speciali che ci spingono a preferire uno o l’altro. Ci scegliamo perché semplicemente ci siamo. 
Sentendo quelle parole così profonde e vere di un pensiero che Giyu doveva aver nutrito e ponderato da un po’, Sanemi sorrise sollevato e di un po’ più felice di prima. 
- Ed io ci sarò, per te. - rispose quindi senza troppe parole filosofiche né tanto meno romantiche. 
- Ed io per t.e 
Anche se forse quella sapeva proprio di dichiarazione.