*Finalmente dopo un lungo sonno, Giyu e Sanemi sono svegli e possono parlare e confrontarsi e soprattutto aggiornarsi. Realizzare di aver completato e finito lo scopo della loro vita non è facile ed entrambi, molto diversi fra loro, reagiscono a modo proprio. Cercano di capire su due piedi che fare, ma non è facile e ci vuole tempo per comprendere a pieno ogni cosa, sé stessi, il nuovo scopo della loro vita, le emozioni che provano e soprattutto quel che ha lasciato in loro ciò che è successo. Ci vuole tempo che hanno perché ormai nessuna minaccia incombe più. Questi sono la mia interpretazione dei personaggi e soprattutto come li ho sviluppati in base a ciò che avevo in testa, spero che piaceranno comunque e che continuerete a seguire. Grazie dei commenti, mi fanno molto piacere. Specifico anche che le fan art (non mie) sono solo uno spunto per certe scene, ma non repliche precise di ciò che ho scritto. É solo un mio hobby associare immagini a capitoli. Buona lettura. Baci Akane*

2. ABBIAMO FATTO LA STORIA

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- Ci pensi? Stiamo vivendo la storia. Da che esistiamo, i demoni c’erano sempre stati. 
Giyu lo guardò di nuovo, ora era tornato ad osservare l’esterno, sempre facendosi baciare dal sole e dal vento. La sua pelle era particolarmente pallida, solcata da vecchie e numerose cicatrici che lo rendevano ruvido e grottesco, ma a lui non faceva effetto. I suoi capelli chiari avevano quella sfumatura argentea simile alla luna, forse la notte era il suo elemento, più del giorno e del sole. 
- L’abbiamo fatta noi, la storia. - puntualizzò placido Giyu mettendola in modo più corretto. 
Sanemi tornò a voltarsi verso di lui e lo guardò da sopra il braccio sinistro, lo yukata era aperto e sciolto e gli scivolò dalla spalla fasciata come probabilmente era gran parte del suo corpo. 
- L’abbiamo fatta noi, sì, cazzo. L’abbiamo vissuta, porca puttana. E siamo vivi. Proprio noi, che speravamo di morire perché sarebbe stato più facile. 
Giyu rimase colpito da come aveva riassunto facilmente il turbinio delle emozioni inglobate nel proprio lago interiore. Non sapeva come gestire quel che provava, tanto meno tradurlo. 
Ma lui l’aveva espresso in modo semplice e vero. 
Giyu provò ad alzarsi per raggiungerlo alla finestra, ma lo trovò difficoltoso, così desistette. Quando tornò a sollevare lo sguardo, vide la mano tesa di Sanemi che gli porgeva aiuto e dopo un attimo di sorpresa, non dimostrata ovviamente, la prese e si lasciò afferrare e sollevare con forza e decisione. 
In un attimo si trovò in piedi e lo guardò a tu per tu, mentre aspettava a lasciarlo per vedere se sarebbe caduto. Quando lo sentì stabile, mollò la mano e tornò al balcone a cui si affacciò anche lui. 
Appoggiò il gomito che gli rimaneva e guardò fuori stringendo un paio di volte gli occhi blu. Era tutto così chiaro e luminoso. E bello.
L’avevano salvata loro, quella bellezza. Quel mondo. 
- Ed ora cosa faremo? - sussurrò Giyu più a sé stesso che a Sanemi. 

Questi però lo guardò meravigliato, dimostrando apertamente lo shock nel sentirgli fare quella domanda. 
- Ora... - provò a rispondere, ma si rese conto che non ne aveva idea e capì perché l’aveva fatta. - non ne ho proprio idea. Ho vissuto solo per sterminare tutti i demoni ed ora che sono morti... che cazzo faremo? Dovevamo morire noi. Non loro.... 
Prese con sé nel discorso anche lui, consapevole che provava esattamente le stesse cose anche se non sapeva dimostrare ciò che provava e lo teneva dentro di sé. 
- Invece siamo noi quelli sopravvissuti. Mentre tutti gli altri non ce l’hanno fatta. Noi che non ci importava di sopravvivere, ma solo di sconfiggere Muzan e gli altri. 
Riassunse alla perfezione tutto, con un sussurro incolore tipico suo. Quel che diceva, però, non mostrava affatto il suo stato d’animo angosciato riguardo ai loro colleghi morti. Le altre colonne. 
Non erano mai stati particolarmente uniti, non loro, dopotutto. Però sapevano benissimo com’era fatto ognuno di essi, come aveva vissuto, cosa avevano desiderato, cosa avevano provato e sperato. 
Sapevano che tutti loro avrebbero saputo che fare della loro nuova vita, al contrario suo e del compagno rimasto. 

Sanemi ripensò a quel che aveva provato di notte, guardando Giyu soffrire e volendo aiutarlo a stare meglio. 
Un altro scopo forse lo poteva trovare. 
Rendere felici gli altri, proprio come aveva pensato nel dormiveglia, poteva essere un bello scopo, un buon rimpiazzo per il precedente, dopotutto. Anche se non sapeva bene come si faceva. 
Difendere e proteggere era facile, per lui. La sua attitudine naturale. 
Ma che altro c’era, per servire gli altri? 
Il solo modo per sentirsi meglio era quello, per lui, dare valore alla vita degli altri perché la propria non l’aveva più. Aiutando e proteggendo le persone intorno, la propria assumeva valore. 
Per questo l’aveva sempre fatto.
Adesso gli rimaneva quello. Renderli felici. Ma come si faceva? 
Capì così bene e totalmente Giyu che sprofondando il viso fra le braccia incrociate sul balcone, strisciò di lato verso di lui fino a toccarlo col corpo, sentendone l’impellente bisogno di farlo. 
Si appoggiò al suo fianco e Giyu non si mosse, non lo allontanò ma probabilmente non fece nemmeno una vaga espressione. 
“Questo sì che è una sfida. Rendere felice Giyu potrebbe essere proprio interessante...”
Non si chiese perché dovesse farlo. In vita sua aveva solo agito d’istinto facendo quel che sentiva di dover fare, senza farsi una sola domanda. 
Non sapeva proprio pensare e riflettere, ma sapeva cosa voleva e sapeva ottenerlo e farlo. 
Se voleva rendere felice Giyu, l’avrebbe fatto. Il motivo non aveva importanza. 

Giyu lo sentì addosso, lo guardò sorpreso ma non si mosse, non si spostò sentendo un piacevole calore nel punto in cui lo toccava. Guardò la spalla attaccata al proprio fianco, la spalla scoperta dallo yukata quasi del tutto scivolato e provò ulteriore calore. 
Cominciava a stare inspiegabilmente bene con lui e non ne capiva il motivo. Forse perché gli trasmetteva sicurezza e forza. 
Dava l’idea di saper cosa fare, mentre lui in quel momento era totalmente perso, senza lo scopo di tutta la sua vita.
Aveva vissuto e combattuto per quello ed ora cosa provava? Cosa sentiva? 
Non ne aveva idea, ma sapeva di essere perso. Completamente perso. Perso in un modo che non comprendeva. 
Non gli piaceva non avere uno scopo, non sapere che fare, dove andare. 
- Cosa faremo, ora? - chiese ancora più a sé stesso che a Sanemi, quasi triste di non avere più una guerra. Ma forse non per quello, piuttosto che per non avere più uno scopo.
Vuoto. 
Il vuoto dentro di lui si ingrandì diventando gelo e si strinse istintivamente nello yukata. Sanemi, notando il gesto, si raddrizzò e si tolse il proprio che gli rimaneva appeso per poco. Glielo mise sulla schiena e lasciò il braccio sulle sue spalle, cercando di riscaldarlo, pensando non stesse ancora bene e che avesse freddo. 
Rimase così solo con la biancheria intima e le bende addosso, vide il suo corpo forte e muscoloso, lo percepì addosso ed arrossì brevemente, mentre il fiato gli mancava sentendosi improvvisamente stupido.
Stupido perché stava bene, ora, col suo braccio intorno alle spalle ed il suo corpo attaccato al proprio. 
- Non ne ho idea, ma lo scopriremo con calma. Abbiamo tutta la vita per capire che fare... - disse poi con sicurezza e tranquillità, convinto che sarebbe andata così. 
Giyu aveva bisogno di certezze, risposte, obiettivi concreti, ma non avendone si aggrappò emotivamente a Sanemi che invece nonostante fosse nella sua stessa condizione, era sicuro l’avrebbe presto scoperto.
Avrebbe trovato le sue risposte e lui sarebbe stato lì, quando sarebbe successo. Pronto ad assorbire di conseguenza le sue certezze.
Sanemi strinse la presa del braccio intorno alle sue spalle, attirandolo a sé. 
- Lo scopriremo insieme. - puntualizzò poi deciso, come se gli leggesse nel pensiero. 
Giyu si sentì di nuovo calmo e pieno di un calore che non aveva mai provato e pensò che potesse fidarsi. Sentì che con lui sarebbe andato tutto bene. 
Immaginò che il suo collega parlasse al fratello perso in guerra e non realmente a lui, che lo vedesse come un riflesso di Genya, ma non lo sottolineò a voce. Pensò che fosse indelicato farglielo notare e comunque se aveva bisogno di qualcuno di cui prendersi cura al posto di suo fratello, per rimettersi in piedi e stare meglio, non trovò niente di male nell’esserlo. Almeno fino a che entrambi non avrebbero ritrovato le forze per stare in piedi da soli e percorrere il proprio sentiero, ognuno indipendentemente, per ricominciare la nuova vita. 
A quel pensiero, Giyu si abbandonò sotto il suo braccio forte, appoggiò la testa contro il suo collo e lasciò che lo riscaldasse con la sua sicurezza. 
Forse, unendo le rispettive fragilità, sarebbero potuti arrivare alla nuova tappa della loro vita per stare di nuovo bene come non lo erano probabilmente mai stati. 
Forse valeva la pena tentare. 
- Vorrei andare in un posto, verresti con me? - chiese infine, pensando alla tomba del suo amico che aveva dato la vita per lui nell’esame di cacciatori di demoni fatto a suo tempo, Sabito. Voleva andare da lui a dirgli che era tutto finito e che la vita che lui gli aveva salvato, alla fine aveva avuto uno scopo utile, anche se non si sarebbe mai perdonato del suo sacrificio. 
Sanemi abbassò lo sguardo e Giyu rialzò il capo volgendolo verso di lui, i due si guardarono da vicino senza scostarsi uno dall’altro. 
Era sorpreso e lo mostrava senza grossi problemi, ma non era arrabbiato com’era sempre stato ogni volta che l’aveva visto. 
Aveva raggiunto una sorta di pace, nonostante la fine di Genya, e probabilmente era stato proprio il chiarimento con lui a dargli un po’ di pace nonostante tutto. 
Forse era vero che erano cambiati tutti, durante quella lunghissima guerra... 
Giyu pensò inevitabilmente a Tanjiro. 
Per la verità erano cambiati tutti dopo aver incontrato lui. Anche lui, lo era?
- Verrò se tu vieni con me in un altro. - rimbeccò Sanemi deciso. Giyu rimase sorpreso per un attimo per poi accettare, non trovando validi motivi per rifiutare. 
Era strano per loro interagire così e chiedersi aiuto e sostegno a vicenda, eppure stava venendo in qualche modo spontaneo.
“Forse quando affoghi, ti aggrappi istintivamente al primo salvagente che trovi. Anche se non è chiaro chi è il salvagente di chi, ora.”
Ma forse il punto più sconvolgente per lui era che prima di quel momento, prima di quel braccio intorno alle spalle, non aveva nemmeno capito d’averne bisogno.
Aiuto. 
Era questo che gli serviva, ora, e lo capiva solo dopo averlo ricevuto da Sanemi. Capendo che ne voleva ancora e lo voleva proprio da lui. 
- Va bene. - acconsentì con un lieve cenno che non aveva niente a che fare con un sorriso. Quello, forse, un giorno, sarebbe arrivato. Ma non ancora. 

A quel punto, dopo aver stabilito ognuno le proprie condizioni ed i primi piani di battaglia, o quanto meno i primi passi, nel silenzio che si stabilì fra loro il gorgoglio del suo stomaco irruppe prepotentemente a reclamare cibo. 
Giyu spalancò gli occhi e si voltò verso di lui che ancora gli teneva il braccio intorno alle spalle insieme al suo yukata. 
- Hai fame? - chiese retorico, ma non finì di dirlo che anche il suo gorgogliò e Sanemi gli rise in faccia indicandolo col dito. 
- Anche tu ce l’hai! 
Giyu a quel punto arrossì lievemente colto in fallo, come se i segni della fame fossero qualcosa di cui vergognarsi. Gli piacque da matti quell’espressione imbarazzata e accentuò le risa come se fossero una presa in giro. 
Non si sentiva particolarmente allegro e felice, ma aveva moltissimi pesi in meno. Forse tutti.
In realtà non credeva nemmeno più d’averne e questo iniziava a lasciare spazio al suo reale carattere, quello che per anni era stato soffocato dal peso della rabbia, dell’odio, del dovere e della responsabilità.
Non solo la guerra era finita ed avevano vinto, ma suo fratello non c’era più e non aveva letteralmente niente e nessuno a cui pensare e anche se si sentiva in colpa nell’essere vivo al suo posto, il proprio carattere non poteva esimersi dall’esplodergli fuori a tradimento. 
In un certo senso ora era libero.
- Andiamo a vedere se c’è qualcosa da mangiare? Così vediamo chi altri è sopravvissuto... chissà Tanjiro, quando sono svenuto era messo male e non si capiva se fosse vivo o morto... 
Così dicendo, come se niente fosse e parlando del tutto rilassato, Sanemi si scostò da lui alla ricerca di qualcos’altro da indossare per potersi addentrare nella spaziosa casa delle Farfalle alla ricerca di cibo, oltre che di persone. Tuttavia vedendo che Giyu rimase alla finestra fermo dove l’aveva lasciato, si girò a guardarlo.
- Che fai, non vieni? Vuoi che ti porto io qualcosa? 
Giyu scosse il capo mostrando meraviglia e Sanemi ne rimase colpito visto che era una delle poche espressioni che gli aveva visto fare nell’arco di quell’ora insieme. 
- Che c’è? - fece infatti capendo che doveva essere successo qualcosa mentre era svenuto subito dopo l’alba e la sconfitta di Muzan. 
- Tu... tu hai dormito? - non era una vera domanda, ma più una realizzazione. A quel punto però Sanemi capì d’essersi perso qualcosa di importante ed avvampò di vergogna, raddrizzandosi e sbracciando seccato come se attaccasse senza ragione: 
- Certo che ho dormito, ero svenuto, non ce la facevo! Che diavolo può essere mai successo? Quel bastardo era morto, ne sono sicuro! 
Giyu sospirò e si avvicinò a lui cauto per non cadere lungo disteso. Era estremamente debole. 
Arrivatogli davanti, Sanemi si fermò dall’eruttare lava incandescente senza motivo e lui gli spiegò calmo e incolore, com’era nella sua inclinazione naturale: 
- Prima di morire, Muzan ha contagiato Tanjiro. Si è trasformato in demone ed ha immediatamente superato il problema del sole, probabilmente perché praticava attivamente la respirazione del sole. 
Le spiegazioni dei dettagli per i quali Tanjiro avesse fatto l’impresa vietata a Muzan e a qualunque altro demone tranne che Nezuko, a Sanemi non importò e seccamente lo interruppe con foga, rabbia e paura. Quella paura di non poter sopportare quella sconfitta. Perché perdere Tanjiro sarebbe stata alla fine una sconfitta e non un pagamento di guerra come la perdita di chiunque altro:
- Vuoi dirmi che avete dovuto ucciderlo?! 

Giyu notando la sua ansia e sorpreso dentro di sé per quella sua preoccupazione così spiccata, si affrettò a rispondere alzando la mano e mettendogliela sul petto ancora nudo ed avvolto nelle bende. Appena lo toccò, si placò e poté specificare: 
- No, non è morto. È riuscito a tornare in sé. C’era ancora una fiala anti-demone di Tamayo, sono riusciti a dargliela e così grazie al sangue che aveva bevuto da Nezuko, che aveva anch’essa gli anticorpi, ne è uscito. - alla rivelazione per poco a Sanemi non venne male e fra le svariate espressioni shoccate, aggiunse anche quella sconvolta alla rivelazione che Tanjiro avesse morso sua sorella. 
Ma Giyu proseguì come niente fosse, ritirando la mano dal suo petto come se ora quel contatto lo ustionasse e fosse insopportabile: 
-  Ma probabilmente è stata anche la sua coscienza particolarmente attaccata alla vita ed ai suoi amici. Nel momento in cui il suo corpo stava combattendo l’infezione di Muzan, dopo il sangue di Nezuko e la fiala, tutti noi rimasti ci siamo messi su di lui e toccandolo abbiamo richiamato a galla la sua coscienza. Alla fine è tornato fra noi. 
Sanemi alla fine sospirò chiudendo gli occhi sollevato. 
- La prossima volta parti dalla fine. Dì ‘Tanjiro sta bene, ma è successo questo e questo!’ Ok? - spiegò brusco e seccato dallo shock che aveva dovuto subire. Giyu pieno d’invidia per la sua capacità non solo nel provare emozioni ma anche nel saperle esprimere, annuì sorpreso. 
Dopo di quello il gorgoglio di Sanemi aumentò e divenne più forte. 
- Ok, se non mangio qualcosa azzanno te, andiamo. 
A quel punto, con decisione tipica sua, gli prese la mano e lo tirò verso l’esterno della stanza, rinunciando a mettersi qualcosa addosso. 
Giyu notando che era ancora praticamente nudo ad eccezione per i pantaloncini intimi, sospirò, scosse il capo, sfilò la mano dalla sua con notevole rammarico, si tolse lo yukata che aveva ancora sulle spalle stile principessa e glielo rimise addosso. Sanemi rallentò e si voltò a guardarlo, stupito dal gesto. Giyu ovviamente non fece alcuna piega, riprendendo a camminare fino a superarlo come se dopotutto non avesse fatto niente di che. 

Non era esattamente così, in realtà Sanemi sapeva quanto importante fosse quel piccolo semplice gesto per uno che non aveva solitamente attenzione per nessun altro se non forse solo Tanjiro e Nezuko. 
Infatti sorrise lieto che l’avesse fatto ed infilò le braccia nelle maniche larghe, riprendendo a camminare ed affiancandolo mentre la stoffa senza il legaccio gli stava largo sembrando più un mantello e lui un cavaliere che scortava la sua bella principessa. 
Lanciò infatti uno sguardo di sottecchi alla principessa in questione e vide che i suoi capelli lunghi e neri erano praticamente sciolti ed in disordine sulle spalle, mentre il suo yukata era legato ma ancora per poco, donandogli uno stile che gli donava particolarmente. 
Sulle labbra un sorrisino divertito e soddisfatto. 
Tutto sommato quella nuova vita cominciava niente male.