*Sanemi ha una missione e non se ne è reso pienamente conto, trasformare Giyu in un normale essere umano in grado di chiedere aiuto come si deve e con come si deve, intende anche con gentilezza. Sarà un'impresa visto le enormi difficoltà di Giyu a comunicare e non solo, ma anche a farlo in modo normale. Il bagno è finito ed è ora di asciugarsi, vestirsi e pettinarsi, cosa apparentemente facile, una sciocchezza. Peccato che senza una mano gestire i capelli lunghi non sia facile e nemmeno legarsi uno yukata. Ho usato diverse fan art (non mie) per ispirarmi in questo capitolo che però non ripropongono precisamente le scene descritte, tuttavia come sempre condivido quel che mi accende le lampadine dell'ispirazione. Bene, ecco a voi Sanemi il controsenso vivente! Grazie come sempre a chi legge e commenta, mi fa davvero tanto piacere leggere le reazioni ai capitoli. Buona lettura. Baci Akane*

6. SEI UN CONTROSENSO

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Sanemi sbuffò non per il fastidio provato nel dovergli fare da genitore o fratello maggiore, bensì perché voleva che Giyu imparasse a chiedere. 
Sapeva che era difficile e lui non aveva mai avuto bisogno di chiedere, era sempre riuscito a fare tutto solo, perciò non sapeva cosa si provava a dover per forza chiedere e farsi aiutare al lato pratico, ma era convinto che Giyu dovesse imparare a farlo. 
Non sapeva che lui al suo posto piuttosto sarebbe rimasto sporco e bagnato ed affamato. 
Prese in silenzio i kimoni puliti riposti in un armadio insieme agli asciugamani, resi disponibili dai gestori della casa. Erano alcuni blu, altri grigi, tutti coi legacci neri. Non c’era biancheria intima, ma sanemi gliene prese uno e l’aprì aiutandolo ad infilarlo. Giyu non disse nulla, non si oppose ed accettò di nuovo l’aiuto.
A modo suo stava migliorando, perciò sorrise fra sé e sé e scosse il capo infilandosi il proprio yukata pulito. Prese poi un legaccio e se l’avvolse in vita in fretta e furia, poi ne prese un altro e andando dietro Giyu glielo passò intorno alla vita infilando le mani sotto il braccio, spuntando da sopra la sua spalla per guardare davanti, glielo legò mentre l’abbracciava. 
Giyu a quel punto girò il capo leggermente verso di lui e gli sfuggì il primo quasi sorriso. 
Sanemi lo guardò meglio, sorpreso, per poi constatare che no, non era un quasi sorriso.
Era un sorriso vero e proprio.
Tirato, difficoltoso e strano perché di sicuro non ne faceva da anni, forse, però era qualcosa di identificabile come un sorriso. Od una prova di sorriso. 
Però qualunque cosa fosse, ebbe il potere di farlo arrossire per la prima volta, lasciandolo inebetito ed imbarazzato lui, questa volta, mentre improvvisamente il nodo non gli veniva più e doveva combatterci molto di più del previsto, costringendosi a rimanere quindi in quella posizione, abbracciato a lui da dietro. 
- Che c’è, ora? - chiese scorbutico nel suo tipico modo di attaccare per non essere attaccato, come se quello di Giyu fosse un attacco. 
- Stai facendo una cosa che ha richiesto una notevole attenzione e sensibilità, ma la fai brusco come se non ne avessi voglia. Sei un controsenso assurdo! 
Sanemi non pensava che quello fosse tanto divertente, ma se lo faceva quasi sorridere, che ben venisse. Purtroppo per lui, il proprio colorito non accennò a diminuire né a tornare normale, così sospirando insofferente lo guardò male da vicino, scrutando il suo profilo per assorbire meglio il suo quasi sorriso. 
Un quasi sorriso molto bello, anche se avrebbe potuto fare di meglio, un giorno. 
Alla fine finalmente riuscì a legarlo bene e si scostò allontanandosi da lui, a malincuore. 
- Posso fare qualcos’altro? Vorrei che tu chiedessi, devi imparare a farlo, dopotutto ora hai un braccio in meno, certe cose non riuscirai più a farle, devi imparare a... 
Giyu decise di zittire i suoi brontolii imbarazzati porgendogli la spazzola ed un nastro per i capelli, mostrandogli ancora la schiena. 
- Dovresti pettinarmi e legarmeli. 
Non chiese per favore, non fu una richiesta ma più un ordine e per un momento provò l’impulso di tirargli la spazzola in testa, ma si rese conto che era il massimo che avrebbe potuto ottenere da lui.
“Forse era meglio quando aspettava che intuissi da solo cosa gli serviva...” pensò sbuffando.
- Sei un controsenso davvero... - disse Giyu poi con ancora quel mezzo sorriso sulle labbra, mentre lo vedeva sia imbarazzato che scocciato prendergli la spazzola e sistemarsi seduto dietro di lui, cominciando a pettinarlo. 
Sanemi avvampò e per fortuna non lo vide. 
Immergendo le mani di nuovo fra i suoi capelli neri ancora bagnati e profumati, fu strano. Fu bello.
Il bollore del viso cessò lentamente di distruggerlo, mentre nonostante i nodi dei suoi capelli lunghi, trovava bello quel gesto così intimo.
Intossicantemente bello. 
- Perché lo sarei? - chiese senza essere più arrabbiato. Per quanto fosse difficile e lo costringesse a tirare fuori una pazienza ed una delicatezza di cui normalmente era difficilmente capace, si sentiva per contro calmare.
Si calmò al punto da ritrovarsi a sorridere ebete per il semplice fatto che lo stava pettinando e gli stava legando i capelli.
“No, non sorrido come un coglione per questo. Sorrido perché me l’ha chiesto. A modo suo, facendomi salire il nervoso perché non mi dai ordini, mi chiedi, ma l’ha fatto.”
Era bello perché era un ulteriore avvicinamento e prima aveva anche mezzo sorriso.
Anche quello aveva accorciato le distanze.
Ci teneva tanto a riuscirci. Ne voleva molti, di momenti con lui. 
- Perché vuoi una cosa, ma non ti sta davvero bene farla. Se uno fa quel che vuoi, ma lo fa come non dici tu, ti arrabbi. E se uno fa comunque quel che vuoi, ti scocci e ti imbarazzi perché non è che vuoi proprio farla, ma al tempo stesso sai che va fatto. O forse, non so, vuoi e non vuoi. Sei un controsenso!
Sanemi non si fece perdere l’occasione per rimbeccarlo polemico, capendo a cosa si riferiva, così gli rispose subito per le rime senza nemmeno rifletterci, mentre continuava a pettinarlo anche se ormai i capelli si erano sciolti e snodati per bene. 
- Ti sembrava una richiesta, quella di prima? Sono io che voglio aiutarti, ma se me lo imponi mi fai girare i coglioni. Prova a farmi una domanda! - sbottò seccato senza rendersi conto di quanto Giyu avesse ragione a dire che era un controsenso. 
- Di che tipo? 
- Una richiesta. Chiedimi di farti un favore. Come chiederesti un favore, sul serio? 

Giyu non capiva bene il genere di test che gli voleva far fare, gli aveva pur chiesto di legargli i capelli. Suo malgrado sospirò paziente e lo accontentò. 
Sapeva che aveva finito di pettinarlo ma che continuava perché gli piaceva, perciò evitò di dirgli ‘controsenso, appunto’, ma provò a fare un’altra richiesta assecondandolo. 
- Mi dovresti tagliare i capelli, domani. - disse candido ed incolore, come se gli avesse chiesto di aiutarlo a tagliare le portate sul piatto.
- Cos... come?! Sei matto? E POI COS’ERA QUELLA, UNA RICHIESTA? TE LO SCORDI CHE TE LI TAGLIO! E poi perché domani? 
Cominciò con una raffica di domande che fece ridere Giyu. Rise dentro di sé. 
Dentro voleva rotolare dal ridere, ridere di gusto, ma da fuori gli uscì solo un altro mezzo sorriso grottesco, tirato e difficile. 
Davvero non aveva mai sorriso?
Era così strano volerlo fare, che non si rendeva conto di quanto complicato fosse farlo. 
E non solo, era complicato. Era piuttosto strano. Non riusciva ad usare i muscoli facciali inerenti al sorriso e probabilmente in generale alle espressioni. 
Erano totalmente atrofizzati.
Non aveva mai sorriso, mai fatto espressioni, mai infuriato, mai gridato. 
Però sentiva di volerlo fare e istintivamente, per la prima volta, ci stava provando.
Ancora gli effetti della fine della guerra, o qualcos’altro? 
“Forse entrambe le cose...”
- Vuoi continuare a pettinarmi e legarmeli per sempre? Se me li tagli è più comodo! - rispose piatto e pragmatico. No che non voleva tagliarli, ma riconosceva che erano più comodi per tutti.
- E perché domani? 
- Perché devo dirgli addio, li ho sempre avuti lunghi e mi dispiace tagliarli. - non si rese conto d’aver risposto in modo così sciocco, ma ancora una volta pensò che fosse colpa in qualche modo di Sanemi e non fece una piega. 
- Allora non farlo. - brontolò come una pentola di fagioli la colonna del vento.
- Saranno più comodi da gestire. - sottolineò con senso logico.
- Non è un problema aiutarti, per me. - questo lo disse mentre si spegneva, non era più infervorato come suo solito. Era strano non sentirlo sbottare ancora come faceva ogni due per tre. In quel giorno era stato sorprendentemente tranquillo, tanto da occuparsi di lui.
- Come no, se ti chiedo di farlo strilli come una ragazzina... - lo disse apposta per stuzzicarlo. Solo quando gli rispose così, tagliente e acido, si rese conto d’averlo fatto solo perché lo divertiva provocarlo e farlo sbraitare come un idiota.
A quello però Sanemi finì per tirargli i capelli cedendo all’ira, alla sua provocazione ed al suo tipico temperamento, che diede ovviamente vita in Giyu alla voglia di spezzargli anche le altre dita che gli rimanevano, ma si trattenne pentendosi d’averlo provocato di proposito. Come aveva potuto considerarlo divertente? E poi da quando considerava qualcosa divertente? 
Sospirò a fondo e capendo che quella contraddizione vivente in qualche modo lo stava aiutando comunque a scoprire il proprio io segregato in profondità, si girò appena all’indietro verso di lui seduto ancora alle proprie spalle e lanciandogli uno sguardo gelido, sibilò:
- Potresti farmi la coda, per favore? 
- OH, LO VEDI CHE SEI CAPACE DI CHIEDERE LE COSE IN MODO NORMALE? È QUESTO CHE INTENDEVO! COSÌ VA BENE! 
Le urla di Sanemi irritarono non poco Giyu che per non spezzargli davvero le dita, si alzò decidendo di lasciar perdere, li avrebbe piuttosto tenuti sciolti e al diavolo l’aiuto emotivo che gli stava dando, avrebbe fatto tutto da solo come sempre in tutta la sua esistenza. 
Da solo era meglio, molto meglio.

Vedendolo andarsene, Sanemi gli prese i capelli di riflesso e glieli tirò di nuovo facendolo scattare in modo imprevedibile, veloce come un’acquazzone improvviso e potente. 
Infatti Giyu si girò verso di lui, gli afferrò il polso con la sola mano che aveva e per poco non si sentì spezzare le ossa. Strinse così forte che gli fece effettivamente male ma lui, a quel punto, invece di aizzarsi per contro e investirlo come un uragano devastandolo alla solita vecchia maniera, si mise a ridere forte e di gusto e allungandosi verso di lui, gli rubò un improvviso bacio senza senso.
Glielo scoccò entusiasta sulle labbra, non fece altro, poi sfilò il polso improvvisamente mollo per lo shock e se lo rigirò di nuovo di spalle, completando la coda. 
- Te li taglierò quando sarai pronto, non sono problemi aiutarti. Mi piace pettinarti. 

Giyu, sconvolto dai suoi modi tipici di un uragano che arrivava inaspettato scombinando tutto e tutti, sospirò e si arrese lasciandosi fare mite. 
“Mi farà impazzire. Anzi, che dico. Mi ha già fatto impazzire. Oh Dei, che cosa mi ha fatto?”
Avvampò di nuovo, chiuse gli occhi e si toccò le labbra con le dita, mentre dentro di sé sperava che semplicemente lo rifacesse. 

Raggiunsero la camera che erano cotti: fra le terme ed il pranzo, non vedevano l’ora di rimettersi a dormire. 
Quando entrarono, videro i loro vecchi vestiti di sempre puliti, piegati e rammendati. Essendosi svegliati, avevano provveduto a riconsegnare i loro effetti, insieme ovviamente alle loro spade e alle sacche di viaggio che erano già in camera. 
Entrambi fecero un’espressione strana nell’osservarli, un misto fra il malinconica e il contento.  
Con essi avevano sofferto molto, avevano perso molto e combattuto tanto. 
Avevano vinto la guerra, con quegli abiti, ed anche se erano stati aggiustati e puliti, le macchie di sangue sarebbero sempre rimaste indelebili, nonostante le apparenze. 
Ma quelle, in realtà, c’erano anche nelle loro mani. 
Sangue di vittime che non erano riusciti a salvare, di quelli che invece avevano aiutato, il loro stesso sangue. Ed il sangue nero dei demoni. 
Era stato lavato via, ma non sarebbe mai stato realmente cancellato. Nessuno dei due disse nulla, ma entrambi pensarono le stesse cose e guardandosi fugacemente in viso per capire cosa pensasse l’altro, se fosse troppo strano avere quei pensieri pesanti addosso all’improvviso, si sentirono meglio nel capire che anche il compagno accanto aveva i medesimi sentimenti. 
Si fecero un cenno, Sanemi sorrise in modo più accentuato anche se tristemente, mentre Giyu fece una strana smorfia indescrivibile. 
Si sedettero entrambi nei futon sempre uniti per poter lasciare lo spazio di movimento nella stanza piccola. La finestra aperta a far entrare il sole che scendeva nel pomeriggio inoltrato e quella brezza piacevole che continuava a soffiare. 
Si sentivano stanchi come se avessero fatto chissà cosa, se ne vergognavano entrambi, ma non sarebbero comunque riusciti a fare nulla.
Anche perché, in effetti, non c’era niente da fare, a conti fatti. 
Nessun demone da combattere, nessuna vittima da salvare. 
Presto i sopravvissuti si sarebbero ripresi e appena il nuovo capofamiglia avrebbe dato il nullaosta a tutti con le nuove direttive, ognuno sarebbe andato per la propria strada. 
Giyu ancora seduto, appoggiato alla mano, guardò Sanemi al suo fianco che si stava sistemando nel futon accanto. 
Aveva bisogno di lui, ma non sapeva di preciso come e perché, perciò rimase solo a guardarlo in una muta richiesta. 
Alla fine non riuscì a dire nulla e si stese imitando Sanemi che però aveva aperto le coperte stendendosi a braccia aperte, piegate vicino al corpo e non spalancate. Le gambe allungate avanti a sé e l’aria di chi non voleva parlare di ciò che l’aveva turbato nel guardare la sua divisa piegata. 
Giyu non l’avrebbe di certo forzato dal momento che anche lui non sapeva cosa dire. In realtà non sapeva nemmeno cosa provava. 
Sapeva di provare qualcosa, ma non lo comprendeva. 
Si stese e si voltò sul fianco sinistro, verso Sanemi. 
Non si dissero assolutamente nulla, come se le loro divise da cacciatore di demoni avessero improvvisamente richiamato quelli abbattuti sempre presenti. Demoni a cui non avevano ancora voluto pensare. 

Sognò di nuovo Genya, ma questa volta sotto forma di spirito venuto a sgridarlo per qualcosa. 
Sanemi si svegliò seccato ed incazzato, di soprassalto, ma quando aprì gli occhi vide non solo l’esplosione del tramonto che ormai stava finendo che filtrava dalla finestra sopra le loro teste, bensì anche Giyu agitarsi di nuovo nel sonno. 
Si voltò verso di lui e si chiese se in realtà l’avesse svegliato lui e non suo fratello che gli diceva di darsi una mossa ed iniziare a pensare alle cose belle sul serio e smetterla di frenarsi per paura. 
Paura lui? E di cosa? Maledetto stronzo! 
E poi come osava dargli ordini? 
Lui i suoi non li aveva mai eseguiti, come si permetteva di dargliene? 
E poi quali cazzo di cose belle doveva pensare?
Non gli era rimasto nessuno a cui tenesse, non aveva più uno scopo.
Rendere felici gli altri era un ripiego, ma non sapeva nemmeno se avrebbe funzionato e se ne sarebbe stato capace.
Aveva scelto Giyu perché era lì e perché era difficile da rendere felice e a lui piacevano le sfide, ma poteva essere comunque un’impedito in quel compito. Di fatto in vita sua aveva sempre e solo combattuto ed ammazzato demoni. Prima ancora di diventare un cacciatore. 
Giyu sempre rivolto verso di lui, si cercò il braccio mancante con la mano, in una smorfia di tormentato dolore e Sanemi, di nuovo impressionato da come se lo stringeva pur non essendoci, gli prese la mano e gliela strinse nella propria. 
A quel punto il compagno si rilassò e smise di lamentarsi, si riaddormentò ritrovando un’espressione serena.
Si perse a guardarlo pensieroso. 
Era così bello, per la verità.
Non aveva mai pensato a cosa fosse la bellezza, perché sicuramente non era qualcosa che gli era mai interessata, ma ora era lì davanti a lui e non poteva non ammirarla. 
“Mica si riferisce a lui con ‘darmi una mossa e pensare alle cose belle’?”
Sanemi però rimase in una sorta di dormiveglia mentre gli occhi si chiudevano pesanti per poi riaprirsi subito, bisognoso di guardare ancora il suo viso delicato e sempre inespressivo come fosse levigato nel ghiaccio e non nell’acqua. 
“Lo scioglierò ben io...” 
Sogghignò pensandolo e si avvicinò ulteriormente a lui fin quasi a sfiorargli la fronte con la propria, sempre tenendogli la mano nella propria. 
Infine si addormentò ancora, ma questa volta sognò di baciarlo e fu un bel sogno. 
Nessun rimprovero. Nessuna accusa di scappare dalle cose belle per paura. 
Paura... 
Paura lui!
Ma quando mai!