*Dopo una notevole soddisfazione sessuale, Gyiu e Sanemi sono sempre più sereni e rilassati e si avvicina ormai il momento di lasciare la Casa delle Farfalle per cominciare il nuovo percorso di risalita, in quanto lì dentro sono semplicemente sospesi in un limbo che li sta preparando alla vera rinascita. Ma è tempo di pensare alla conclusione prima di buttarsi nel nuovo inizio e ci sono alcune cose da fare. Ringrazio chi segue e commenta la mia fic, onorata che piaccia. Buona lettura. Baci Akane*

9. SARÀ LA MIA SALVEZZA

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Gli occhi viola da gatto di Sanemi, fissavano attenti la figura snella di Giyu mentre combatteva con i vestiti che cercava di mettersi da solo.
I suoi capelli si erano sciolti visto che come parrucchiere faceva schifo, ma stava comunque bene, con quella massa selvaggia che gli ricopriva la schiena. 
C’erano molti segni, sebbene quelli recenti continuassero a migliorare molto. 
Era riuscito a stento ad infilarsi la biancheria intima ed i pantaloni che per fortuna erano elastici sulla vita e non richiedevano particolari manovre complicate da eseguire a due mani. 
Osservò a quel punto come presa la camicia della divisa che aveva sempre usato come cacciatore di demoni, cercò impacciato e nervoso di infilarsela da solo. 
Sanemi sogghignò rimanendo steso sui due futon uniti, tutto storto su entrambi. La testa sorretta dalla mano, una gamba piegata, l’aria da ricco signore feudale che aspetta le sue cortigiane. 
La sua stava goffamente cercando di vestirsi. 
Giyu non sarebbe mai riuscito a mettersi la camicia da solo, tanto meno ad allacciarla. Voleva proprio vedere quanto sarebbe andato avanti da solo a girarsi con una manica infilata, nel tentativo di mettersi l’altra senza chiedere aiuto. 
“È come pisciare controvento... non ce la farà mai!”
Sanemi in realtà si era già vestito e invece di offrire aiuto a Giyu o darglielo arbitrariamente come al solito, si era prima seduto vedendo che cercava testardamente di farlo da solo, infine si era anche steso capendo che ci sarebbe voluto tanto e che era meglio godersi comodo lo spettacolo. 
Lo guardò girare su sé stesso e mano a mano che rivelava il suo viso fra una giravolta e l’altra, la sua espressione era sempre più seccata e irritata. Sembrava un cane che si mordeva la coda. 
“Non mi chiede mica aiuto, eh... quando cazzo imparerà a farlo? Che poi se lo fa, pensa che darmi ordini sia un modo accettabile di farlo...” 
Attese ancora un po’ prima di stufarsi e sollevando gli occhi in alto, irritato e non più divertito, si alzò sbuffando. Gli andò davanti e prendendogli il polso dove aveva infilato la manica, lo fermò e lo spinse malamente contro la parete di legno, premendosi poi subito su di lui. 
Il torace ed il busto rimasero nudi mentre la camicia pendeva appesa al braccio, ma la mano di Sanemi strinse il polso e senza dire nulla, come se per prima cosa dovesse prendersi in anticipo il pagamento, lo baciò.
Giyu appoggiò la testa contro la parete e lo accolse aprendo le labbra, senza porre la minima resistenza.
Non lo stava aiutando, lo stava solo baciando. 
Era diverso. 
Quello era accettabile, no?
Sanemi sapendo che aspettava mite per quel motivo, provò l’impulso di morderlo, ma il desiderio di sentire la sua lingua contro la propria e di impossessarsi della sua bocca, prese il sopravvento. 
Dopo che l’ebbe baciato, i nervi tesi si rilassarono e ridacchiando malizioso lo lasciò recuperando la camicia appesa al braccio. Fece un passo indietro e lo girò prepotentemente aiutandolo a forza a mettersela. 
Infine lo voltò di nuovo e senza permettergli né di chiedere né di lamentarsi, gliela allacciò rendendosi conto che forse era la prima volta in vita sua che lo faceva. 
Lo trovò fastidiosamente più irritante che vedere Giyu tentare di fare tutto da solo. 
Lui non si era mai allacciato i bottoni della camicia o della giacca, se l’era sempre fermata alla vita sotto i pantaloni e poi con la cintura, ma l’aveva sempre lasciata aperta. 
In parte perché era uno pieno di caldo 365 giorni l’anno, in parte perché aveva troppa fretta per stare a vestirsi bene. 
Aveva sempre fretta, anche quando non l’aveva. 
Perciò trovò fastidiosamente irritante allacciare i suoi bottoni, ma eseguì con sforzo ed imbronciato.
Come se non bastasse, ce l’aveva ancora con Giyu per non aver di nuovo chiesto aiuto.
Non avrebbe mai imparato, ma un’occhiata al viso perplesso del suo compagno, lo fece subito rischiarare e sorridere senza motivo. 
Dopotutto anche se non chiedeva era bello aiutarlo comunque.
Aveva davvero bisogno di una mano concreta, oltre che un sostegno emotivo. 
Il ricordo della sera precedente ritornò con un breve flash, ma non disse nulla sulla sua crisi inaspettata, né sulle sue splendide lacrime. 
Lo invidiò un po’.
Era riuscito a piangere, alla fine. Angosciato da una condizione che non voleva. 
Lui non aveva nemmeno pianto per Genya, troppo occupato ad abbattere tutti i bastardi sotto tiro e a vendicarlo. 
E alla fine?
Dopo averli abbattuti e averlo vendicato? 
Non si era più fermato a pensarci, ma lui non lo faceva mai. Trovava il prossimo obiettivo e andava dritto alla conquista senza guardare niente e nessuno. 
Ma sapeva che se si fosse fermato, non si sarebbe più mosso. Sarebbe affondato, se solo si fosse fermato un istante. 
Sarebbe affondato immediatamente e lui non voleva, non poteva permetterselo, perché c’era sempre qualcosa di importante da fare, qualcuno che richiedeva il suo aiuto, essere utile concretamente in qualche modo. 
No, non poteva fermarsi a considerare, pensare, riflettere. 
Guai se l’avesse fatto. 
- Non potrò sempre avere qualcuno che mi aiuta per le cose basilari. Devo trovare un modo per farcela da solo. - rispose Giyu come se lui avesse detto qualcosa.
Sanemi gli lanciò un’occhiata di fuoco per poi girarlo brutalmente di schiena con un gesto stizzito, prese il filo di caucciù usato il giorno precedente che poi era finito per terra ed iniziò a fargli la coda con movimenti secchi e bruschi, finendo ovviamente per tirargli i capelli. 
- Se non la pianti ti do una testata. - disse infatti Giyu gelido e minaccioso. Sanemi rabbrividì e si fermò realizzando che doveva avergli fatto male, così cercò di addolcire i gesti. A quel punto anche Giyu non si lamentò più e si lasciò di nuovo fare.
- Se ti offro aiuto lo accetti perché sai che ne hai bisogno e non hai scelta, ma se non te lo do, non lo chiedi. Perché? - chiese poi imbronciato mentre cercava di placarsi solo per non fargli male. 
Giyu scrollò leggermente le spalle. 
- Credi che sia facile chiedere? In tutta la mia vita non ho mai chiesto nulla a nessuno, ho sempre fatto tutto da solo. Adesso non è che solo perché ho bisogno riesco a chiedere di punto in bianco. 
Finalmente si era degnato di parlarne e rispondergli. Sanemi lo trovò un notevole passo in avanti e dopo aver completato una coda che sperò fosse meglio del giorno prima, lo lasciò e fece un passo indietro guardandolo con le mani ai fianchi, ammirando il lavoro finale. 
Giyu si girò verso di lui, osservandolo serio in attesa della sua replica che però non arrivò subito. 
Sanemi ci pensò, sapeva che aveva ragione e doveva ringraziare il destino che gli avesse lasciato addosso tutti gli arti, privandolo solo di due dita di cui poteva fare a meno con un po’ di pratica. 
- Non hai scelta, però. Dovrai imparare a chiedere. 
- Perché, se sai che ho bisogno di quella cosa e mi aiuti senza chiedere? - disse sinceramente e ancora molto serio. La vena sulla tempia di Sanemi tornò a pulsare di nuovo, si era appena placata. Voleva dargli un pugno. 
- Perché è bello sentirselo chiedere! 
- Se non lo chiedo lo fai comunque! 
- Certo, ma non chiedo pagamenti in cambio, solo una piccola ricompensa. 
Stavano per litigare di nuovo e Sanemi stava per sbottare che loro due come sempre non sarebbero mai andati d’accordo, avrebbe citato una delle tante volte in cui si erano trovati in disaccordo senza arrivare da nessuna parte. Ma Giyu lo fermò improvvisamente, sorprendendolo come non mai. 
- Grazie. - disse infatti sporgendosi fugace verso di lui e rubandogli un bacio sulle labbra. 
Sanemi avvampò irrigidendosi, non aspettandosi quel gesto. Molto meglio quel ‘grazie’ di un ‘per favore’, tutto sommato. 
Giyu poi si voltò ed uscì per primo, lasciando gli haori ancora piegati e riposti sugli sgabelli dove erano stati messi il giorno prima. 
- Non vieni a mangiare? - disse poi richiamandolo, vedendo che rimaneva impalato dopo il bacio. 
Sanemi si riscosse e cercando di gestire l’imbarazzo, lo seguì fuori tornando in fretta alla sua modalità irruente e dominante. 
- Oggi impariamo ad usare le bacchette con la sinistra, ok? 
Giyu gli lanciò una breve occhiata con un mezzo sorriso tirato. Stava facendo molti progressi, ma sarebbe migliorato ancora, grazie a lui. 
Pensandolo, l’entusiasmo tornò a scorrere in sé come non mai. 
Era un entusiasmo diverso da quello che provava una volta nel combattere e nell’uccidere i demoni. Era un entusiasmo più vitale e positivo. 
Finalmente era realmente utile a qualcuno in un modo diverso dal salvargli la vita. Quella sensazione era sempre più intossicante, non sarebbe riuscito più a farne a meno, già lo sapeva. 
“Essere utile mi rende davvero migliore. Degno di questa vita che quel coglione mi ha regalato al posto della sua...”
Lo doveva a Genya, dopotutto. Non glielo aveva detto, non aveva avuto modo, ma glielo doveva. Sapeva che era così. Non serviva dirlo. 
“Giyu mi renderà migliore, facendosi aiutare. Sarà la mia salvezza. Genya da lassù sarà contento di me.”

Il ritorno lento ma perentorio alla vita di tutti gli altri cacciatori di demoni, specie quelli che avevano combattuto più attivamente, aiutò anche Giyu e Sanemi a riemergere via via più facilmente da quella sorta di torpore da limbo in cui si erano ritrovati in quei primi giorni.
Dopo una notevole lotta con loro stessi, erano riusciti ad imparare ad usare le bacchette con la sinistra e sentendosi ormai sufficientemente bene, si chiesero quanto ancora sarebbero dovuti rimanere lì. 
Era stata fissata fra qualche giorno l’ultima riunione dei pilastri che sarebbe stata piuttosto scarna, ma era come se tutti e due, oltre che quella, aspettassero qualcos’altro prima di decidere di andarsene per provare a vivere la vita che gli era rimasta. 
Se ne resero conto quando quella notizia arrivò a cena. 
- Tanjiro si è svegliato e presto si riprenderà. Appena sarà in grado di muoversi e viaggiare, anche lui coi suoi amici se ne andranno. A quel punto sarà ora per tutti di congedarsi. 
I ragazzi radunati a cena nel tavolo accanto, ne stavano parlando. Erano assistenti e aiutanti che si erano presi cura di tutti i feriti e che ora, finalmente, vedevano i loro duri sforzi ripagati. 
A quella notizia, Sanemi e Giyu si guardarono meravigliati, come sospesi in una sorta di bolla che li avvolgeva. Si resero conto di essere in un limbo solo a quella notizia, perché quella bolla, ora, quel limbo si stava finalmente rompendo.
Presto ne sarebbero usciti e sapevano che era ora. 
Non stavano aspettando di trovare le risposte circa le loro vite, né di migliorare come esseri umani raggiungendo i nuovi scopi prefissati. 
Non era quello che attendevano, per uscire da quel limbo. 
I loro obiettivi li avrebbero potuti raggiungere solo una volta fuori da lì, via da quella casa di cura. Lontano dall’ambiente dei cacciatori di demoni. 
Solo una volta che tutto sarebbe stato chiuso per sempre, loro avrebbero effettivamente potuto uscire dal punto in cui si trovavano e risalire la china percorrendo passi e raggiungendo nuovi scopi. 
Ma era quello, che aspettavano, per finire quel capitolo devastante ed importante delle loro vite. 
Il risveglio di Tanjiro. Colui che in realtà, in qualche modo, aveva permesso l’inizio della fine. Una fine che per fortuna era andata in loro favore. 
Sanemi, senza dire nulla né commentare in alcun modo quella notizia che era chiaro gli piacque, sparì in cucina e tornando con una fiasca da sakè grande e due bicchieri, prese per mano Giyu e l’aiutò ad alzarsi senza troppi complimenti. 
Infine lo condusse con la sua tipica irruenza verso l’uscita sul giardino, quella sul retro, dove qualche sera prima era stata teatro del suo scoppio. 
Giyu lo seguì mite senza sindacare su cosa volesse e dove lo stesse portando. 
Vedendo il sakè l’aveva già capito. 
Del resto erano entrambi sufficientemente grandi per farlo. 
Sanemi aprì la porta scorrevole e si sedette sullo scalino di legno, rivolto al giardino esterno. 
La notte era già calata ed il fresco serale li schiaffeggiò, ma aiutati dagli haori che quella sera si erano messi per cenare, i loro rispettivi di sempre, non sentirono particolarmente freddo. 
Il resto l’avrebbe fatto il sakè. 
Giyu sapeva perché lo voleva fare, non glielo chiese nemmeno, era così ovvio. 
Sapere che Tanjiro si stava riprendendo era come avere una specie di data di partenza reale. 
Partenza per la nuova vita, una vita che sapevano entrambi era ora di cominciare a vivere. 
“Ci stiamo solo preparando, ma la vera sfida inizierà una volta che ce ne andremo. Ma adesso prima di pensare al nuovo inizio, è ora di pensare veramente alla fine.”
Sanemi versò il sakè nei due bicchierini e ne porse uno a lui, lo prese e senza dirsi nulla, seduti vicini rivolti verso il buio del giardino, fecero un piccolo silenzioso brindisi per poi bere.
Nessuno dei due disse nulla, nessuno specificò per cosa bevevano. 
Era quasi inutile, dirlo. 
“Alla fine.”
Una vita che era finalmente reale. 
Poi, seguendo un pensiero a caso e per nulla in ordine, Giyu parlò:
- Sai, quando Tanjiro si era trasformato in demone, non ho esitato. Ho cercato di ucciderlo subito. Non ho avuto nemmeno mezzo dubbio. Se non fosse stato per gli altri, io l’avrei ucciso. 
Dirlo ad alta voce gli faceva capire che si sentiva in colpa. Il senso di colpa era una cosa estremamente umana, pensò. 
Sanemi gli lanciò una breve occhiata sorpresa. 
- Ovvio, che altro potevi fare? Anche io l’avrei ucciso, se fossi stato sveglio. 
Giyu non sapeva se sentirsi meglio o peggio. Essere d’accordo con lui su qualcosa per lui equivaleva alla prova tangibile di un errore, erano sempre stati opposti su tutto. O quasi.
Entrambi si erano allenati solitariamente quando avevano cercato di superare il proprio limite di cacciatori di demoni e ottenere il segno sul viso. 
Beh, solitariamente non era proprio corretto, visto che l’avevano fatto insieme, ottenendo infatti il risultato sperato e dimostrando di essere sullo stesso livello di forza. 
- Gli altri non ci riuscivano ed è per questo che abbiamo fallito. Per fortuna. Col senno di poi, l’hanno salvato. - concluse Giyu non sapendo come sentirsi in merito ad essere di nuovo d’accordo con lui su qualcosa. 
Sanemi alzò ancora le spalle guardando fuori, verso la notte buia, alla ricerca della luna che a breve si sarebbe affacciata dalle nuvole che correvano nel cielo. 
- È facile col senno di poi. Chi lo sa che succede poi? In quel momento hai una sola cosa da fare ed esitare è letale. È la differenza fra la vita e la morte e non solo tua, che quella è il meno. Ma di tutti quelli che ti circondano, quelli che stai disperatamente salvando. Non puoi esitare e non hai tempo di pensare. Non sai cosa sarà dopo, sai cos’è ora. 
Sentendogli dire quelle cose, Giyu sospirò e sentendosi leggero, guardò come le nuvole si aprivano definitivamente lasciando spazio alla luna. 
Allo stesso modo, mentre la luce argentea carezzava i loro volti pallidi, si sentì meglio. 
Bevvero ancora in silenzio finendo i bicchierini e Sanemi ne versò ancora. 
- Chi lo poteva immaginare che quello conosceva l’antica e originale respirazione del Sole? - chiese poi Sanemi realizzando che di tutte le cose che erano successe, in realtà quella che l’aveva sconvolto di più era proprio quello.
- È per questo che ha avuto successo su tante imprese. Dice che l’ha ereditata da qualche antenato. Si tramandano quella che fino a quel momento aveva pensato essere una danza, ma in realtà è la respirazione del sole. 
- Solo uno poteva insegnarla. Sappiamo tutti chi è. - fece poi deciso Sanemi, fissando il liquido di sakè nel bicchierino fra le dita. Giyu lo guardò e vide com’era concentrato nel pensare alla stessa persona. Non lo nominarono, non ce ne fu bisogno.
Era come se fosse irrispettoso anche solo scomodare il suo nome. 
- Pensi che fosse imparentato con una leggenda simile? - chiese poi. Giyu alzò le spalle e tornò a guardare avanti a sé, baciato dalla luna come il suo compagno. 
- Non poteva avere figli, non può aver fatto una famiglia. Deve semplicemente aver tramandato la respirazione a qualcuno che per qualche ragione riteneva degno. Chi lo sa cosa gli passò per la mente? Qualunque cosa fosse, ci ha salvati. 
Era stata la combinazione delle forze estreme e dei sacrifici di tutti, a farli vincere alla fine. Ma era vero che senza quella respirazione e senza i suoi colpi, sicuramente l’esito sarebbe stato diverso, alla fine. 
Non ne parlarono più, rimasero in silenzio per un po’ a guardare avanti e a bere ancora un po’, il fresco della notte contrastava con il calore procurato dal sakè che ressero senza grossi problemi.
Fino all’ultimo brindisi.