1. ZONA PERICOLOSA

aokagaaokaga


Nell’esatto istante in cui gli occhi si agganciarono, il mondo svanì.
Diventò una macchia indistinta intorno, l’unica percezione che avevano era solo del campo intorno, i metri che gli interessavano sotto il canestro. 
La palla fra loro, lanciata in aria come se fosse una contesa in partita, e poi, semplicemente i loro occhi. Solo quelli.
Non sulla palla ma su di loro. 
Sapevano dov’era, sapevano quanto distava fra loro, sapevano quando muoversi e agire per prenderla, ma comunque non si sarebbero tolti gli occhi di dosso.
Appena l’avevano sollevata dando il via alla loro ennesima sfida, erano come entrati nella zona, ma non la classica di quando giocavano contro avversari difficili, in partite vere insieme alle loro squadre.
Era una zona diversa.
Una ‘danger zone’, una zona pericolosa. 
Quella in cui perdevano totalmente la connessione con la realtà ma, soprattutto, con loro stessi. 
Toccarono la palla quasi insieme, ma Daiki fu più veloce a sottrargliela e appena l’ebbe sotto le dita, si girò con uno scatto felino, portandosi in posizione d’attacco, con la fronte al canestro. Contemporaneamente, Taiga si mise in mezzo, spalle al cerchio, pronto a fermarlo. 
La loro danger zone gli faceva dimenticare di ogni cosa, soprattutto i loro stessi pensieri, considerazioni, vissuti. Non c’erano precedenti fra loro, non c’erano obiettivi, scopi prefissati, decisioni prese anticipatamente.
Appena iniziavano a giocar a street basket, in quel solito campetto a metà fra le loro case, poco usato da altri, si perdevano dimenticandosi di ogni considerazione ed estratto delle loro vite, qualunque cosa fosse già accaduto fra loro che li avesse portati a stabilire cosa fare uno con l’altro, cosa pensavano, come vedersi, veniva subito annullata e c’era solo l’istinto.
La zona classica corrispondeva alla voglia di vincere in una partita, superando un avversario difficile, più l’avversario era forte, più la zona in cui ti addentravi ti faceva diventare forte, fino ad esserlo con i tuoi compagni. A trascinarli alla vittoria grazie al tuo talento esplosivo.
Questo tipo di zona finale, l’aveva sperimentata solo Taiga in finale contro Akashi, ma di tutte le altre Daiki era un esperto.
Era capace anche di entrarci a comando ed aveva avuto modo di spiegarlo a Taiga, per permettergli di farlo nel caso ci fosse riuscito. 
Il trucco era pensare a qualcosa che lo innescava, nel caso di Taiga, Daiki aveva capito si trattava dei suoi amici. Si innescava grazie a loro, per la voglia di aiutarli. 
Quando glielo aveva detto, quel famoso giorno, quello in cui gli aveva prestato le scarpe e si erano sfidati ad un breve uno contro uno, Taiga era stato quasi in grado di usarla alla stessa maniera. Non proprio a comando, ma quasi. 
Non contro il Kaijo, ma contro il Rakuzan. 
La Danger Zone era diversa da tutte le altre ed entrambi avevano iniziato a sperimentarla in quelle sfide di street basket, quando Taiga con la scusa di conquistarsi il diritto di indossare le scarpe da basket di Daiki, l’aveva obbligato a scendere in campo di tanto in tanto.
Niente di effettivamente regolare, ma aveva iniziato a capitare.
Appena finito il campionato invernale, Taiga si era rilassato e si era ricordato di quella sorta di promessa fatta al volo la mattina della semifinale con il Kaijo, quando si era reso conto di avere le scarpe rotte e dopo aver cercato come un matto ovunque, senza successo, Tetsuya aveva fatto portare quelle di Daiki da Momoi. Con lei e le scarpe, era arrivato anche il proprietario. 
Gli aveva detto che non sarebbero state un regalo e che per usarle avrebbe dovuto batterlo in una sfida di street. Quella volta era stata disastrosamente vinta da Daiki, ma per fargli indossare le scarpe di cui aveva un disperato bisogno, gli aveva fatto promettere a quel testone orgoglioso di tornare a sfidarlo fino a riuscire a vincere. 
Solitamente non ce la faceva, per battere Daiki, Taiga aveva bisogno di una certa condizione specifica che non era facile raggiungere in un semplice uno contro uno senza spettatori, né scopi, ma soprattutto squadre. 
Però avevano iniziato a sperimentare quest’altro stato, mai provato prima con nessuno. 
La danger zone. 
Uno stato di trance dove diventavano entrambi puro istinto felino, ciò che li caratterizzava principalmente. Era come se entrassero in risonanza, non capivano più niente. Si amplificavano a vicenda ed erano effettivamente su un altro livello rispetto al loro solito basket normale, e sicuramente anche rispetto a chiunque altro, ma non era esattamente la zona sperimentata in partita, nella loro seconda e ultima giocata, quando Taiga alla fine era riuscito a batterlo. 
Per farcela, per essere sufficientemente competitivo, era perfino andato in America i giorni precedenti alla partita, consapevole che per avere una speranza con Daiki avrebbe dovuto fare qualcosa di più di quanto fatto fino a quel momento. 
Nella danger zone diventavano elettrici, ma solo nei momenti di contatto fra loro. Quando si sfioravano scattava una scintilla ed una potente scarica li attraversava, spingendoli contro ogni ragionamento a fare qualche mossa di basket incredibile. Ma non era una semplice mossa favolosa come ne avevano tante nel loro repertorio. Era una mossa particolare, in relazione all’altro. Era come se funzionasse e fosse forte e formidabile solo se fatta in quel preciso scontro, contro quella precisa persona. 
A cercare di rifarla contro un altro, per quanto forte, non gli sarebbe mai venuta. 
Una danger zone che, però, non si limitava solo al basket. 
Infatti sia Daiki che Taiga, ogni volta che si guardavano negli occhi cominciando con le loro sfide a street, si eccitavano fisicamente e sentivano distintamente il desiderio di proseguire la sfida in un altro modo, un modo che non c’entrava nulla con lo sport, in effetti. 
Di nuovo, come tutte le altre volte, anche in quell’occasione la danger zone entrò in azione insieme ad una mossa incredibilmente pericolosa, fatta per dare una sonora lezione a Taiga e solo grazie ad una sua contromanovra incredibilmente azzardata e all’altezza. 
Eppure non era tanto la mossa in sé, quanto che a farla era lui. Proprio lui.
Così come quella di Daiki ed il successivo incredibile canestro, eseguito solo perché glielo aveva fatto in faccia. Era per lui. 
- Come diavolo ti è uscito, questo? - chiese ansimante Taiga, recuperando la palla. Era eccitazione, quella che c’era nei suoi occhi, ancora incredibilmente accesi. Ammirazione, invidia e voglia di fare qualcosa del genere anche lui. Non uguale, era Kise quello delle imitazioni. Lui voleva solo superare gli altri. 
- Ti piace? Tutto per te! - rispose Daiki scintillante, con il suo tipico sadismo che quando aveva Taiga davanti era ancora più marcato. 
Era vero, era tutto per lui, non era un modo di dire, in effetti. Non glielo avrebbe di certo detto.
Come non gli avrebbe detto che giocare contro Taiga in quelle sfide senza reale peso, per lui erano stimolanti più degli allenamenti che aveva ripreso a fare con la squadra. Perché Taiga aveva un’elevazione incredibile che lui non avrebbe mai eguagliato e quindi aveva un potenziale difensivo incredibilmente maggiore rispetto al suo. Per questo quando si affrontavano Daiki si accendeva per dare il suo meglio, non solo per batterlo ed una questione di rivincita, anche perché le vere rivincite erano quelle nelle partite ufficiali. Più che altro era per non rimanere indietro rispetto a lui e rischiare di vederlo progredire troppo. 
Rispetto alla partita contro di lui, nella finale Taiga era migliorato in una maniera eccezionale e sapeva che presto o tardi avrebbe rischiato di superare nettamente il suo livello, non solo nelle partite con la squadra intorno, la giusta motivazione e tutto il contorno che serviva. Ma anche in quegli scontri singoli dove c’era solo il talento personale, quello che avevi tu e basta. 
- Tanto adesso te ne rifilo io una di quelle che non scorderai! - ribatté Taiga acceso come un fiammifero. 
Ovviamente non si sarebbe mai verificato che ad una mossa incredibilmente bella di Daiki, Taiga non rispondesse con un’altra dello stesso calibro, o per lo meno con la stessa pretesa. 
Perché per lui, al contrario di Daiki, non era solo una questione di battere lui in particolare e superarlo sul serio, al di là del contesto che in partita l’aveva favorito - coppa, partita ufficiale, compagni. Era anche e forse soprattutto una questione di stupirlo, far sì che Daiki non si dimenticasse di lui, rimanergli impresso. 
“Voglio diventare il suo peggiore incubo di sempre. Anche quando sarà in una squadra famosa, in un campionato difficile ed affronterà avversari pazzeschi, lui dovrà sempre ricordarsi di quanto incredibile fossi io!”
Pensò tornando ad attaccarlo. 
La Danger Zone riprese a scintillare di rosso e blu, mentre i lampi si scontravano mescolandosi, dando vita ad un nuovo affascinante turbinio.
Non aveva idea, Taiga, che per Daiki lui era già nei suoi sogni, ma non in qualità di incubo.
Era più un sogno proibito, come la zona in cui finivano quando si scontravano nello street. 
Un sogno a luci rosse. 


La mano correva sulla sua erezione, aumentando l’andatura mentre nella sua mente si susseguivano le fantasie erotiche che ultimamente aveva spesso con loro due come protagonisti. 
Ormai era dura e pulsava e quando si immaginò ad affondare nelle natiche sode di Taiga, Daiki venne con un gemito, lasciando che lo schizzo scivolasse fra i piedi e si mescolasse all’acqua della doccia, andando poi nello scarico. 
Aveva pensato ad una doccia con Taiga e gli era partita subito l’eccitazione che non aveva fatto molto per frenare. Perché, poi?
Immaginare a farsi Taiga Kagami ormai era uno dei suoi svariati hobby, insieme a batterlo a basket ovviamente.
In particolare grazie alla danger zone, questo hobby era ormai sempre più spiccato e sfacciato. 
Era praticamente impossibile, per Daiki, non fantasticare e masturbarsi dopo le sfide a street con lui.
Conquistare il diritto di indossare le sue scarpe, era quella la scusa. Una scusa, appunto. Ormai quel diritto l’aveva già conquistato. Ormai non era più per quello che gli scriveva col suo solito tono sgarbato:
‘Porta il tuo *aggettivo sempre diverso* culo al campo che te lo devo  sfondare!’
Probabilmente Taiga non si rendeva conto di quello che gli scriveva, del doppio senso che aveva. Conoscendolo no, per niente. Non aveva mai dato cenni di provarci in quel senso, ma non poteva non sentirsi sempre più perverso ogni volta che leggeva quei messaggi, soprattutto dopo le sfide. 
‘Te lo sfondo io, il culo!’
Di norma erano quelle le sue risposte. Ma nel suo caso il doppio senso era totalmente voluto, anche se sicuramente non compreso.
Il più delle volte lo ‘sfondava’, ma non era quello il modo in cui voleva farlo, non in un campo da street basket, bensì in un letto, in posizione orizzontale, ma per quello Daiki immaginava dovesse continuare ad usare la fantasia.
Quello stupido idiota non l’avrebbe mai visto così.
Lui probabilmente era facilitato dal fatto che Taiga in qualche modo gli aveva restituito la sua anima, certo era stato grazie a Tetsu, ma senza di lui non ce l’avrebbe fatta.
Da solo Tetsu aveva fallito, ai tempi della Teiko, in effetti. L’aveva perso, l’aveva fatto affondare in un abisso di depressione apatica senza fine. Poi si era redento cercando e trovando Taiga, consapevole che sarebbe stato lui a riportarlo a galla. E così era successo.
Quando Taiga l’aveva battuto, sia pure per poco e grazie alla zona, in lui era subito scattato qualcosa, ma era vero anche che era scattato poco dopo l’averlo incontrato la primissima volta. Forse non subito, ma quasi.
La prima emozione scatenata da Taiga era stata la rabbia ed il fastidio.
Aveva osato rimpiazzarlo così, Tetsu? Con la sua pallida imitazione? 
Poi quando ci aveva giocato contro aveva capito che invece qualcosa c’era, in lui. Qualcosa di particolare, in effetti, ma non aveva capito subito. Era diventato una specie di pensiero sempre più frequente, fino ad essere una fissa. 
Prima dell’ultima partita, quella decisiva, Daiki aveva capito che Taiga non aveva paura di lui e non era stato abbattuto come tutti gli altri che avevano perso rovinosamente contro di lui. L’aveva motivato, acceso. Era stato diverso da tutti gli altri che aveva sconfitto, che di solito perdevano la voglia di lottare. 
Solo dopo che Taiga l’aveva superato, aveva compreso. 
Gli piaceva. 
Sicuramente complice la voglia di tornare a giocare a basket, il divertirsi come un tempo nel farlo, il sentirsi vivo. Lui, il Daiki Aomine di un tempo. Giorno dopo giorno si era sentito tornare e tutto grazie a quello stupido idiota che aveva vinto . 
Per cui iniziare a fantasticare di batterlo e sbatterlo allo stesso tempo, era stato quasi automatico. 
Lui era sempre stato attivo sessualmente parlando, coi ragazzi in particolare, ma anche con le ragazze. 
La questione delle sfide a street per la conquista regolare delle sue scarpe, era ovviamente una banalissima e patetica scusa a cui quel sempliciotto era cascato. 
In realtà aveva solo voluto avere la motivazione perfetta per passare del tempo con lui, cosa che gli aveva dato solo maggior convinzione e consapevolezza.
Taiga Kagami gli aveva fatto perdere la testa.
Sessualmente, ma anche mentalmente, emotivamente, in ogni senso possibile. 
L’aveva letteralmente conquistato. Forse, addirittura, lo teneva in pugno e nemmeno se ne rendeva conto. 
“Quel brutto idiota! Per cosa diavolo crede che continuo a scendere in campo per queste stupide sfide del cazzo? Mi piace batterlo, ovviamente, anche perché senza la zona non mi fa fuori sebbene sia migliorato molto. Devo dire che quando ci scontriamo così ormai succede qualcosa di strano, simile alla zona, ma diversa. La definirei una sorta di ‘danger zone’ dove entriamo in risonanza perché siamo simili e motivati dal superarci a tutti i costi e basta. Non dal vincere come durante le partite normali. 
Ma è una patetica scusa per stare con lui. Perché per quanto ne approfitto, so di non poter avere niente più di questo. Qualche sfida a basket, un paio di litigi del cazzo. So che non sta con Tetsu perché me l’ha detto, ma forse Kagami lo vuole. Che ci posso fare, io? Magari un giorno si darà una mossa e ci proverà con lui, ma mi sembra palese quel che sto stupido idiota prova. Ed io sono solo patetico, un super patetico di merda, che pur di avere un orgasmo come si deve, si accontenta di stargli davanti con una fottutissima palla da basket in mano. Lo batterò tutte le volte che potrò, se è per un po’ di godimento in più dopo.”
Il resto lo faceva la sua fantasia che in ogni caso non immaginava che quella doccia con lui, presto, l’avrebbe fatta davvero.
Merito della sua presunzione di pensare di sapere sempre tutto senza voler perdere per partito preso.

Ogni tanto aveva l’impressione che ne stesse approfittando, ma in effetti non sapeva bene di cosa in particolare.
Taiga aveva quella sensazione.
Di stare approfittando di Daiki, ma in che modo, di preciso?
Forse perché con la scusa di ‘conquistarsi’ le scarpe che gli aveva ‘prestato’ prima della partita contro il Kaijo,  giocava spesso con lui al campetto, per gli uno contro uno. Nulla di impegnativo, un’oretta ogni tanto. 
Quello che bastava per apprendere da lui il suo basket, assorbirlo, personalizzarlo, imparare e migliorare.
Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma Daiki era molto più bravo di lui e, soprattutto, era bravo ad insegnare.
Aveva regalato a Tetsuya un tiro fantastico quando per anni era sempre stato incapace di segnare. 
Anche a lui aveva insegnato certe cose, specie quella famosa prima volta allo stesso campo in cui si incontravano ogni giorno. Quando per poter avere delle scarpe sane da usare in partita, e non avendole trovate da nessuna parte, Tetsuya aveva chiesto aiuto a Momoi, sapendo che avrebbe rubato un paio a Daiki.
Così era successo, ma con la scusa di ‘non regalargliele’ si erano sfidati brevemente. A modo suo, burbero e scorbutico più che mai, ma aveva capito che non si limitava semplicemente a batterlo, sia pure in un lampo, bensì gli dava delle lezioni. Lezioni che lui imparava, erano lezioni preziose, alla fine, e dopo alcuni mesi che andavano avanti a sfidarsi in quel modo, quasi senza motivo ormai, solo con quello ufficiale delle scarpe, si rendeva conto di essere migliorato un sacco.
Era maturato come giocatore e alla luce di quella proposta se ne rendeva conto.
Era consapevole che senza Alex probabilmente non l’avrebbe ricevuta, ma non era quello che gli faceva capire di essere stato aiutato, quanto il pensiero di tutto quello che i suoi compagni della Seirin avevano fatto per lui.
Tetsuya in particolare.
Ma, probabilmente, ancora di più, tutti i suoi avversari. Quelli più forti.
“Aomine mi ha fatto maturare più di tutti gli altri. Anche Akashi, Kise, Midorima e quello stronzo alto, ma Aomine mi ha dato la svegliata decisiva. Mi ha permesso di passare dall’essere il bulletto che si divertiva coi più forti al giocatore che dai più forti prende ispirazione per migliorarsi.
Kuroko mi ha dato letteralmente l’illuminazione, ma prima di lui sono stati Alex e Tatsuya. Ognuno di quelli che ho avuto intorno dall’infanzia, mi hanno segnato e sono tutti tappe preziose del mio percorso che mi ha spinto oggi a ricevere questa proposta per andare in un prestigioso liceo americano con uno splendido programma di basket. Sono certo, anzi, certissimo, che senza Alex non l’avrei ricevuta. Perciò non credo di meritarla realmente, non più di quanto, obiettivamente, la meriterebbe Aomine, per esempio. Perché tutt’ora quando ci sfidiamo in campo, non lo batto in un uno contro uno semplice. Ogni tanto riesco a superarlo, ma nel complesso se siamo entrambi fuori dalla zona od in quello strano stato in cui entriamo ultimamente, che non è una zona normale, lui è più forte. Perciò non dovrebbe essere lui quello preso in squadra? Cos’è che mi rende speciale? Io sono più forte di lui quando ho una squadra intorno ed una giusta motivazione.” 
- È la voglia di migliorare e di battere i più forti. È il fatto che sei consapevole di non essere il più forte, ma vuoi diventarlo, sai che puoi diventarlo e lo farai. Perché ti dai da fare, ami il basket e non ti arrendi mai. Fai sempre tutto quel che puoi, usi ogni mezzo. Non ti fai mai sopraffare dagli eventi. Se tu fossi stato al posto di Aomine e ti fossi reso conto di essere il più forte in quel momento, non ti saresti depresso, non ti saresti perso, saresti tornato in America a costo di ripartire di nuovo da zero pur di trovare qualcuno più forte che ti stimola. Lo fai per migliorarti, ma soprattutto perché ami il basket. È questa la differenza fra voi due. Per questo ti meriti questa occasione. 
Tetsuya non si era fatto perdere l’occasione di dirgli quel che pensava, come faceva sempre soprattutto con lui. 
Alla fine aveva detto che ci avrebbe pensato, alla proposta ricevuta di andare in America prima della fine del diploma, ma senza Tetsuya, presente in quel preciso momento per puro caso, forse non avrebbe accettato. 
L’aveva aspettato sotto casa per vedere insieme una partita di basket in televisione e l’aveva visto tornare dalla sfida solita con Daiki. In un attimo aveva capito che stava succedendo qualcosa, fra i due. Dallo stato d’eccitazione vistosa in cui era Taiga, troppo facile da vedere, specie per lui che era una specie di cartello al neon che esprimeva immediatamente tutto quel che provava. 
Non aveva fatto in tempo a chiedergli come andassero le loro sfide a street, che Alex l’aveva chiamato per dargli l’incredibile notizia.
Un suo amico, talent scout che lavorava per una prestigiosa scuola americana con un programma di basket che lanciava giovani talenti nella strada verso l’NBA, era rimasto catturato dai video che lei gli aveva fatto vedere sulla Winter Cup di Taiga.
Però di fatto, in quel preciso momento, l’istante in cui il destino aveva bussato alla porta di Taiga, Tetsuya era stato lì per lui, presente, a fargli capire ancora una volta qualcosa che da solo non avrebbe avuto l’obiettività di vedere. 
Aveva deciso di accettare spinto da quello che era diventato il suo migliore amico in meno di un anno, come fosse stato destino anche quello. 
Una persona in grado di fargli capire, sopra ogni cosa, che tipo di giocatore volesse essere. Non semplicemente forte. Ma un giocatore forte insieme alla propria squadra. 
Fu con quello stato d’animo, la consapevolezza che avrebbe colto un’occasione unica che però avrebbe meritato di più Daiki, che iniziò quella settimana di preparazione alla partita di street basket, Team Jabberwock  vs Team Vorpal Swords. 
La meritava più Daiki, ne era certo, ma non credeva di rubargli qualcosa, quanto semplicemente di precederlo.
“Ci verrà anche lui in America, a cogliere un programma scolastico di basket favoloso volto ad inserirti nella strada dell’NBA. Sarà là con me comunque, fra qualche mese, e mi dirà che mi ha solo voluto dare il vantaggio perché tanto non lo batterò comunque. Dirà qualcosa di simile, quando verrà anche lui. Ne sono sicuro.”
Anche se, comunque, qualcosa gli stonava ed avrebbe continuato a stonargli a lungo.