*Inizia la seconda parte della fic, è ancora estate, ma siamo in America, in una città non specificata. Taiga si sta allenando e sta studiando per l'accesso al liceo dove il contatto di Alex l'ha inserito ed in un torrido pomeriggio sotto il sole cocente, arriva una sorpresa inaspettata. Una persona convinto che avrebbe rivisto molto tempo dopo in NBA, non certo così presto, dopo appena due mesi. Allora, vorrei dire che ho provato ad informarmi sul sistema scolastico americano (di cui ho trovato molte info utili) e su come funzionano questi programmi di basket prestigiosi (ho capito vagamente ma non nel dettaglio), ma in realtà ho comunque un po' improvvisato nel senso che forse non avrebbe bisogno di un esame d'ingresso, però ho pensato che fosse più bello farglielo fare. Non saprei nemmeno se fosse possibile allenarsi a basket con gli air pods, ma credo che sia fattibile in quanto sono piccoli e leggeri e non dovrebbero esserci problemi, insomma se uno ci può correre con quelli, potrà anche saltare, no? Come sempre, fan art non mia ma presa dalla rete. Buona lettura. Baci Akane*
10. RICOMINCIARE
Quel giorno il sole splendeva in modo particolarmente forte, il caldo era afoso e probabilmente si aggirava intorno ai trenta gradi centigradi. Nonostante fosse primo pomeriggio e quindi il sole picchiasse ancora più intensamente, Taiga aveva deciso di concedersi una pausa dagli studi scendendo al campetto sotto casa, per fare due tiri a basket anche se da solo.
Spesso ci trovava qualche ragazzo del quartiere, ma a quell’ora nessuno era così pazzo da uscire. Lui però ne aveva bisogno.
Con gli AirPods alle orecchie, quelli più piccoli e perfetti per gli sportivi che gli aveva regalato suo padre per l’opportunità importante di giocare in un liceo prestigioso americano, attivò la musica hip hop che gli piaceva, appoggiò ai limiti del campo la borsa con le proprie cose, cellulare con Spotify compreso, prese la palla e si avviò verso il canestro palleggiando.
Gli sembrava che la testa gli esplodesse, era da tutta l’estate che studiava come un forsennato per il test d’ingresso. Gli avevano presentato un programma di studi che avrebbe dovuto sapere. Se non avesse ottenuto un punteggio decente, avrebbe rischiato di non poter entrare nella squadra di basket. Andava da sé che se avesse addirittura preso delle insufficienze sarebbe stato direttamente rispedito in Giappone con un biglietto di sola andata.
L’occasione che l’amico di Alex gli aveva offerto era di entrare in un liceo prestigioso della California, con un eccellente programma di basket che mirava all’inserimento in NBA con le giuste tappe. Tappe che erano tutte una più difficile dell’altra, ovviamente. Ma doveva iniziare bene.
Era al secondo anno, perciò cominciava in svantaggio. Per di più era giapponese. Sarebbe visto comunque male, nonostante l’ingaggio del talent scout.
Prima di dimostrare cosa sapeva fare con la palla in mano, doveva guadagnarsi un posto in classe e anche se aveva vissuto in America per molti anni, non sapeva l’inglese così bene. Oltre all’inglese in cui doveva migliorare, che però non lo preoccupava molto, doveva assolutamente elevare i suoi voti.
Le regole erano chiare.
Perciò studiava sodo dal momento in cui aveva messo piede in America.
La data dei test iniziali era alle porte, superati quelli, se tutto sarebbe andato bene, avrebbe iniziato l’anno scolastico insieme agli altri studenti e gli avrebbero assegnato la classe e i corsi da seguire.
Tuttavia non era facile, studiava e si impegnava, ma essendo completamente solo, lui che dava il meglio di sé circondato dagli amici, tendeva a distrarsi facilmente ed incupirsi.
A mettergli i bastoni fra le ruote ci si metteva poi l’ansia per il superamento con buoni voti dei test e non solo.
Ovviamente gli amici gli mancavano, non particolarmente il padre a cui ormai si era abituato a fare a meno. Ma gli mancava Daiki.
Andandosene dopo una sola settimana dalla loro ‘non relazione’, aveva pensato d’aver schivato un proiettile ed evitato di soffrire per una storia d’amore che si sarebbe dovuta troncare in partenza.
Invece aveva sentito da subito la sua mancanza e nelle settimane passate lì a studiare e giocare a basket con chiunque, anche da solo, ma senza mai legare particolarmente per una sua precisa scelta, si era reso conto che forse, quel proiettile, non l’aveva per nulla schivato.
Ci aveva convissuto fin lì, gestendolo grazie agli studi e al basket, ma ora che l’ansia cresceva ed il tempo passava, sembrava diventato impossibile non pensare a lui.
Aveva trovato un appartamento nella media, non una bettola perché suo padre in quanto economicamente più che stabile, ci aveva sempre tenuto a compensare la sua assenza riempiendolo di regali ed oggetti che andavano oltre il suo reale bisogno.
Taiga non aveva chiesto un appartamento grande, né tanto meno per forza vicino al mare, ma ci aveva tenuto che fosse vicino ad un campo da basket.
Praticare lo street basket in vista dell’inizio scolastico ed in ogni caso in qualsiasi momento della sua vita, era per lui essenziale.
Grazie a questo aveva potuto giocare quanto voleva, cosa importante per il suo morale, ed aveva incontrato già molte persone.
Conosceva diversi ragazzi, dopo un primo momento di tensione con qualcuno e qualche scontro ovvio, aveva legato abbastanza da essere ben voluto e da giocarci insieme. Ma al momento di portare la conoscenza su un piano superiore, un’amicizia che magari andava oltre il basket e qualche scontro divertente, Taiga aveva sempre glissato dicendo che ora come ora voleva pensare esclusivamente agli studi, per non rischiare di essere troppo indietro.
Non era una cima a scuola e in Giappone non era andato molto bene, ma pensando di avere tempo per migliorare, si era concentrato più sul basket e sugli amici.
Lì aveva deciso di prendere in mano il proprio futuro e darsi da fare nel verso giusto. Ma non aveva evitato di farsi amici solo per quello.
Questa era una scusa, la verità era che aveva paura di perderli di nuovo dopo essersi affezionato per l’ennesima volta.
Aveva dovuto lasciare Tatsuya, poi Kuroko e gli altri del Seirin.
Infine addirittura Daiki.
Taiga mise la palla nel canestro con una delle sue tipiche schiacciate poderose.
La musica lo isolava completamente, non aveva una percezione reale del mondo intorno. Sentiva solo il sole ed il caldo. Il sudore scendeva sulla pelle ormai abbronzata per le ore passate a giocare all’aperto, la maglietta senza maniche bianca era attaccata al corpo, madida di sudore. Ma lui non si fermava.
Non gli mancavano solo i suoi amici.
Gli mancava anche Daiki. E non per il sesso dell’ultima settimana.
Anche, ovviamente, visto che non faceva che masturbarsi pensando a lui con delle fantasie da Pornhub anche molto spinte.
Ma principalmente gli mancavano le loro sfide private a street basket.
Avevano sempre comunicato alla stessa maniera. Con il basket. Anzi, con quello stile di basket particolare, da strada.
Al di fuori di quello avevano sempre litigato, ma con la palla in mano si erano capiti ogni volta.
Lì c’erano tanti ragazzi forti, allegri e bravi e si divertiva, ma non era come le sfide uno contro uno con lui.
Non c’era più la Danger Zone.
Non aveva nemmeno voluto cercarla con qualcun altro, si era detto di lasciarsi quelle cose per la nuova squadra, una volta ufficialmente ammesso a scuola.
Tuttavia non aveva comunque mai provato quello con nessun altro.
Quella sensazione adrenalinica portata dal provare a superare un asso nella difesa, quel riuscirci per il rotto della cuffia e non sempre e nel farlo, saltare con una mossa incredibilmente figa di basket. Quelle mosse che venivano solo quando erano insieme, uno contro l’altro.
E poi lì, proprio lì, nel momento della schiacciata, proprio quando stava per riuscirci, ritrovarselo lì davanti che si era ripreso dalla sua manovra e saltando l’aveva contrastato fermandolo o tentando.
Non aveva più provato quella sensazione ed era quella che gli mancava.
Quell’esaltazione nel dover ricominciare per riuscire a superarlo la volta dopo.
Taiga riprese la palla, palleggiò chiudendo gli occhi ed immaginando Daiki davanti a sé col suo sorrisetto accattivante ed insopportabile, l’aria di chi si credeva il più forte.
Quel viso maledettamente sexy.
Si morse il labbro e si mosse fingendo di averlo lì, sapendo la posizione di Daiki, immaginando le sue mosse difensive.
Avrebbe tentato da un lato e poi dall’altro con molte finte, ma lui non avrebbe mai mollato.
Dopo alcuni scatti, immaginò di superarlo per il rotto della cuffia, così saltò per schiacciare. Solitamente avrebbe sorriso felice ed esaltato, ma lì non gli riuscì.
Quando Taiga aprì gli occhi per saltare e andare a canestro, si paralizzò a causa di una specie di turbine.
Fu come una folata di vento, uno scatto felino, una pantera che arrivava improvvisamente da dietro a rubargli la palla l’istante prima del suo salto.
Taiga non ebbe minimamente tempo di realizzare, di capire.
Agì come suo solito, totalmente d’istinto, e vedendo che il fulmine umano saltava per andare a canestro al suo posto, con la sua palla, si frappose fra lui e l’obiettivo e balzò a sua volta per fermarlo.
Taiga si allungò tutto arrivando in tempo nonostante la sorpresa che gli aveva impedito di muoversi nel momento giusto. Infilò la mano fra la palla ed il canestro e appena l’ebbe davanti agli occhi, appena vide il suo viso dai lineamenti selvaggi e l’aria sadica, divertita, di chi si sentiva il più forte, spalancò gli occhi e si perse.
La palla entrò nel canestro dando così il punto all’avversario.
Rimbalzò a terra prima del loro atterraggio uno davanti all’altro. Nessuno dei due cadde o si sbilanciò.
Daiki era lì e gli sorrideva sadicamente divertito, con la sua tipica strafottenza odiosa e quell’aria dannatamente sexy.
- Aomine... - mormorò shoccato Taiga, togliendosi gli AirPods dalle orecchie, rigido e sudato fradicio.
- Pensavo ormai mi chiamassi per nome... sono stato spodestato?
E lì, esattamente lì in quel momento, guardandolo negli occhi neri dai profondi riflessi blu, Taiga si ricordò di tutte le volte che era venuto pensando a lui e, vergognandosi, fece un metaforico passo indietro.
Qualunque motivo fosse per cui era lì, non poteva di certo ricominciare come niente fosse.
Erano passate settimane e non si erano più scritti, né chiamati.
Ora gli capitava lì senza avvisarlo e faceva come se nulla fosse successo dopo la partita contro i Jabberwock.
Ma i suoi orgasmi erano fin troppo reali, così come le fantasie dove ingoiava il suo sperma.
- Che cazzo ci fai qua? - chiese immobile, senza toccarlo in alcun modo, tanto meno sorridere.
Fu lì che Daiki capì che qualcosa era cambiato, che non avrebbero semplicemente ripreso da dove interrotti come niente fosse, come aveva sognato in quei due mesi.
E, ovviamente, non la prese bene.
Non aveva idea di quello che aveva fatto per arrivare lì.
Taiga non ce l’aveva, ma lo sapeva lui quanto aveva rotto le palle a chiunque per ottenere una possibilità in America.
Inizialmente aveva semplicemente puntato ad un qualsiasi liceo americano con un buon programma di basket, poi aveva iniziato a coltivare l’idea di andare in quello di Taiga.
Quando aveva parlato con Alex per capire se avesse altri contatti e come fare al lato pratico per andare negli Stati Uniti, lei gli aveva detto che non funzionava che schioccava le dita ed otteneva ciò che voleva, che l’unico contatto disposto nei suoi confronti in quel momento era quello che poi aveva chiesto di Taiga.
A quel punto lei quasi senza rifletterci molto, gli aveva detto che al massimo poteva proporgli un secondo talento, ma andare nella stessa scuola di Taiga significava diminuire le possibilità di ciascuno e non era facile.
Più che altro era stupido.
I ragazzi del liceo venivano selezionati nei migliori college sempre seguendo il programma di basket in vista dell’inserimento nell’NBA, perciò non era scontato che bastasse accedere ad uno di quei licei per farcela.
La strada era lunga e difficile e se non ti distinguevi diventando la stella della tua squadra scolastica, ti sognavi poi il college giusto e, di conseguenza, la possibilità dell’NBA vera e propria.
Avere due ottimi giocatori con talenti simili, significava quasi certamente sacrificare uno dei due.
Alex era stata chiara su quello. Non era detto che entrambi non avrebbero poi ottenuto dei buoni ingaggi, dopo il liceo, però non era nemmeno scontato. Di sicuro non era facile.
Essere in due dimezzava tutte le possibilità che già non erano alte in quanto loro erano Giapponesi e si sapeva che non erano visti molto di buon occhio. Essendo bravi sicuramente poi avrebbero presto conquistato il loro posto, ma essere in due nella stessa squadra era quasi una mossa idiota.
Daiki non aveva voluto per forza andare nel suo liceo, in ogni caso lo faceva per il basket, per realizzare quello che era sempre stato il suo sogno sin da bambino. Aveva sinceramente sperato che Alex avesse qualche altro contatto, qualche altra strada da proporgli, ma non essendo lui nessuno per lei, ci stava che non si desse tanto da fare. Probabilmente se fosse stato Himuro avrebbe avuto qualche soluzione migliore.
Alla fine si era trovato davanti ad un bivio. O rinunciare all’idea di andare in America, oppure accettare quella seppure poco entusiasmante offerta.
Poco entusiasmante dal punto di vista del basket.
Sapeva benissimo con chi andava a condividere il posto da star. Già pretendere di diventarlo non era una cosa da poco, poi se ci si metteva anche il condividere quel posto, ammesso che lo conquistasse, con Taiga Kagami si otteneva una strada impervia e piena di ostacoli.
Era stato lì, esattamente lì, che la propria anima assopita per il periodo di distacco da lui, si era ripresa.
Per un momento, prima di accettare, Daiki si era guardato dentro, cercando di capire il motivo reale e profondo per cui lo voleva fare. Perché era chiaro che lo volesse.
Era Taiga oppure il basket?
Perché all’idea di andare nella sua stessa squadra e gareggiare sul ruolo di più forte direttamente con lui dall’interno, e non dall’esterno come rivali effettivi, si era di nuovo sentito vivo come quando l’aveva affrontato nelle partite e negli uno contro uno?
C’entrava Taiga? Era così preso per lui, così dipendente, in un certo senso?
Solo parlando con Tetsuya aveva capito di cosa si trattava. Gli aveva come sempre schiarito le idee.
Taiga per lui ERA il basket. Daiki collegava il basket a Taiga perché lui gli aveva restituito il suo amore per quello sport, la sua anima stessa, la sua voglia di vivere, la sua vitalità, il suo amore per la vita. Tutte cose comunque collegate al piacere di giocare a basket, ritrovato esclusivamente grazie al rossino.
Per lui Taiga era sempre stato direttamente connesso alla gioia di giocare a basket.
Per questo all’idea di continuare la loro rivalità in quella maniera, si era sentito di nuovo vivo e felice.
“All’idea di non rivederlo e non giocare più contro di lui, mi sono sentito inghiottito di nuovo dalle tenebre, per un momento, quel giorno. Perché ero uscito dal buio solo per battere quello stronzo. E mi piaceva di nuovo il basket solo grazie a lui. Pensare di non avere più la fonte del mio godimento, mi aveva fatto affondare di nuovo. Finché giocando con lui quella partita finale, mi sono reso conto che comunque il basket mi piaceva e che in America c’erano un sacco di persone in grado di stimolare la mia crescita ed il mio interesse verso questo sport. Io amo superare avversari forti e migliorare fino a dimostrare la mia bravura. Ma non perché amo essere il più forte, non è una questione di vanità. Se vinco sempre non mi diverto. Devo sudarmi la vittoria. È così che mi diverto a giocare a basket. Ma lo faccio per questo, appunto. Per divertirmi in quello che amo più di ogni altra cosa. Il basket.”
Così aveva deciso di accettare.
Era il basket il punto della questione.
L’avrebbe fatto anche senza Taiga, ma la possibilità di divertirsi a fare ancora gare con lui per essere il più forte e superarlo, era stato un valore aggiunto.
Successivamente era tornata la frenesia del rivederlo e di riprendere da dove si erano interrotti. Erano passati quasi due mesi durante i quali aveva studiato duramente soprattutto l’inglese, oltre che le materie per passare gli esami iniziali, ma aveva sempre pensato a Taiga, a come sarebbe stato vivere con lui e al sesso, ovviamente.
Perciò dopo la lunga trafila fatta per arrivare lì, in quel punto, davanti a lui, ritrovarselo non solo perplesso ma anche nettamente ritirato, come non convinto né contento, l’aveva demolito.
Per un lungo istante, Daiki si era sconnesso davanti a Taiga che nemmeno lo toccava, come se quel tempo in Giappone non fosse mai stato vissuto e non avessero mai legato al punto da finire a letto insieme.
“Non è contento. Non mi vuole qua.” Pensò istantaneamente fissando i suoi occhi dai riflessi rossi. Poi realizzò stringendo i pugni. “Beh, ormai non ha scelta. Ho il suo stesso diritto di stare qua. Me lo sono conquistato!”
- Dopo che sei venuto qua, ho capito che volevo venire anche io in America per portare avanti il mio sogno. Alex mi ha detto che aveva solo questa possibilità, ha convinto il suo amico ad inserire anche me. Da qui in poi me la devo giocare io. - spiegò sentendosi indurire via via che parlava e che Taiga continuava a non essere felice.
- Mi dispiace, ma non sarà facile come credi, diventare l’asso della squadra e portare avanti il tuo sogno. Dovrai vedertela ancora con me. Hai qualcosa da ridire? - lo sfidò sollevando il mento con aria provocatoria. Voleva litigare. Era una difesa, il litigio con lui. Perché se litigavano, nessuno dei due si scopriva molto. Perciò spesso lo preferivano. In quel caso, Daiki sperò disperatamente in una sua brutta reazione. Almeno avrebbe avuto un’interazione con lui che improvvisamente era diventata tanto essenziale. Una qualunque, non importava quale. Ma doveva averne una. Almeno una.
“Ti prego, afferrami per il colletto e sbraitami contro. Ti prego. Insultami. Ricominciamo da lì. Dai nostri litigi, dalla nostra rivalità. Ricominciamo da capo. Ma fa qualcosa.”
Non era lì per Taiga, era vero.
Sarebbe comunque venuto in America in qualche modo, per giocare a basket e sentirsi ancora vivo e divertirsi nel farlo. Ispirato da Taiga, dal suo coraggio nell’intraprendere quella strada e nel darsi da fare per raggiungere il suo sogno.
Ma non per lui. Per il basket.
Però ormai, ritrovandosi lì, proprio lì davanti a lui, a dover gareggiare direttamente con lui per lo stesso posto, la felicità assoluta, insperata, era così vicina, così tanto, che Daiki tornò a tremare dentro di sé, mentre la sua cara vecchia fragilità tornava a galla dentro di sé.
Se Taiga l’avesse rifiutato, sarebbe riuscito a giocare a basket come gli piaceva, come voleva?
Sarebbe stato ancora felice, in quel caso?