*Il primo giorno di convivenza fra Taiga e Daiki non può che essere scopiettante. Uno ha le idee chiare su cosa vuole e come ottenerlo, l'altro le idee le ha un po' più confuse perché non è come riprendere da dove si erano interrotti, soprattutto perché nel mezzo le fantasie sul compagno non si sono sprecate ed ora è lì in carne ed ossa. Chi la spunterà e quali sono, ora, le regole del gioco? Preciso che non ho davvero idea di come funzioni l'ingresso nei licei americani, specie per chi ha ottenuto un ingaggio sportivo come loro, però ho supposto che potesse essere così come l'ho scritta io. Di fatto me lo sono inventato, spero di non aver fatto troppi danni. Come sempre le fan art sono degli aventi diritti, mi hanno solo ispirato un po'. Buona lettura. Baci Akane*
12. GIOCHI
Avevano litigato, ovviamente.
Poi gli aveva fatto fare la doccia per primo e quando l’aveva fatta lui, per secondo, ed era tornato in salotto, l’aveva trovato addormentato sul divano.
A quel punto, invece di riprendere a dargli battaglia, aveva deciso di lasciar perdere e si era accasciato sul pavimento, vicino al bracciolo dove stava la sua testa.
Taiga rimase in silenzio ad osservarlo al contrario, con le gambe piegate sotto di sé e l’aria di chi non era felice di arrendersi, ma sapeva di non avere scelta.
“Mi ha proprio fregato, sto scemo.”
Non che gli dispiacesse, in realtà.
Ora che dormiva poteva essere onesto con sé stesso e ammetterlo.
“Sono contento che sia qua, è un sogno che non osavo fare. Ma non glielo dirò mai!”
Gli aveva sbraitato che se lo poteva scordare che sarebbe stato a casa sua, che non aveva un secondo letto e che doveva trovarsi un appartamento. Poi Daiki aveva detto di lasciare che si organizzasse e lui aveva chiesto com’è che non ci era riuscito in due mesi.
“Probabilmente pensava davvero di venire da me e riprendere da dove ci eravamo interrotti. Non è così facile. Non è un interruttore che si spegne e si accende così.”
Per quei mesi era quasi impazzito, da solo a pensare a lui, avendo fantasie oscene mentre si masturbava. Ora quello gli appariva letteralmente lì e non solo, ma pretendeva anche di vivere insieme.
“Se sapesse tutte le cose che ho immaginato di fare con lui, nemmeno mi guarderebbe in faccia!”
Sapeva che Daiki era un maniaco in quel senso, ma lui non riusciva semplicemente a buttarsi come niente fosse.
Si erano lasciati in Giappone che entrambi sapevano di starsi legando più di quel che avevano potuto preventivare all’inizio della settimana di ritiro. Ricordava bene le lacrime di Daiki.
Poi non si erano più sentiti, nemmeno scritti. Si erano scambiati i numeri, ma nessuno dei due era stato sufficientemente coraggioso da scrivere per primo, troppo orgogliosi entrambi.
Eppure gli era mancato, eccome se gli era mancato.
Taiga si mosse protendendosi verso di lui, spostò di lato le gambe e appoggiò la mano sul bracciolo, accanto alla sua testa.
I suoi capelli neri dai riflessi blu quasi si mimetizzavano con la stoffa nera del divano basso. Avvicinò il viso al suo, guardandolo al contrario mentre dormiva. Era davvero stanco ed ora notava le occhiaie sulla pelle sempre scura di natura, in estate sicuramente ancora più che in inverno.
Sorrise e scosse la testa leggermente, sapendo come sarebbe finita.
Gli sfiorò le labbra cercando di non premere troppo, poi rimase su di lui a percepire il respiro che non si alterò. Il proprio cuore turbinò nel petto, facendolo sentire uno stupido idiota innamorato.
Non pensava di esserlo, ma sapeva che Daiki gli era mancato e che voleva disperatamente saltargli addosso. Tuttavia, prima, voleva divertirsi un po’ e lasciare che lo corteggiasse. Sapeva che l’avrebbe fatto, per riconquistarlo e tornare a farselo. Sapeva che era quello il suo scopo principale.
“A parte che una persona non fa tutto questo solo per scopare con qualcuno. È ovvio che c’entra anche il basket e tutta quella bella storia che l’ho ispirato io eccetera eccetera. Ma andiamo. Lo sta facendo in un modo davvero sfacciato. Ma non è solo per scopare. E non è solo per il basket. È perché aveva iniziato ad innamorarsi e quelli come lui, una volta che si innamorano, non mollano la presa.”
Pensandolo si sollevò soddisfatto guardandolo di nuovo, piegò la testa e si impresse bene il suo volto dai lineamenti selvatici lì davanti a lui.
Poi un movimento timido lo distrasse e si raddrizzò. Taiga si girò già sapendo di chi si trattava e sorridendo allungò la mano col dito indice piegato in attesa di ricevere il timido inquilino.
Il gattino nero si fece avanti raggiungendolo.
- Ti sei spaventato con le nostre grida, eh? - sussurrò prendendo il tenero animaletto in braccio una volta che si fu strofinato sulla sua mano facendo le fusa. Dopo averlo preso si girò di schiena e appoggiandosi allo stesso bracciolo, vicino alla testa di Daiki abbandonò la propria al contrario rispetto alla sua, lì vicino, e chiuse gli occhi pensando a cosa gli sarebbe aspettato da lì in poi.
Il livello di difficoltà era elevato, ma forse con lui tutto sommato sarebbe andata meglio di quel che avrebbe preventivato.
Di certo non glielo avrebbe mai detto.
Nemmeno sotto tortura.
Il gattino che aveva trovato pochi giorni prima e che si era messo a seguirlo in cerca di cibo, casa e coccole, gli salì sul petto arrampicandosi sulla maglietta, gli si acciambellò nell’incavo del suo collo e si addormentò così, sempre facendo le fusa.
Quando Daiki aprì gli occhi, lo fece sentendo uno strano senso di soffocamento sul collo, un piccolo peso peloso che lo ricopriva come una sciarpa. Essendo estate, non aveva di certo freddo.
Così si svegliò e quando capì che si trattava di qualcosa di vivo, sgranò gli occhi iniettati di sangue per il risveglio troppo brusco, afferrò la ‘cosa viva e pelosa’ sul collo e la scagliò istintivamente dall’altra parte della stanza, con il suo tipico e puro istinto di sopravvivenza.
Fu così che Daiki fece conoscenza col suo omonimo.
Dai-chan.
Il gattino, una volta trovatosi per aria, si girò in volo soffiando terrorizzato e atterrato sulle zampette incolume, corse sugli artigli e tutto ricurvo verso la camera del suo padrone. A quel punto fu il turno di Taiga di essere svegliato dal gatto.
Sulla faccia.
Con gli artigli.
L’urlo che lanciò fu così forte che probabilmente svegliò pure i vicini.
- Che cazzo è? Un opossum? Un procione? Un ratto? - gridò isterico Daiki cercando l’essere che di nuovo era schizzato dalla camera di Taiga, dopo l’urlo lanciato a causa dei suoi graffi.
- Sarai tu un ratto, scarafaggio schifoso! Che hai fatto al mio gatto per terrorizzarlo in quel modo? - rispose gridando allo stesso modo Taiga, alla ricerca del micio. Erano entrambi scalzi e con degli shorts comodi di tuta e delle magliette, i capelli più scarmigliati che mai e l’aria di chi aveva sì dormito, ma si era anche svegliato brutalmente.
Le guance di Taiga presentavano anche un bel souvenir dal piccolo esserino che non si sarebbe fatto vedere facilmente.
- Scegli, o sono un ratto od uno scarafaggio!
- Vaffanculo! - fu la nobile e lapidaria risposta di Taiga accompagnata da un dito medio, mentre si precipitava a quattro zampe sotto il tavolo alla ricerca del gatto.
- Daichan? - chiamò poi agitato e non certo con un tono che invogliava una creatura terrorizzata a farsi avanti.
- Che c’è, ora? - non che non si fosse chiesto perché lo chiamasse già col suffisso Chan, ma gli venne spontaneo rispondere.
- Che cazzo vuoi, non chiamavo te ma il gatto. - e solo dopo averlo gridato, realizzò di cosa aveva fatto, infatti si fermò spalancando gli occhi nella stessa posizione assunta dall’animale che stava cercando.
- Hai chiamato il gatto come me? - chiese infatti Daiki, ora in piedi con le mani ai fianchi, al di là del tavolo sotto cui Taiga stava.
Questi si alzò di scatto dimenticandosi del posto in cui era; prendendo una testata, imprecò e lamentandosi si tirò fuori dal mobile massaggiandosi il capo. A quel punto si mise in piedi e cercando di non guardarlo troppo in faccia per mitigare la cosa, spiegò in parole povere il motivo del nome.
- Non eccitarti, era identico a te così ho deciso di chiamarlo Daichan. - non che questo migliorasse la situazione.
- Ma non mi dire...
Daiki ormai ghignava malizioso, avvicinandosi sinuoso proprio come il famoso gatto a cui dava il nome. Guardandolo in quel momento, si rese conto che aveva proprio fatto bene a chiamarlo come lui, ma per evitare alza-bandiere mattutine tornò alla ricerca del micio che trovò sotto il mobile della cucina.
Lo prese a fatica, ma ci riuscì e solo dopo diverse moine e coccole, riuscì a calmarlo e fecero pace.
Seduto sul divano col piccolino addosso che si spalmava facendo le fusa, lasciarono a terra Daiki per permettere al vero padrone di casa di accettarlo nelle loro vite.
- Solo quando lui si farà toccare da te potrai dormire sul divano. È il suo posto! - disse serio e deciso Taiga. Daiki, da terra, lo fissò a gambe incrociate, incredulo che davvero un gatto avesse più potere di lui.
- Sei serio? E dove dovrei dormire, se non hai altri posti?
Taiga alzò le spalle disinteressato alla cosa, mentre fissava in adorazione il suo piccolo amico che si allungava tutto sulle sue gambe incrociate.
- Per terra.
Daiki lo guardò ancora più seccato, con la vena che cominciava a pulsare.
- Oppure nel tuo letto e tu dormi nel divano con lui!
- Ah ah ah! Divertente! - rispose senza ridere davvero, ma comunque divertito lo stesso. Non era più arrabbiato e nemmeno nervoso. Il risveglio traumatico li aveva aiutati a calmarsi. Lui per lo meno.
- Allora potrei stare nel letto CON te! - e fu lì che cominciò la sua opera d’assalto. Accompagnando la proposta di finto scherzo con il suo gomito che si appoggiava sul suo ginocchio.
Taiga ritrovò il calore che prima aveva controllato grazie alla ricerca del gatto, ma gli sorrise senza dover fingere di divertirsi dal momento che ora lo era davvero.
- Potresti anche provare a piacergli, così dormirete serenamente nel divano insieme!
Taiga voleva. Voleva davvero che Daiki ci provasse con lui e che tirasse fuori tutta la sua artiglieria. Però per farlo doveva provocarlo un po’ e non poteva essere subito accondiscendente. Doveva fingere di volersi concentrare sui test e sul basket per un po’, così sì che si sarebbe divertito davvero. Avrebbe fatto il prezioso.
Daiki si morse il labbro e ignorando totalmente il gatto, guardò Taiga dal basso della sua posizione, come se fosse in adorazione di lui invece che dell’animale carino che aveva sulle gambe.
A quel punto notò la sua guancia graffiata, per fortuna non profondamente, e allungando il braccio gli toccò i graffi con le dita.
- A quanto pare è lui che deve farsi perdonare da te, mi sa...
Taiga trattenne il respiro a quel secondo contatto inaspettato, uno che aveva tutta l’aria di essere una carezza strategica, e smise di coccolare il gatto sollevando gli occhi sul ragazzo. Si fece un misto di serio e sorpreso, poi alzò una spalla senza muovere mezzo muscolo.
Era preparato a delle avance, ma non così dolci.
- Lui può far di me quel che vuole, non ho bisogno di perdonarlo...
Daiki ridacchiò continuando a toccare i graffi che sembravano non fargli male.
- Ne sei proprio innamorato, eh?
- Sono un tipo da gatto, io... non da cane...
E lo sapevano bene entrambi. Ora, per lo meno. Visto che prima per mesi Daiki aveva pensato che a Taiga gli fosse piaciuto un ragazzo che aveva tutto l’aspetto di un cagnolino delizioso.
Ad entrambi venne in mente Tetsuya, ma nessuno lo nominò per non rovinare quel momento. Un momento di scambio di sguardi accompagnato da una furba ma anche dolce carezza. Fu a quel punto che il gattino passò dalla mano e dalle gambe di Taiga, al braccio e al viso di Daiki e gli si strofinò contro, facendo pace anche con lui.
Daiki abbassò la mano e la posò sorpreso sul piccolo meravigliato, si rese conto che quel ‘coso peloso’ gli piaceva da matti.
Osservandolo davanti alle padelle per la preparazione della colazione, col suo delizioso grembiule blu con un tigrotto sopra, a Daiki venne un’erezione che cercò di domare ritenendo che forse fosse presto per piegarlo sui fornelli e prenderlo da dietro.
- E quindi come l’hai trovato, sto gatto? - che al momento si stava strofinando fra i suoi piedi scalzi solleticandolo.
Taiga, senza girarsi, continuò a preparare la colazione tipica americana.
Avendo vissuto per la maggior parte del suo tempo in America, aveva appreso più tradizioni americane che giapponesi nonostante fosse la sua origine.
Così stava spadellando delle uova e del bacon.
- Beh, ha iniziato a seguirmi. Era selvatico, ma cercava aiuto. Ho iniziato a dargli da mangiare fino a che non si è fatto anche accarezzare. Un giorno mi ha seguito prepotentemente fin dentro casa e da lì non se ne è più andato. È più lui che ha adottato me. Si è addomesticato dopo qualche tempo, come vedi, e mi adora. Mi ricordava te... non so, forse per il colore del pelo o per il carattere di merda che voleva sia respingermi che saltarmi addosso! - dicendolo disinvolto e ad alta voce, mentre aveva la padella in mano e girava con la spatola il cibo dentro, non percepì il movimento di Daiki.
Non si rese conto di lui prima di averlo dietro e solo con le sue mani sui fianchi che strisciarono sul davanti, sul suo ventre, e le sue labbra sul suo collo a baciarlo, si accorse che era lì.
Per poco non gli cadde la padella di mano, avvampò e si bloccò. Per un momento si chiese cosa dovesse fare, mentre l’erezione si impennava di nuovo, sotto gli shorts ed il grembiule.
E lui lo notò eccome, con le mani che scesero proprio lì sul pacco.
Non fece altro. Gli baciò solo il collo e lo palpeggiò, ma poi soddisfatto, come se cercasse conferma di qualcosa che aveva trovato, lo lasciò andare e prese due bicchieri e le posate che erano in vista, per poi metterle a tavola.
Il sorrisino malizioso.
- Per apparecchiare non serviva mica molestarmi... - brontolò come se gli fosse dispiaciuto, cercando di domare a stento la voglia di saltargli lui addosso. Doveva resistere.
Sapeva che stava giocando a chi cedeva prima. Non sarebbe stato lui.
- Mi ha intenerito il tuo racconto... hai pensato a me così tanto che mi hai visto pure in un gatto!
“E non sai in quanti modi ho davvero pensato a te...”
Per poco non bruciò la colazione che riuscì a salvare.
Taiga si tenne il pensiero per sé e si decise ad mettere nei piatti, sperando di sopravvivere almeno qualche giorno. Per principio, ormai.
Non poteva provocarlo e spingerlo a fare la prima mossa. Non era giusto. Era venuto fin lì dicendo un sacco di palle, ora doveva per lo meno venire allo scoperto per primo.
E poi era una sfida anche quella, come tutte le altre fra loro.
E alle sfide lui rispondeva sempre presente.
Seduto davanti a lui coi piatti davanti pieni di una colazione quasi perfetta, i due si guardarono eloquenti e complici, ma non dissero nulla se non un educato ‘buon appetito’.
I divertimenti erano appena iniziati.
Coi test d’ammissione alle porte che si sarebbero tenuti il giorno dopo, Daiki e Taiga passarono tutta la mattina a studiare, cosa che avrebbero fatto anche di pomeriggio, evitando di proposito anche solo di guardare la palla.
Avevano entrambi studiato molto, ma sapevano di essere indietro rispetto agli altri studenti anche solo per il semplice fatto che erano Giapponesi.
Taiga con l’inglese se la cavava abbastanza, ma Daiki aveva dovuto prendere lezioni private per poter raggiungere un livello decente.
Il test d’ammissione era quasi una formalità, nel senso che ovviamente passando da una scuola all’altra era d’obbligo, ma per non passarlo dovevi essere un completo imbecille che dopo aver fatto richiesta di trasferimento, non ti impegnavi per superare i test.
Si sarebbero così trovati con il resto degli studenti, chi come loro che passavano da una scuola all’altra, chi invece doveva recuperare le insufficienze in determinate materie per non dover ripetere l’anno.
Sapevano di essere preparati, ma lo scoglio della lingua non era una cosa trascurabile.
Passata così tutta la mattina chini sui libri come due studenti modello che non erano mai stati, fecero la pausa per il pranzo che cucinò interamente Taiga mentre Daiki se lo rimirava ritrovando la sua bella erezione. Non sapeva perché, ma lo eccitava da matti vederlo col grembiule in cucina a cucinare per lui.
Si tratteneva a stento dal saltargli addosso e abbassargli i pantaloni da dietro. Quando si sentiva vicino al farlo, cercava il gatto e lo tormentava per giocarci un po’.
Dopo mangiato, Taiga si mise a lavare i piatti sia della colazione che del pranzo e vedendo che l’altro continuava a starsene seduto a tavola a fissargli il didietro, sbottò incattivito:
- Potresti anche alzare il culo e aiutarmi, invece di guardare il mio! Magari non sai cucinare, ma per lavare dei dannati piatti non ci vuole una laurea!
Daiki al suo lamento gracchiante si ridestò dai suoi sogni sconci ad occhi aperti che lo vedevano piegarlo a novanta.
Si morse il labbro faticando a gestire la propria eccitazione per l’ennesima volta e si alzò stiracchiandosi, poi con ancora la voglia e le idee ben stampate in mente, si avvicinò a lui da dietro sinuoso e sussurrando: - Se volevi aiuto bastava chiedere... - aderì a lui ed infilò le mani sui suoi fianchi, strisciò sotto la maglietta e gliel’alzò carezzandogli la pancia, giocando coi suoi addominali improvvisamente tesi per la sorpresa ed il suo tocco.
- Che cazzo fai? - brontolò con la spugna insaponata dei piatti in mano, girando leggermente la testa verso la sua che spuntava sulla sua spalla.
- Ti aiuto a lavare i piatti! - rispose divertito con un sorrisino malizioso, continuando a carezzargli la pancia fino a scendere sempre più in basso, le labbra a giocare col suo orecchio, la lingua a solleticarlo riempiendolo di brividi di piacere.
Taiga imprecò tendendosi come una corda di violino, nel disperato tentativo di non cedere di già. Stavano giocando, ovviamente, ma non voleva perdere. Avrebbe vinto lui, punto.
In qualunque modo si vincesse a quel gioco.
“Beh, perde chi ha l’orgasmo per prima? O chi bacia per prima? Insomma, vince chi resiste di più e non cede alle porcate dell’altro!?”
Mentre nella testa si faceva le regole da solo, Daiki scendeva con le mani sotto gli elastici sia degli shorts che dei boxer, con la lingua gli leccava ancora l’orecchio ricoprendolo di brividi che si sentirono tutti nel suo inguine.
Fu così che proprio mentre si rendeva che, secondo le sue famose regole appena stabilite, lui stava effettivamente perdendo visto l’orgasmo prossimo al suo bel tocco profondo, gli diede una testata, lo spinse via e tirandogli la spugna dei piatti in faccia che lo bagnò per bene, se ne andò dalla cucina imprecando.
- Lavali da solo!
Come se fosse quello il punto.
Daiki rimase lì a ridere sghignazzando, mentre recuperata la spugna, si asciugava dall’acqua insaponata sulla faccia.
“Ci ero quasi!”
Anche lui si era mentalmente fatto le sue regole per quel gioco.
“Se me lo fotto per primo ho vinto!”
Semplice e senza troppi giri mentali.
- Come sei poco ospitale! - commentò divertito, mentre finiva l’opera incompiuta di Taiga. Dal salotto, un ruggito:
- Vaffanculo!
Se non faceva qualcosa avrebbe rovinosamente perso, e lui non poteva perdere. Non contro Daiki Aomine.