*Giornata di test d'ammissione per le due bestie selvagge che non riusciranno a stare fermi e buoni e dovranno per forza provare a mettersi nei guai nel cercare la palestra di basket. Prima, però, tempo di mettere in chiaro ognuno i propri obiettivi solenni. Vi ricordo che Daichan è il gattino nero di Taiga. Come al solito, le fan art non sono mie ma trovate in rete. Buona lettura. Baci Akane*
13. TEST
Alla fine Taiga gli aveva esplicitamente chiesto di aspettare la fine dei test, prima di giocare con lui, perché aveva bisogno di concentrarsi.
Daiki aveva fatto finta di non capire di cosa parlasse.
- Avevamo già stabilito che non avremmo giocato a basket prima dell’ammissione ufficiale alla scuola... - disse infatti facendo il finto tonto, seduto a tavola coi libri ed i quaderni al posto dei piatti ormai lavati e puliti.
Il mento appoggiando al palmo della mano, la matita che dondolava fra le due dita dell’altra, l’aria perennemente maliziosa in viso.
A Taiga saltarono di nuovo i cinque minuti.
- No deficiente. I NOSTRI giochi!
Daiki alzò un sopracciglio fingendo di non capire. Taiga gli mise la mano sulla testa con l’intento di stringere i capelli e tirarli brutalmente.
- Non proviamoci uno con l’altro prima di essere ammessi a scuola! Tanto è domani, ormai!
Alla fine era stato diretto e schietto e Daiki aveva anche riso.
- Un punto a me! - disse infatti scanzonato togliendogli la mano dalla testa con un colpo del polso, come scacciasse un moscone.
- Un punto per cosa, perché sei idiota? - ringhiò esasperato Taiga sedendosi alla sedia di fronte, coi propri libri gettati sopra.
- Perché ne hai parlato per primo! - Taiga si aggrottò e lui spiegò meglio: - Di questo gioco fra noi!
Il rossino sbuffò e scosse il capo guardando in alto per poi fissare i libri e prendere la matita in mano.
- Parlarne toglie l’erotismo, comunque! Era più divertente prima! Adesso non sarà più lo stesso. - brontolò giusto per il gusto di indispettirlo e togliergli quel sorrisino vittorioso e fastidioso dalla faccia. Cosa che gli riuscì, perché quando lo disse, Daiki si fece serio e si corrucciò realizzando che aveva ragione.
- E perché ne hai parlato, allora?
- Perché sei idiota e non capisci da solo le regole! Te le devo dire io o qua facciamo un casino!
- Che casino! E che regole? Non ci sono regole! - o meglio, per lui ce n’era una.
- Certo che ci sono regole! In tutti i giochi ce ne sono! Se le capivi da solo, non ne avrei parlato rovinando tutto! Sei stupido, lo vedi? Ora torna a studiare e non rompermi le palle o ti butto fuori di casa!
Taiga tornò a guardare i libri cercando il filo di quello che aveva lasciato prima, ma il compagno glielo sfilò prepotentemente da sotto gli occhi e lo obbligò a guardarlo.
- Adesso mi dici che regole ci sono?! Se ci sono delle regole devo conoscerle per non rischiare di perdere! - Taiga non ci poteva credere che fosse così imbecille. Si riprese il libro e lo riaprì al suo posto, poi esasperato gli rispose:
- Sei tu che ti sei preso uno stupido punto sulla base di chissà quale stupida regola che ti sei stupidamente fatto da solo senza condividere! Ora chiedi a me le regole? Arrangiati!
Non era un discorso che avesse senso, ma Daiki era comunque arrabbiato e non sapeva bene per cosa. Quel tipo aveva il potere di mandarlo fuori di testa in tutti i modi possibili. Voleva discuterne ancora, ma lo stronzo si era messo gli AirPods agli orecchi ed aveva ripreso a studiare, escludendo l’animale selvaggio che aveva davanti e che era in procinto di sbranarlo.
Daiki rimase a fissarlo incredulo che lo escludesse, ma poi decise che se l’idiota aveva delle regole, anche lui se ne sarebbe fatto. Ed avrebbe vinto.
Tanto contava quello.
Vincere.
Dopo il patto di non belligeranza, di sera e dopo cena, la cena cucinata da Taiga e rassettata da Daiki senza discussioni, avevano deciso di lasciar perdere lo studio perché erano arrivati al punto di non capire un H di quel che leggevano. Soprattutto le K, le W, le X e le Y!
- Ti immagini se non passiamo? - chiese ilare Daiki mentre cercava in televisione qualcosa di interessante da guardare. Taiga, seduto accanto a lui con le gambe raccolte sul divano, si girò e gli diede un calcio rimanendo così rivolto verso di lui.
- Non dire stronzate che portano sfiga! Io passo! Tu fa quel che vuoi! Da questo dipende la mia vita! Non sbaglierò!
Daiki rise senza ricambiare il calcio, sapeva che avrebbe risposto così ed aveva detto quella frase per stemperare la tensione di entrambi, dovuta allo studio e al non saltarsi più addosso.
Dopo aver trovato uno di quegli stupidi programmi dove i concorrenti fanno percorsi impossibili per arrivare ad un premio in denaro finale, dal momento che l’NBA non era ancora cominciata, Daiki lasciò il telecomando disinteressato e scivolò in avanti col sedere, appoggiandosi meglio con la schiena e la nuca, allungò le gambe sul tavolino avanti a sé e osservò lo schermo senza guardare davvero, facendosi improvvisamente serio e pensieroso.
Come se sentisse che quello fosse l’unico momento utile per essere onesto. Ora prima di cambiarsi radicalmente la vita.
- Anche se fra noi non tornasse come prima e rimanessimo solo amici... - Taiga voleva rispondere che non erano mai stati amici, né lo erano ora. Ma capì alzando gli occhi su di lui e sul suo profilo che non era il momento. Così lo lasciò parlare. - Anche in quel caso andrei avanti. È questa la mia strada. Il mio futuro. Quello che voglio fare da quando ero piccolo. Farlo con te è un capriccio che mi sono voluto togliere, visto che potevo farlo e c’era questa possibilità. Ma sarei venuto lo stesso, non so dove, come e quando. Però a prescindere da quello che sarà poi fra noi, non devierò mai dal mio cammino. So cosa voglio per me stesso.
Daiki era molto serio e deciso e sapeva che era onesto con sé stesso, mentre lo diceva ad alta voce. Taiga sorrise sollevato dentro di sé, annuì e appoggiò la testa di lato, sullo schienale del divano dove ormai sedeva di traverso, coi piedi puntati sotto il sedere di Daiki. Un gesto spontaneo, di cui non si erano nemmeno resi conto, e che non dava fastidio ma conforto.
Il gattino nero salì su di loro mentre entrambi, guardando la televisione, conclusero che era ora di fare sul serio.
- Questa è la mia vita. - disse Taiga mentre con la mano andava ad accarezzare Daichan e con gli occhi osservava il programma in televisione senza vederlo davvero.
- Qualunque cosa mi succeda al di fuori del basket, non mi fermerà mai, né mai esiterò. - la mano di Daiki corse a cercare il gattino senza rifletterci, per accarezzarlo come anti stress per un dialogo fin troppo serio per i suoi gusti.
Incontrò la sua mano e spostò gli occhi meravigliati, ma vedendo che Taiga non toglieva la sua, rimasero così a carezzare il gatto fin troppo piccolo per due grandi come le loro, intrecciandosi, scontrandosi e sovrapponendosi spesso.
Fino a rimanere fermi sul suo piccolo corpicino senza più muoversi. Intrecciando le dita come il giorno prima avevano fatto al campo di basket, fingendo di farlo per caso.
Sorrisero senza dire nulla, finendo per ridere alle scemate che scorrevano in televisione.
“Però è ovvio che se nel frattempo dovessi trovare qualcosa di bello da vivere anche fuori dal campo, ne sarei più che felice.” pensò Taiga senza esprimerlo ad alta voce, lasciando che il sonno lo cogliesse dopo un po’, sempre con la mano nella sua.
Daiki lo guardò prima di addormentarsi anche lui, sorrise intenerito, sentendo una pura ed incontaminata forma di gioia esplodergli da dentro, poi chiuse la televisione e lasciando che il buio calasse completo su di loro, con la notte che sopraggiungeva, si mise più comodo nel divano e si lasciò andare ad un sonno straordinariamente sereno.
Si erano svegliati tutti anchilosati per la posizione sul divano, di malumore sia per quello che per la tensione dei test d’ammissione.
A quello ci si era aggiunta la metropolitana stracolma di studenti che, nonostante non fosse il primo giorno di scuola, andavano in massa ai famosi test, gli stessi a cui partecipavano loro.
- Ma possibile che sono tutti dei somari che devono recuperare le materie per non essere bocciati? - brontolò Daiki senza tatto, arrabbiato per doversi spalmare su Taiga e perdere così la concentrazione.
Taiga, a sua volta spalmato oltre che su di lui su una marea di altri sconosciuti che lo irritavano, aveva la stessa identica espressione arrabbiata.
La faccia di Daiki, mentre brontolava contro il genere umano e sputava odio verso i mezzi pubblici troppo pieni, premeva sulla guancia di Taiga che a sua volta cercava di non finire per infilargli la lingua in bocca, visto quanto poco distavano le loro labbra.
“Iniziare così è un’autentica merda! Se vado bene ai test è un miracolo! Ed io che gli avevo detto di sospendere i giochi per non distrarci! Cazzo!”
Daiki non era tanto preoccupato di quello quanto del fatto di non dover già finire nel mirino di qualche idiota che, guardandoli, magari capiva subito che stavano insieme anche se di fatto non era così.
“Tanto torneremo a scopare. Anzi. Ci metteremo insieme. Ma non è che lo voglio sbandierare, non saremo una di quelle coppie che lo ostentano! Siamo due ragazzi stranieri in una terra tanto aperta e libera quanto spietata e meschina. So io come funzionano queste cose! Non finiremo mira di nessun imbecille, a costo di mettermi a picchiare chiunque mi fissi!”
Ognuno con le propri preoccupazioni, raggiunsero la fermata della scuola alla quale, come un palloncino che si sgonfiava, tutti scesero in massa e seguendo la corrente del fiume umano, si ritrovarono coi piedi nella terra ferma, direzione liceo.
I test erano divisi per tipologia, materie ed anno.
Quel giorno si svolgevano quelli relativi al primo anno che cercavano l’accesso al secondo. A seconda del tipo d’esame, c’era un aula con relativi test ed esaminatori.
Se era un esame d’ammissione, i quiz comprendevano un po’ tutte le materie, mentre se erano esami di recupero dipendeva dalla materia.
Taiga e Daiki erano forse gli unici due giapponesi a cercare l’ammissione alla scuola, quel giorno. Non per questo si sentirono intimiditi.
Rimasero concentrati sulle domande fino a concludere i test in un’ora precisa, tale era il tempo massimo.
Solo una volta concluso e quindi all’esterno in attesa dei risultati che sarebbero stati affissi sulle porte, gli studenti si rilassarono iniziando a guardarsi intorno per passare un po’ il tempo. I voti dei test eseguiti ed i conseguenti risultati sarebbero stati resi noti in seguito tramite il sito web ufficiale della scuola.
Così eccoli lì, un liceo nuovo che vedevano per la prima volta, dove non conoscevano nessuno, di cui sembravano essere, almeno per quel giorno che comprendeva appunto i futuri studenti del secondo anno, gli unici giapponesi.
Taiga e Daiki si guardarono, in piedi uno vicino all’altro, e senza bisogno di consultarsi e farsi proposte varie, dissero in perfetta sincronia:
- Cerchiamo la palestra di basket? - la risposta era ovvia. Come anche l’esito, trattandosi di loro due e non di due persone dolci, tenere, gentili e socievoli che d’impatto facevano sempre una buona impressione a tutti.
No di certo.
Il liceo in cui stavano cercando di essere ammessi, era una scuola molto prestigiosa sia per il livello dello studio che per quello di alcuni sport, fra cui il basket. Oltre a quello, era dato molto risalto anche al baseball e al football americano, mentre le altre attività erano poste in un naturale secondo piano, sebbene ci fosse spazio anche per altri club.
Il territorio scolastico era molto ampio e si estendeva sia internamente che esternamente, essendo così grande c’erano le indicazioni per trovare alcune zone come la mensa, l’aula magna, la presidenza, le palestre ed i campi. Grazie a questo, Taiga e Daiki non faticarono a trovare quella di basket.
Si trattava di un vero proprio palazzetto staccato dall’edificio scolastico che invece aveva un corridoio di collegamento con le altre palestre minori, usate per altri sport meno in vista e per le attività regolari di ginnastica. Il palazzetto sportivo di basket, così come i campi da baseball e di football, avevano un accesso a parte e dei parcheggi esterni.
Pur senza conoscerne la fama, si capiva che doveva essere un liceo importante e Taiga e Daiki se ne resero conto una volta arrivati davanti alle porte.
Prima di entrare si guardarono con l’emozione alle stelle, ben visibile in entrambi. Gli occhi di tutti e due brillavano, i cuori battevano e gli sembrava già di sentire le palle da basket picchiare sul parquet all’interno della palestra.
Entrare lì sarebbe stato il primo vero passo verso la realizzazione del loro sogno, l’NBA. Sapevano che la strada sarebbe stata lunga ed impervia, ma sapevano, anzi, erano certi di potercela fare e comunque non avrebbero mai smesso di provarci con tutti loro stessi.
Appena aprirono, o meglio spalancarono le porte, si ritrovarono non solo un’enorme palestra con tanto di spalti a gradinate tutt’intorno al campo, ma anche un considerevole numero di ragazzi intenti ad allenarsi in quello che era senza ombra di dubbio il loro sport di diritto.
Appena videro che i loro futuri compagni erano già all’opera, i loro occhi si illuminarono ulteriormente e guardandosi complici di nuovo, fecero per entrare decisi a buttarsi nella mischia senza nemmeno esitare.
Tuttavia non riuscirono a muovere nemmeno mezzo passo, perché subito una voce tonante li fermò facendoli girare di lato a guardare chi avesse parlato in inglese, col tipico accento americano a cui ormai Taiga era abituato.
- Ehi! Non potete assistere agli allenamenti, non sono aperti a nessuno!
Ad aver parlato era un ragazzo probabilmente membro stesso della squadra, aveva un’altezza di tutto rispetto, ma non di molto più di loro. Nella media per essere un giocatore di basket.
Aveva i capelli rasati corti e biondo chiaro, gli occhi azzurri, la pelle bianca era abbronzata grazie al sole estivo e non dava l’idea di essere uno abituato ad averla di quella tonalità durante l’anno.
I lineamenti erano duri e l’espressione estremamente severa, pronto a prendere a calci qualunque intruso. Anche loro, nella fattispecie.
- Non siamo qua per assistere! - rispose Taiga impulsivamente e senza attivare il cervello.
- Già, siamo venuti a vedere la nostra futura squadra! - concluse Daiki trionfale con lo stesso identico tono deciso e sbruffone.
La loro intenzione non era quella di mettersi già a giocare a basket, ovviamente sapevano di dover fare le cose per bene. Originariamente avrebbero prima dovuto passare i test d’ammissione, una pura formalità, poi il loro collegamento, il talent scout della scuola, avrebbe dovuto presentarli alla squadra dove avrebbero comunque dovuto fare una specie di provino per conquistarsi l’effettivo posto nel gruppo.
L’allenatore aveva già visto il materiale portato dal suo collaboratore nonché amico di Alex e già sapeva che erano validi, era d’accordo nel farli entrare, ma essendo un liceo molto rinomato per il basket, c’era una prassi ufficiale da rispettare.
Se avessero fatto totalmente schifo ai provini dei nuovi arrivi, sarebbero stati rifiutati. Ma anche quella, teoricamente, sarebbe dovuta essere una pura formalità visto che oltre ad essere stati ingaggiati, erano comunque eccezionali a basket. Il loro livello era di sicuro sufficiente per essere accettati in squadra.
Non erano andati lì per accelerare i tempi ed entrare prima degli step prestabiliti. Erano solo venuti a guardare la palestra, ignari che la squadra aveva già ricominciato a riunirsi.
Ma, visto che erano lì, ormai tanto valeva mettere in chiaro le cose.
Altro che guardare gli allenamenti, loro ci avrebbero partecipato, ormai!
La reazione dei giocatori che si erano fermati al loro ingresso trionfale, dovuto alle porte sbattute e non aperte in modo normale, fu di una grassa risata, mentre il giovane che li aveva ‘accolti’, li guardò con dei fulmini al posto degli occhi. Mosse un passo verso di loro, rimanendo ad una certa distanza non per timore, ma per rimanere in una posizione di superiorità, come chiaramente si sentiva. Poi rispose tagliente:
- Ben se ci entrate! E dall’idea che date mi sa che rimarrà un bel sogno! - alla sua frase gli altri continuarono a ridere spalleggiandosi e facendosi vicini per vedere la loro reazione, in attesa di riprendere gli allenamenti.
Daiki e Taiga appena registrarono il significato delle sue parole, sentirono immediatamente la vena pulsare nelle tempie, la voglia di prendere quel tipo a calci fu enorme, come un’ondata di calore devastante, ma invece di seguirla e darsi la zappa sui piedi da soli, Taiga si mise le mani ai fianchi e contemporaneamente Daiki si appoggiò con la mano alla sua spalla, avvicinando il viso al suo. Taiga rivolse il proprio come se parlassero fra di loro, ma invece lo fecero ad alta voce per farsi sentire chiaramente, infatti parlarono in inglese:
- Hai capito, Taiga? - disse Daiki per primo, col ghigno da sbruffone stampato in viso.
- Sì, ci credono schiappe solo perché siamo giapponesi!
L’americano alzò un sopracciglio scettico, non capendo quando avessero colto la polemica razzista che mai nelle sue intenzioni sarebbe potuta esistere.
- Lo vedranno se non ci entreremo! - replicò ancora il compagno appollaiato sulla sua spalla. Fremevano entrambi e si vedevano, erano carichi di eccitazione e non di rabbia. Avevano una voglia immensa di mettere subito in chiaro che loro giocavano a basket e facevano sul serio, di far vedere chi erano.
Sapevano che sarebbe stata difficile ed anche che non potevano mandare tutto all’aria facendo i soliti idioti, però l’idea di non potersi scatenare come volevano era una specie di tortura.
Loro malgrado, per qualche miracolo, riuscirono a trattenersi.
- Sì, beh... in ogni caso dovete aspettare i provini a fine settimana! Ne riparleremo quel giorno!
- Puoi contarci, amico!
Lo slang di Daiki si era immediatamente adattato a quello del luogo nonostante non avesse ancora parlato con nessuno di lì ed avesse esclusivamente preso lezioni in Giappone. Ma lo stile americano ce l’aveva nell’anima, Taiga se ne rese conto mentre lo guardava lanciare un’occhiata da sadico divertito che sapeva di promessa. Andandosene senza sorprendentemente alzare rogne, sollevò due dita e le roteò in segno di saluto, contemporaneamente gli circondò il collo come un grande amicone ed insieme andarono via dopo essersi ‘presentati’ e distinti, senza nemmeno dire i loro nomi.
Non sarebbe servito.
Non li avrebbero dimenticati ed era questo che volevano.
- Magari sono bravi davvero... ho sentito che Jack ha trovato due ragazzi stranieri incredibili... - fece uno della squadra mentre li guardava andarsene.
- Saranno anche bravi, ma adesso devono dimostrarlo... e con la presentazione che si sono fatti, si sono alzati da soli la pressione come due idioti! - replicò il capitano che chiuse le porte lasciate aperte da loro, l’aria irritata dai modi dei due che finalmente se ne erano andati.
- Potrebbero sempre essere due che reggono la pressione... - propose un altro, ridacchiando divertito alla scenetta, pregustandosi i nuovi futuri compagni di squadra.
Non era il solo a pensare che lo sarebbero diventati veramente. Non per la sbruffonaggine mostrata, ma bensì perché c’era qualcosa in loro. Qualcosa di particolare. E tutti loro lo colsero perché tutti provarono come la sensazione di essere davanti a due compagni, due che avrebbero lasciato il segno.