*Ormai i test sono fatti, devono solo avere i risultati. Nell'attesa non tanto facile, Daiki e Taiga decidono di fare due tiri finendo per attirare l'attenzione di un bel po' di gente del quartiere che inizia a scoprire i due nuovi fenomeni del Giappone. Saranno passati davvero? E poi dopo i test come intenderanno proseguire la loro situazione privata? Cerchiamo di capire un po' come sono fatti, similitudini e differenze, mentre il ghiaccio inizia a sciogliersi. Buona lettura. Baci Akane*

14. IL GHIACCO SI ROMPE

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Daiki e Taiga si lasciarono cadere a terra, all’ombra, sudati fradici, uno di schiena all’altro, appoggiati fra loro. Daiki aveva una bottiglia d’acqua in mano e beveva, mentre Taiga stringeva ancora la palla con cui avevano giocato tornando indietro dalla scuola. Ovviamente si erano subito cambiati e si erano lanciati giù al campetto sotto casa, nonostante fossero le ore più calde della giornata. 
Sudati fradici dopo qualche ora, si erano presi una pausa. 
- Chissà quando escono i risultati... - brontolò Taiga fissando ancora la palla fra le mani, tirando fiato ed ignorando il colpo di calore che lo stava cogliendo. La risata di Daiki, appoggiato dietro di sé, lo raggiunse insieme alla sua nuca contro la propria.
- Non ti facevo un tipo così ansioso! Sembravi uno con l’emotività di un bradipo! 
Taiga stava ancora cercando di capire se fosse un’offesa o cosa, quando la mano di Daiki lo raggiunse da dietro carezzandogli la testa, ad esso la sua risata risuonò per la seconda volta distraendolo e facendogli rinunciò a capire il genere di frase che gli aveva rifilato. 
- Non sono ansioso, ma dipende dalla situazione. Se è un’ansia da partita, basta giocare e passa tutto. Qua devi aspettare ed ormai non dipende più da noi. Il test mi sembrava facile, ma sai... 
Daiki non lo fece finire gettandogli l’acqua sulla testa da dietro. Taiga si indispettì e, nemmeno a dirlo, si spostò facendolo cadere all’indietro con la schiena. Una volta in piedi gli lanciò la palla sullo stomaco partendo con gli insulti alla loro solita tipica maniera. 
Non si rese nemmeno conto di non avere più ansia, smise anche di controllare ossessivamente il cellulare per vedere se sul sito della scuola avevano messo i risultati odierni. 
Scattando in piedi, Daiki prese la palla dal proprio stomaco come se non gli avesse fatto nulla e sembrando una cavalletta, si mise  a correre, saltare e palleggiare verso il campetto per ricominciare. 
- Cos’è, un nuovo stile di gioco? Lo stile cavalletta demente? - commentò ridendo Taiga andandogli dietro. 
Daiki gli lanciò la palla di rimando e ricominciarono da dove si erano interrotti, nella loro eterna sfida innescando subito la Danger Zone. 
In poco furono talmente assorbiti uno dall’altro e dal basket, da non rendersi conto dell’arrivo degli altri ragazzi del quartiere che finalmente avendo fatto i test che li avevano tenuti chiusi in casa per quel periodo, potevano uscire a divertirsi per quel che rimaneva delle vacanze estive. Nella speranza, ovviamente, di essere passati agli esami di recupero. 
Non si accorsero della loro presenza, perciò continuarono a giocare come al solito, nella loro modalità supersonica, dove non si limitavano semplicemente a fare due tiri a canestro, ma cercavano di superarsi e vincersi a vicenda, dando ognuno il proprio massimo. Assorbiti uno dall’altro, prevedendo le mosse e rispondendo subito con altrettanto incredibili. 
Andarono avanti un bel po’ a comunicare a suon di giocate favolose con il solo scopo di essere più forte dell’altro, senza minimamente notare la folla che si era radunata intorno a loro, al bordo del campetto in cemento. Non erano pochi, i giovani arrivati avevano chiamato altri amici che non erano ancora arrivati per dirgli che c’erano due che stavano facendo cose incredibili. 
Uno lo conoscevano, era quel giapponese che era arrivato all’inizio dell’estate, l’altro era nuovo, anche lui giapponese ma fortissimo.
Quando Daiki fece uno dei suoi canestri impossibili, da dietro la schiena, gli altri applaudirono. La palla stava per entrare nel cerchio, ma Taiga riuscì ad arrivarci, stava per stopparla con il suo scatto ed il suo salto da olimpiadi, quando ci arrivò un istante prima la mano del proprietario del tiro. Daiki con un tocco velocissimo e leggero, infilò la palla nel canestro un centesimo di secondo prima dello stop del compagno e vinse lo scontro con un ghigno vivo e divertito nel volto. 
A quel punto il boato si levò facendo notare loro la presenza di una cupola di gente non da poco. 
I due ragazzi si fermarono stupiti vedendoli solo ora.
- Quando sono arrivati tutti questi? - chiese Daiki meravigliato, asciugandosi il sudore dal mento e dal collo con il bordo della maglietta senza maniche. 
Taiga alzò le spalle scorrendo gli occhi sui ragazzi, riconoscendone alcuni, ma non tutti. 
- Qualcuno fa parte del solito gruppo con cui gioco qua normalmente... ma altri non ho idea di chi sono... 
A quel punto, la palla ormai aveva smesso di rimbalzare ed era stata abbandonata dai due proprietari, ma uno dei conoscenti di Taiga, un ragazzo dalla pelle scura, alto e magro coi capelli neri tirati con delle treccine, l’alzò e la prese palleggiando verso di loro con entusiasmo. La prese poi fra le mani, i gomiti alti e lo sguardo illuminato. 
- Vi hanno ripreso! Ragazzi siete incredibili! Diventerete virali! L’ultimo scontro era lunghissimo ed incredibile! Siete eccezionali! Come facevi a sapere che sarebbe riuscito a fermare la palla? Nessuno ci avrebbe pensato! Se non era per quell’intuizione ti avrebbe stoppato! Grandissimi! 
Daiki si perse metà del discorso, capì solo che gli stava facendo i complimenti e che erano stati ripresi. Taiga invece capì e gli rispose seccato, non contento dei complimenti ricevuti, focalizzandosi solo sul fatto che Daiki l’aveva fermato. 
- Ci è riuscito perché mi conosce e sa che sono un saltatore inesauribile! In quanto a salti gli sono superiore, sa che riuscirei a stopparlo in ogni situazione e sempre! Per battermi deve usare tutta la sua tecnica e la conoscenza che ha di me! 
Daiki aveva difficoltà a capire bene l’inglese degli americani, ma quello di Taiga lo comprendeva alla perfezione e gli rispose subito ridendo divertito, con le mani ai fianchi e la sua tipica aria spaccona. 
- Ehi, bello, mi faccio fregare una volta, mica due! So benissimo che riesci a fermare qualsiasi mio tiro! 
Il giovane che si era avvicinato gli batté le mani sulle spalle sudate:
- Ragazzi, davvero complimenti! Non si vedono spesso spettacoli così! 
Così dicendo aprì il palmo verso Taiga, il quale gli diede il cinque per poi afferrargli la mano e agganciarsi le dita. Lo stesso saluto fece con Daiki, il quale si limitò ad imitare quel che aveva fatto il suo compagno, che lo presentò.
- Comunque lui è Daiki Aomine. Era mio rivale in Giappone. Da oggi potremmo essere compagni di squadra! Ha tentato l’ammissione con me. 
- Come, non lo sapete? Hanno già messo i risultati! - esclamò poi il ragazzo che si presentò col nome Cal, probabilmente un diminutivo per Caleb o qualcosa di simile. Taiga e Daiki lo guardarono stupiti e tesi in contemporanea, mentre ormai il campetto era stato occupato da altri ragazzi.
- Cosa?! Quando? 
- Da un po’! Ecco, ho scaricato il file... vediamo se ci siete... 
Cal si spostò dal centro del campo andando fuori per permettere agli altri di giocare meglio, nel mentre rovistò nella lista degli studenti della loro scuola, la stessa per tutti e tre.
Daiki gli si appiccicò sulla spalla impaziente, mentre Taiga rimase piantato al centro del campo, ignorando i giocatori che sfrecciavano in metà, mentre nell’altra stavano organizzando un’altra sfida. 
L’ansia improvvisamente fu alle stelle al punto da non poter nemmeno rimanere a guardare la schiena dei due ragazzi che stavano controllando la lista degli ammessi. 
Fu un interminabile lunghissimo momento di morte dolorosa, durante il quale lo stomaco gli venne preso in una morsa di ferro ed il respiro venne totalmente sospeso.
Poteva essere la fine, dopotutto.
Taiga si immaginò il peggiore degli scenari, mentre lui girava sui tacchi e tornava in Giappone col cuore a pezzi. 
Per quanto tutto quanto fosse stato ‘una pura formalità’, a detta di Jack, il talent scout che lo aveva inserito a scuola, non poteva pensare che se comunque aveva fatto schifo al test, sarebbe stato impossibile ammetterlo. 
Tutto il suo futuro era lì, in quel momento, in quella lista. 
Un futuro pieno di speranze e di gioie, oltre che di difficoltà. Ma sicuramente con tutto ciò che aveva sempre sognato.
Il basket professionistico. Un cammino lungo che poteva iniziare solo in quel modo. 
Con Daiki al fianco.
Poi si rese conto che anche senza di lui avrebbe dovuto farcela e mentre si immaginava a passare da solo senza di lui, ormai che si era abituato all’idea di averlo intorno per i prossimi anni, una valanga lo colpì alle spalle. 
Una valanga familiare. 
Daiki gli era letteralmente planato addosso e non gli serviva di guardarlo e sentirlo, per sapere che era felicissimo e che era una risposta positiva. 
- SIAMO PASSATI, COGLIONE! 
E mentre le sue braccia lo strozzavano da dietro e probabilmente le sue gambe erano intorno ai fianchi, con lui che nemmeno accennava a cadere nonostante il salto e la mole di Daiki, si sentì leggero.
Finalmente si sentì leggero, libero e felice.
Ancora un passo, si disse prima di cedere completamente alla gioia che scalpitava per scatenarsi. 
Doveva essere ammesso alla squadra. 
Altra ‘pura formalità’. 
Ma comunque una formalità da superare. 
Taiga sospirò, si morse il labbro, inghiottì le lacrime che volevano uscirgli e se lo scrollò di dosso per girarsi con l’intenzione di dargli solo la mano, al massimo. In modo virile, per recuperare un po’ della faccia persa dopo quel salto sulla sua schiena. 
Ma Daiki come sempre fece tutto quel che volle e lo abbracciò ancora meglio, da davanti, proprio lì in mezzo al campo, fra due partite di street basket, come se nulla fosse.
E forse era così, perché nessuno si fermò a notare che due ragazzi si abbracciavano in un posto non adatto. Per tutti quanti fu del tutto normale una scena simile e non importava minimamente che stavano disturbando le partite. Andavano tutti avanti per la loro strada, così come avrebbero fatto loro rendendosi conto che forse, dopotutto, erano nel posto giusto. 
Nonostante non fosse casa loro e ci fosse un oceano di mezzo, nonostante fossero due ragazzi attratti sessualmente uno dall’altro e forse anche innamorati. Nonostante tutto, loro si sentivano al loro posto. 
Nessuno a guardarli, fischiare o fare battute, nessuno a cercare di mandarli via o criticarli. Nessuno a farli sentire strani, sbagliati. 
A scuola sarebbe stato diverso, più duro, lo sapevano. Ma lì, in quel momento, in quel preciso momento, mentre qualcuno gli chiedeva se volevano giocare e non per polemica, per toglierseli di torno o fare battute, ma proprio per fare una partita insieme a quei due nuovi fenomeni, loro si sentirono a posto. 
Consapevoli che ce l’avrebbero fatta.
E forse, separandosi e guardandosi storditi e stupiti, con gli occhi lucidi, i cuori in gola e l’elettricità sotto la pelle, capirono che non era tanto una questione di posto e di chi li circondava in quel momento, quanto di loro due.
Si erano abbracciati e si erano sentiti giusti, a casa. 
Nessun imbarazzo o stranezza, nessuna consapevolezza di aver sbagliato qualcosa. Come un rompere il ghiaccio, sia pure sottile, che c’era stato al loro ritrovamento. Ghiaccio che si era sempre più sciolto. 
Adesso quel ghiaccio non c’era più. 
Si sorrisero capendosi perfettamente, leggendosi nella mente, come se ne avessero parlato a voce. Annuirono con un ghigno divertito e vivo, poi rivolti a chi li aveva chiamati alzarono la mano annunciando il loro arrivo. 
Erano pronti, il momento del rodaggio era finito. Adesso si prendeva in mano la nuova vita. 
Adesso erano pronti.

Daiki dei due era quello che legava più facilmente, una volta tornato ai suoi vecchi fasti, cioè prima del proprio declino emotivo. Era sempre stato un catalizzatore in qualunque aspetto, non solo nello sport, insomma quando praticava il basket. In un gruppo di persone della sua età, era quello che attirava a sé la gente e che riusciva a divertirsi con tutti e a far divertire tutti. 
Taiga sulle prime era più chiuso, faticava ad aprirsi ma non perché fosse timido, bensì diffidava per partito preso di chiunque e questo lo portava ad impiegare più tempo prima di farsi degli amici. Ma una volta che si apriva, i legami che creava erano molto solidi e addirittura assoluti. Per gli amici, quelli veri, lui arrivava a dare tutto di sé, senza esitare e senza riserve. 
La differenza di base fra i due era che per Daiki fare gruppo con qualcuno, una volta tornato il vecchio ragazzo di un tempo, era facile e veloce, ma non riusciva a legare realmente con nessuno, non come Taiga che invece pur mettendoci di più a fidarsi, una volta che lo faceva si buttava anima e corpo. 
Per questo Taiga aveva raggiunto la zona profonda e Daiki no, nemmeno ai tempi della Teiko, prima che si rovinasse allontanandosi da tutti. 
Ora, probabilmente, aveva anche meno possibilità di raggiungerla visto che il proprio vissuto l’aveva segnato al punto da non riuscire più a fare gruppo con nessuno. Però, in realtà, non ci era riuscito con la squadra di basket delle superiori, ma era stato solo il primo anno, quello caratterizzato dalla propria depressione e odio per uno sport che aveva continuato a fare solo nella speranza di ritrovare il vero sé stesso. Come poi era effettivamente successo. 
Ma adesso le cose erano cambiate, aveva ritrovato sé stesso e il proprio amore per il basket e non solo. Si stava di nuovo innamorando di qualcuno, cosa che dopo il disastro con Tetsuya non era scontata succedesse ancora.
Il problema di Daiki era la sua enorme fragilità interiore, aveva il terrore di non essere di nuovo capito da chi amava e di essere abbandonato e lasciato solo a gestire qualcosa di troppo grande. 
Taiga era una sorta di salvagente, non solo l’aveva guarito da quella specie di malattia che aveva avuto per gli ultimi anni alla Teiko e il primo delle superiori, ma incarnava esattamente ciò che voleva diventare e raggiungere. 
Non glielo avrebbe detto nemmeno sotto tortura, ovviamente, ma era così. 
Tuttavia era più vero dire che Daiki era lì per migliorare come essere umano, oltre che come giocatore di basket e raggiungere i suoi sogni. Migliorare come essere umano significava vincere le proprie paure, superare le debolezze ed eliminare i difetti.
Doveva diventare più forte, emotivamente e psicologicamente. 
Soprattutto doveva diventare altruista e legare col prossimo come riusciva a fare Taiga, era un mezzo essenziale per raggiungere la zona profonda, la modalità più forte di sé stessi. 
Non poteva essere abbastanza forte se non riusciva a superare quella dannata porta che era sempre rimasta chiusa. 
Con la squadra delle superiori aveva sbagliato tutto, non avrebbe mai potuto rimediare. Ma adesso, cambiando città e scuola, oltre che continente, aveva una grande occasione. 
Quella di cambiare vita cambiando principalmente sé stesso per arrivare a quel livello a cui teneva, a quel punto che sperava di raggiungere. 
Non voleva farlo esclusivamente perché il suo sogno più grande riguardava il basket ed il diventare un giocatore fortissimo a livello mondiale e vivere di quello, ma anche perché ricordava come si era sentito quando era forte e circondato da amici a fare ciò che gli piaceva e gli veniva bene. I primi anni alla Teiko erano stati bellissimi, i più felici. 
Volva riuscire vivere di quello che più gli piaceva, il basket, facendolo al massimo livello possibile in assoluto perché era quello che l’avrebbe reso felice. 
In altre parole, voleva essere felice. 
Taiga lo ispirava in questo senso. Perché lui ci riusciva, riusciva proprio lì dove lui voleva, essere felice nel fare al massimo livello quello che gli piaceva. 
Daiki ci era vicino, soprattutto dopo che era guarito dal proprio buio, ma non ci era completamente arrivato. 
Lì doveva fare quel passo che gli mancava. 
Per questo appena incontrò qualcuno dei ragazzi con cui Taiga per tutta l’estate aveva giocato a basket senza legare, gli aveva subito chiesto nome, numero di cellulare e gli aveva proposto di andare a festeggiare l’ammissione a scuola insieme. 
Cal aveva accettato di buon grado, essendo uno molto aperto e di compagnia, aveva anche chiesto agli altri del loro gruppo del campetto se volevano unirsi a loro e alla fine si erano ritrovati un paio di loro a mangiare un hamburger al fast food all’angolo e a bere qualcosa insieme. 
Taiga l’aveva lasciato fare sorpreso, notando come quel Daiki fosse lontano anni luce da quello che aveva conosciuto in Giappone. 
Rimase ad osservarlo, facendosi coinvolgere senza partecipare troppo attivamente. Ancora stordito dalle novità, fra cui l’aver passato i test d’ammissione ma, soprattutto, quella nuova versione ubriacante di Daiki. 
Ricordò, mentre lo vedeva fare conoscenza coi ragazzi con estrema naturalezza e lo sentiva ridere un sacco, quello che gli aveva detto Tetsuya. 
Il vero Daiki era carismatico, attirava chiunque come una calamita, legava con chiunque, si divertiva con chiunque e tutti finivano bene o male per innamorarsi un po’ di lui. 
“Solo un po’?” 
Tetsuya gli aveva anche detto una cosa che gli era rimasta in mente e che ora gli tornava a risuonargli facendolo sentire strano.
‘Se ti è piaciuto questo Daiki cupo, rabbioso e selvatico, aspetta di conoscere quello vero che ha chiuso in sé stesso!’
Era stato profetico. 
Era ancora perso in questi pensieri e in un dialogo immaginario con Tetsuya, quando il soggetto principale del suo shock gli tirò il collo infilando il dito nella catenella dove c’era il suo vecchio anello. 
Senza nemmeno il tempo di capire che succedeva, si ritrovò la bocca di Daiki all’orecchio e non gli servì di vedere la sua espressione malefica e seducente, di chi si pregustava qualcosa di divertente e sconcio più tardi.
Sapeva che ce l’aveva. 
Ma nel dubbio, le sue parole sussurrate all’orecchio in un momento in cui erano rimasti soli al tavolo e lui l’aveva bruscamente attirato a sé, chiarirono ogni cosa.
- Andiamo a casa? - chiese.
In realtà non gli aveva detto nulla di che. Solo in un secondo momento, mentre si rendeva conto che era arrossito nonostante le sue parole non fossero niente di osceno, capì che era il modo in cui l’aveva fatto.
Traboccava desiderio, così come ne traboccava lui.
“Adesso sono definitivamente suo. Se prima era un gioco fra noi perché c’era una sorta di indecisione su come proseguire questa cosa, ora sono io il suo gioco. È passato totalmente ad un altro livello e non so minimamente quando è successo. Ma fanculo, non resterò mai indietro. Non rispetto a lui.” 
Così realizzando, Taiga superò in fretta il suo imbarazzo ed il suo stupore e girandosi verso di lui gli fece l’occhiolino e si leccò le labbra assetato. Non di acqua, ma bensì di lui.
A Daiki ovviamente piacque enormemente la sua reazione e finendo di bere il drink che Taiga si era preso al gusto di fragola, succhiando dalla sua cannuccia come se fosse la cosa più naturale del mondo, si alzò e con un’ultima occhiata piena di promesse una più sconcia dell’altra, andò a salutare gli altri che erano andati a fumare fuori dal locale. 
Taiga prese un respiro profondo, si guardò in basso per assicurarsi che fosse tutto a posto, poi si alzò abbassandosi la camicia che si era messo dopo il pomeriggio ad allenarsi. Constatando che era tutto a posto, almeno ad uno sguardo non attento, seguì Daiki fuori, salutò quelli che fino a quel momento non aveva considerato ‘amici’, e andò con lui a casa. 
Se fino a quel momento non aveva saputo come proseguire la loro relazione, nonostante volesse riprendere da dove si erano interrotti, ora non aveva più il minimo dubbio. 
“È ora di rompere il digiuno!”