*Che faranno dopo essere stati scoperti da tutti e dopo l'ultimatum del capitano? Riusciranno a stare buoni e a non fare colpi di testa o faranno qualche cazzata? Ho dato un po' di risalto a Christopher, originariamente avevo una mezza idea di scrivere un seguito inserendo più personaggi originali della loro nuova squadra, facendo però arrivare anche i loro vecchi amici della Generazione, mettendo così anche qualche loro storia a cui avevo inizialmente accennato. Non è detto che non la farò, ma per il momento non ho iniziato alcun progetto. Volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto e commentato, sono felice di sapere che sia piaciuta. E come sempre, ringrazio chi ha fatto le bellissime fan art che mi hanno aiutato a scrivere certe scene. Questo è l'ultimo capitolo, ma se volete sapere cosa scrivo, quando pubblico, dove e quali sono le mie passioni, basta seguire la mia pagina su FB. Buona lettura. Grazie ancora. Baci Akane*

22. LA FELICITÀ INSIEME

aokagaaokagaaokagaaokagaaokaga

Le loro espressioni erano così piene di sfaccettature che nonostante si stessero scusando, Chris non era sicuro di capire il reale senso delle loro parole. 
Gli si erano presentati davanti dopo la terza ora, chiedendo udienza alla porta dell’aula, alla fine della lezione che era appena finita. Aveva solo radunato le sue cose, quando dei compagni di classe l’avevano chiamato per dirgli che c’erano i due piantagrane della sua squadra che volevano parlargli. 
Anche chi non era nella squadra, sapeva che per lui quei due erano delle croci, in qualche modo l’avevano sempre fatto arrabbiare per qualcosa. 
Chris vedendoli lì in piedi aveva alzato gli occhi al cielo e si era tirato su sbattendo le mani, poi raggiuntili all’uscio aveva chiesto seccato:
- Che avete combinato, ora? Sono passate solo tre dannatissime ore! Come è possibile che non siete riusciti a stare lontani dai guai? Vi rinchiudo in una gabbia! 
Nonostante le provocazioni del per nulla carattere facile, i due non caddero nella tentazione di rispondergli male. 
- Ti dobbiamo solo parlare velocemente. - disse a denti stretti Taiga fissando di lato, l’aria di chi sembrava dovesse cavarsi le tonsille con le pinzette a freddo. Le mani nelle tasche, una posizione eretta e sicura, ma non in assetto d’attacco. Daiki gli si appoggiò dietro, il mento sulla spalla, tutto ricurvo poiché alto come lui, spuntò con le mani ai lati, appoggiandole a penzoloni sui suoi polsi come se fossero delle maniglie. 
Anche la sua espressione era scocciata, per nulla serena, tanto meno pentita. Chris ebbe l’impressione che dovessero dirgli qualcosa di brutto, perciò si immaginò che volessero uscire dalla squadra perché sapevano di non poter stare lontani dai guai. Era pronto a dargli una testata, ma Daiki si decise a parlare:
- Sì, volevo scusarmi. 
- Ti sembra il modo di stare dopo quello che è successo stamattina? - fu la risposta pronta di Chris che non aveva nemmeno registrato le sue parole. A Daiki si mise a pulsare la vena, ma l’essere appoggiato a Taiga in una posizione proprio non del tutto adatta a due che non volevano essere presi di mira per la loro sessualità, paradossalmente gli diede la forza per rimanere calmo.
- Faccio quel cazzo che mi pare! Che provino a rompermi le palle! - grugnì seccato. 
- Quindi avete deciso di uscire dalla squadra per continuare le vostre stupide ed insulse guerre? - per lui era certo che si trattasse di quello. Daiki aveva detto qualcosa che non aveva capito (le scuse), poi aveva detto che avrebbe fatto quello che voleva. 
- Ma chi cazzo ha detto che ce ne andiamo? Sei pazzo? - Taiga scattò in avanti, ma fu il turno di Daiki di tenerlo da dietro usando le mani che a penzoloni dai suoi fianchi si ritrovarono ad acchiapparlo per trattenerlo.
- Allora che significa questo? - Chris aveva la vena che pulsava come pulsava la loro e subito li avrebbe scaraventati fuori dalla finestra, ma Taiga sbottò sbraitando arrabbiato perché quello non capiva proprio nulla: 
- Siamo venuti a scusarci! Cioè lo stupido è venuto a scusarsi! Io sono venuto solo ad assicurarmi che lui lo facesse! 
- Eh? - fece Chris fissandoli stranito, non capendoci più nulla. Dalle espressioni e dalla posizione non parevano di sicuro in una modalità di prostrazione. 
- Sì, volevo scusarmi per aver agito da stupido! Non metterò più a rischio la mia posizione in squadra per stronzate. 
- Hai appena detto che farai quel cazzo che vuoi e che non devono romperti le palle! - un po’ era perché era più forte di lui, non poteva non provocarlo e litigarci e sottolineare puntiglioso qualunque cosa lui dicesse di inesatto. Un po’ in realtà non capiva realmente cosa diavolo avessero in testa.
Però era colpito dal fatto che fossero venuti a scusarsi. Se quelle potevano rappresentare delle scuse... 
- Sì certo... perché gli altri non sanno che non faremo niente di stupido per non perdere il posto in squadra. Come, per esempio, non sanno che non li uccideremo davvero se oseranno cagarci il cazzo! - spiegò prontamente Daiki, accendendosi di un ghigno sadico  mentre si tirava su con la schiena e si spostava da dietro al fianco di Taiga, agganciandogli il collo col braccio nella loro posizione preferita. 
- Ma che cazzo dite? - Chris faticava a stare dietro al loro cervello che riteneva piccolo come quello di un microbo, ma a quel punto dietro di loro passarono dei ragazzi che risero indicandoli, dicendo ad alta voce ‘ehi guarda!’ 
Così sia Taiga che Daiki si voltarono fissandoli male e facendo il gesto di rincorrerli per dargliene di santa ragione, gli altri si zittirono e corsero via subito spaventati. 
Si voltarono di nuovo verso il capitano e gli sorrisero vittoriosi, sadici come due bambini spacconi. 
- Ah, ora ho capito! - commentò ridacchiando e scuotendo la testa. - Forse siete meno senza speranza di quello che pensavo, dopotutto... 
I due ragazzi capirono che quello era il suo modo di accettare le scuse, così passarono alla seconda parte della loro missione. 
- Volevamo ringraziarti... senza il tuo aiuto probabilmente avrei combinato un casino. - non era facile dire certe cose, ma non volvano perdere il prezioso posto che si erano resi conto d’avere fra le mani. Fino a quel momento non avevano capito davvero dove erano finiti, avevano solo pensato che fosse un buon trampolino di lancio per il loro percorso di basket. Ma quella mattina avevano capito che era molto di più.
Era un altro posto prezioso. 
- Beh, ringrazia il tuo ragazzo... se non ti avesse fermato con quella forza micidiale, gli avresti dato quel pugno e a quel punto non avrei potuto comunque fare nulla... 
Taiga lo guardò sorpreso di quella sorta di ammissione o complimento. Non credeva d’aver fatto nulla di particolare. Daiki sorrise passando dal ghigno sadico a qualcosa di malizioso, lanciando uno sguardo al compagno accanto che ora non toccava più. 
- Oh, non preoccuparti che poi lo ringrazio come si deve... 
Fu così chiaro cosa intendeva che Chris fece una smorfia mettendo una mano sulla faccia da maniaco di Daiki, lo spinse via e brontolando di non voler sapere nulla di quelle cose, gli intimò di essere puntuali agli allenamenti. 
- Davvero è tutto a posto fra noi? Non sei incazzato? 
Naturalmente si distingueva la sua aria da ‘perenne incazzato’ con quella da ‘veramente incazzato!’ 
Chris, girato a metà, la mani in tasca li fissò serio con un sopracciglio alzato, perplesso. 
- Dal primo istante in cui vi ho visti sapevo che sareste stati delle rogne ambulanti. Ma non sono idiota, dopo che vedo qualcuno giocare riconosco il vero talento e per me è uno spreco se non lo usano e non lo esprimono a pieno. Non uso la forza, anche se potrei, ma uso il cervello. Sono sempre stato così. Finché sarete sotto la mia protezione, posso farvi solo una promessa. Diventerete le stelle di questa squadra. Il vostro talento è troppo puro, non lo sprecherei mai. Mi verrebbe troppo nervoso. Vedete di non farlo nemmeno voi, però! 
Colpiti da quelle sue parole, annuirono inebetiti guardandolo rientrare in aula a recuperare le sue cose al banco. 
Era vero, si dissero senza doverlo fare a parole. 
Erano stati davvero fortunati e non avrebbero sprecato quell’occasione. Decisamente avevano fatto bene a rischiare e buttarsi, col senno di poi potevano dirlo anche se all’inizio era stata dura saltare nel buio. Adesso lì davanti a lui capirono d’aver vinto la scommessa. Era lunga, ci voleva ancora tanto ed il loro cammino era appena cominciato, ma sapevano che sarebbe andata bene.
Perché il successo individuale era determinato sì dal proprio talento e dal proprio impegno personale, ma anche e soprattutto da chi si aveva intorno. Ormai l’avevano imparato entrambi e lì, ritrovandosi in quella che era certamente una bella squadra, un bel gruppo di persone, capirono che grazie a loro sarebbero riusciti ad ottenere quello che volevano. 
Glielo avevano insegnato Tetsuya e Akashi stesso, a modo suo. 
Da soli non si arrivava da nessuna parte.
Sapevano che grazie ad Akashi, Daiki e tutti gli altri erano riusciti ad esprimere al massimo il loro talento e trovare la loro strada nel basket. Così come Taiga sapeva che l’aveva fatto grazie a Tatsuya, ad Alex e poi a Kuroko. 
Perché era così, da soli non si arrivava da nessuna parte. 
“Quando sono rimasto solo ero fortissimo, ma non mi sono mai sentito un vincente. Al To’o non mi sono mai inserito, ero il più forte ma era tutto lì. Non sono mai stato felice in quella squadra. Sono tornato ad esserlo quando ho ritrovato gli altri della generazione dei miracoli. Perciò qua non sbaglierò, non farò gli stessi errori di quella volta. Sarò parte di qualcosa.” 
Andandosene, si ritrovarono a minacciare diverse persone, ma non attuarono mai nessuna finta aggressione e lentamente tutti capirono che non era il caso di prenderli di mira, perché ci avrebbero solo rimesso le penne. 

Così, nell’arco di qualche giorno, nessuno parlò più di loro né li guardò male. 
Al contrario, quando giocarono la prima partita del campionato scolastico e vennero schierati titolari insieme, tutto il pubblico, composto principalmente proprio dai compagni di scuola che li avevano deriso tanto, capirono le parole del capitano che avevano fatto notizia. 
Quei due non erano ‘due froci schifosi’ da prendere in giro. Erano i nuovi assi della squadra di basket della loro scuola. E da lì a poco, vennero osannati ed acclamati come i nuovi eroi dello sport. 


Le braccia di Taiga gli circondavano il collo scivolando sul petto per avanti, erano agganciate a lui mentre lo usavano come appoggio. Sedeva sul divano dietro di lui, mentre Daiki era a terra fra le sue gambe larghe.
Succhiavano entrambi un ghiacciolo che erano infilati in bocca e le braccia del ragazzo sul pavimento erano alzate a cingergli le spalle e la testa, in una sorta di abbraccio che a guardarlo poteva sembrare scomodo ma che forse per loro non lo era. 
Gli sguardi fissi sulla partita di NBA che trasmettevano alla televisione, Cleveland Cavaliers contro Chicago Bulls. 
Non serviva dire che quei due non se ne perdevano una e quando potevano andavano anche a guardarle dal vivo. 
Totalmente assorbiti dalla partita e dalle azioni una più bella dell’altra che si susseguivano, non si accorsero che il telefono prima di uno e poi dell’altro suonavano. 
Li ignorarono totalmente fino all’intervallo del secondo e terzo quarto, quello più lungo, così solo allora si sciolsero le braccia tornando nel mondo dei vivi. 
- Sono di un livello stratosferico! - disse Daiki: - Chissà se li raggiungeremo mai... 
Taiga lo guardò da sopra, meravigliato:
- Che cazzo dici? Certo che li raggiungeremo! Noi giocheremo in quelle squadre! 
Daiki si girò verso di lui, torcendo leggermente il busto per poterlo guardare dal basso della sua posizione sul pavimento. Appoggiò la schiena contro una gamba, mentre sull’altra appoggiò un gomito. 
- Come fai ad esserne sicuro? Essere la stella di una squadra di liceo, per quanto rinomata per il basket, è ben lontano dall’essere là! 
Taiga rimase sorpreso, per un momento. Daiki non era mai stato uno che dubitava di sé stesso né tanto meno che esprimeva eventualmente debolezze se ne aveva. 
Ma forse era una sorta di maturazione. Adesso si apriva. 
“Forse non è vero che non ha mai dubitato di sé. Dubitava eccome, ma se lo teneva dentro facendo solo danni a sé stesso... significa che è maturato?” 
Poi fissò meglio il suo sguardo corrucciato e capì, leggendo in fondo a quegli occhi blu il suo turbamento e la sua fragilità. Quella che aveva sempre avuto. 
“No, non è che è maturato, si sta solo aprendo con me. Finalmente è completamente sé stesso. Dio, com’è fragile, in realtà...” 
Sorrise e dandogli un colpetto con il piede gli indicò col capo di alzarsi. 
- Vieni qua! 
Gli ordinò. Daiki avrebbe discusso, ma in una fase di piccolo sconforto nel rendersi conto che avrebbe potuto non arrivare mai alla meta che puntava da sempre, obbedì sedendosi sul divano accanto a lui. 
Taiga gli prese la maglietta e gliela tolse senza complimenti,  Daiki alzò un sopracciglio perplesso e seccato. 
- Tu risolvi tutto col sesso? 
Il compagno ridacchiò e lo spinse a stendersi giù con la schiena, mentre lui si metteva a carponi ricoprendolo col suo corpo. 
- Non sto risolvendo tutto col sesso. Ti sto rispondendo col sesso. È diverso! 
Daiki non capiva la differenza, ma non riuscì a replicare perché le sue labbra si chiusero sulle proprie impedendogli di rispondere. 
Così come le sue mani non collaborarono con la propria testa che voleva ribattere, dal momento che preferirono infilarsi sotto la maglietta e togliergliela. 
Taiga ghignò scivolando dalla bocca al collo, succhiando via via che scendeva giù fino ad arrivare al suo inguine.
Tirò via i vestiti che ancora indossava prendendosi cura della sua erezione, Daiki sotto di lui, si rilassò adagiando la testa all’indietro, accompagnando quella del suo ragazzo su di sé.
Riuscì ad infilarsi nella sua apertura e lui si godette totalmente la sua lingua e le sue dita che lo penetravano preparandolo per qualcosa che quella sera avrebbe fatto lui. 
Glielo avrebbe concesso, ma più perché ne aveva bisogno.
Sentiva di volerlo dentro, quella volta. 
Aprì le gambe e se le prese con le mani contro il petto dandogli il permesso di farlo. Non che gli sarebbe servito, Taiga se lo sarebbe preso lo stesso, ma ormai era diverso. 
Avevano fatto sesso in ogni modo, in quei mesi. Ormai molti da quando avevano iniziato anche in Giappone. 
Ne avevano fatto davvero molto sfogando ogni desiderio recondito, anche quello meno convenzionale e più maniaco. Si erano divertiti molto a scambiarsi piaceri carnali e darsi orgasmi.
Ma ormai era da un po’ che era diverso. 
Taiga dopo averlo preparato entrò in lui, virile e possente ma anche dolce e delicato, con una certa attenzione. 
Una volta dentro lasciò che le sue gambe si agganciassero ai fianchi, gli si premette addosso con tutto il suo corpo e schiacciandolo iniziò a muoversi, ma solo dopo che gli ebbe preso il viso con le mani e l’ebbe baciato dolcemente. 
Daiki così capì la sua risposta, cosa aveva inteso.
Sorrise senza trattenere il calore di quel che gli aveva trasmesso, lo circondò con le braccia stringendoselo contro e non servì glielo dicesse, né che glielo spiegasse.
Si sentì curato da lui, protetto, capito. 
Taiga non solo era stato colui che gli aveva restituito l’anima perduta, lo era diventato lui stesso, la sua anima. 
Lo aveva sempre capito e gli era piaciuto così com’era, ogni volta, ogni cosa che lui era stato. A lui era sempre andato bene così.
Ed ora capiva, sapeva che lo capiva, ci si sentiva capito.
Capiva la sua fragilità  le sue paure. 
Aveva il terrore di perdere quello che aveva trovato, così prezioso per lui. O di non raggiungere i suoi obiettivi più importanti. 
Paura di perdersi.
Paura di ritrovarsi di nuovo solo nel buio e affondare in una depressione da cui non si sarebbe più rialzato.
Paura di non essere poi così forte da solo, di non riuscire ad arrivare nel posto del più forte come voleva.
Paura di arrivarci e di ritrovarsi di nuovo senza nessuno come quella volta e di non potercela fare.
Paura di molte cose. 
Ma mentre Taiga entrava ed usciva e lo carezzava, baciandolo di tanto in tanto. Mentre gli trasmetteva tutto il suo calore, capiva che non sarebbe mai stato solo per il semplice fatto che lui continuava a capirlo ancora. E che avrebbe continuato. 
Non era solo, Taiga non l’avrebbe mai permesso. 
Da qualche tempo facevano l’amore e dopo essersi dichiarati di amarsi, si consideravano impegnati in una vera relazione e non erano mai stati più felici e sereni di così.
Ogni tanto Daiki tendeva a perdersi e vacillare, ma poi ne parlava con lui e Taiga trovava sempre il modo di aiutarlo e sostenerlo, gli trasmetteva quella sicurezza che, anche se apparentemente non sembrava, gli mancava. 
Mentre raggiungevano l’orgasmo, entrambi non ebbero il minimo dubbio, a quel punto. 
Ce l’avrebbero fatta ed un giorno avrebbero giocato entrambi in qualche squadra dell’NBA. 

Dopo essere stati chiamati ed ignorati dai proprietari, vennero tempestati di messaggi. 
Alcuni minacciosi su come osavano ignorarli dopo avergli dato quella notizia, altri invece pieni di congratulazioni.
Tutti, comunque, dissero che sapevano prima o poi sarebbe successo. 
Il gruppo di whatsapp che gli stava subissando di messaggi era quello della Generazione dei Miracoli a cui avevano aggiunto Taiga per dire che lo consideravano ormai ufficialmente al loro livello. 
Di tanto in tanto si mandavano foto, video e si chiamavano. Erano rimasti in contatto, si sentivano abbastanza regolarmente e tutti stavano lavorando duramente per poter venire in America e seguire il loro esempio.
C’erano buone speranze per tutti e sapevano che era questione di poco prima di rivederli lì. 
Nel frattempo, Taiga e Daiki avevano deciso finalmente dopo qualche mese di relazione fissa e vera, di mandare loro una foto, che in realtà era una risposta a quella mandata da Tetsuya e Ryota che li ritraeva romanticamente abbracciati in una scena che lasciava poco all’interpretazione. Specie grazie alla didascalia: ‘happily ever after’.
Così, ispirati (o provocati) dai due nuovi fidanzatini, Daiki aveva tanto rotto fino a convincere Taiga a fare anche loro una foto di risposta a quella dei loro amici oltreoceano. 
L’immagine fatta col cellulare in autoscatto, li ritraeva insieme sul letto, ovviamente vestiti, ma mentre Taiga faceva metà cuore con la mano, Daiki faceva l’altra metà completando il simbolo dell’amore fra loro.
Sorridevano felici e raggianti ed anche senza quel gesto, avrebbero capito che ormai stavano insieme e che si erano fidanzati. 
Gli sguardi di chi, in realtà, avevano raggiunto quello che era il loro reale obiettivo principale. 
La felicità insieme.