LA VERA SCOPERTA DI SÉ

1. INTERESSE 

mizomizo

Era stata l'enorme ambizione di Zoro ad attirare l’attenzione di Mihawk. Un’attenzione molto difficile da attirare. In pochi ci riuscivano.
Era entrato nella Flotta dei Sette perché glielo avevano chiesto, non perché si fosse proposto lui, ed aveva accettato solo per poter essere lascito in pace e muoversi liberamente. Pace e libertà, infatti, tendenzialmente stavano al primo posto nelle sue priorità.
Di tanto in tanto significava eseguire qualche richiesta del Governo Mondiale al quale era obbligato a sottostare, ma era anche vero che cercavano di disturbarlo il meno possibile proprio per la sua scarsa propensione alla collaborazione. 
Per il resto non aveva mai avuto una ciurma, né uno scopo reale. L’avevano identificato come pirata dandogli una taglia elevata senza realmente esserlo, solo perché si era messo a cacciare marine nel disperato tentativo di incontrare uno abbastanza forte con cui battersi, qualcuno che potesse stimolarlo, ma di fatto non era mai stato un vero pirata, non aveva mai avuto una ciurma. Non gli era mai interessata quella strada. Tesori e ricchezze non erano per lui. Ne aveva di suo e ne usava per condurre una vita agiata ed in solitaria.
Si era stabilito in quel vecchio castello abbandonato in quell’isola abitata ormai solo da umandrilli per stare tranquillo. Passava le giornate nell’accidia più totale a bere vino e leggere. 
Principalmente dormiva e se doveva andare da qualche parte era solo per delle necessità reali e non ne poteva fare a meno o qualche missione imposta dall’alto. 
Fino al suo arrivo a Kuraigana la sola cosa in grado di muoverlo era stata la ricerca di qualcuno abbastanza forte in grado di batterlo, ma dopo aver capito che al mondo non esisteva più nessuno che potesse riuscirci, aveva perso le proprie ambizioni e si era messo lì tranquillo su quell’isola ad aspettare che quella persona un giorno trovasse lui. 
Sapeva che c’era perché l’aveva incontrato e gli aveva promesso che un giorno l’avrebbe battuto e lui aveva capito che ci sarebbe potuto anche riuscire, se gli avesse dato tempo. O per lo meno avrebbe potuto spezzare la sua noia. 
Quella persona era Roronoa Zoro. 
Perciò si era accomodato lì a leggere il giornale nella speranza di trovare qualche notizia che lo riguardasse e che gli dicesse che quel fatidico tanto atteso momento era vicino. 
A parte Zoro, niente per anni aveva scosso la sua indifferenza verso il mondo intero e solo uno l’aveva sempre capito ritrovandosi nelle sue stesse condizioni, in un certo senso. Demotivato dalla mancanza di stimoli per via della loro enorme forza.
Shanks il Rosso, un pirata del suo stesso calibro con cui di tanto in tanto in passato avevano trascorso il tempo per ammazzarlo un po’.
A volte con la spada, altre fra le lenzuola. 
Si erano sempre equivalsi, ma quando aveva perso il braccio Mihawk aveva smesso di affrontarlo in duello e si era limitato ad allietarsi le notti quando si incontravano. 
Al di là di lui, era sempre tutto così piatto ed uguale che a volte nemmeno la loro compagnia li aveva aiutati a distinguere il nulla ed il vuoto in cui esistevano ormai, tanto che infatti non si cercavano poi così spesso, ma solo quando avevano novità da raccontarsi e quindi qualcosa li stimolava in qualche maniera. 
Erano anche i soli che venissero considerati in qualche modo uno dall’altro.
Fino all’incontro di due ragazzi con delle pretese e ambizioni non da poco. 
Quando Mihawk si era imbattuto in Zoro, la sua ambizione enorme l’aveva colpito destandolo dal suo sonno mentale ed emotivo. 
Voleva diventare lo spadaccino più forte del mondo, ma vi era lontano anni luce. Eppure era stato serio e solenne al punto da farsi ferire consapevolmente al torace rischiando di morire, pur di fargli capire quanto forte fosse la sua ambizione. 
Aveva stimolato il suo interesse, quel giorno, e l’aveva lasciato in vita sperando di rivederlo, stuzzicandolo a cercarlo di nuovo per mantenere la sua parola. 
Quando aveva visto sul giornale la sua prima taglia, aveva rivisto Shanks. Per lui rivedere Shanks equivaleva a riconoscere d’essere stato colpito e interessato da qualcosa, altrimenti la sua calma piatta persisteva e gli permetteva solo di dormire, leggere e bere vino. 
Quando si era confrontato con lui per quella occasione, gli aveva detto che il capitano di quel tipo bizzarro era un suo conoscente, l’aveva riconosciuto per via del suo vecchio cappello impossibile da confondere con quello di qualcun altro.
Quel tipo era ancora più bizzarro dello spadaccino perché aveva dichiarato di voler diventare il Re dei Pirati, ma anche lui non era in possesso di una forza minimamente vicina per quel titolo, eppure non aveva avuto paura di spiattellare in giro la propria enorme ambizione. 
Quando ne avevano parlato, Shanks aveva riso felice guardando la taglia di Rufy, mentre lui ammirava orgoglioso quella di Zoro. 
Il rosso aveva riso carico di vitalità e gioia e lì, guardando il suo viso, Mihawk l’aveva visto rinascere, finalmente. Non si era ingelosito, il loro rapporto era di un livello fuori da qualsiasi definizione. Non stavano insieme, non c’erano pretese, ma in realtà erano gli unici con cui i due avevano quel genere di relazione e per Mihawk, Shanks era il solo che gli piaceva, che rispettava e che lo stimolava. 
In realtà Mihawk lo capiva. Dopo aver raggiunto il massimo stato per un pirata in quel periodo, ovvero il titolo di Imperatore insieme ad altri 3 del suo stesso calibro, Shanks si era come appiattito perdendo gli stimoli a superare quel livello, come se nonostante si potesse fare e lui fra tutti fosse il candidato migliore per riuscirci, non trovasse delle reali motivazioni per farlo. Nulla che lo spingesse a cercare il famoso One Piece. 
Da che lo conosceva l’aveva sempre sentito dire che voleva trovarlo e diventare il Re dei Pirati, lui ed il suo dannato cappello di paglia l’avevano sempre fatto ridere, e Mihawk aveva sempre saputo che ci sarebbe riuscito, che se qualcuno avrebbe potuto, dopo Roger, era proprio lui. 
Tuttavia non l’aveva mai fatto, perciò quando l’aveva visto tornare con la voglia di riprovarci aveva capito che era sicuramente merito di quel ragazzino a cui aveva donato il suo cappello prezioso. 
Ma l’aveva capito. L’aveva perfettamente capito. Perché anche lui si era sentito finalmente preda di una strana modalità che non ricordava d’aver mai assaggiato. 
Era successo quando Roronoa Zoro aveva ottenuto la sua prima taglia: significava che era stato identificato come potenziale pericolo dalla marina. 
Allora era vero, si era detto guardando quella notizia. 
La sua ambizione non era solo la fantasia assurda di una rana nel pozzo.
Quella rana stava finalmente uscendo da quel pozzo e stava diventando qualcosa di più che un piccolo animaletto indifeso. 
Lì, proprio a quel punto, quasi con frenesia e forse pure orgoglio, aveva pensato che non vedesse l’ora di incontrarlo di nuovo, un giorno. 
Finalmente avrebbe vissuto qualcosa in grado di spezzare la propria monotonia e la piattezza. Zoro era decisamente la persona che aveva sempre aspettato, colui che era capace di cancellare quel vuoto e che potesse farlo sentire ancora vivo. 
Perciò quando poi se l’era ritrovato davanti in ginocchio dopo i suoi scatti d’orgoglio dove aveva rifiutato qualsiasi aiuto da parte sua, dopo essere finito nella sua isola in condizioni pietose chissà perché e soprattutto come, Mihawk era rimasto deluso nel vedere che lo implorava di insegnargli l’arte della spada per poter diventare più forte al punto da riuscire a batterlo.
Non era stato tanto l’insolenza mista a follia nel pretendere che lui allevasse lo spadaccino in grado di ucciderlo, a lasciarlo deluso, bensì il fatto che fino a poche ore prima aveva dichiarato, così come l’ultima volta che l’aveva visto, che lui era il suo nemico primo e che la sua ambizione era prendersi il suo titolo di spadaccino più forte del mondo. 
Ebbene in poche ore si era ricreduto, era venuto da lui e gli aveva chiesto aiuto appiccicando la sua fronte grondante sangue sul pavimento.
Sulle prime aveva logicamente pensato che, venendo sconfitto dagli umandrilli che infestavano l’isola, chiedesse aiuto capendo quanto patetico fosse. L’aveva visto come un abbassarsi, l’aveva colto totalmente alla sprovvista. 
Lo conosceva poco, ma in quel poco sapeva perfettamente che quel ragazzo aveva carattere. Molto carattere. Come osava perdere il suo orgoglio solo perché non riusciva a sconfiggere i babbuini, prendere la nave e riunirsi al suo capitano?
Aveva capito che erano stati separati per colpa di Orso Bartholomew e che ora la sua priorità non era nemmeno batterlo, ma solo riunirsi al suo capitano. Non che poi fosse in grado di batterlo nelle condizioni in cui era, il suo livello era ancora lontano anni luce dal proprio, ma ricordava ancora bene il suo giuramento. 
Invece non aveva provato a mantenerlo, aveva solo cercato di tornare dal suo capitano a costo di morire tentando, rifiutando da lui ogni tipo di aiuto. 
Invece poi dopo di questo non solo gli era strisciato davanti in ginocchio, ma aveva pure avuto l’ardire di chiedergli di allenarlo. 
Per un momento l’aveva deluso in una maniera bruciante, tanto che si era odiato da solo per sentirsi così. Aveva giurato a sé stesso che niente e nessuno avrebbe mai potuto farlo star male in alcun modo, né tanto meno turbarlo, infastidirlo o fargli provare qualcosa, perché se provi poi finisci sempre per star male. 
Ma lui l’aveva in qualche modo toccato e poi aveva osato deluderlo.
Tutto fumo? L’aveva giudicato male, quel giorno? 
Aveva avuto tante aspettative nella speranza d’aver trovato qualcuno in grado di uccidere la propria noia e vuotezza che realizzare d’essersi sbagliato aveva fatto male. Proprio come aveva voluto evitare di sentirsi. 
Invece poi l’aveva di nuovo stupito confermando le impressioni avute su di lui precedentemente. 
Quel senso d’orgoglio e soddisfazione, quell’aspettativa si era accesa. L’interesse era di nuovo vivo. 
Zoro aveva sconfitto tutti gli umandrilli e cercava disperatamente un modo per diventare più forte, non voleva più tornare dal suo adorato capitano facendo fuoco e fiamme a costo di andarci a nuoto. 
Le sue priorità erano cambiate, ma era rimasto profondamente colpito, più ancora del loro primo incontro. Perché per il suo capitano, per diventare più forte per lui, era disposto addirittura a mettere da parte la propria enorme ambizione, quella per cui, tempo addietro, era stato disposto a morire su due piedi guardandolo in faccia. 
Una volta rimasto solo, dopo averlo accettato come allievo, Mihawk si era perso nei propri pensieri. 
“Quando un uomo come lui ingoia il suo orgoglio lo fa sempre per qualcun altro. Qualcuno che conta più di ogni altra cosa. Non mi ero sbagliato, so perfettamente di essere la persona più importante per lui, il suo scopo, lì dove vuole arrivare, ciò che lo spinge ad andare avanti ad ogni costo. Sono il suo scopo principale, la sua ambizione, ma adesso improvvisamente c’è qualcun altro. Sono il secondo. Sopra di me e la sua ambizione adesso c’è il suo capitano. Gli ordina in qualche modo in codice di star lontani e rinforzarsi per chissà quanto tempo e lui accetta e non solo, si inginocchia davanti a me, alla persona che ha giurato di battere un giorno, e mi implora di insegnargli la spada.”
Mihawk chiuse il giornale e bevve il vino nel calice. 
Il calore invase la gola e scese giù velocemente.
Sarebbe stato bello, un giorno, perdere il controllo e la ragione, lasciarsi andare, ma per quanto bevesse non succedeva più niente a strapparlo via dal proprio eterno stato piatto psico fisico.
Fino ad ora.
Ora quel calore lo provava di nuovo e non per il vino. 
“Se non avessi il ragazzo qua, andrei da Shanks...” pensò senza mezzi termini e con un unico scopo.
Quella scintilla, quella voglia di fare qualcosa, non sapeva bene cosa, non certo allenare qualcuno. Ma quello era un mezzo per ottenere qualcosa che adesso voleva, che adesso aveva voglia di fare e avere. 
“Meraviglioso.” pensò sentendo quel calore improvviso fluire in tutto il suo corpo, concentrandosi in una zona che di norma veniva stimolata appunto solo da Shanks. 

Il suo livello non era sufficiente, non lo sarebbe mai stato e per lui la cosa più essenziale era essere forte per poter proteggere Rufy.
Sapeva che quei due anni separati passati ad allenarsi sarebbero stati la cosa più difficile della sua vita, ma non poteva farci nulla. Era giusto, aveva ragione Rufy. Al livello in cui erano si sarebbero solo fatti ammazzare. Dovevano diventare forti a qualunque costo.
Aveva saputo quello che gli era successo e poteva solo immaginare quanto male stesse. Rufy ora stava superando l’inferno ed era da solo. Sicuramente sostenuto da Raylaigh, perciò almeno per quello era sereno, ma fondamentalmente senza di lui. Era inaccettabile, l’idea di averlo abbandonato nel momento di maggior bisogno lo faceva diventare matto.
Zoro stando con lui aveva sperimentato una maturazione e dei cambiamenti di cui era solo vagamente consapevole. 
All’inizio non aveva visto di buon occhio l’essere un pirata infatti li cacciava, era uno che non si concedeva la minima distrazione e che non vedeva il mondo come un mezzo per raggiungere l’autorealizzazione. Ma Rufy era entrato nella sua vita come un turbine e gli aveva fatto capire che essere pirati significava essere felici e liberi mentre si raggiungevano obiettivi importanti. Ed in seguito lo era stato. 
Felice. 
Felice con Rufy, in particolare, al punto che era diventato sempre più il suo centro gravitazionale. 
Lentamente la sua vita non si era mossa in funzione della promessa a Kuina di diventare lo spadaccino più forte del mondo, come fino a prima di incontrare Rufy, ma a quella fatta a lui di non perdere più.
Poi forse se n’era fatto un'altra di promessa, che non si era mai detto razionalmente. 
Quella di proteggerlo a costo della propria vita. 
Adesso era lui la sua priorità principale. 
Né diventare lo spadaccino più forte, né non perdere mai più. Ma solo Rufy. 
Far sì che lui sopravvivesse ad ogni costo.
Per questo si era sostituito a lui con Orso Bartholomwe quando l’aveva quasi ucciso al posto di Rufy. L’aveva fatto senza esitare, tenendoci ad essere lui. Lui e nessun altro.
Perché era stato lì, precisamente in quel momento, che Zoro aveva capito di amare perdutamente Rufy con ogni angolo remoto di sé.
Mentale, spirituale, carnale. Tutti i sensi e i modi in cui si poteva amare qualcuno.
Avrebbe dato la vita rinunciando ad essere il più forte spadaccino del mondo. Non importava più nulla, se era per farlo sopravvivere, per proteggerlo e salvarlo.
Non avrebbe mai potuto vivere in un mondo in cui Rufy non c’era. L’aveva compreso in una maniera lampante. 
Non gli era importato niente di ingoiare l’orgoglio e calpestarsi al punto da umiliarsi a chiedere aiuto al suo nemico principale, quello a cui l’aveva giurata da sempre. 
Si era inginocchiato ed aveva chiesto ad Occhi di Falco di allenarlo ed era andato bene così perché almeno in quel modo avrebbe potuto proteggere Rufy da qualsiasi cosa, quando si sarebbero rivisti. 
Perché era quello che contava di più, la sua nuova ambizione. 
Rufy e nessun altro. 
“Due anni ...” si disse Zoro dopo aver spiegato a Perona come faceva a sapere da una foto sul giornale che Rufy non voleva che la ciurma si riunisse subito ma dopo due anni. 
“Due anni sono tanti, un’infinità senza la persona che amo, ma sono pochi per raggiungere il livello che devo. In due anni devo essere così forte da battere Occhi di Falco, o tutto questo sacrificio non avrà senso.”
Non aveva rinunciato alla propria ambizione personale, voleva sempre sconfiggerlo per essere lo spadaccino più forte del mondo e mantenere la promessa fatta a Kuina, ma l’avrebbe usato per quello che ormai era diventato lo scopo principale. Essere così forte da poter proteggere Rufy. 
Sapeva che due anni per arrivare al livello dell’uomo che viveva in quel castello non erano per niente tanti. Perché sapeva perfettamente, ora, quanto distante erano i loro livelli. 
Era forse migliorato dal loro primo incontro, ma non abbastanza.
“Due anni con lui...” realizzò poi mettendo giù il giornale e alzandosi in piedi con la frenesia di uno che non sembrava per niente ricoperto di ferite dalla testa ai piedi, fra vecchie non ancora rimarginate e nuove. 
Non sapeva bene perché Perona l’aveva salvato arrivato in quell’isola dopo che Orso ce l’aveva spedito, così come non sapeva perché mandarlo proprio lì da Occhi di Falco. Cosa sapeva di loro? Qual era il suo scopo?
Zoro non sapeva molte cose, ma non cambiava nulla, non si sarebbe fermato. Sapeva cosa fare ed intendeva andare avanti come un treno. Avrebbe ottenuto ciò che voleva. 
Avrebbe raggiunto il livello di Occhi di Falco, l’avrebbe battuto e superato e poi sarebbe tornato da Rufy per proteggerlo per il resto delle loro vite. Non gli si sarebbe mai più staccato. 
Zoro si stiracchiò come se stesse fisicamente benissimo. Delle fitte dalle ferite non ancora rimarginate gli partirono, ma lui le ignorò completamente. 
- Quell’uomo ti ha detto di riprenderti dalle ferite prima di allenarti, non puoi andare di già! - la voce petulante della ragazza fantasma lo perseguitò anche fuori dalla camera dove l’avevano sistemato, mentre lei volava col suo ombrello gotico e lui proseguiva per il corridoio alla ricerca di ‘quell’uomo’. 
Ovviamente non l’ascoltava. Nella sua testa c’era ben altro, mentre si sentiva eccitare all’idea di due anni con lui e concentrarsi solo sul diventare forte e basta. 
Da un lato gli mancava già Rufy, dall’altro capiva che era una sorta di salvezza. 
“In realtà mi farà bene staccarmi da lui. In due anni troverò il modo di sopportare lo stato pietoso in cui sono finito da quando ho capito che lo amo. Ogni istante era buono per saltargli addosso, ma so bene che non posso. Oltre ad essere il mio capitano, siamo compagni di ciurma. Non si fa casino con i ruoli ed i rapporti. E poi lui non è come me, non mi penserebbe mai nella stessa maniera e rovinerei tutto. Perciò in due anni dovrò anche capire come ci si controlla quando si vuole saltare addosso a qualcuno per farselo a tutti i costi. Non so perché ma sento che qua con Occhi di Falco troverò tutti i mezzi necessari per raggiungere i miei scopi.” 
Non aveva idea che a trasmettergli quelle consapevolezze era il suo haki della percezione. Aveva sempre istintivamente saputo e sentito determinate cose e quello era dovuto al suo haki. 


“Merda, forse dopotutto aveva ragione Occhi di Falco a dire che dovevo prima riprendermi del tutto...” fu l’ultimo pensiero coerente di Zoro prima di sentirsi strappare via da sé stesso. Con uno sforzo immane e grazie al dolore delle ferite vecchie che si erano riaperte sotto quelle nuove e fresche, tornò cosciente ma era consapevole che non ne avrebbe avuto per molto. Era appoggiato alle sue tre spade che stringeva come un forsennato non riuscendo più a brandirle per usarle contro gli avversari.
“Sei proprio pietoso, Zoro. Pensavi di poter difendere il tuo capitano in queste condizioni? Ma fammi il piacere!”
Denigrarsi non lo aiutò a ritrovare le forze per continuare a combattere, ma improvvisamente un’onda d’urto familiare fece volare via gli umandrilli intorno a sé che stavano per fargli la festa; proveniva da una spada terribilmente potente già incontrata, riconoscendola Zoro con una smorfia imprecò sentendosi cadere non riuscendo più nemmeno a tenersi su. 
- Non serve che intervieni... - brontolò finendo per tossire perché le ferite al petto gli impedivano di parlare bene e con foga. 
I babbuini intelligenti vennero allontanati il necessario per permettere a Mihawk di raggiungerlo e ignorando totalmente le sue lamentele, lo prese in braccio come una principessa. 
Le mani di Zoro rimasero artigliate sulle else delle sue katane, da sempre la cosa più importante da cui non si poteva separare nemmeno se moriva. 
Per non perdere quelle, non poté opporsi alla presa di Mihawk che sollevandolo se lo portò via. 
Mentre la testa rotolava inevitabilmente a peso morto contro l’incavo del suo collo, provò una strana sensazione che lo prese contropiede.
Calore. Benessere.
Il suo corpo era terribilmente forte e tonico, era in perfetta forma e dallo stile senza maglia e camicia con cui ricordava d’averlo incontrato la prima volta, lo sapeva anche senza bisogno di toccarlo. Ma il proprio corpo dolorante lo stava involontariamente testando.
- Lasciami, non serve che mi porti... - continuò a brontolare con sforzo Zoro senza però opporsi e scendere dalle sue braccia. Pur volendo, non ci riusciva fisicamente; il suo orgoglio gli impediva di accettare così facilmente un aiuto del genere, talmente umiliante per uno che era lì per diventare più forte, ma il suo corpo non voleva saperne più di collaborare. Del resto aveva già fatto abbastanza passando il limite nello scontrarsi con gli umandrilli di prima, adesso era impensabile che tirasse fuori dell’altra forza. Era decisamente al capolinea e poteva al massimo ruggire qualcosa a denti stretti, non certo più muoversi.
Mihawk continuò ad ignorarlo mentre lo portava dentro al suo castello. 
- Sei il mio allievo, adesso. Decido io quando è ora di smetterla e come è giusto trattarti. Sarei un pessimo maestro se permettessi al mio allievo di morire mentre gli insegno. - spiegò gelidamente calmo senza guardarlo. Non che da quella posizione potesse: aveva la fronte incollata al suo collo, ma con essa percepiva i battiti della sua giugulare. Erano totalmente rilassati, nemmeno vagamente alterati. 
Non era arrabbiato, probabilmente non conosceva quella modalità. Non se lo immaginava proprio ad infuriarsi e perdere le staffe. Tuttavia quella frase detta in quel modo calmo, quasi indifferente, quietò Zoro che si arrese lasciando che le palpebre gli si chiudessero. Erano ormai troppo pesanti per combattere ed era vero che non doveva arrivare al livello di Occhi di Falco in un giorno, ma bensì in due anni. Due lunghissimi anni. Quando lo comprese, si sentì cedere anche nelle ultime resistenze. 
“Solo un secondo...” pensò testardo, convinto di poter rimanere sveglio e riattivarsi appena l’avrebbe rimesso giù. Non voleva fare la parte del pivellino, voleva dimostrargli che era già ad un buon punto e che era migliorato molto dal loro primo e unico incontro. Ci teneva. Ci teneva davvero tanto. Troppo.