11. COMPRESSIONE

mizo

Tornare a vedere regolarmente anche al di fuori degli allenamenti per l’haki dell’Armatura, fu molto strano per Zoro.
Alla fine si era privato della vista per mesi e tutto quel che aveva potuto vedere era stato quella specie di palestra. Aveva guardato Mihawk, ma si era sempre concentrato esclusivamente sugli esercizi. 
Riappropriarsi della vista in modo regolare era stato strano e gli era venuto un gran mal di testa.
Non per la luce che era più o meno la stessa nel resto del castello, ma si era come abituato a non vedere e la propria mente aveva compensato la mancanza di immagini visive con altre mentali, aveva sostituito quel che non vedeva anche se avendolo già visto comunque sapeva già com’era fatto.
Ma dopo un po’ le pareti della loro camera si erano sfocate ed era rimasto solo il letto, l’unica cosa con cui aveva prevalentemente interagito. Il salone principale si era ridotto ad il divano o alla poltrona col caminetto, mentre nella cucina c’era stato solo il tavolo e la sedia. 
Il resto aveva perso forma ed il ricordo di quel che era stato era sfumato quasi come fosse stato un sogno e non la realtà. 
Anche rivedere Perona era stato strano. Sapeva bene com’era fatta, ma per mesi era diventata solo una voce fastidiosa. Adesso quella voce aveva di nuovo una forma e stranamente la mente gli restituì il ricordo di quel che era stata. Non era cambiata, forse era un po’ cresciuta fisicamente, ma non era stato come rivederla dopo mesi di assenza. Era sempre stata lì con loro, aveva interagito con lei in modo normale, ma sempre senza vederla. 
Era una sensazione strana e stordente, non riusciva a conciliare i ricordi che si erano quasi annullati con la realtà che tornava.
Una parte della sua mente gli diceva che era tutto come prima, un’altra gli sembrava dicesse che era tutto diverso, ma sapeva che non era così.
Per tutto il tempo della cena rimase in silenzio immusonito e con la testa martellante. Non capiva cosa ci fosse che non andava. Sapeva che era tutto come prima, adesso che lo vedeva lo ricordava. Era come andare in bici dopo tanto tempo, pensavi di non saperlo più fare ma poi quando ci provavi ti rendevi conto che invece lo sapevi fare ancora. 
Eppure gli sembrava che ci fosse qualcosa di diverso. 
Il nero ed il buio ora sostituiti ai colori, alla luce e alle forme lo estraniavano dalla realtà dandogli l’idea di schizofrenia. 
- Ti riabituerai a vedere, presto tornerai come prima con la differenza che la tua Percezione funzionerà molto meglio e quando ti servirà, saprai usarla a comando e molto bene. - spiegò paziente Mihawk. Zoro lo ascoltava con una mezza smorfia, non era la sua voce calma e conciliante a dargli fastidio, bensì la vocina di Perona che parlando a macchinetta gli trapanava il cervello, oltre a questo anche gli occhi gli bruciavano da matti. 
Zoro si massaggiò le tempie e poi gli occhi chiusi annuendo. 
- È strano, mi sembra di essere spaccato in due. Quasi come avere dei ricordi sfalsati. So che non è cambiato niente, ma mi sembra che sia tutto diverso. È quasi come... 
- Se ti mancasse il buio? - appena Mihawk lo disse dandogli prova che lo comprendeva benissimo, Zoro lo guardò di scatto annuendo in fretta. 
- Sì, proprio così! 
Nel sentirglielo, capì che aveva ragione.
- Passerà e starai di nuovo bene. 
Gli dava fastidio stare così. Aveva atteso tanto il raggiungimento completo di entrambi gli obiettivi primari, l’uso dei due haki nella forma base, ed ora che sapeva gli spettavano dei premi non riusciva a goderne come prima di togliersi la benda. 
Non era stata la benda in sé, ovviamente, ma il sapere che dopo di quella sarebbe toccato al sesso. 
Ne era certo e non gli serviva la Percezione per quello, era troppo ovvio.
Ma quel maledetto mal di testa lo stava distruggendo e temeva che non avrebbe potuto godersi quella splendida notte che attendeva da mesi. 

Dopo cena, una volta che Zoro ebbe finito di aiutare Perona a sistemare la cucina e l’ebbe raggiunto nel salone, Mihawk lo guardò e vide che aveva ancora il broncio. 
Era lì piantato come un palo, quando Perona li salutò andandosene in camera come ogni sera, sempre discutendo sulla loro mancanza di empatia, non essendo nessuno dei due tipi da compagnia né da passatempi. 
Zoro aveva ancora quella smorfia e la fronte corrugata, si vedeva gli doleva e stringeva di continuo gli occhi che gli davano fastidio. 
- Chiudi le luci grandi e vieni qua... - fece piano Mihawk con una certa morbidezza che non aveva ben controllato. 
Il giovane senza rifletterci eseguì e quando la luce grande dello stanzone enorme venne spenta, rimasero solo con la luce del caminetto che come di consueto Mihawk accendeva poco prima di cena. 
La luminosità si fece calda e meno intensa creando un’atmosfera soffusa molto intima e familiare. 
Appena si creò vide e sentì Zoro rilassarsi e distendere il volto, quasi come che finalmente la testa e gli occhi gli dessero tregua. 
Una volta che lo raggiunse, rimase fermo in attesa che gli dicesse cosa voleva o che glielo facesse capire. 
Aveva spostato il divano in modo da rivolgerlo come la poltrona verso il caminetto. C’erano volte che si mettevano lì insieme, altre invece preferiva avere Zoro seduto per terra ai piedi della sua poltrona. 
Gli piaceva come si appoggiava con la schiena alle sue gambe e come poi si rilassava sentendo le sue dita sui suoi capelli corti. 
Quella sera era seduto sulla poltrona, ma Zoro aspettava avendo capito che voleva qualcosa di diverso, anche se ancora non ci arrivava.
- Togliti la maglia. - disse prima di farlo sedere. Zoro non discusse, lo fece automaticamente, ma lo guardò perplesso e circospetto tutto il tempo.
Sapeva che era combattuto fra l’eccitazione, la speranza e la paura di non essere in grado di fare quel che tanto voleva per via dello strano stato in cui si trovava. 
“Non ti preoccupare, non faremo niente, stasera.” pensò senza dire nulla. 
Zoro lo guardò, lo studiava con cura con quei suoi occhi ora liberi da coperture. Non doveva usare la percezione per forza, specie perché lo poteva capire da come stava seduto composto e dal fatto che era vestito, che non avrebbero fatto nulla. Non subito.
Di fatto parve comprenderlo, ma non fu solo frutto della sua osservazione visiva, bensì anche della sua percezione che ormai si era acutizzata molto. 
Mihawk era compiaciuto del livello raggiunto, adesso la usava senza rendersene conto e senza nemmeno provarci o volerlo. 
Zoro sospirò scontento e nervoso senza controllarsi, era mentalmente spossato per riuscirci. Suo malgrado si sedette per terra, come voleva.
A Mihawk infatti bastò pensare a come voleva si mettesse, per farglielo fare. 
Prima di permettergli di appoggiarsi all’indietro sulle proprie ginocchia, scivolò giù dalla poltrona e si sedette dietro di lui accogliendolo contro di sé, aprendo le gambe per farlo stare comodo.
Zoro spalancò gli occhi sorpreso nel sentire la schiena adagiata al suo petto, trattenne il fiato e si tese un istante non aspettandosi quel gesto. 
Da quando era lì non si erano mai messi così. Lo faceva stare contro di sé o lo faceva mettere sopra per abbracciarlo. 
Ogni tanto l’aveva fatto stendere con la testa sulle sue gambe. 
Era la prima volta che si sedeva a terra per tenerlo fra le sue braccia in quel modo. 
Quando Mihawk lo avvolse da dietro scivolando con le mani sul suo petto alla ricerca della cicatrice, Zoro rimase fermo per un po’ come a cercare di capire. Infine con una mano sul segno che tanto gli piaceva e l’altra a carezzargli il volto, lo sentì che capiva e voltandosi perplesso e apertamente contrariato, gli regalò da vicino i suoi splendidi occhi verdi. 
- Non lo faremo nemmeno stasera? 
Era la prima volta che glielo diceva apertamente.
Fino a quel momento Zoro era stato bravissimo ed era stato alle regole. Gliele aveva dette una volta e da lì non era più uscito dalle righe. Non si parlava, non si dava voce alla loro volontà, né ai desideri. Nessuna domanda. Zoro doveva sempre capire da solo cosa voleva il suo maestro usando la percezione. 
Ci era riuscito, il più delle volte. Alcune no, ma Mihawk non ne aveva fatto un dramma. 
Adesso però vedendosi negare la cosa di cui si era tanto convinto avrebbe avuto al raggiungimento dei primi obiettivi, si sentì spaccare.
Il livello di compressione era ormai ben oltre la sopportazione e lo testimoniò il fatto che il suo alunno ora osasse addirittura chiedere. 
Mihawk non rispose, si limitò a tenerlo fra le braccia e contro il proprio petto, lo stringeva a sé senza usare la forza né costringerlo, le dita giocavano col suo mento.
Il maestro sentiva benissimo ogni cosa del suo allievo, che stava bene lì su di lui e che si sentiva fisicamente meglio, ma per contro la delusione lo stava bruciando. Non nella testa e negli occhi. Il fuoco ora era nel petto, proprio lì dove lo stava toccando.
- Sto bene, adesso sto molto meglio, non devi avere riguardi... 
Mihawk lo ascoltò senza tradire emozione né stupore per il fatto che si stesse addirittura lamentando. 
“Eccolo qua la mia bestia selvaggia. Domani ti scatenerai per benino...” pensò felice il proprietario di casa pregustandosi quel che sarebbe successo il giorno successivo. 
In risposta lo girò ancora un po’ verso di sé e lo baciò. Zoro accolse le sue labbra, ma non si ammorbidì e non si scaldò come al solito. Non partì alcuna eccitazione. 
- Non mi darai nemmeno uno straccio di spiegazione, eh? Come sempre, del resto! Devo capire io! Pensavo che la mia Percezione funzionasse meglio, evidentemente mi sbagliavo. 
Mihawk lo lasciò sfogarsi indispettito e nervoso mentre gli si riappoggiava di nuovo contro il suo petto, voltandosi verso il fuoco e scivolando leggermente in avanti col sedere. Si accoccolò meglio contro di lui nonostante si sentisse una tigre in gabbia e volesse gridare. Ma restava perché lì era comunque meglio che altrove.  
Mihawk lo tenne a sé tornando ad abbracciarlo e con le dita che giocavano sulla sua pelle sensibile e calda, si compiacque del livello raggiunto. 
- Funziona molto meglio, ma devi imparare ancora a leggere la realtà rispetto alle tue speranze o paure. Quando desideri tanto qualcosa o ne hai paura, la tua Percezione viene falsata. 
Sapeva che Zoro pensava fosse un’altra lezione da imparare, ma lo sentì teso contro di sé nonostante rimanesse lì e non se ne andasse. 
Preferiva comunque avere quel che gli concedeva, piuttosto che non avere nulla, perché comunque era troppo bello stare lì fra le sue braccia, sotto le sue mani che lo carezzavano e lo rilassavano.
Zoro chiuse gli occhi abbandonando la testa sulla sua spalla, girò il capo verso di lui mentre Mihawk faceva altrettanto lasciando che la sua fronte si premesse sulla propria bocca. A quel punto la testa smise di fargli male e gli occhi di bruciare. Quando lo percepì, Mihawk sorrise baciandogli lì dove le labbra appoggiavano in un gesto sorprendentemente tenero. Un gesto più per sé che per il ragazzo fra le sue braccia. 
Zoro sospirò rimanendo lì, spaccato in due fra lo stare comunque bene e sicuramente meglio di prima a cena e la delusione che strisciava e continuava a bruciargli l’anima. 
Non poteva più resistere. 
Quando il giorno dopo gli avrebbe continuato a negare le spade, sarebbe esploso. Ne era sicuro. 

La sensazione della bomba ad orologeria dentro di sé venne tenuta a bada dalle braccia di Mihawk avvolte su di lui, così come dalla sua bocca sulla fronte e quel calore portato dal contatto del petto scoperto dalla camicia aperta contro la propria schiena. 
Lo sentiva, era come se ci fosse un ticchettio dentro di sé, ogni tanto accelerava, altre decelerava. 
In quella posizione per terra davanti al caminetto, Zoro sentì il mal di testa scemare e quei ticchettii rallentarono. Una volta nel letto, nella stessa di sempre, viaggiarono su molti alti e bassi, ma a quel punto aveva già capito con delusione che non l’avrebbero fatto. 
Si diede dello stupido per tutta la notte, come aveva potuto credere che quello scoglio l’avrebbe superato solo grazie all’apprendimento dei due haki che gli stava insegnando? Non glielo aveva mai detto chiaramente, tanto meno trasmesso con la mente. Semplicemente lui se ne era convinto, ma era come aveva detto il suo maestro.
L’aveva sperato così tanto che si era influenzato da solo. Se non poteva fidarsi del proprio haki nei momenti cruciali, a che serviva? 
Supponeva che tutto quello facesse parte dell’addestramento. Mihawk usava ogni cosa della loro convivenza per insegnargli e il sesso era probabilmente solo un altro mezzo.
Eppure quando lo teneva fra le braccia, quando le sue dita lo carezzavano soffermandosi in particolare sulla cicatrice, Zoro era sicuro che piacesse anche a lui. Non era il solo a beneficiarne. Gli piaceva stringerlo e coccolarlo e lo desiderava. Ne era sicuro. 
Si desideravano entrambi, ma Mihawk prima voleva qualcosa da lui, quello era sempre stato chiaro, ma aveva pensato fosse impadronirsi dei due haki. 
Tuttavia gli aveva appena dimostrato di non padroneggiare uno dei due alla perfezione, mentre per l’Armatura gli aveva accennato al fatto che ora sarebbe arrivata la fase più difficile. Non sapeva cosa ci fosse ancora dopo il trasformare una parte del proprio corpo in acciaio nero, ma non aveva importanza. Si fidava di lui, sapeva che non l’avrebbe deluso come maestro, ma temeva che con la questione personale, quella relativa al piacere a cui teneva comunque molto perché rappresentava un vero e proprio bisogno fisico, Mihawk lo stesse ingannando.
Sapeva quanto Zoro volesse fare sesso con lui e gli dava tanti indizi e contentini per fargli credere di doversi fidare, che poi non se ne sarebbe pentito e che alla fine avrebbe ottenuto il massimo del piacere mai immaginato. Era molto abile a fargli sperimentare certe cose che lo sconvolgevano per quanto lo facessero godere anche a livello mentale, ma iniziava a temere che fosse tutto un trucco per scatenargli l’haki della percezione.
Sì, perché quale altro motivo ci sarebbe potuto essere?
Gli haki che gli solveva insegnare erano quei due, non riusciva a trovare altre ragioni dietro al suo strano comportamento illeggibile. 

Il mattino successivo Zoro venne svegliato da un ticchettio martellante. Non era la testa che gli aveva preso a fargli di nuovo male, era un ticchettio che gli stava nelle orecchie.
Gli sembrava di essere impazzito.
Quel giorno fece le solite cose vedendoci per la prima volta, eseguì tutto diligentemente e apparentemente normale, ma dentro di sé era molto teso.
La fronte corrugata, le labbra imbronciate.
I ticchettii ancora ad infastidirlo. Adesso non deceleravano più, non cerano momenti in cui allentavano. Andavano veloci ed in crescendo.
Zoro si rifiutò di fare colazione, non riuscendo a mettere niente nello stomaco che era chiuso a doppia mandata. 
Mihawk pareva ignorare totalmente il suo evidente stato di disagio. 
Zoro era consapevole che lui sapeva tutto, che percepiva e gli leggeva tranquillamente dentro, non aveva bisogno di spiegargli niente. Con il suo maestro le parole erano sempre state superflue ed ora sapeva che era nervoso, che era deluso, che aveva rimuginato come un vortice su tutto, ma non pareva turbato né interessato. Quasi ne era contento, ma non poteva dirlo realmente perché appariva il solito Mihawk staccato e professionale di sempre. 
Zoro stava per esplodere, ma si morse la lingua tutto il tempo e rimanendo in perfetto silenzio, una volta che ebbe finito le solite faccende post colazione, lo seguì verso l’uscita principale. 
Per un momento la speranza salì alle stelle, il ticchettio cessò e tutto si sospese mentre un’ondata di speranza inattesa lo investiva. 
Per tutta la notte si era convinto di essere stato ingannato, ma forse si era sbagliato, questo pensò Zoro preso alla sprovvista mentre lo seguiva verso l’uscita dal castello. Forse, invece, la verità era che dopo aver appreso l’Armatura, finalmente avrebbe potuto sfoderare le sue spade e proseguire con l’addestramento tanto voluto. 
Le sue lame gli mancavano come gli sarebbe mancata l’anima se si fosse potuta staccare dal corpo. 
L’eccitazione salì facendolo sentire come colpito da un fulmine che invece di devastarlo e ucciderlo, lo ricaricava facendolo diventare elettrico. Si sentiva pronto, pronto più che mai, per andare contro quegli umandrilli che l’aspettavano fuori. 
Però prima di varcar la porta, Mihawk si fermò davanti e prima di aprirla si voltò verso di lui, lo guardò altezzoso e scostante e allungando la mano, disse fermo: - Dammi le spade. 
Zoro spalancò gli occhi stringendole istintivamente. 
Il ticchettio tornò, questa volta insieme ad un ronzio. 
- Cosa? 
Mihawk non si scompose, rimase col palmo proteso a guardarlo dritto negli occhi, gelido più che mai. 
- Le spade. - ripeté calmo. 
Zoro prese dei profondi respiri, aveva giurato due volte di sottostare a qualsiasi ordine dato dal suo maestro e quello era sicuramente parte dell’addestramento. Poteva avere dubbi sul del sesso usato come mezzo per insegnargli la Percezione, ma la privazione delle spade sapeva perfettamente che si trattava solo di addestramento. 
Non lo comprendeva, non lo capiva proprio, ma doveva fidarsi, non poteva evitarlo. Doveva. 
Di sicuro non lo stava portando alla sua lenta morte. 
“Dopotutto sapevo non sarebbe stato facile. Per quanto non capisca, non posso far altro che seguirlo.”
Seppure con una fatica immane, Zoro gliele consegnò; era teso in ogni muscolo del corpo, si vedevano tutti, ricoperti dalle vene pulsanti che venivano in superficie. 
Mihawk le prese con una tranquillità che contrastava enormemente coi modi di Zoro di puro e chiaro sforzo e le posò accanto alla porta, poi lo precedette fuori uscendo per primo.
Il giovane dovette prendere dei respiri profondi, ma lo seguì guardando un’ultima volta le sue tre katane. Era seccato, nervoso, isterico, allucinato. 
Cosa voleva da lui?
Fuori c’erano gli umandrilli, come poteva pretendere che li affrontasse senza le sue spade?
Che addestramento era quello?
Era impazzito?
- Io non sono Rufy, non combatto con i pugni. - gli ricordò cupo, faticava enormemente a non essere maleducato e aggressivo, ma si capiva che non era felice né realmente accondiscendente. 
Mihawk rimase in silenzio fino al raggiungimento di una zona che faceva da confine fra il territorio del castello e quello degli umandrilli.
Ci misero poco a percepirli e ad avvicinarsi. Iniziarono ben presto a sentirsi i loro versi di guerra ed eccitazione, i rumori delle spade contro gli scudi proprio come un esercito che si preparava alla guerra. 
Zoro rimase fermo, in attesa, i pugni stretti, i muscoli tesi, la vena che batteva e quel ticchettio.
Quel dannato ticchettio accompagnato dal fischio, quello che precede un fulmine. 
Cosa voleva da lui? Si decideva a dirglielo? 
Mihawk vedendo che si avvicinavano come una schiera pronta alla battaglia decisiva, si fece indietro e con le braccia incrociate al petto e l’aria saccente, distante da lui anni luce, quasi come non avessero condiviso momenti intimi nelle sere precedenti, disse: - Adesso sconfiggili. 
Ovviamente Zoro non aveva dubitato si trattasse di quello, quel che voleva sapere da lui era  altro. 
- E come diavolo pensi che faccia senza le spade? 
- Ti ho insegnato quel che ti serve per farcela. - disse freddamente. 
Zoro sapeva che in quel momento Mihawk era il suo maestro più che mai e non poteva dissentire o l’avrebbe perso e non poteva, ma non ce la faceva. 
Non ce la faceva proprio più. Zoro era arrivato al limite.
- Non so cosa ti aspetti che faccia o cosa vedi in me, ma se pensi che io possa farli fuori senza le mie spade, ti sbagli. So usare l’Armatura, ma non sono uno che tira pugni. Lo posso fare per chiudere la bocca ad un pezzo di merda, ma per sconfiggere un esercito di esseri mutanti superiori, non posso. 
- Ne hai già sconfitti una parte. 
- Avevo le mie spade. E comunque non c’era il capo. - gli ricordò irriverente ed incalzante. Mihawk si voltò e se ne andò spostandosi sopra delle macerie più alte adatte a fargli vedere dall’alto la scena. 
- Allora vorrà dire che ti guarderò morire. - rispose gelido. 
Zoro lo guardò sconvolto che davvero lo mollasse lì così. Era impossibile che si aspettasse da lui che li sconfiggesse senza spade. Era chiaro che Mihawk vedeva in lui qualcosa che però non comprendeva e lo infastidiva perché sapeva di dover fare qualcosa che lui si aspettava, ma non sapeva cosa. Non ne aveva idea.
Ticchettii assordanti. Ronzii elettrici. 
Tornò a voltarsi verso le bestie, avevano gli occhi rossi ed erano tutte assetate, eccitate e furiose. Volevano ucciderlo. 
Zoro aveva sconfitto una grossa parte del loro esercito, poi loro si erano vendicati solo in parte perché prima di ucciderlo Mihawk l’aveva salvato e nascosto nel castello. Non si faceva vedere da mesi e sicuramente non si erano soddisfatti. Ora finalmente tornava a mostrarsi, non se lo sarebbero mai fatto scappare. 
Zoro si vedeva già morto, ma gli venne in mente Rufy. 
Aveva giurato. Aveva giurato di diventare più forte a qualunque costo e anche se era una prova assurda che non capiva, doveva farcela. Doveva provarci. 
Normalmente si sarebbe detto ‘a costo di morire’, ma non poteva. Non voleva. 
Non doveva morire. 
Doveva rimanere vivo e tornare da lui. Rufy l’aspettava. 


Note Finali: ho una visione un po' personalizzata dell'haki della Percezione, ma nell'opera originale ho visto che in realtà è un tipo di haki molto vario che ognuno usa in modo diverso e perciò ho pensato che potesse starci come lo usano loro, che non fosse così improbabile. Altra cosa, so bene che in realtà Zoro non è ancora pienamente consapevole dell'haki del Re Conquistatore ma siccome tutte le volte che lo usa non capisce cosa fa realmente, ho pensato che potrebbero essere plausibili altri episodi simili.  Grazie dell'attenzione. Alla prossima. Baci Akane