17. CAPIRSI È DIFFICILE

mizomizo

Zoro aveva perso in poco tempo ogni sua certezza, dopo che aveva impiegato un tempo non trascurabile a trovarle. Passare dall’appartenere ad una ciurma di pirati che per lui era faticosamente diventata una famiglia degna di fiducia, al abbandonarli e star loro lontani cavandosela da solo, cambiando totalmente obiettivi rispetto a quelli posseduti fino a quel momento, l’aveva destabilizzato non poco. 
Da quando aveva perso Kuina a quando aveva incontrato Rufy il suo scopo era stato solo diventare lo spadaccino più forte del mondo. Poi era passato al voler diventare così forte da non perdere mai per proteggere Rufy ed essere degno di stargli accanto. Se ne era addirittura innamorato trasformandolo nella persona più importante della sua nuova esistenza, aveva spodestato Kuina ed era successo nel momento in cui si era inginocchiato davanti a Mihawk per chiedergli di allenarlo. 
Ma ecco che dopo di quello, perdeva Rufy e la ciurma, la sua nuova famiglia, la sua casa galleggiante, le sue certezze faticosamente trovate e perdeva ogni scopo. Non doveva più navigare con gli altri alla ricerca dello One Piece, né poteva seguire Rufy allo scopo di proteggerlo e permettergli di diventare il Re dei Pirati. Non poteva nemmeno pensare di mantenere la promessa a Kuina, perché non era ancora pronto per essere lo spadaccino più forte del mondo. 
Perciò per l’ennesima volta si era ritrovato senza casa, famiglia, amici, scopi e piani. 
Doveva diventare forte, più forte. Tutto lì. Per poter proteggere Rufy e poi, un giorno, forse, mantenere anche la promessa a Kuina.
Ma la verità era che nel perdere Rufy e gli altri, Zoro aveva perso anche sé stesso. Si era irrimediabilmente perso ritrovandosi privo obiettivi e certezze, senza il suo faro che illuminava la notte e lo guidava nel mare in tempesta. Orfano della luce di Rufy, Zoro era quasi annegato senza rendersene conto, perciò si era semplicemente aggrappato al primo salvagente che aveva incontrato non sapendo cosa fosse né dove lo stesse portando. 
Adesso ne era più consapevole, l’aveva visto meglio, ma ugualmente non sapeva dove stessero andando, né se potesse fidarsi, però Mihawk era una luce a sua volta ed in quel momento non poteva far altro che aggrapparsi a lui, perché non ne aveva di sue.
Zoro non era una luce. 
La prima era stata Kuina, poi l’aveva persa ed allora si era aggrappato a Rufy ed ora aveva momentaneamente perso anche lui ed ecco che ne compariva un’altra. Mihawk.
Poteva fidarsi? L’avrebbe davvero riportato da Rufy, all’altra sua luce, lì dove voleva tornare con tutto sé stesso? 
Zoro non sapeva se si fosse aggrappato alla luce giusta, ma non aveva scelta che rimanere lì e proseguire nella speranza che lo portasse nel posto giusto, dove voleva andare. 
Non ci vedeva ancora e forse era nato cieco e non ci avrebbe mai visto. 
Era questo che era? Quando Mihawk gli diceva che avrebbe conosciuto lati di sé che non avrebbe mai immaginato e che ancora non sapeva niente, intendeva questo? 
Che lui era in realtà un cieco che viveva per aggrapparsi alla luce di qualcun altro, qualcuno in grado di guidarlo perché lui non vedeva? Era questo, dopotutto? 
Andava bene così o doveva lottare per poterci vedere da solo? Proprio mentre si trovò a porsi questa domanda, nel mezzo della meditazione di fine giornata, dopo un lunghissimo e duro allenamento durato dal mattino fino al pomeriggio tardi senza pause, Zoro aprì gli occhi rendendosi conto che stava di nuovo cadendo proprio lì nel suo vecchio maledetto difetto. 
Aprì gli occhi seccato ed indispettito, per nulla in pace ed equilibrato nonostante l’ora abbondante di meditazione. 
“Mihawk mi ha detto di smettere di combattere contro me stesso e cosa stavo per fare di nuovo? Combattevo contro me stesso! Non devo modellarmi a seconda di ciò che voglio, devo conoscermi. Conoscermi e accettarmi. Solo una volta che l’avrò fatto, potrò dire di essere forte. Mihawk me l’ha spiegato sorprendentemente bene, perciò non c’è spazio per altre interpretazioni. Niente lotte. Solo accettazione. Se sono un cieco dalla nascita e non vedrò mai, allora devo aggrapparmi a qualcuno di cui mi fido e che ci vede al mio posto. Devo seguire. Seguire e basta. Appena mi arrenderò a questo, troverò conforto.”
Di questo ne era sicuro, ormai, ma quel che non funzionava però era la pratica. Fra il sapere quel che doveva fare ed il farlo, c’era di mezzo un bel po’ di vecchie brutte abitudini difficili da sradicare. 
Non significava arrendersi, non doveva fare quello. Significava accettarsi. Era diverso. Molto diverso.
Sospirando scontento e frustrato, Zoro scosse il capo, alzò gli occhi al cielo e si mise in piedi uscendo dalla sala degli addestramenti. Il cammino verso sé stessi era ancora lungo. 

Mihawk sollevò gli occhi dal giornale lanciandogli brevemente un’occhiata vedendolo entrare. Dal modo in cui sbatté la porta e dalla sua camminata, capì che qualcosa l’aveva indispettito e non capiva di cosa si trattasse. Avrebbe potuto leggergli dentro con la Percezione, ma aveva deciso di non usare l’haki su di lui e di non farlo usare nemmeno a lui su di sé. Quel ragazzino era davvero interessante. 
Una contraddizione vivente, per nulla facile averci a che fare.
In certi aspetti era semplice e lineare, per altri era contorto e strano. 
Gli allenamenti erano ormai molto intensi, ma finalmente stavano dando frutto. 
Imparare a far fluire l’haki dell’armatura nelle spade era molto difficile, perciò non c’era da preoccuparsi che ci mettesse molto. Mihawk aveva immaginato da subito che gli ci sarebbero voluti tutti i due anni interi e non stava disattendendo le sue aspettative. Dopo qualche mese le cose finalmente stavano migliorando sotto quell’aspetto. 
Zoro aveva un braccio dominante anche se usava tre spade ed era fondamentalmente ambidestro, però la destra per lui era la mano più usata e di conseguenza quella che aveva imparato meglio l’haki dell’armatura nella versione base. Sempre con quella, infatti, stava riuscendo ad infondere le prime tracce di haki nella katana, sebbene ci riuscisse esclusivamente con quella che impugnava con quella mano e non fosse una cosa molto stabile. 
“Se avessimo più tempo gli insegnerei ad infondere l’haki del Re Conquistatore nelle lame, oltre all’Armatura. I suoi colpi sarebbero invincibili, potrebbe ferire mortalmente chiunque. Ma non abbiamo tempo, imparerà a malapena questo, ma è importante che se ne impadronisca bene.”
Mihawk era spaccato in due, chiuse il giornale, sospirò e si alzò seguendolo in cucina per la cena, come di consueto. 
Da un lato sapeva che aveva solo due anni di cui ormai ne rimaneva uno, dall’altro non avrebbe mai accettato una scadenza. Non l’avrebbe lasciato andare. O per lo meno non voleva. 
“Se ha qualcosa che non va non riguarda l’allenamento. Cos’avrà adesso?”
Varcò la soglia della sala da pranzo con l’intenzione di usare, suo malgrado, l’haki su Zoro, ma appena fu dentro il giovane gli lanciò un’occhiata stizzita che lo spiazzò. A quel punto non poté trattenersi, anche se non era assolutamente nel suo stile indagare apertamente sugli umori degli altri, anche se di persone di cui gli importava. 
- Che hai ora? - chiese infatti.
Era la prima volta che gli faceva una domanda simile. Di solito usava l’haki se voleva proprio sapere qualcosa di lui o lo spingeva a dirglielo senza chiederglielo esplicitamente. 
Zoro sbuffò nuovamente aiutando Perona a preparare, la quale stava parlando come sempre con loro anche se di fatto lo faceva da sola, visto che i suoi due inquilini non le davano retta. 
- Come faccio a spegnere il mio cervello? - lo chiese spontaneo ed esasperato, dimostrando che invece che meditare, aveva rimuginato a lungo. 
Mihawk stava per rispondere ‘meditando come si deve e non per finta come hai appena fatto’, ma fu preceduto dalla risposta acida di Perona: - Per spegnere il cervello ne devi prima avere uno, perciò non mi preoccuperei al tuo posto! 
A quella sparata Zoro la guardò shoccato che osasse tanto e Mihawk finì per scoppiare inavvertitamente a ridere in una delle sue maniere che ogni tanto gli capitavano. 
Era stata sagace e brillante, quella volta. Doveva ammetterlo.

Zoro stava infatti per replicare con cattiveria, ma sentendo il maestro ridere si spense e fece il broncio, contento in cuor suo che lo facesse. Mihawk era cambiato, si era ammorbidito molto e non si chiudeva più in alcuna stanza buia per tenerlo lontano, semplicemente si limitava a non trasmettergli messaggi di alcun tipo e a non usare l’haki. In altre parole da qualche mese lo lasciava totalmente libero di decidere da solo su tutto. Anche sulle piccole cose, ma più nel dettaglio sul loro rapporto privato, tutto ciò che implicava quel che andava al di là dell’allenamento e del rapporto professionale Maestro-Allievo. 
Avevano iniziato stabilendo che Zoro non avrebbe potuto prendere iniziative fra loro due nel privato e che usando la Percezione avrebbe dovuto capire la volontà del suo Padrone, tale diventava il Maestro quando smetteva i panni di insegnante di spada. 
Era stato strano, all’inizio, ed era passato dal starci al ribellarsi pieno di dubbi. Dopo un periodo di assestamento, aveva capito che per quanto strano, gli piaceva quel rapporto da padrone e sottomesso, ma dopo quel giorno, quando Zoro era esploso malamente andando in crisi e poi avevano fatto l’amore chiarendo e parlando apertamente, Mihawk non gli aveva più dato ordini, divieti, obblighi. Non l’aveva più pressato in alcun modo ed era addirittura diventato gentile. Possessivo oltre ogni limite, ma gentile e premuroso. 
Era strano, spiazzante e shoccante. 
All’inizio gli era piaciuto, si era sentito euforico e felice. Aveva la libertà di comportarsi con lui come voleva, ma adesso che non aveva più ordini da percepire e comportamenti da indovinare era noioso. Gli piaceva quel gioco che facevano prima, dopotutto.
Ma forse non era proprio quello, il punto. Non era una questione di divertimento, quanto che semplicemente a Zoro piaceva in quel modo e non in questo. Punto. 
La cosa che doveva capire a tutti i costi ora, però, e per questo avrebbe di nuovo usato l’haki a pieno regime, era cosa volesse Mihawk nel profondo più segreto e nascosto di sé. Aveva smesso di comandarlo perché preferiva così o per il suo bene? Era un altro dei suoi mille test? Doveva assecondare lui o sé stesso? Gli aveva detto di conoscersi e accettarsi, ma doveva anche sottostare a lui in tutto. Però non gli dava più ordini e non capiva cosa dovesse fare. Non ne aveva la più pallida idea e questo lo gettava nel caos e nel nervoso. 
“Sono io quello cieco e lui la mia luce guida, se ne è dimenticato? Che diavolo ha in testa?”
Apparentemente nulla. Non lo stava schermando, semplicemente Mihawk non aveva intenzioni e questo gli complicava la vita. 
“Se volevo essere libero, non mi sarei inginocchiato a lui e non gli avrei fatto da cane per tutto quel tempo. Non è che lo facevo anche se non volevo. Lo facevo perché mi piaceva. Oddio, che malsano che sono! Sono davvero così compromesso e perverso? Mi piace fargli da cane? Insomma, non da cane, intendo essere sottomesso o come diavolo si dice. Dominato. Che cazzo ne so!”
Zoro sbuffò per la millesima volta e dopo che ebbe finito di preparare la tavola, si sedette nervoso al proprio posto iniziando a battere il piede per terra come se ci fosse il terremoto.

Perona gli lanciò un’occhiata allucinata da quei modi tremendamente insopportabili, mentre 
Mihawk lo guardò sorpreso ma comunque calmo. 
- Era una domanda seria? - fece dunque dopo aver capito che aspettava davvero una risposta. Il mento appoggiato al palmo e l’aria indispettita a fissarlo torvo. 
- No. La vera domanda è questa. Perché non mi leggi più dentro? Se lo facessi, sapresti già tutto e magari mi avresti già aiutato! 
In quel modo pittoresco e nervoso, Zoro ammise che aveva un problema, non che ci volesse la telepatia per quello, ma il fatto che lo ammettesse ad alta voce era veramente una gran cosa. 
- Perché il leggerci dentro usando la Percezione era un modo per esercitare il tuo haki, ma adesso che sei diventato molto bravo con quello, non ha più senso farlo. 
Gli diede di proposito una risposta vera solo a metà. Era corretto dire che Zoro non aveva più bisogno di allenare l’haki della Percezione, ma non evitava di usarla su di lui o fargliela usare solo per quello. 
In realtà si era reso conto che più si connettevano emotivamente per usarsi gli haki a vicenda, più lui si legava a quel ragazzino e non era una buona cosa. 
Non riusciva a mettere le distanze, una volta ce l’avrebbe fatta agevolmente, anzi. Una volta non si sarebbe mai legato a nessuno. Però adesso non riusciva ad allontanare Zoro perché fondamentalmente non voleva. Tuttavia la sola cosa che poteva fare per proteggersi un minimo era smettere di usare l’haki su di lui e di farglielo a sua volta usare su di sé. Non serviva schermarsi per quello. Se gli mostrava che non c’era niente da percepire e lo lasciava libero di fare quel che voleva, non tentava di penetrarlo.
“Ho dovuto far così perché quando mi schermavo lui mi penetrava comunque e non se ne accorgeva. Questo è solo un modo per proteggermi, ma non è sempre facile non trasmettere nulla. Vorrei comandargli di rimanere qua con me per sempre, ma devo ricordare a me stesso che comunque se ne andrà e sarebbe inutile fargli sentire ciò che desidero. Perché mi renderei debole e ridicolo e non voglio. Ho ancora un po’ di amor proprio.”
- In altre parole adesso dobbiamo fare come le persone normali e parlare a voce? - disse Zoro ancora irritato con un sopracciglio alzato. Mihawk lo guardò sorpreso di quei suoi modi e delle sue sparate che dimostravano una volta di più quanto anormale fosse quel ragazzino. 
- Direi di sì... 
- Ma era così comodo comunicare senza farlo a voce! Dannazione, spesso ciò che sento è così contorto che lo leggeresti meglio con la Percezione, se provo a spiegare certe cose io... non so nemmeno da dove iniziare! 
- E si vede che non sai come si comunica a voce, stai dicendo un sacco di sciocchezze! Se vuoi sapere come si fa, ti do io qualche lezione! - intervenne di nuovo Perona sempre acida dopo aver consegnato le portate ai due coinquilini. Zoro sbuffò grugnendo qualcosa e Mihawk rise ancora. Tutto sommato quella ragazza non era poi così male, aveva una sua utilità, a parte che preparare da mangiare e tenere pulito il castello. Non che le facesse fare la sguattera, ma voleva solo si conquistasse il diritto di vivere lì. Dopotutto non l’aveva invitata lui, se l’era ritrovata fra capo e collo. Il minimo era che si rendesse utile. Probabilmente lei pensava la stessa cosa, perciò pur lamentandosi, faceva sempre tutto. 
Alla fine la conversazione morì in quel modo e Zoro mantenne il broncio come un tenero delizioso bambino troppo cresciuto. 
“No, non ti aiuterò anche se potrei farlo. Devi imparare a camminare un po’ da solo. Se vuoi che io sappia qualcosa, me la devi dire. Aprirti ti aiuterà a conoscerti meglio. Solo così potrai accettarti e diventare più forte.” 
Dopotutto, alla fin fine, era solo un altro ennesimo test per il suo allievo. 

Alla domanda di Perona su cosa intendessero fare dopo cena, domanda sciocca in effetti, Zoro rispose ormai diretto e nervoso. 
- Trombiamo! Come sempre! 
- Non lo fate sempre! - disse lei maestrina. - spesso vi fate delle tenere coccole! 
Zoro non si scompose e rispose sempre sul piede di guerra. 
- Ma stasera trombiamo o scoppio! 
- Vorrei sapere perché non lo fate in camera! 
- Perché ci piace trombare dove diavolo ci pare! Vuoi guardare? - chiese scocciato lo spadaccino, lei avvampò e tirandogli l’ombrello in testa, lo usò per volare via in fretta e furia schizzando via anche dalla sala grande dove Mihawk leggeva come ogni sera. 
Dopo di lei, arrivò Zoro che si fermò con le mani ai fianchi, scontento, sempre più nervoso e con il bisogno di litigare. 
“Ma come diavolo faccio a litigare con uno che non vuole farlo? Tanto più che non so perché voglio farlo. Non è nemmeno questo che mi serve davvero! Vaffanculo, perché non mi dici che vuoi che faccia?”

Non lo disse ad alta voce, ma i suoi pensieri erano così forti che Mihawk anche senza usare intenzionalmente l’haki, li percepì comunque.
Era inquieto. Anzi, inquieto era dire poco. 
Suo malgrado lo ignorò continuando col suo piano. Se Zoro voleva qualcosa doveva sforzarsi ed esporlo a voce, come le persone normali. 
Senza staccare gli occhi dal giornale, continuò a leggere seduto nella sua solita poltrona. 
Ormai non gli diceva più come voleva si mettesse e Zoro spesso si sistemava su di lui in qualche modo, tendenzialmente sceglieva il divano apposta per permettergli di adagiarsi come desiderava, ma quella sera percependo il suo nervoso alle stelle aveva optato per la poltrona intuendo qualcosa. 
Qualcosa che in effetti arrivò come da manuale. 
Zoro lo raggiunse e senza dire niente gli prese il giornale di mano e lo fece volare sgarbatamente via. 
Mihawk che si aspettava qualcosa ma non quello, spalancò gli occhi shoccato da tale sfrontatezza.
Era diventato suicida?
Ma il ragazzino gli si piazzò davanti, si tolse la maglietta e si sfilò in fretta i pantaloni rivelando di non aver nemmeno messo i boxer quel giorno. Poi gli salì prepotentemente addosso a cavalcioni, sempre col broncio e l’aria nervosa, ed una volta lì gli slacciò la camicia sbrigativo e per nulla sensuale. 
Dopo avergli quasi fatto saltare i bottoni, gliela tolse tirandola su da dietro come fosse una maglia.
Mihawk voleva inchiodarlo al suolo con la sua spada per farlo smettere, ma invece seguendo il proprio desiderio più profondo, gli posò le mani sui fianchi.
Appena lo fece Zoro iniziò a rilassarsi lentamente. Lo percepì dai muscoli che da tesi fino allo spasmo, si quietavano sotto i polpastrelli che lo carezzavano spostandosi sulla schiena.
Prima salì sulle scapole e poi scese raggiungendo i glutei in una maniera talmente delicata che il suo sguardo non poté riflettere lo stesso sentimento.
Sentimento, si rese conto Mihawk da solo.
Sperava che Zoro non gli stesse leggendo dentro, sapeva che non poteva schermarsi perché non sarebbe servito, ma non provare nulla per evitare di farglielo sentire era ormai sempre più difficile. Specie perché ormai lui stesso si era reso conto che provava.
Dannazione, provava eccome. 
Sentimenti. 

Come da lui preventivato, appena gli fu sopra con l’intenzione di farsi aiutare da lui a placare l’animo in subbuglio, Zoro percepì a pieno quel suo stato interiore. 
Ne venne investito improvvisamente e sicuramente si sarebbe aspettato di tutto tranne che quello. 
“Sentimenti. Prova qualcosa per me!”
Difficile fraintendere con quello sguardo sorpreso e carico di dolcezza, la stessa che ci stavano mettendo le sue mani nel carezzarlo. Non lo stavano possedendo, lo stavano teneramente facendo rilassare avendolo visto in sofferenza. 
Mihawk ormai non aveva fra le mani il suo animaletto domestico, la bestia selvaggia da ammaestrare, ma una persona di cui prendersi cura.
Non parlò per primo, non gli chiese cosa avesse anche se forse voleva saperlo. Prima l’aveva fatto, era stato strano sentirsi rivolgere quella domanda, ma ora sembrava intenzionato a non tendergli più alcuna mano. Sebbene quelle che ora lo carezzavano sulla schiena e sulle natiche, fossero in effetti più che un aiuto.
Erano meravigliose, così come i suoi occhi dorati a pochi centimetri.
Zoro si sentì al suo pari e fu la prima volta. Venne investito da quella totale consapevolezza al punto da sconvolgersene. Non ci poteva credere, era un’assurdità. Sapeva che non erano sullo stesso piano, Mihawk era sempre stato sopra di lui, ma lì... sotto quegli occhi così assorbiti da lui, pieni di sentimenti, gentilezza e premura, come non sentirsi in quel modo? 
Voleva parlare, dire qualcosa, aprirsi, chiedergli, ma aveva paura di cosa sarebbe successo dopo. Aveva paura delle risposte di Mihawk. 
“Non può innamorarsi di me. Perché me ne andrò comunque. E lui lo sa. Perciò non può innamorarsi di me.”
Pensandolo si sentì dilaniare, non perché provava la stessa cosa, ma perché non voleva ferirlo. Non voleva proprio.
Se c’era un desiderio che avrebbe potuto esprimere, in quel momento sarebbe stato non far soffrire Mihawk e mentre si rendeva conto che probabilmente era inevitabile, si increspò di nuovo dopo essersi faticosamente rilassato sotto le sue carezze. Aggrottato e di nuovo teso, aderì le labbra alle sue dopo che si furono respirati a vicenda in silenzio. 
Quasi si fossero letti dentro senza realmente farlo. Nessuno dei due aveva voluto, sarebbe stato peggio, molto peggio. 
Così si baciarono e lasciarono che le lingue si tenessero a bada a vicenda intrecciandosi, mentre Zoro cingeva il collo di Mihawk premendoglisi sopra. Si sollevò il necessario per permettergli di aprirsi i pantaloni e tirarsi fuori l’erezione ed una volta che fu libera gli si riadagiò addosso, riprendendo a strofinarsi contro. 

L’eccitazione crebbe mentre Mihawk tornava ad abbracciarlo e l’accompagnava febbrile su di sé. gli strisciava sopra come un serpente sensuale ed era turbato. In conflitto con sé stesso, tanto per cambiare, e turbato. 
Mihawk era dispiaciuto per lui, Zoro continuava a non capire come fare per non combattere contro sé stesso. Era più forte di lui. 
Sembrava in una guerra perenne. Non voleva che stesse così, voleva aiutarlo, dargli pace, ma non poteva semplicemente dargli le soluzioni o non sarebbero state efficaci. Doveva capire da solo come uscirne, perciò si limitò a dargli un po’ di pace senza alcuna soluzione. 
Dopo aver stuzzicato e aperto il suo ingresso fra le natiche ormai ben abituato, se lo indirizzò sopra entrando con gentilezza. 
La stessa che ormai metteva quando facevano l’amore. Perché era questo che era diventato. Facevano l’amore. 
Zoro si tese, si inarcò e si rilassò poco dopo chiudendo gli occhi e gettando la testa all’indietro. 
Mihawk si riempì del suo volto preda del piacere, era una visione a cui non voleva più rinunciare. Da quella volta lo prendeva sempre per avanti, per guardarlo in viso perché ne aveva bisogno. 
Zoro iniziò a muoversi dondolandosi su di lui, si alzava e si abbassava andando ogni volta sempre più in profondità, i brividi percorsero Mihawk, risalirono ovunque facendolo gemere mentre lo accompagnava su di sé, fino a che Zoro lo cavalcò con sempre più furia e velocità alla disperata ricerca di qualcos’altro. Qualcosa di più forte, che lo sconnettesse e gli facesse smettere di pensare così tanto. Qualcosa che gli impedisse di lottare ancora e ancora e ancora. 
Più lui si sentiva così, turbato in mezzo al loro amplesso, più Mihawk desiderava solo infonderlo di pace per placarlo, ma solo quando entrambi raggiunsero l’orgasmo si rese conto che non era più sufficiente e che non lo sarebbe mai stato. 
Non era questo che voleva Zoro, né che l’avrebbe aiutato.
Questo era ciò che voleva lui, ma non erano lì per lui. Mihawk lo capì. 
“Lo amo e vorrei prendermi dolcemente cura di lui, con tenerezza e delicatezza. E vorrei che stesse qua con me per sempre. Sono io che voglio accontentare ogni suo desiderio, farlo felice e realizzare ogni suo capriccio, ma non è questo che vuole lui né che gli farà bene. Non è così che si placherà. Si sta solo innervosendo di più, giorno dopo giorno. Forse non se ne rende nemmeno conto, ma sono sicuro che stia succedendo perché da qualche parte lo sta percependo. Percepisce che io lo amo, ma siccome lui non mi ricambia e non rimarrà qua, questo lo inquieta e lo innervosisce perché non vuole ferirmi, ma non riesce a smettere. Non può smettere. Però non è questa dolcezza che vuole lui. Questo è quello che voglio io.”
Comprendendolo, sospirò e si arrese. 
Dall’indomani avrebbero ripreso a giocare come voleva Zoro, perché era chiaro che fosse quello di cui aveva bisogno. 
Dopotutto glielo aveva chiesto, no? Di essere la sua guida per portarlo fuori dalla nebbia. Lo ricordava bene. 
“Farò ciò di cui hai bisogno, ragazzino... anche se insisti nel non chiederlo ad alta voce.” 
Pensò nascondendo il volto contro il suo petto ansimante, sentiva il cuore di Zoro battere forte per il piacere appena scoppiato, si strinsero l’un latro. Fisicamente stavano bene, ma entrambi erano ormai preda di un turbamento che sarebbe durato probabilmente per sempre, nonostante fossero lì per placarsi. 
“Ma lo farò da domani. Stanotte concedimi questo per me.”

Zoro non usò l’haki, né Mihawk gli trasmise di proposito qualcosa, ma la connessione fra loro fu talmente forte che sentì lo stesso qualcosa e stringendolo forte a sé, gli baciò il capo mentre il respiro, lentamente, tornava normale. 
Stava bene da un punto di vista fisico. L’orgasmo era sempre la medicina migliore, ma ormai sempre più sentiva qualcosa di stonato in quei loro momenti insieme. Perché Mihawk era dolcissimo e molto preso. Preso in un modo che non avrebbe mai immaginato, in un modo che non doveva. Non sapeva metterlo a distanza, non ci riusciva anche se sapeva che doveva. 
Zoro annuì senza sapere di preciso a cosa e perché, sentendo solo nella propria mente la parola ‘domani’. Non sapeva domani cosa, né perché. Ma sentì ‘domani’ e a quello annuì stringendolo a sé di più, rilassandosi sulle sue gambe, fra le sue braccia. 
Ormai più che mai non sapeva che diavolo stesse facendo, non si era mai sentito più cieco di così e sperava solo che Mihawk a cui aveva chiesto di fargli da guida, lo portasse fuori da quel caos.
“Domani.” pensò. “Domani andrà meglio.” 
Chiuse gli occhi e non si mosse, né parlò. Nessuno dei due lo fece e l’indomani avrebbero ripreso così come quei mesi di dolcezza e gentilezza non fossero mai esistiti. 


Note: Mihawk è venuto allo scoperto, anche se non ha ammesso nulla apertamente. Tuttavia questo cambiamento in Mihawk turba Zoro perché non è ciò di cui ha bisogno e questo perché non provano le stesse cose uno verso l'altro, sebbene quel che prova Zoro è molto complesso e profondo e lo capirà per la fine del suo soggiorno. Ho una visione un po' contorta di Mihawk e mi rendo conto che forse non è condivisibile, ma a modo suo secondo me ha un fondo di quasi gentilezza che però non sa esprimere in modo normale e a stento si nota, già solo per il fatto che alla fine lasci Perona stare lì invece di cacciarla o che alla fine quando se ne va le dice di stare attenta. In ogni caso è un po' la mia interpretazione. Lo vedo uno che quando si innamora, tira fuori un lato molto dolce e tenero di sé di cui però magari si vergogna e cerca di nascondere. Tuttavia quel che vuole e prova Zoro è diverso, perciò vediamo come si evolve la situazione. Alla prossima. Baci Akane