2. PRIMI APPROCCI

mihawk

Quando il viso di Zoro gli crollò contro il collo, Mihawk capì che era svenuto. Rrabbrividì per un attimo impercettibile e rimase sorpreso nel sentirlo finalmente innocuo ed arrendevole. Piacevolmente arrendevole. Zoro aveva alzato bandiera bianca, non pensava sarebbe mai successo.
Fece un piccolo sorrisino compiaciuto, non per lo svenimento in sé, ma perché finalmente poteva disporre di lui senza dover continuamente discutere e sentirsi dare contro per via del suo smisurato orgoglio. Non poi così tanto smisurato, per la verità, visto che era stato in grado di metterlo da parte per il bene del suo capitano. Un bene superiore ai suoi personali capricci e ambizioni. 
Non sarebbe intervenuto in condizioni normali, ma era anche vero che non era mai stato il maestro di spada di nessuno. Non aveva mai avuto allievi, ma prendendosi seriamente quel compito intendeva assolverlo alla perfezione. 
Adesso quel ragazzo era sotto la sua responsabilità e non voleva trasformarlo unicamente in un eccezionale spadaccino, molto più forte di come era arrivato, ma voleva anche prendersi cura di lui e far sì che non morisse mentre lo addestrava. Sarebbe stato un pessimo maestro e lui detestava l’idea di essere pessimo in qualcosa, specie se si prendeva seriamente un incarico. 
Lieto di non dover discutere, lo riportò dentro nel castello decretando la fine del primo giorno di addestramento. 
Mentre lo conduceva nella camera assegnatagli, ignorando Perona che continuava a seguirli arrabbiata non sapeva per cosa, pensò che se quello era il modo di allenarsi di Zoro, doveva cambiare. 
“Dovrò dargli delle regole e disciplinarlo. Se vuole stare sotto di me, ci deve stare del tutto. Non esiste che mi dia contro. Se dico che deve riprendersi, non può far di testa sua. Non era guarito, si è allenato lo stesso ed è quasi morto. Questo a cosa è servito? Si è rinforzato? No! Si è solo indebolito. Oltretutto mi ha costretto ad intervenire. 
“Questo ragazzo è un randagio senza padrone, ma adesso le cose cambieranno o non migliorerà mai. È a me che ha chiesto aiuto per diventare più bravo. Sono io il suo maestro. Io quello che lo farà diventare forte, ma se non mi ascolterà, non ci riuscirà. Per oggi andrà così, da domani se non esegue alla perfezione ogni mio ordine lo punirò. Deve capire chi comanda.”
Mihawk era uno che odiava parlare, se poi glielo facevano fare a vuoto era anche peggio. 
A questo bisognava aggiungerci il suo ego smisurato. Non aveva mai avuto uomini sotto di sé, ma assaggiando per la prima volta quell’esperienza, si rese conto che una delle cose più irritanti al mondo, per lui, era proprio la disobbedienza. 
Una volta che l’ebbe posato sul letto, andò ad aprire l’acqua calda nella vasca del bagno a cui si accedeva direttamente dalla camera. Fu lì che Perona realizzò che lo stava per spogliare per lavarlo e curarlo di nuovo e avvampando scappò strillando con la sua vocetta stridula ed isterica. Si sbatté la porta alle spalle lasciando che il silenzio tombale tornasse a calare con gran sollievo. 
Mihawk aveva stabilito che avrebbe punito Zoro, ma era presto, poteva concedergli un giorno di ambientamento prima di iniziare con le regole e la disciplina. Prima di quel momento, si sarebbe occupato di lui.
Si sentiva strano a prendersi cura di qualcuno, non era mai stato nelle sue corde fare una cosa simile. Non si era mai interessato a nessuno, al massimo ci aveva fatto sesso, ma solo con uno. Nessun altro oltre a Shanks aveva mai catturato un minimo interesse. 
Zoro era il primo e nonostante si sentisse strano, non si tirò indietro sapendo comunque perfettamente cosa bisognasse fare. 
Si aprì i bottoni della camicia bianca che gli scivolava morbida addosso, ormai era sporca di sangue e avrebbe dovuto buttarla. La gettò per terra e sfilandosi il pugnale a croce dal collo, lo usò per tagliargli del tutto i resti dei vestiti che Zoro aveva ancora su per miracolo. Con essi tagliò anche le bende grondanti sangue, scoprendo alcune ferite vecchie di diversi giorni che non erano riuscite a chiudersi, a queste ora si erano aggiunte quelle nuove fresche di giornata. 
Arrivò all’inguine ancora coperto dalla biancheria intima, esitò un istante, fece un sorrisino compiaciuto e glieli sfilò senza tagliarglieli poiché erano fra i pochi indumenti ancora intatti.
Mentre glieli prendeva insieme ai boxer e li tirava verso il basso, vide spuntare a pochi centimetri dal viso la sua erezione a riposo.
Se la figurò piena e dura e capì che il signorino era piacevolmente ben dotato.
Si leccò le labbra pensando di essere in astinenza da troppo se si metteva a fantasticare sui giovani. 
Dopo averlo denudato del tutto, lo prese in braccio come aveva fatto prima e lo portò in bagno adagiandolo delicatamente nella vasca.
Era una massa di muscoli e ferite, il suo corpo si era sviluppato molto bene, si era rinforzato parecchio, si era delineato ancora meglio dal giorno in cui l’aveva visto tempo fa.
Quando lo mise dentro vide che il corpo scivolò un po’ verso il basso e di lato, poiché Zoro era ancora svenuto. Si chiese se si sarebbe svegliato mentre lo lavava e consapevole che se fosse successo avrebbe sicuramente reagito male, non se ne curò proseguendo per il suo compito. Mihawk prese dunque il soffione della doccia e accucciandosi fuori dalla vasca iniziò a passargli l’acqua calda addosso. 
“Che ci provi a respingermi! Iniziamo con le lezioni di disciplina, se osa.”
La testa pendeva sul bordo rivolta verso di sé, il resto totalmente abbandonato in una posa scomposta, le mani in grembo, le gambe piegate e leggermente divaricate contro i lati. 
Era indifeso e totalmente alla sua mercede ed era strano, dopo averlo visto opporsi a lui ed ai suoi aiuti in ogni modo. 
Diede una prima passata con l’acqua calda, tirò via il grosso, ma lo sporco ed il sangue più ostinato lo passò con la mano ed in quello si ritrovò a carezzare la sua pelle soda e tonica. Si sentiva quanto era diventato forte. 
Gli occhi dorati divoravano assetati il suo corpo, mentre con le dita si soffermava sulle ferite vecchie e nuove, alcune delle quali l’avevano danneggiato abbastanza seriamente.
Esitò su quella ormai rimarginata, quella più brutta che si notava sul torace. Una ferita ricucita che lo passava in diagonale dalla spalla sinistra al fianco destro. 
Una ferita che lui conosce bene. 
Mentre la tastava coi polpastrelli ipnotizzato da essa, si sentì eccitare.
Mihawk non fece alcuna piega, ma si sentiva l’erezione pulsare sotto i pantaloni, mentre gliela carezzava come se la stesse disegnando con la punta delle dita.
Era totalmente assorbito da quella cicatrice. Non era un’eccitazione scaturita in modo classico in quanto risposta ad un piacere fisico, ma era mentale poiché ad avergli lasciato quel segno così grosso era stato proprio lui. 
Strinse le labbra, tutto quel che si concesse. Non si toccò, non assecondò la propria eccitazione. Una volta arrivato al fianco, risalì sulle spalle e vedendo la necessità di lavargli anche testa e schiena, come prima cosa infilò un braccio sotto le spalle, poi sollevandolo dal bordo lo sciacquò dietro. L’acqua scendeva su di lui e con essa anche il sangue e lo sporco venivano via, ma mentre succedeva sentì di nuovo la testa di Zoro scivolare contro il proprio collo. La fronte sulla giugulare lo fece sussultare mentre iniziava ad avere caldo. 
Era il suo allievo, si ripeté a quel punto. 
Era normale prendersi cura del proprio allievo. 
Doveva fare tutto ciò che era necessario per il suo benessere. Perché ci teneva a fare le cose alla perfezione e non poteva di certo esimersi da certi doveri. Se il suo stupido studente si trascurava, non poteva abbandonarlo nel letto sporco e sanguinante. 
Nelle condizioni in cui era avrebbe dormito per molto, perciò toccava a lui.
Era lui il suo maestro. 
Lui e nessun altro. 
Pensandolo come un mantra, gli lavò il viso usando la propria mano in modo delicato e lo fu talmente tanto che parve accarezzarlo. 
Era una sensazione intossicante e sconvolgente. Sicuramente non avendo mai lavato nessuno non sapeva cosa si provava nel prendersi cura di qualcuno, ma forse c’entrava anche il fatto che fosse lui. Zoro. Il suo primo allievo. 
Ma non era idiota. Sapeva che c’era altro. Che le sue dita non esitavano su certe parti di lui solo perché era la prima volta che lavava qualcuno e lo trovava stranamente interessante. 
Così come non poteva semplicemente essere l’idea dell’avere il proprio primo allievo fra le mani.
C’era qualcos’altro di più subdolo e strisciante che iniziava a muoversi e passava per l’inguine che continuava a scaldarsi e pulsare. I pantaloni gli stringevano in quella posizione accucciata contro la vasca. Un braccio era totalmente bagnato, quello che ora continuava a tenerlo su per le spalle. Il capo sempre abbandonato contro di sé. 
Non sapeva cosa di tutto quello gli piacesse, ma non si fermò e spremendo la boccetta del sapone addosso. 
Il filo del liquido bianco e denso ricadde sulla sua pelle, tentò di evitare le ferite che dopo l’acqua si erano ripulite e non sanguinavano più in modo vivo, sebbene fossero comunque aperte. Premette la boccetta sulle gambe, sull’inguine e poi sulla testa.
Prima di spalmare con la mano, guardò l’aspetto di quegli schizzi e si morse il labbro sentendo il calore delle proprie parti basse aumentare vertiginosamente. 
“Non scopo da troppo. È un bel ragazzo con un bel corpo ed ecco che mi viene voglia di farlo.” si giustificò sminuendo la cosa. Si ostinava a non vederci ancora qualcosa di troppo.
Qualcosa che aveva a che fare con un senso di possessione che era scattato nel momento in cui aveva deciso di essere il suo maestro. 
Ma forse era qualcosa che aveva reale origine nel giorno in cui l’aveva incontrato, quando gli era sfuggito quel ‘magnifico’ guardando quanto solenne fosse la sua ossessione per lui e quanto orgoglio avesse. 
Implacabile, proseguì con l’operazione passando la mano libera sul suo corpo che lo stava facendo reagire fin troppo. 
Fece attenzione a non toccare le ferite per non infettarle col sapone, per il resto la mano scivolava languidamente sulla sua pelle bisognosa di essere lavata. Dopo il torace e le braccia, la parte più facile, passò calmo le gambe fin dove arrivava, raggiunse le ginocchia e gli stinchi per poi risalire sulle cosce. Lì esitò guardando il suo inguine a riposo.
Dormiva profondamente, non si sarebbe accorto di nulla.
“Non essere idiota, Mihawk, devi solo lavarlo. Se volessi abusare di lui lo farai quando sarà sveglio.”
Dovette dirselo per fare ordine nella propria testa dal momento che per un istante si era trovato a non capire che diavolo stesse facendo. 
Se stesse infatti abusando di lui per approfittare di scaricare un po’ di ormoni sessuali accumulati da troppo, oppure se fosse solo puro senso del dovere. 
Ma nonostante si fosse ricordato di essere il suo maestro, quando la sua mano strofinò la sua erezione che rimase a riposo denotando che Zoro era completamente incosciente, la propria costretta dai pantaloni cominciò a premere e pulsare. 
E lì mentre si rendeva conto che la mano si soffermava troppo a lavare il suo pene, si ricordò di ciò che aveva comunque appena pensato. 
“Se volessi abusare di lui lo farò quando sarà sveglio. Ma a questo punto toglierei il ‘se’.”
Sentendosi bisognoso di un orgasmo che avrebbe potuto ottenere solo se si fosse toccato, smise di lavare le parti basse di Zoro passando ai capelli che gli lavò alla meglio nella posizione poco comoda in cui era. 
Una parte di sé si insultò per non aver approfittato e concluso il piacere. Non c’era niente di male nel prenderselo, era una persona egoista ed era risaputo da tutti, perché farsi scrupoli solo perché dormiva? 
Lui era il suo allievo. 
SUO.
Ecco il punto. 
Era suo. Gli apparteneva. Poteva disporre come voleva di lui. Questa sarebbe stata un’altra regola. Non poteva opporsi e se ci avesse provato, l’avrebbe punito. 
Pensando al modo in cui intendeva addestrarlo, inghiottì a vuoto e decidendo di darci un taglio con quella doccia per completare lo sfogo dei propri bisogni, si sbrigò a sciacquarlo senza andare più per il sottile. 
Probabilmente era un insieme di cose. Era da solo e non vedeva Shanks da troppo, l’aveva visto nella guerra per la supremazia fra marina e pirati dove aveva dovuto intervenire per proteggere gli affari del governo mondiale sotto cui stava, ma appena era arrivato Shanks se ne era andato ed era stato lui, di fatto, a porre fine a quel terribile scontro. 
Ma a parte quel veloce incrocio, non si sfogava con lui da molto.
Per la verità non era un tipo sessualmente attivo, viveva la sua vita in una sorta di limbo dove dormiva sia fisicamente che mentalmente, dove niente lo toccava o lo interessava salvo rare eccezioni. Era abituato a non provare nulla e non vivere nulla, perciò le rare volte che gli capitava qualcuno o qualcosa di interessante che lo svegliava, si sentiva totalmente scombussolato. Gli ormoni viaggiavano furiosi ed era come se rinascesse.
Mihawk, riflettendo su quelle cose analizzandole con freddezza tipica sua, posò Zoro sul letto dopo averlo avvolto in un asciugamano. Una volta lì, lo strofinò implacabile eseguendo ora né più né meno quel che andava fatto.
L’avrebbe bendato e vestito, niente di più. 
Non ora. 
“È colpa sua.”
Si rese conto mentre seduto sul suo stesso letto lo teneva col busto alzato contro di sé, usando la propria spalla ed il torace per appoggiarlo mentre era ancora incosciente. Con dita veloci ed esperte avvolse il suo petto in nuove bende che si era procurato insieme a dei vestiti puliti che gli avrebbe prestato. 
“Ha osato essere interessante e ravvivare la mia noiosa monotona vita priva di stimoli. Finora l’unico a ravvivarmi era Shanks ma era comunque qualcosa che faceva ogni tanto. Adesso lui è entrato nella mia vita e me la sta rinnovando del tutto. Mi sta facendo provare cose nuove, stuzzicanti, ed io sono come uno che è morto ed è appena rinato.”
Tenendo Zoro contro di sé ed usando il proprio corpo come perno, usò entrambe le mani per bendarlo e dopo che ebbe finito, lo prese per i fianchi e per la schiena. Prima di spingerlo e farlo ricadere indietro e stenderlo sul letto, attese girando il viso contro il suo che gli stava ancora premuto sul collo sensibile. 
“Sta scatenando lati di me che non pensavo di avere e che scoprirà a sue spese. E non intendo frenarmi perché non ho mai avuto riguardi per niente e nessuno, non inizierò certo ora. Alla fin fine non gli devo niente.”
Con una mano gli prese la nuca, poi spingendolo lo accompagnò sicuro e delicato sul materasso adagiandolo sopra. 
Prima di sfilarsi via, rimase lì chino sul giovane. Le mani sotto la sua schiena e la sua nuca, il viso a pochi centimetri a fissarlo e osservarlo. Era piuttosto bello e mascolino. Difficile non apprezzarlo. 
Poi scivolò con lo sguardo in basso, sull’inguine ancora scoperto. 
Sorrise famelico e si leccò le labbra sentendosi sempre più vivo e diverso, attraversato da un fuoco che non aveva mai avuto se non in compagnia del Rosso. 
Sfilò le mani e prese i pantaloni nuovi mettendoglieli con calma. Prima di coprire l’inguine, si fermò. Lasciò l’elastico sulle cosce e strisciò con le dita lì dove poco prima aveva strofinato per lavare. 
Lo toccò di nuovo carezzandolo. Era ancora a riposo, ma immaginava bene come poteva essere una volta sveglio e reattivo. Alto. Duro. Pulsante. Eccitato. 
Prima l’aveva toccato per lavarlo, adesso semplicemente perché poteva e niente glielo impediva. Nessuna regola, nessuna moralità. Lui non stava sotto niente e nessuno. Erano gli altri a stargli sotto. 
Era caldo, ma non particolarmente interessante così a riposo. 
Si leccò le labbra sorridendo malizioso. 
Avrebbe rimediato. 
“Oltretutto non mi ripagherà di certo con del denaro per le mie preziose lezioni. Perciò il minimo è che mi prenda comunque qualcosa.”
Tuttavia gli prese i pantaloni e glieli alzò definitivamente, coprendo l’inguine.
Dopo essersi alzato e aver finito, gli tirò su le coperte e tornando a guardargli il viso, piegò il capo osservandolo ammaliato, come se lo stesse già immaginando sotto di sé.
“Eh sì, è proprio colpa tua. Sei l’unico che ha osato essere interessante ai miei occhi. Queste sono solo le conseguenze delle tue stupide e coraggiose azioni. Te ne assumerai la responsabilità. Sarà un’altra delle lezioni che ti impartirò. Ti disciplinerò per bene, ti domerò, piccola meravigliosa bestia selvaggia.”
Gli sfiorò le labbra con le sue, lieve, per poi raddrizzarsi ed andarsene. 
Si pregustava uno splendido periodo. 


In quello che per Zero era stato solo un secondo nel quale aveva chiuso gli occhi, sognò di ritrovarsi con Rufy e di scusarsi con lui per averlo abbandonato nel momento di maggior bisogno e in seguito di giurargli di non abbandonarlo mai più. 
Quando li riaprì, era passato ben più di un secondo. 
Zoro guardò fuori dalla finestra dopo aver riconosciuto quella che ormai era la sua camera. Era notte fonda, sebbene in quell’isola tenebrosa le nuvole scure dessero sempre l’idea di un’eterna mezzanotte, ma adesso c’era un buio più intenso.
E silenzio. Un silenzio che feriva le orecchie di primo impatto ma che appena ci si abituava, rilassava svuotando la testa che lentamente iniziava a diventare leggera.
Era come se non riuscisse più a pensare, come se ci fosse un blocco, dopo il suo imbarazzante svenimento. Prima di quello solo l’idea di proteggere Rufy e di raggiungerlo, l’aveva mosso contro ogni logica, ma poi, quando aveva perso i sensi fra le braccia di Occhi di Falco, le cose erano cambiate. Adesso si sentiva diverso, ma non capiva in che modo. Sapeva solo d’riposto in un angolo di sé ciò che lo assillava prima ed ora, in quella notte, in quel vuoto, in quel silenzio, riusciva a non pensare ed era incredibilmente rilassante e curativo. 
Si sentiva fisicamente meglio e capì che doveva aver dormito un bel po’, sollevando la testa si guardò alzandosi le coperte che lo ricoprivano. Era bendato con fasce nuove e pulite, l’avevano medicato ancora. 
Zoro sospirò ed alzò gli occhi al cielo imprecando fra sé e sé seccato. 
“Sono proprio un pivello, svengo al primo giorno di addestramento e per di più fra le braccia del mio maestro!” ma sebbene lo pensasse, non c’era vera e propria vergogna. Sapeva di doversi vergognare, se ne rendeva conto, ma invece era assurdamente tranquillo. 
“Dormire mi ha schiarito le idee...” dedusse logico, anche se non capiva ancora bene in che modo.
Realizzò in un secondo momento che non aveva più alcun resto di maglia, quella posseduta al suo arrivo sull’isola era già ridotta a brandelli ma se l’era tenuta su ugualmente, tuttavia ora sembrava sparita. Il suo torso era nudo e ricoperto solo dalle bende che stavano praticamente su ogni centimetro di pelle. Dalla vita in giù aveva altri pantaloni nuovi, erano comodi e di tuta. 
Capendo che era stato ripulito e cambiato, oltre che medicato, avvampò. 
“Chi l’avrà fatto?” pensandoci si fermò non capendo nemmeno quale fosse l’eventualità peggiore, perché in effetti non aveva idea chi dei due abitanti del castello era meglio l’avesse denudato e curato. 
Farsi mettere qualche pezza sulla faccia dalla ragazza fantasma era un conto, farsi spogliare, lavare e bendare per poi rivestire era un altro. 
“Dubito che la fantasma-come-diavolo-si-chiama avesse dei vestiti da uomo da prestarmi e poi penso si imbarazzerebbe. Alla fine è solo una ragazzina petulante e strana, penso non lo farebbe.”
Dopo quella riflessione, realizzando cosa significava, si morse il labbro avvampando ancora di più: per logica doveva essere stato Occhi di Falco e lì il suo cervello si fermò non sapendo come elaborare la cosa. 
L’aveva spogliato, lavato, bendato e rivestito mettendogli dei pantaloni di sua proprietà. 
Girò il capo nel resto della stanza piuttosto grande e spaziosa, il mobilio era antico e sfarzoso, ma non se ne intendeva e comunque non ricopriva il suo gusto. Accanto al letto c’era un comò su cui stava la propria panciera verde a cui teneva con la bandana nera, le katane stavano in piedi lì accanto. Dall’altro lato del letto vide un armadio a parete, qualche anta era aperta come a mostrargli di proposito il contenuto e intravide nel buio della stanza altri vestiti che prima non aveva notato. 
“Anche i vestiti, adesso? Va bene che sono arrivato qua senza le valige e che ero in condizioni pietose, ma non era tenuto a fare tanto...”
Era spaesato. Quell’uomo freddo ed indifferente era anche premuroso e gentile? Quante altre cose nascondeva? 
Sospirò col broncio ancora imbarazzato, non era abituato ad essere trattato bene, ma in quello sentì lo stomaco brontolare e ricordò di essere a digiuno da un tempo indefinito.
“Sarò svenuto anche per questo. Devo aver perso litri di sangue fra una cosa e l’altra, a digiuno non potevo sperare di farcela ancora.”
I crampi aumentarono e massaggiandosi lo stomaco bendato fece uno sbuffo infantile decidendo di darsi tregua con la storia dei doveri. Aveva una fretta del diavolo, ma non poteva nemmeno pretendere di ottenere tutto subito.
Silenzioso si alzò dal letto posando i piedi nudi a terra, non trovando le proprie scarpe, pensò che fossero troppo sporche e che le avesse messe all’ingresso. Non se ne preoccupò e sentendo ancora molte fitte di dolore per le ferite e le botte ricevute, si alzò e si avventurò fuori dalla camera facendo smorfie ad ogni passo. 
“Mi basterà mangiare e bere qualcosa di forte, poi dormirò ancora un po’ e domani tornerò ad allenarmi!” decise senza perdersi d’animo.
Avventurandosi a caso nel castello deserto, si rese conto che oltre ad essere molto grande e gotico, era anche estremamente umido e non dava l’idea di essere tenuto poi tanto bene. Dedusse che doveva vivere lì dentro davvero da solo senza servitù e chiedendosi che ci facesse lì la ragazza fantasma di Thriller Bark, si limitò a seguire l’unica luce che proveniva dal fondo del corridoio. Non era un tipo curioso come Rufy, non intendeva ficcanasare ovunque. Aveva solo bisogno di qualcosa da mangiare e da bere, non intendeva nemmeno riempire Mihawk di domande nonostante i quesiti che si formavano nella testa fossero sempre di più.
Non avendo molte alternative, aprì l’unica porta da cui veniva dell’illuminazione in mezzo ad un buio quasi totale per poi ritrovarsi nell’enorme salone principale dove aveva fino a quel momento sempre incontrato Mihawk. I piedi passarono dal camminare sulla pietra fredda al posarsi su un caldo tappeto. Sorvolò con lo sguardo corrucciato sul salone in penombra. Il tavolone era vuoto e come tutte le altre volte che era stato lì dentro, vide Occhi di Falco seduto nella sua poltrona davanti ad un caminetto acceso, un calice di vino in una mano, un libro nell’altra. 
Non trovando né Perona né i suoi fantasmi, dedusse che stesse dormendo. 
Mihawk sentendolo distolse l’attenzione dalla lettura posando lo sguardo su di lui. Appena i suoi occhi dorati così simili a quelli di uno splendido falco si posarono su di lui, Zoro sussultò. 
Adesso che non aveva guerre e battaglie imminenti e che il piano era stato ben deciso, la propria mente gli faceva brutti scherzi. O meglio il proprio istinto. 
Si sentì improvvisamente caldo e il fuoco che riscaldava l’ambiente non c’entrava per nulla. 
- Ti sei svegliato. - disse Mihawk chiudendo il libro ma senza alzarsi dalla poltrona. 
Aveva una posa aristocratica, le lunghe gambe accavallate avvolte in pantaloni neri sicuramente pregiati sebbene lui non fosse un intenditore. La camicia bianca era quasi tutta aperta sul petto che si vedeva bene. Sullo scollo, la croce che celava il suo pugnale, quello con cui l’aveva combattuto e ferito la prima ed unica volta. 
Mihawk sorseggiò il vino e lui vedendo come il liquido rosso scuro a cui era tanto affezionato gli finiva fra le labbra, se leccò le proprie con una sete smodata. 
Sete che forse non aveva molto a che fare con quella da liquidi. 
Zoro arrossì a disagio e si voltò ricordandosi improvvisamente che doveva averlo curato e ripulito lui. 
- Grazie per... tutto... - si rese conto che doveva ringraziarlo per un bel po’ di cose, forse troppe considerando che era il suo nemico, ma ritenne che annoverarle tutte sarebbe stato peggio e decise di essere vago.
Se faceva così avrebbe finito per non vederlo più come un rivale e la voglia di abbatterlo gli sarebbe passata, ma non poteva permettersi di considerarlo come un amico. Lui era sempre uno dei suoi scopi.  
- Ti ho lasciato dei vestiti puliti, visto che non hai nulla con te. I tuoi ho dovuto buttarli, erano ridotti a brandelli, ormai. Credo ti andranno bene.
Zoro si mordicchiò il labbro battendo la punta del piede scalzo per terra. Spogliandolo e lavandolo aveva potuto farsi un’idea della sua corporatura, se l’era studiato per presentargli i vestiti più adatti. Era un impegno che andava ben oltre l’essere il suo maestro, per lo meno così credeva, ma era un’idea portata più dalla mancanza totale di conoscenza che aveva per quell’uomo. Di fatto non sapeva proprio niente di lui. 
L’imbarazzo era sempre più forte e lo sentiva tramite il cuore che osava battergli come un matto nel petto. Era un ragazzino, forse? 
Eppure c’erano così tante cose per cui vergognarsi... si era fatto salvare e curare, lavare e vestire dal suo nemico giurato a cui aveva pregato di insegnargli la spada. Si era umiliato in così tanti modi che non sapeva nemmeno più metterli insieme. 
Eppure quel che lo faceva sentire peggio di tutti, per assurdo, era l'essere lì da solo con lui di notte. C’era una strana atmosfera, molto diversa da quella di prima.
- Dopo aver sistemato le cose ed essermi messo il cuore in pace, devo essermi rilassato di schianto. Oltretutto credo d’aver perso tanto sangue negli ultimi giorni ed essere a digiuno da non so quanto... 
Cercò di giustificarsi per essere svenuto, ma mentre parlava gli sembrava di far peggio e di passare ancor più per un ragazzino. 
- Il cuore in pace? - chiese Mihawk come se di tutto, quella fosse la sola cosa che lo interessasse. 
- Sì, per due anni non mi muoverò di qua e dovrò allenarmi, perciò non c’è nient’altro che possa fare. 
Mihawk annuì e finì di bere il vino, a quello Zoro tornò a guardarlo senza volerlo e se ne pentì tornando a leccarsi le labbra. Aveva la gola secca. Era vero che voleva bere realmente, ma di nuovo era un altro tipo di sete. 
Gli era capitato con Rufy dopo che si era accorto di amarlo. Di recente, per essere sincero, ma già troppo per poterlo sopportare. 
“Non è presto per volergli saltare addosso? Oltretutto non sono mai stato particolarmente fissato col sesso. Sì insomma, ho avuto qualche esperienza sempre con ragazzi, cose veloci di poco conto quando avevo voglia, ma... Rufy ha risvegliato qualcosa di troppo e questo qui non mi sta aiutando. O forse sì. Forse invece mi aiuterà proprio come speravo. Magari è esattamente questo che mi ci vuole. Un altro che mi accenda e mi interessi sessualmente. Qualcuno che mi distragga. ”
Perso in pensieri vorticosi contro il proprio controllo, non si rese conto che Mihawk intanto si era alzato e gli era venuto davanti. Solo quando si fermò sinuoso, Zoro spalancò gli occhi e lo guardò a disagio tendendosi come una corda di violino e trattenendo il fiato, temendo che in qualche modo con quegli splendidi occhi suggestivi leggesse anche nella mente. 
“Sarei proprio nella merda se lo facesse.” 
Il buio ed il fuoco lottavano fra loro creando un’atmosfera suggestiva che non aiutava a restituirgli il controllo. 
- Saranno due lunghi anni, prenditela comoda. Non ha senso tu muoia il primo giorno di addestramento. Non imparerai niente. Se vuoi veramente migliorare devi apprendere, non cercare di morire. Usa la testa. 
Zoro trattenne il fiato sorpreso del primo vero insegnamento da maestro e a quello annuì con entusiasmo, impreparato a riceverlo così a tradimento. Era la prima cosa da insegnante che gli diceva, ma in quello ricordò quando preso fra le braccia gli aveva detto che sarebbe stato un pessimo maestro se avesse perso il proprio allievo mentre lo addestrava. 
- Oltre a questa prima regola... 
- Prima regola? - chiese Zoro ritrovando la parola. 
- Rimani vivo. - la condensò in modo chiaro e conciso. Zoro annuì e la memorizzò meglio. 
- Chiamiamoci per nome. - continuò Mihawk. Il giovane alzò un sopracciglio rendendosi piano piano conto che si stava abituando a stare con lui in un modo che non comprendesse qualche discussione sostenuta, un lancio di sfida oppure un paio di grugniti messi in croce. 
Cominciava ad abituarsi, anche se non sapeva bene a cosa. 
“Forse ad avere un maestro.” 
Ricordò il primissimo avuto da bambino, il padre di Kuina ed inevitabilmente pensò a lei chiedendosi cosa avrebbe pensato di lui nel vederlo prostrato davanti alla persona che aveva giurato di battere per lei. 
“Ma in quel momento pensavo solo a come sarei tornato da Rufy. Forte. Imbattibile. Utile.”
- Il tuo nome? - chiese realizzando di non saperlo. 
- Mihawk. - rispose calmo lui. Non riusciva a decifrarlo. Parlavano in piedi uno davanti all’altro, a poca distanza, e non sembravano già più nemici, ma non era questo che lo colpiva più. 
Quell’uomo non sembrava avere assolutamente inclinazioni di alcun tipo. Non era gelido, non era indifferente, non era calmo. Non era niente. Era come vuoto, privo di emozioni, eppure aveva riso quando gli aveva detto che intendeva farsi addestrare da lui per poterlo battere ed essere più forte. Aveva avuto uno scatto d’ilarità. 
“Chissà se riuscirò a scalfirlo e far uscire qualche altra modalità. Qualche emozione, magari...”
Pensandolo ripetè a fior di labbra il suo nome realizzando d’averlo sempre e solo conosciuto come ‘Occhi di Falco’. 
- Mihawk... 
L’uomo a quel punto sorrise, ma fu solo un lieve piegare le labbra, troppo impercettibile per poterlo definire sorriso, specie perché non arrivò nemmeno a mezzo volto, figurarsi agli occhi.
- Vieni, ti do qualcosa da mangiare e da bere. - con questo lo superò conducendolo verso un’altra porta rispetto a quella da cui era arrivato. Seguendolo Zoro si sentì strano. Era come essere passato in un universo alternativo dove era tutto diverso. 
Sapeva che stava iniziando qualcosa di nuovo ed importante, una nuova vita che gli avrebbe permesso di scoprire un nuovo sé stesso che gli sarebbe stato vitale per il proprio futuro. 
Rabbrividendo d’eccitazione all’idea, sorrise leccandosi di nuovo le labbra. 
Sicuramente qualcosa di nuovo l’avrebbe vissuto e non ci avrebbe messo molto. 
Avendo tempo, era meglio unire l’utile al dilettevole e prendere due piccioni con una fava.
Inteso, se avesse avuto qualche possibilità in merito.