20. IL DUELLO

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In realtà mancavano ancora alcune settimane prima del giorno designato, quasi un mese intero, perciò Zoro non si capacitava del motivo per cui Mihawk gli avesse detto di farlo ora il loro duello e non alla fine, a conclusione ufficiale del loro addestramento, ma non glielo avrebbe di certo chiesto. 
Era contentissimo di potersi misurare, specie perché se glielo aveva proposto era perché ormai aveva imparato bene la tecnica dell’armatura fluente. Ovviamente in due anni non gli aveva insegnato solo quello. 
L’aveva rinforzato su più piani ed in generale sapeva d’aver lavorato molto, ma avendo a disposizione ancora un mese, non capiva come mai non avesse aspettato prima del confronto finale.
Suo malgrado quel mattino si preparò solennemente, si alzò prima del solito scivolando silenziosamente fuori dalla camera dopo avergli lasciato un entusiastico bacio sulle labbra. L’ultimo che si sarebbe concesso prima di calarsi nei panni del suo avversario.
Aveva bisogno di un po’ di tempo prima del loro duello, non gli aveva dato molto preavviso. 
Zoro meditò un’ora prima di cominciare ufficialmente la giornata, doveva concentrarsi e staccarsi dal ruolo sia di Allievo che di Sottomesso. Doveva totalmente dimenticare il sesso e qualunque altra cosa ci fosse stata fra loro. 
Non avrebbe nemmeno fatto colazione. 
Dopo la meditazione, la migliore che in due anni avesse effettivamente fatto, passò una mezz’oretta a scaldarsi. 
La voglia era alta come anche la gioia e l’eccitazione, perciò doveva dominarsi meglio di come avesse mai fatto o non sarebbe riuscito a fare nulla. 
Se lo scopo del loro primo duello era stato fargli estrarre la sua spada, quello di quel giorno sarebbe stato ferirlo. Sicuramente non l’avrebbe battuto, adesso che si conosceva bene sapeva meglio di prima distinguere la propria forza commisurata a quella degli altri, mentre prima era sempre partito contro chiunque ignorando valutazioni del genere. 
Avrebbe probabilmente continuato così senza Mihawk, ma adesso aveva consapevolezza e quello gli permetteva di dosare meglio le proprie forze ed essere più efficace senza inutili dispersioni di energia e tempo. 
Attaccare un avversario troppo forte per sé convinto di poterlo battere in qualche modo, lo faceva solo finire sottoterra o indebolire fino a diventare inutile in una battaglia a grande spettro, mentre sapere perfettamente quanta differenza c’era fra lui e gli altri gli permetteva di attuare una strategia utile. Combattere per sconfiggere qualcuno che non avrebbe mai potuto vincere era stupido e senza senso, ma combattere per procurargli delle ferite profonde e indebolirlo, quello era più che sensato e utile. Era intelligente. 
Mihawk aveva passato molto tempo a spiegargli strategie di combattimento che erano state istruttive.
Adesso sapeva che non era in grado di batterlo, però avrebbe combattuto non per vincere, bensì per ferirlo. In una situazione normale probabilmente si sarebbe trattato di preparare l’avversario a Rufy.
Indebolire uno troppo forte lo faceva diventare poi battibile per qualcun altro, nel suo caso per il suo Capitano.
Non dubitava che Rufy si fosse rinforzato a sua volta e che fosse più forte di lui, ma doveva essere in grado di ferire e preparare gli avversari che non poteva affrontare e sconfiggere da solo.
Essere utile, realmente utile, insomma. 
“Dare la mia vita e fargli da scudo non serve a niente se poi non mi porto all’altro mondo il nemico che finirà comunque per uccidere Rufy. Devo essere un braccio destro che salva la vita del mio Capitano. Non uno scudo, ma una spada che indebolirà il suo avversario permettendogli così di batterlo.”
Il percorso compiuto da Zoro in quei due anni con Mihawk l’aveva portato a maturare e a conoscersi al punto da potersi definire realmente più forte, ma non tanto a livello fisico e tecnico quanto mentale.
Adesso sapeva cos’era veramente la forza, sapeva che non c’era una definizione universale e che era soggettiva per ognuno.
Non era cancellare i propri punti deboli o non farsi sopraffare dalle emozioni. La vera forza era convivere coi propri difetti e le proprie debolezze e trasformare ogni lato di sé in qualcosa di utile alla causa.
La vera forza era permettere a chi si amava di vivere e andare avanti. 
Non intendeva morire né ridursi ad un inutile ammasso di sangue e carne macinata, una volta combatteva così, fregandosene delle proprie condizioni, ma ora era diverso. Ora voleva preservarsi per Rufy, perché la sua vita gli apparteneva, ma non per sanguinare al suo posto, bensì per impedire a lui di sanguinare. Per fare questo doveva rimanere vivo, in forze e soprattutto intatto il più possibile. 
Sanguinare e maciullarsi non era un opzione degna. 

Mihawk non rimase sorpreso di non vederlo nel letto, non aveva idea da quanto mancasse ma sapeva che si era alzato presto per prepararsi. Doveva dismettere i panni di Zoro il suo Allievo, ma soprattutto quello del suo adorabile cucciolo sottomesso. 
Sorrise compiaciuto e non lo cercò, consapevole che non si sarebbe unito a loro per la colazione.
Quando incontrò Perona glielo comunicò e lei ridendo chiese se avevano di nuovo litigato. 
Mihawk con leggerezza aveva risposto che quel giorno si sarebbero battuti a duello, perciò Zoro si stava preparando. 
- Ma non è presto? Perché adesso che manca quasi un mese? 
Mihawk sorrise sornione ma non rispose facendola ovviamente irritare molto. 
“Perché devo dargli il tempo di guarire e abituarsi alla sua nuova condizione, ma con la capacità di adattamento che ha, ce la farà senz’altro.”

Senza mettersi d’accordo, si trovarono all’esterno, nel solito spiazzo ai margini del territorio esterno del Castello.
Ormai gli umandrilli non cercavano più di andargli contro, consapevoli che quell’essere umano era più forte di loro.
Quel giorno le nuvole che erano sempre costantemente presenti nel cielo, erano ancor più scure e minacciose. Dei tuoni rimbombavano inquietanti dando l’idea di cadere loro intorno da un momento all’altro, eppure Mihawk sapeva che non avrebbe piovuto. 
Il vento si alzò creando un’atmosfera cupa, gli alberi spogli facevano volare quel po’ di foglie che erano rimaste, altre sterpaglie rotolavano intorno. 
Mihawk indossava il solito abbigliamento, dei pantaloni neri, una camicia bianca comoda parzialmente sbottonata, lo spadone nero a croce gigante sulla schiena, Yoru; Zoro invece era là in piedi a qualche metro, le katane in mano ancora nel fodero e la bandana già indossata sulla testa. 
I lampi nel cielo illuminarono la scena esternando lo stato d’animo interiore di Zoro. Non tempestoso, bensì elettrico. 
Era eccitato, ma riusciva a dominarsi bene, avrebbe sfruttato tale modalità per dar vita ad un bel duello. Adesso aveva imparato a farlo.
I due si guardarono attentamente nelle loro pose erette, immobili e senza particolari espressioni. 
- Sei pronto? - chiese Mihawk apparentemente freddo e scostante. La gentilezza e le attenzioni che gli aveva riservato, così come l’erotismo con cui l’aveva comandato in quei tempi, erano un lontano ricordo. 
Sembrava quasi che quei due anni non fossero trascorsi. 
C’era un muro fra loro voluto da entrambi per poter fare quel che andava fatto. 
Mihawk aveva un solo scopo. Anzi, due. 
Fargli capire precisamente qual era il suo livello attuale di forza e lasciargli il segno che gli serviva per non essere dimenticato. 
“Con quello tornerai da me in ogni caso, se non altro per vendicarti.”
Ne era sicuro, lui lo sapeva. 
Dopo aver consumato la sua vendetta, avrebbe ripreso da dove interrotto la loro relazione assuefatta. 
Era tutto programmato. 
Zoro annuì estraendo lentamente le spade, si mise in bocca quella bianca andando subito alla tecnica a tre completa, le altre due una per mano. 
Mihawk sfilò così la propria dalla schiena stupendo Zoro che per un momento si destabilizzò. 
- Pensavo avresti usato di nuovo il pugnale... 
Mihawk sorrise brevemente consapevole. 
- È inutile perdere tempo. Tu devi capire quanto sei migliorato e testarti, ma io lo so già. 
- In altre parole sono finalmente all’altezza della tua spada. 
Mihawk fece un ghigno divertito per poi impugnare Yoru con due mani e spostarla di lato, in diagonale davanti a sé; piegò un ginocchio e chinò il busto pronto all’attacco o alla difesa. 
Sicuramente non si sarebbe annoiato. 
“Vieni che ti devo marchiare di nuovo.”

Zoro faticò per un momento a gestire la sorpresa e l’eccitazione. Nonostante la lunga e accurata preparazione, sapere che Mihawk lo considerava all’altezza della sua spada nera e che non doveva prima metterlo alla prova, lo destabilizzò e lo riempì di gioia.
Già solo quello per lui era un test più che sufficiente, ma ovviamente dopo essersi ripreso, si mise in posizione, si piegò sulle ginocchia e senza esitare, dominando di nuovo le sue pulsazioni ed il suo respiro, saltò in avanti ed attaccò. 
Dopo la prima raffica di riscaldamento sempre prontamente parata da Mihawk, Zoro eseguì la stessa tecnica che aveva usato la volta precedente, quando gli aveva poi rotto due spade su tre finendo quindi per essere rovinosamente sconfitto. 
Non stava ancora usando le nuove imparate, nessuna armatura. Doveva sapere a che punto era con ciò che aveva sempre usato per capire se fosse migliorato anche lì. 
Mihawk parò il suo colpo ma non gli ruppe alcuna lama e Zoro compiaciuto saltò all’indietro riprendendo subito con altre tecniche. Nessuna andò oltre la sua lama nera, ma considerando che gli teneva testa e che non stava subendo, era positivo. 

Il suo Maestro lo lasciò fare consapevole di quel che stava facendo. Dopo aver compreso che era migliorato nelle tecniche regolari ma che comunque non sarebbero mai state sufficienti, Zoro si fermò un istante dallo sferrare l’ennesima raffica, chiuse gli occhi, respirò profondamente e fece diventare nere le braccia. 
“Ci siamo.” pensò contento Mihawk che si iniziasse a fare sul serio. 
Non fece alcun sorriso né piega, rimase fermo paziente. Era la prima volta che la usava in un duello vero contro una persona umana, per di più forte come lui, perciò non gli mise pressione, ma poi gli avrebbe ricordato che doveva essere più veloce nell’applicarla poiché i suoi avversari non avrebbero sempre aspettato i suoi comodi. 
Quando anche le sue spade finalmente divennero nere grazie all’haki dell’Armatura, Mihawk fece un cenno col capo sollevando la spada pronto a riceverlo. 

Zoro assottigliò gli occhi cercando di non perdere la concentrazione, ma non era facile. Era indispettito. 
Non stava facendo davvero sul serio. Non stava combattendo per affrontarlo, ma solo per fargli capire quanto forti ora fossero i suoi colpi. In altre parole si limitava a parare. 
Con questo stato d’animo in subbuglio, attaccò. 
Le stesse tecniche di prima usate con quel metodo, furono molto più forti e Mihawk indietreggiò dovendo usare anche lui l’armatura per difendersi. Questo esaltò Zoro che decise di istigarlo e darci dentro spingendolo non solo a difendersi ma addirittura attaccare. 
“Fargli far sul serio sarà la mia vittoria poiché non credo di essere ancora in grado di ferirlo.”
Non voleva morire né rimanere ferito gravemente, dopotutto era allenamento, ma non si sarebbe tirato indietro. Quel combattimento era vitale e una parte di sé era contenta, era come un animale che scalpitava di essere liberato dopo anni di prigionia. Adesso la porta della gabbia era stata aperta e bastava poco per uscire. 
Zoro si sentiva scalpitare. Stava combattendo con la persona che aveva designato, lo spadaccino più forte del mondo, il suo rivale numero uno e non l’aveva denigrato né preso poco sul serio usando il pugnale come l’altra volta. 
Era già un enorme progresso, ma voleva di più, doveva ambire a più di quello. Non poteva batterlo, ma poteva spingerlo ad attaccare. 
Profondamente deciso a tentare il tutto per tutto, Zoro chiuse gli occhi e concentrò ogni parte di sé nel suo colpo più forte in assoluto che applicato alla tecnica dell’Armatura Fluente, sarebbe stato il suo colpo più forte di sempre. Se non funzionava quello, non avrebbe funzionato nient’altro, ma non poteva perdere tempo in inutili attacchi che sapeva non avrebbero sortito effetto. Più andava avanti nel duello, più perdeva forze ed intensità, perciò doveva fare il massimo ora che ne aveva ancora a costo di far concludere presto il loro scontro. Trascinarlo per ottenere il nulla era stupido e contro producente, ma dare tutto e consumarsi per un unico grande colpo magari avrebbe potuto sortire l’effetto desiderato. In uno scontro normale era ferire gravemente il nemico, in quello attuale era spingerlo ad attaccare. 
Così dopo aver messo ogni singola forza, il massimo di tutto ciò che aveva, in quell’esecuzione, compì l’Ashura Bakkei. 

Mihawk fino a quel momento l’aveva lasciato fare semplicemente parando le sue tecniche con più o meno agevolezza. Andando avanti era diventato sempre più impegnativo, ma quando lo vide caricare quel colpo che non gli aveva mai visto produrre, realizzò immediatamente ed alla velocità della luce che se fosse rimasto passivo a riceverlo come gli altri, l’avrebbe ferito di sicuro. Non sconfitto, ma ferito sì e non voleva dare quella soddisfazione al ragazzino. 
Forse la meritava, dopotutto, ma non sarebbe stato comunque contento perché fino a quel momento si era solo difeso e Zoro sapeva bene la differenza fra ferire qualcuno che si limitava a difendersi ed il ferire qualcuno che invece attaccava. 
Così Mihawk, vedendo Zoro moltiplicarsi in tre usando il proprio haki concentrato al massimo e contando in tutto nove spade, tutte infuse con l’Armatura, si piegò ulteriormente sulle gambe, torse il busto e concentrandosi al massimo, scattò in avanti per primo, per la prima volta da quando si battevano. 
“Penso che sarai più contento di venire ferito da me perché ti ho attaccato piuttosto perché mi sono solo difeso.” pensandolo, si scagliò contro Zoro usando le sue tecniche di spada.

Zoro ci mise un lampo, lo stesso che accese il cielo scuro sopra le loro teste, a capire che c’era riuscito. Mihawk attaccava. 
“È il momento.”
Zoro scattò senza perdere concentrazione e cominciando a roteare sfruttando l’effetto del proprio haki triplicato e ulteriormente rinforzato dall’Armatura infusa nelle lame, gli andò contro a sua volta. 
I due spadaccini si scontrarono al centro del campo di battaglia, le loro lame si incrociarono unendosi al tuono che irruppe, l’onda d’urto si propagò da loro dimostrando una potenza che mise a dura prova il terreno che crepò come sotto un terremoto. 
I due non si fermarono, Zoro continuò a roteare su sé stesso con le spade e colpire velocissimo e micidiale e Mihawk proseguì con una serie di attacchi in serie che sfoderò senza ritirarsi o indietreggiare, uno più forte del precedente e naturalmente infusi del suo haki. 

I due andarono avanti tenendosi testa totalmente alla pari fino a che Zoro esaurì la forza per proseguire l’attacco a nove spade che era sì molto forte, ma che aveva anche un notevole contraccolpo. In altre parole lo prosciugava totalmente. 
Fu lì che Mihawk poté approfittare in quanto invece era ancora in perfette condizioni e con un nuovo colpo della stessa potenza degli altri che erano serviti solo a contrastare i suoi, calò la lama enorme e nera sul suo volto, mirando all’occhio sinistro che si squarciò in verticale.
Dopo di questo Mihawk fece un giro su sé stesso e gli inflisse un altro colpo con il piatto della lama che lo scagliò a diversi metri di distanza facendolo trascinare contro il terreno, infine saltò in alto atterrandogli addosso e conficcando la punta nel terreno, fra il suo viso ferito ed il proprio piede, l’altro ginocchio premuto sul suo petto. 
- Morto. - sibilò tagliente facendogli capire che in uno scontro normale a quel punto sarebbe andato all’altro mondo. 
Naturalmente non lo era, non era uno scontro normale e non l’avrebbe mai ucciso, ma quella parola sortì l’effetto desiderato e Zoro, colpito profondamente nel realizzare che l’incontro era concluso e che come previsto aveva perso, rimase senza parole, shoccato, immobile sotto il suo ginocchio. 
Aveva usato il patto e non la lama come in casi normali avrebbe fatto squarciando la carne in profondità, se non addirittura tagliato di netto in due l’intero busto del suo avversario. A conclusione, la punta non l’avrebbe conficcata nel terreno, ma nel centro del suo cranio. 
Era stata dura, più del previsto, doveva ammetterlo almeno a sé stesso, ma aveva comunque vinto e non solo. Gli aveva anche fatto il segno che tanto aveva voluto. Gli aveva lasciato una parte di sé, di nuovo, che non avrebbe mai dimenticato. Il biglietto per rivederlo. 
Guardò il suo occhio sanguinare copioso, il sangue scendeva imbrattandogli la tempia e metà testa per la posizione orizzontale, Zoro ansimava ed il suo cuore batteva così forte che quasi poteva sentirlo ad orecchio nudo. 
L’altro occhio rimasto era sgranato e lui era sudato e sotto shock, le braccia larghe, le katane ancora strette in mano, ora tornate normali, quella bianca gli era sfuggita dalla bocca quando il fendente l’aveva ferito. 
Era vivo perché lui aveva voluto che lo fosse, sarebbe morto se fosse stato un altro, però il livello raggiunto da quel ragazzino aveva superato le sue aspettative, specie con quel colpo finale, decisamente il più forte del suo repertorio. 
Mihawk sorrise compiaciuto, orgoglioso ed eccitato lasciando l’elsa di Yoru che rimase conficcata nel terreno, accanto al viso paralizzato del suo allievo sotto shock. 
Mise entrambe le ginocchia a terra ai lati del suo corpo, si chinò infine su di lui e ponendogli la mano sul lato insanguinato del volto, sussurrò all’orecchio: - Sei stato bravo, ragazzino.
Non c’era un’intento erotico dietro quella frase, infatti non gliela disse nel modo che usava per eccitarlo. Ma era contento ed era stato dannatamente bello combattere contro di lui finendo addirittura per attaccare contro ogni previsione iniziale. 
Era stato divertente e piacevole ed era elettrizzato, come lo erano quelle nuvole cariche di fulmini sopra le loro teste che ancora scendevano tutt’intorno a loro, evitandoli per poco. Uno di essi decise di calare con un rompo assordante poco distante.
Il fragore fu secco e li riscosse, Mihawk guardò Zoro capendo che non si sarebbe ripreso subito, così si raddrizzò e si riprese la propria spada che appese alla schiena, infine recuperò quelle di Zoro che rinfoderò al suo posto, tornò da lui e accucciandosi accanto gli sollevò il capo e le spalle con un braccio. 
Scivolò con la mano sul viso fino ad arrivare ai suoi occhi imbrattandosi di sangue. 
Sotto le sue dita che cercavano di premere sull’emorragia per limitarla, Zoro si riprese dallo shock iniziando a lamentarsi dal dolore che comunque, considerando quanto male dovesse fare una ferita come quella, sopportava più che bene. 
Mihawk orgoglioso di lui che non facesse scenate né piangesse come un bambino, gli premette il viso contro il proprio petto quasi a nasconderlo, infine lo sollevò da terra passando l’altro braccio sotto le ginocchia.
Non voleva essere né maestro né padrone, per Zoro. Quel che voleva essere davvero era colui che si prendeva cura di lui, che se lo teneva con sé e che lo coccolava ogni giorno. 
Una volta che l’ebbe sollevato fra le braccia e che si fu raddrizzato, gli baciò dolcemente la fronte. Non era realmente né contento né soddisfatto di averlo ferito, ma l’aveva ritenuto necessario per non perdere per sempre la persona che amava. Però sapeva che non era stato bello da parte sua farlo, tuttavia non lo sarebbe stato nemmeno perdere Zoro quando se ne sarebbe tornato dal suo Capitano. 

Zoro appena ricevuto il colpo non aveva capito subito quanto grave era stato, né aveva sentito immediatamente il dolore o percepito il sangue. 
Aveva capito che Mihawk aveva sferrato più di un attacco in serie e che erano stati tutti forti, però alla fine l’aveva risparmiato limitandosi a ferirlo e ad atterrarlo. In condizioni normali l’avrebbe tranciato in due e l’avrebbe ucciso, perciò per quanto potesse ritenersi soddisfatto da un certo punto di vista, era comunque ancora lontano da lui, nemmeno al suo stesso livello o vagamente vicino.
Più forte di prima senza dubbio, ma aveva ancora molta strada da fare. 
Appena sentì la voce roca e penetrante di Mihawk dirgli che era stato bravo, tornò in sé e la prima cosa che sentì fu il dolore all’occhio sinistro, ma non capì subito. 
Le fitte erano molto forti e concentrate sul viso, qualcosa di bagnato scendeva sulla faccia e gli imbrattava metà testa, ma quando Mihawk lo raccolse mettendogli la mano sugli occhi, solo allora capì e percepì meglio perché aveva male e non vedeva. 
Il suo occhio sinistro era totalmente squarciato. 
Ci mise un po’ anche ad andare oltre quello, il dolore fu davvero forte, più della realizzazione di ciò che significava avere l’occhio in quelle condizioni. Non aveva ancora compreso che l’aveva perso, però sentendosi sollevare e poi baciare in fronte da Mihawk, un Mihawk che tornava ad essere la versione gentile e premurosa di sé, capì che doveva essere più grave del previsto, più di quello che riuscisse a concepire. 
E allora, solo lì fra le sue braccia possenti e le sue labbra delicate sulla propria fronte contratta e sudata, la mente riprese a funzionare focalizzandosi disperatamente su qualcosa di importante che gli permettesse di sopportare e non svenire. 
“L’ho spinto a ferirmi di nuovo gravemente. L’altra volta l’aveva fatto per motivarmi a migliorare e a cercare vendetta. Adesso l’avrà fatto per fermarmi, perché la mia forza l’ha sopraffatto per un momento.”
Da un lato si sentiva orgoglioso di sé e di quel che l’aveva spinto a fare, dall’altro si chiedeva se fosse veramente così o se fosse come l’altra volta. 
I sensi di Zoro iniziarono a confondersi e nonostante tutti gli sforzi per rimanere cosciente ed il dolore che acuiva sempre più, la coscienza iniziò a sfumare. 
“Se così fosse,” pensò sforzandosi di rimanere sveglio: “mi ha volontariamente ferito per legarmi ancor di più a sé e spingermi a tornare da lui quando sarò pronto per batterlo. Legarmi indissolubilmente a sé.” 
La mente si annebbiò sempre più mentre abbandonava il viso ferito contro il suo petto, imbrattandogli la camicia. La sensazione del suo collo caldo contro la propria fronte gelida, i propri muscoli che perdevano tensione fra le sue braccia robuste ed i sensi che si mescolavano completamente fra loro. 
Un ultimo pensiero vagò. 
“Ha paura che adesso io non lo veda più come il mio maggior rivale e che quindi non torni più da lui.”
Avrebbe aggiunto ‘come può pensare che non tornerò? Io devo batterlo ed ora a malapena sono riuscito a far sì che mi attaccasse spingendolo ad usare più forza’, ma la sua mente ormai era incapace di collaborare più, così si abbandonò contro Mihawk che, silenzioso, non disse nulla ma si limitò a trasmettergli involontariamente un solo unico pensiero. 
“Non ti perderò. Tornerai da me. Adesso sì che tornerai da me.”
Perché poi l’avrebbe capito. 
Come aveva evitato di squarciargli il petto usando il piatto della lama e poi non gli aveva conficcato la punta in fronte, avrebbe anche potuto evitare di aprirgli in due l’occhio. Se non l’aveva fatto era semplicemente perché aveva voluto fargli male.