Chi Vuole Vivere Per Sempre

 

Le luci si stanno spegnendo, il palco lentamente si svuota, rimane soltanto una luce accesa, quella dove prima c’era il cantante che regalava a tutti quelli che volevano ascoltarlo un po’ d’amore.

Un po’ di se stesso.

Mi sveglio di soprassalto, sudato.

Il cuore che batte forte, accelerato quasi.

Con un ultimo colpo di tosse ricado giù sui cuscini, stremato.

E’ l’incubo ricorrente di questi ultimi mesi, ancora prima di prendermi la polmonite.

Da quando ho saputo di essere sieropositivo.

Assurdamente cerco di scacciarlo passandomi una mano sulla fronte.

Che eresia.

Non potrò mai cancellare la nostalgia che mi lascia dentro ogni volta che queste immagini ritornano.

Una nostalgia che sa di antico, di … spento quasi.

Una nostalgia che mi scava nell’anima come la voce di mille chitarre acustiche.

Resto steso qui, senza forze.

E’ frustrante sentirsi così, è frustrante guardare il mondo attraverso questa plastica trasparente che mi consente di respirare.

Questa volta sono alla fine ed è inutile che menta a me stesso: ho paura.

Una paura strisciante e vigliacca, che mi assale quando sono indifeso, quando i ricordi che fanno male arrivano alle spalle, mi ghermiscono, togliendomi quella poca lucidità che mi rimane.

Non so che giorno è oggi, non so nemmeno se è giorno e notte… lentamente l’interesse per ogni forma di vita si sta allontanando da me.

Le luci si stanno spegnendo.

Non so se si riaccenderanno quando andrò…dove devo andare.

Qualsiasi luogo esso sia.

L’ho sempre immaginato come un enorme palco.

Quando i miei amici se ne andavano, quando la morte toccava qualcuno che conoscevo immaginavo un enorme palco.

Immenso.

Illuminato a giorno.

E su quel palco la migliore orchestra che mai essere umano potesse immaginare.

E sognare.

E là loro.

Tutti i migliori che avevano scelto, in un modo o nell’altro, di andarsene.

E un microfono vuoto per il successivo.

Sarò io a prenderlo in mano?

Potrei sorridere se non apparissi grottesco.

Mi ritengo davvero così grande da salire su quel palco?

Fino a poco tempo fa avrei detto di sì.

Cinque anni fa esatti.

Fino a cinque anni fa nessun dubbio sfiorava la mia mente: quel microfono mi spettava di diritto.

Fino a cinque anni fa.

Fino a quando non ho scoperto di aver contratto l’HIV.

Entra un’infermiera con mia madre.

Chiudo gli occhi stancamente.

Almeno so che è giorno, di notte non sarebbe venuta affatto, no?

Lei si avvicina al mio letto e parla lentamente, singhiozzando ogni tanto.

Non capisco nemmeno cosa stia dicendo.

E’ tutto lontano ormai.

E’ come se stessi già vicino a quel palco.

Come se lo stessi guardando.

Resta ancora un po’, ma sembra pensare che mi sono addormentato perché soffoca un singhiozzo perfettamente udibile e sfiora la plastica che mi avvolge e che mi fa respirare.

Mamma.

Non piangere per me dai.

Ho vissuto come ho voluto, senza nessun rimpianto.

Se penso a quello che ho fatto non provo nessun altro sentimento che non sia accettazione.

Va bene così.

Ho voluto a tutti i costi questa vita e adesso la morte è la giusta fine.

Sono stanco.

Entra qualcun altro.

Che ci fa qui?

Non voglio sentire nessuno.

Non ce la faccio più.

Poter chiudere gli occhi e dormire per sempre.

Poter chiudere gli occhi e lasciarsi andare al mare immenso dell’oblio.

Vergogna?

Chi parla di vergogna?

Non provo nessuna vergogna.

E perché mai dovrei provarla?

Ho amato ogni singolo attimo della mia vita.

Vorrei adesso poter dire la stessa cosa con la mia morte.

Andatevene, andatevene tutti.

Mi danno retta.

E’ sceso il silenzio.

Chi mai può asserire di voler vivere per sempre?

Io no, io voglio soltanto che nessuno parli più di me e di quello che ho fatto.

Che ho detto.

Di come muoio o di come…

Di come muoio.

Muoio.

Sto morendo.

Ho paura?

…si, ho paura.

Non so se alla fine ci sarà quel palco per me.

E se invece c’è solo il nulla?

Se invece non c’è niente e nessuno?

Il buio?

Rantoli.

Di chi sono questi rantoli?

…Sono io?

Ore… sono passate ore…

…minuti…giorni…sono stanco.

Poter smettere di fare a meno di quella fatica immane che è respirare.

…Il rosa dell’alba…

…il rosso del tramonto…

…il nero della notte…

…il bianco del mascherone sul mio viso…

…toccami…fammi vivere…

…toccami…fammi sentire…

il microfono…alzate quel microfono…

…non sento la mia voce maledizione…

…lasciate quel ragazzo…

guardatemi…sono IO!!

… Non toccatemi, che fate?…

…Dio…sono così stanco…se è vero…che ci sei…vieni a prendermi…

…Chiunque ci sia…

…Chiunque mi stia ascoltando…

Voglio soltanto…

Amore…

Adesso…

Basta…

Adesso…

La luce…

Si spegne…

Fine.

 

 

“dedicata a Freddy, ovunque adesso tu sia, grazie.

Ti voglio bene.”