Dove il vento trascina le foglie
Quanta tenerezza riesce a darmi quando la sera, stanco dopo una giornata di lavoro cercando di “capire la terra, di rispettarla, di amarla per poter trarre da lei i frutti di cui ha tanto bisogno si interessa anche del mio lavoro.
Si siede vicino a me, controlla le mie carte, i miei appunti, e cerca un interesse che non ha molto, come ogni sera.
Poi desiste, il tempo necessario affinché io non pensi che non gli interessi quello che sto facendo, il mio lavoro.
Allora prende in mano le sue carte, controlla i conti della fattoria, meticoloso, preciso come mai avrei pensato potesse diventare.
Che dolcezza riesce a darmi quando vedo che osserva le mie mani pulite, dalle unghie curate.
Mani senza calli ne tagli, perfette.
Mani da studioso quale io sono.
E poi si guarda le sue.
Piene di tagli cicatrizzati e tagli freschi.
Di escoriazioni, di unghie tagliate fin sotto per evitare che la terra le annerisca.
Allora mi alzo, prendo la crema a base di glicerina e gliela spalmo sulle mani lentamente, per permettere che penetri a fondo e lo curi almeno un po'.
Ma quello che tocca il mio cuore sono le piccole attenzioni che ha verso di me.
Le primizie dei suoi campi.
Le prime verdure, la prima frutta, il meglio soltanto per me, assicurandosi personalmente che io non perda nemmeno una delle preziose vitamine contenute in ciò che lui prepara per me.
In ciò che rovina le sue mani, le sue unghie, che piega la sua schiena al sole e alla pioggia.
Sono la ragione della sua vita e non so se sono mai riuscito a fargli capire quanto questo tocchi il mio cuore.
Si è addormentato sul tavolo.
Alzo una mano e gli accarezzo i capelli, sono morbidi e ancora leggermente umidi dalla doccia appena fatta.
Quante volte gli ho detto di andare a letto prima di crollare così?
<< Sei un gran testone sai...>> mormoro a voce bassa
<< Sei tante cose...riuscirò a dirtele un giorno o l'atro... ne sono sicuro.>>
Mi alzo per coprirgli le spalle con un plaid.
Farò finta di non essermi accorto di nulla e quando avrò finito con le mie carte lo sveglierò e ce ne andremo a letto.
Mi piace averlo qui accanto a me mentre il silenzio avvolge la fattoria.
Sentirlo respirare, guardare la sua testa appoggiata sul tavolo, sopra i suoi conti.
Non so se il mio è egoismo e nemmeno me ne importa.
Mi piace tutto questo e non riuscirei più a farne a meno.
Credevo che scegliesse il mare.
Credevo davvero che, andandocene insieme agli altri quando Athena ci ha offerto una vita normale, Kanon avrebbe scelto il mare.
Quel mare da cui era stato tratto in salvo una prima volta dall'amore della nostra Dea.
Quello stesso mare che aveva visto la sua caduta.
E la sua rinascita.
Qual'è l'uomo più grande?
Quello che non conosce sconfitte o quello che rinasce sempre più forte?

Guardandolo accanto a me in questi anni, giorno dopo giorno, mi sono fatto questa domanda spesso.
E la risposta è tutta li, in quell'uomo che mi sta accanto.
In quelle mani callose e segnate dal lavoro.
In quel corpo che riposa, stanco.
L'autunno è avanzato ormai e la terra sta per entrare nel suo meritato riposo.
Ricordo che da bambino questo periodo dell'anno mi metteva addosso una certa malinconia.
Guardavo le foglie portate via dal vento e mi chiedevo dove sarebbero andate.
Che ne avrebbe fatto di quelle foglie l'amico vento, quelle foglie che avevano fatto il loro dovere fino a quel momento, resistendo a intemperie e siccità. Mi piaceva pensare che avrebbero avuto la loro giusta ricompensa riuscendo ad essere utili anche in quel modo.
Sotto quella forma apparentemente inutile.
Crescendo ho imparato che nulla è inutile e che la fine di un ciclo dipendo soltanto dal modo in cui tu lo vivi.
Mi alzo dal tavolo allungando lentamente tutti i muscoli indolenziti dalla lunga, forzata, scomoda posizione, poi mi avvicino a mio fratello e gli accarezzo la testa.
Passo le dita tra i capelli, li faccio scivolare lentamente sul palmo della mano tirandoli un po' e sento che il suo corpo si irrigidisce leggermente...per poi rilassarsi con un sospiro.
Gli tolgo il plaid dalle spalle e lui apre gli occhi ancora assonnati, facendo un mezzo sorriso.
<< Andiamo fratello?>>
la mia voce è bassa, appena un sussurro, ma lui ha capito perfettamente.
Si alza piano piano, scuote il capo come per far allontanare gli ultimi stralci di un sogno...forse.
Poi si volta verso di me e mi afferra la mano.
Saliamo le scale così, tenendoci per mano.
Mentre fuori il vento passa attorno alla casa, fa danzare i rami spogli degli alberi cercando altre foglie da portare con se.
Nella sua danza.
Ed è mentre entriamo nella nostra camera che glielo dico.
Per la prima volta nella nostra vita.
Non sono un uomo di molte parole.
Non mi piace sprecarle inutilmente.
C'è chi si aggrappa a quei suoni e ne fa la ragione della loro vita.
Inutilmente.
Io preferisco dosarli a piccole gocce e farne così un prezioso modo di comunicare i nostri sentimenti.
Attimi unici e irripetibile.
Come questo.
Apro la porta e mentre entra e mi sfiora passandomi accanto lo dico.
E questa volta la voce esce chiara e precisa.
Alta.
<< Ti voglio bene >>
Si ferma.
Li.
Nell'entrata.
Si ferma e mi guarda negli occhi.
Poi abbassa la testa di qualche centimetro e un sorriso brilla nei suoi occhi...prima che vengano celati dalle palpebre.
<< Lo so... ho tanto atteso che tu me lo dicessi... e adesso mi rendo conto che l'ho sempre saputo.
Perché il tuo amore mi è sempre stato dinnanzi.>>
Lo spingo in avanti con l'altra mano chiudendo la porta dietro di noi.
Spengo anche la luce per lasciare soltanto la luna unica testimone del mio abbraccio.
Del mio bacio.
Non so dove il vento trascina le foglie stanche dal loro lungo lavoro ma so dove ha portato me il sentimento che ci lega e che non è riuscito a rompersi.
Nonostante noi.
Nonostante il tempo.
Contro ogni logica e convinzione.
Alla fine l'unica cosa che conta è che il sole non si spenga mai.
Fuori e dentro di noi.