Perdonarsi

“Perdonare è ritrovare la chiave della propria prigione”

\\Pow Rukawa\\

La pioggia continua a cadere, implacabile.

Appoggio la bici al suo solito posto e apro con le chiavi la porta di un’appartamento assolutamente vuoto.

Da quando non ci sei la mia vita è desolatamente vuota.

Desolatamente e assolutamente vuota.

Vado in cucina e apro la pentola che mia madre ha lasciato sul gas …riso al carry…è ancora caldo.

Dev’essere appena uscita per andare al lavoro…

Prendo dal frigo il necessario per un panino e vado a mangiarlo davanti alla finestra della sala.

La pioggia ha alzato un muro invalicabile, grigio, impenetrabile.

Senza di lui la mia vita è come quel muro di pioggia: impenetrabile.

Impermeabile a qualunque altro stimolo o soffio di vita.

Eppure basterebbe così poco…basterebbe che io alzassi la cornetta di quel maledetto telefono per fare il suo numero che ormai so a memoria e dire una sola parola.

Una sola.

E lui, in pochi minuti, sarebbe di nuovo qui.

Tra le mie braccia.

Dove dovrebbe essere.

Perché accidenti non ci riesco?

Perché?

Sento il cuore stringersi in una morsa d’acciaio… sono sfinito!

La tensione per tenere sotto controllo quello che provo per lui durante il giorno mi sta uccidendo.

Sono tre settimane… ventun giorni esatti che ci siamo lasciati.

Che l’ho lasciato.

Ventun giorni che in palestra non lo guardo minimamente, neanche per litigare.

Ventnu giorni che il mio cuore sta morendo per mancanza del sostegno principale.

Più importante ancora del sangue.

Dell’ossigeno stesso che mi fa vivere: lui.

I suoi capelli rossi.

Il suo sorriso sfrontato…e quello dolce, tenero.

Che riserva solo a me.

Il suo calore.

La sua vitalità.

Io senza di lui sto morendo.

Lentamente ma inesorabilmente.

…e allora perché non riesco a perdonarlo?

Perché?

Qualcuno è capace di rispondermi?

E’ capace di dirmi perché preferisco morire piuttosto che dirgli”va bene…ti perdono”?

 

\\ Pow Sakuragi\\

La cartella vola fino alla parete della stanza e li si ferma, aprendosi e spargendo il contenuto per terra.

Alzo le spalle con noncuranza…non ci sei tu a dirmi, seccamente, di non lasciare in giro la mia roba… e mia madre, da quando tu non ci sei più, non osa dirmi una sola parola.

Quando c’è chiaramente…e questo succede raramente ormai.

Metto le ciabatte lasciando le scarpe in bella mostra nel centro della stanza e vado in cucina per mangiare qualche cosa… chiaramente non c’è nulla di pronto.

Mi faccio un panino e lo vado a mangiare in sala, davanti alla finestra.

Troppi ricordi in cucina… quante volte abbiamo mangiato quello che io cucinavo per poi finire col fare l’amore sul tavolo?

A dire il vero ogni angolo di questa casa ci ha visti insieme.

In ogni momento, senza inibizioni… che cosa sono quando due si amano come noi?

O forse dovrei dire si amavano…

La pioggia si alza d’intensità mentre iniziano i fulmini…che solcano il cielo ormai quasi nero dalle nuvole.

Vorrei avere il coraggio di andarmene fuori e allargare le braccia…per vedere se qualcuno riesce a beccarmi.

Un bel fulmine che metta fine a questo tormento.

…Ma non lo faccio.

Ho troppo rispetto per la vita umana da quando mio padre è morto per buttarla via così.

E allora perché accidenti non vado da lui e lo scuoto fino a fargli entrare un po’ di buon senso in quella sua zucca vuota?

Maledetta Kitsune… che non sa andare oltre il proprio naso.

Che non riesce a capire che ci sono molteplici verità e altrettanti modi di vedere le cose.

Kaede ha ragione ad essersi arrabbiato?

Me lo sono chiesto molte volte in questi eterni ventun giorni e sono arrivato alla conclusione che si… ha avuto tutte le ragioni del mondo.

Ma io non l’ ho tradito.

Nemmeno con il pensiero.

<< Ci sono molteplici verità…>> mormoro contro il vetro della finestra, mentre l’ennesimo fulmine si scarica poco lontano da li, interrompendo, per un breve attimo, l’elettricità.

Da quando mi ha lasciato io non vivo più.

Vegeto in uno stato di perenne rabbia.

Così come fa Kaede.

Lo so, lo sento.

Lo vedo a scuola, sempre più cupo, chiuso, gelido.

Pronto a nullificare il poveretto che si mette sulla sua strada.

Siamo prigionieri dei nostri errori e non facciamo nulla per andare incontro uno all’altro.

Perché non riesco a prendere in mano quell’accidenti di telefono e a dirgli che lo amo?

Che non l’ ho mai tradito?

…Perché non riesco a dimenticare che Kaede non ha avuto fiducia in me?

<< che cos’è un rapporto senza la fiducia?>> mi chiedo per l’ennesima volta in questi giorni eterni… e mi do sempre la stessa risposta: una fragile, sottile, carta velina.

Che si strappa al primo soffio.

Eppure non posso fare a meno di pensare che se fossi al suo posto… se fossi al posto di Kaede… riuscirei a capire?

A non fraintendere?

Scuoto la testa rassegnato e me ne vado in camera mia.

Mi tolgo la divisa che pende da tutte le parti…sono dimagrito parecchio in queste ultime settimane ma proprio non riesco più a mangiare come prima.

Sto morendo… forse è proprio vero.

Mia madre me lo dice ogni volta e non riesco a capire se è sollevata o preoccupata.

Ma ormai non me ne importa più.

Non ho più nulla.

Kaede era tutto il mio mondo.

E adesso che lui non c’è più nella mia vita…mi rendo conto che la ragione principale per cui mi alzava e continuavo a vivere è sparita.

Semplicemente disintegrata.

Guardo il letto vuoto, disfatto.

Con le coperte per terra.

Non sopporto più di vederlo così… non sopporto più di svegliarmi e di non trovarlo accanto a me che dorme, beato.

Appagato.

Ormai dormivamo quasi sempre li, nel mio letto.

Infischiandocene altamente di tutti gli altri.

Lo voglio di nuovo… lo voglio nella mia vita.

Lo voglio nel mio letto…dentro il mio corpo.

Lo voglio per tutto il resto dei miei giorni.

E allora…allora perché non prendo in mano quel telefono e lo chiamo?

Perché non vado da lui e dimentico?

E perdono?

A scuotermi è il suono del medesimo telefono, fonte di laceranti contraddizioni.

Lo alzo affannato e… al di là c’è Mito.

Il sospiro di delusione è fortissimo e per un attimo immagino benissimo il viso del mio migliore amico che sta per esplodere…invece…invece la sua voce pericolosamente bassa arriva precisa al mio orecchio, scandendo queste parole:

“ Perdonare è ritrovare la chiave della propria prigione”

E basta.

<<…Mito?>>

<<E chi altri?>>

dice pericolosamente serio.

<< Ho trovato questa frase in un calendario piccolo che ha mia madre sulla scrivania…>>

sua madre è maestra, con una calma e una passione per il proprio lavoro encomiabile.

E lentamente le parole che mi ha appena detto scavano nel mio cuore a pezzi.

<< Mandagliela… anzi…va da lui e diglielo…e fatela finita una buona volta!>>

Mette giù senza dire altro ma lentamente, senza sbattere la cornetta.

E, potrei giurarci, un sorriso accompagna il suo gesto.

Amico mio.

“Perdonare è ritrovare la chiave della propria prigione…”

mormoro tra me scandendo queste parole lentamente.

Assaporandole.

E’ vero…io sono in prigione.

E anche lui lo è.

Devo trovare la forza di andarmene, di uscire da qui.

E solo io ho le chiavi per poterlo fare.

Solo io.

 

\\ Pow Rukawa\\

La luce se ne va di nuovo… e questa volta non torna immediatamente.
Resto li davanti, indifferente a tutto ciò che non sia il suo
ricordo.
Il suo pensiero che è ancora cocciutamente ancorato nella mia mente.
Mi ha detto che la verità non è mai una sola.
Quando l'ho lasciato ha detto, anzi, ha urlato, che la verità ha
molteplice facce… ma io non ho voluto ascoltarlo.
Per me è tutto bianco o nero.
Ogni cosa… e non mi è mai passato nemmeno per l'anticamera del
cervello che potessi avere torto.
Che forse ci sono altri colori tra questi.
Colori che porterebbero una luce diversa in tutto quello che è
accaduto.
Non ho voluto ascoltarlo.
Dannazione!!!!
Non ho nemmeno voluto ascoltarlo!
Quello che avevo visto mi bastava e avanzava!
Perché adesso sto mettendo tutto in discussione?
Io credo a quello che vedo.
E' sempre stato così.
Perché adesso mi sto arrampicando sugli specchi?
Mi manca.
Lo sogno quasi ogni notte e nei sogni piango immancabilmente.
Dalla gioia di averlo ritrovato.
Quando mi sveglio la gola è asciutta e il petto fa così male da
sembrare in procinto di esplodere.
Vorrei essere capace di piangere.
Forse se riuscissi a farlo…
Ad interrompere il mio delirio è il telefono.
Alzo la cornetta al quinto squillo.
Quanto ho desiderato che suonasse… quanto ho desiderato essere
capace di farlo suonare io…
La mano non è poi molto ferma mentre porto questa maledetta cornetta
all'orecchio…mentre la sua voce riempie, finalmente, la mia mente.
E il mio cuore.
<< Perdonare è ritrovare la chiave della propria prigione…>>
Non dice altro, attende che io parli.
Che dica qualche cosa.
Qualsiasi cosa.
E' vero… io sono in prigione.
Una prigione voluta e costruita da me e da me solo…
E adesso che lui mi sta offrendo la chiave per uscirne,
improvvisamente mi rendo conto di quanto inutili siano le mie
motivazioni.
I miei insindacabili diritti.
Il mio smisurato orgoglio.
La realtà è una sola: Io senza di lui sono morto.
Morto dietro le sbarre di una solida prigione.
E' ancora li e attende.
E sento il suo respiro farsi sempre più lento…e allora la dico.
La dico quella parola che attendiamo da tre settimane.
Da quella sera maledetta.
<< Vieni>>
E la notte finalmente finisce.
"Vieni"
E finalmente sento nettamente il rumore della serratura che scatta,
delle sbarre che si aprono… della mia prigione che svanisce.
Ed è lo stesso suono che fa lui quando singhiozza… quando sbatte giù
il telefono per venire da me.
Si… perdonare è ritrovare le chiavi della propria prigione.
E sarei un idiota perfetto a tenerle ancora in mano.
Le getterò via, il più lontano possibile da me.
Me lo ripeto mentre scendo le scale lentamente.
Mentre apro la porta e lascio che la pioggia mi lavi immediatamente.
Come un mantra antico che penetra in me e mi rinnova completamente.
Eccolo li che viene da me.
Eccolo mentre scaraventa a terra la bici e si butta tra le mie
braccia aperte.
Finalmente!
Finalmente è qui.
Insieme a me.
Insieme abbiamo sconfitto la notte.
Insieme siamo riusciti ad uccidere il nostro orgoglio e a perdonarci.
E mentre indietreggio fino a chiudere la porta dietro di noi lui mi
cerca la bocca tra le lacrime.
Le sento nella sua lingua.
Le assaporo insieme alle mie.
Uniti anche in questo.
E adesso lo sarà davvero per sempre.
Adesso che abbiamo sconfitto noi stessi niente e nessuno ci dividerà.
Non lo permetterò mai più.
Affinchè tutta la nostra sofferenza non sia stata inutile.