*Eul-tae è a casa, ora, e deve ricominciare da zero, ma siccome non vuole saperne di essere umano, ha due possibilità: o tentare di tornare Bulgasal, ma non è facile specie ora che è rimasto completamente solo, o uccidersi visto che ora è più facile per lui morire. Do-yun, però, che torna a controllare cosa sta facendo per vedere ora che è sveglio non faccia danni, potrebbe avere una terza opzione per lui. Avevo un'immagine di Eul-tae ben precisa e spero di essere riuscita a trasmetterla. Oltre alla scena dei due personaggi tratta da una scna che ho citato (indirettamente) nel capitolo, ho messo una foto di un altro attore che non è Lee Joo (Eul-tae), però ha più o meno la capigliatura che mi immaginavo per lui qua. Ho cercato anche la vestaglia, ma non c'è stato verso di trovarla, perciò dovrete usare l'immaginazione. Buona lettura. Baci Akane*
2. IL RIFIUTO DI VIVERE
/Ok Eul-tae - Nam Hye-seung, Jeon Junghoon/
Vivere.
Era morto da così tanto tempo che non sapeva minimamente come si viveva.
Sì, perché quel che aveva fatto per mille anni non era vivere, era stato un demone sanguinario assetato di sangue umano, senz’anima e probabilmente senza cuore.
Sapeva che uccidere il proprio fratello solo per farsi amare dal padre non era un’azione sana, se ne era sempre reso conto, ma l’aveva fatto lo stesso. In quel momento lui era stato ancora umano.
Perciò no, forse lui non era mai vissuto da umano normale.
Gli era venuto molto più facile adattarsi alla vita da demone e bere sangue umano, che vivere una vita da uomo comune.
Ed ora, ora che lo era, ora che doveva, come si faceva?
Eul-tae per la verità aveva ventilato l’idea di riprendersi i poteri di Bulgasal, era stato uno di loro per molto tempo e conosceva ogni punto debole, sapeva come sopraffarne uno. Due era fuori discussione, ma se riusciva a separarli, avrebbe potuto forse battere lei, la più debole dei due, probabilmente.
Ma per fare questo non sarebbe bastata solo l’astuzia ed il sapere, tanto meno la fortuna. Restava un demone molto forte.
Avrebbe rischiato di morire in modo stupido.
Eppure vivere per cosa?
Tenere tanto alla propria vita, aveva in realtà un senso?
Cosa se ne faceva di quella vita umana che aveva sempre odiato, ora più che mai?
Più ci pensava, più sprofondava in una sorta di oblio vuoto dove, privo di obiettivi, non riusciva a capire perché avrebbe dovuto vivere quella odiosa, insulsa e debole vita umana.
Forse morire, dopotutto, non sarebbe stato così male.
Lo pensò dopo un po’ di tempo passato a contemplare diverse opzioni, piani e fallimenti.
Forse era inutile, alla fine, darsi tanta pena. Se non ci teneva a quella vita, allora tanto valeva togliersela e porre fine a quel supplizio privo di senso e significato.
“Eppure se è la morte, ciò che voglio, tanto vale ottenerla mentre cerco di prendermi ciò che desidero davvero.”
Pensò infine sollevandosi a sedere sul letto.
Vi era rimasto steso per un tempo indefinito, giorni probabilmente, durante i quali aveva dormito quando i suoi occhi si erano chiusi da soli e si era trascinato al bagno per i bisogni impellenti, per poi tornare a sprofondare sul suo materasso senza muoversi, in totale accidia, opponendosi alla vita più che mai.
“Non ce la farò, in queste condizioni. Ma se devo morire, voglio che siano le zanne di Hwal a sbranarmi, i suoi denti a squarciarmi, la sua bocca a cibarsi di me.”
Non intendeva cercare di riprendersi i poteri, sapeva che avrebbe fallito, non era stupido.
Era cosciente del fatto che l’altra ed unica volta che era diventato Bulgasal, era successo solo ed esclusivamente perché Hwal aveva avuto bisogno di lui, della sua anima, perciò gli aveva consegnato la propria essenza affinché gliela tenesse da conto. Un prestito, ecco.
Forse ce l’avrebbe potuta fare con l’aiuto di qualche altro mostro forte, ma quei due ormai li avevano uccisi tutti. Era così già prima della sua sconfitta, adesso sicuramente avevano proseguito la loro pulizia. In ogni caso nessun mostro ormai gli avrebbe dato retta, nessuno l’avrebbe aiutato.
Aveva finito le opzioni.
Sapeva di non avere speranze, perciò se si trattava di trovare un modo per morire, voleva lui.
L’unico essere di cui si fosse innamorato.
Sì, perché ora che era umano se ne rendeva conto, che la sua dedizione totale a lui, il suo tentare in tutti i modi di vivere l’eternità insieme come una coppia, era il suo desiderio di amarlo per sempre.
Appena cercò di muoversi, iniziò a girargli la testa, successivamente a dolergli. Era debole, se ne rendeva conto. Era una sensazione familiare, molto antica, ma estremamente simile a come si era sempre sentito prima di diventare Bulgasal.
Fragile, debole, malato.
I crampi allo stomaco e la vista poco a fuoco, gli fecero intuire che dovesse essere lì da troppi giorni a digiuno da cibo e acqua.
Da quando si era svegliato non aveva mangiato né bevuto nulla, si era rifiutato di farlo ed aveva obbligato i medici a dimetterlo prima del tempo.
Il suo nome era ancora uno dei più importanti, i soldi li aveva comunque.
Una volta a casa non aveva pensato a nulla, non c’era più nessuno ad aspettarlo, nessuno era rimasto e non aveva provveduto ad assumere n’é a cercare i propri vecchi collaboratori.
Perciò era solo e la sua casa era vuota, completamente vuota.
Non aveva traccia di cibo e non gli interessava nutrirsi anche se si sentiva estremamente debole per quello.
Appena il suo corpo si abituò al movimento, Eul-tae si alzò, camminò lentamente verso lo specchio, si fermò e si guardò per aspettare che di nuovo le forze gli tornassero, mentre la testa gli girava ancora e gli sembrava di non poter più nemmeno mettere un piede davanti all’altro.
In quelle condizioni non sarebbe arrivato nemmeno a casa di Hwal, figurarsi stimolarlo fino a farlo infuriare.
I suoi capelli erano più lunghi e disordinati di come li aveva sempre tenuti.
C’era ancora la barba incolta che nemmeno gli donava, gli dava un’aria così sciatta e sporca.
Faceva schifo, non si piaceva per niente, non riusciva nemmeno a guardarsi.
Con una smorfia si trascinò al bagno e guardò la doccia.
Di certo se doveva morire, almeno l’avrebbe fatto con stile e per farlo doveva innanzitutto essere presentabile. Anzi. Doveva tornare ad essere l’Eul-tae che era stato negli ultimi tempi.
Quello che piaceva e che si piaceva.
Specie perché doveva rendersi perfetto se voleva che Hwal si cibasse di lui.
Ora si sentiva decisamente meglio.
L’aveva sentito dire nei mille anni, che la reazione migliore alla depressione era prendersi cura di sé, alzarsi dal letto, lavarsi, sistemarsi. Una sola semplice doccia, sbarbarsi, pettinarsi e vestirsi, per quanto assurdo, poteva essere effettivamente l’inizio della terapia migliore.
Eul-tae, asciugato e lisciato con cura i capelli che gli arrivavano alle spalle e gli scendevano senza una forma precisa sul viso, coprendoglielo a tratti, si era anche fatto la barba.
A quel punto il campanello lo disturbò, proprio durante la scelta dei vestiti. Sarebbe andato a pranzo da qualche parte per riprendere le forze, non gli piaceva l’idea, ma era pragmatico e sapeva cosa doveva fare per spingere Hwal a lottare con lui fino ad ucciderlo.
Gli servivano forze. Gli serviva cibo. Cibo normale, da umani.
Seccato per l’interruzione, si infilò una vestaglia di seta viola scuro, era lunga e larga e gli scivolava sul corpo nudo e profumato, ricoperto di oli che gli resero più morbida la pelle candida.
Senza chiudersi l’indumento, si avviò lentamente all’ingresso per vedere chi osava disturbarlo dopo tanto tempo. Nessuno si era mai degnato, fino a quel momento, di venire a vedere se era vivo e stava bene. Anche la gente che un tempo aveva comandato, politici e forze dell’ordine, nessuno era più venuto, forse nella speranza che fosse morto. Le voci delle sue condizioni critiche si erano sicuramente sparse ovunque, ma aveva voluto mantenere il segreto sul suo ritorno a casa. Non essendo più il Eul-tae forte e potente di un tempo, non voleva rischiare di diventare un bersaglio per gente che disprezzava.
Camminando, la vestaglia si aprì leggermente, rivelando parte della sua nudità.
Così si presentò alla porta che aprì senza controllare chi fosse.
Quando vide il suo visetto dolce com’era sempre stato, qualcosa iniziò a fremere in Eul-tae che sorrise spontaneo come aveva sempre fatto ogni volta che l’aveva incontrato, sin da quando era piccolo.
- Do-yun, sei tornato!
Di sicuro la sorpresa più grande e, a quanto pareva, più apprezzata.
Do-yun lo guardò ed arrossì spontaneamente. Eul-tae notò il suo stato d’imbarazzo provocato chiaramente da lui e dalle sue condizioni che, evidentemente, non dovevano essere male come si era giudicato da solo.
- Sì beh... quei due dittatori mi hanno costretto a vedere se eri già tornato a fare qualche danno... non si fidano e vogliono che ogni tanto io venga. Pare che io sia l’unico a poterlo fare. Gli ho detto che hai già tentato di uccidermi due volte, ma sostengono che ora è diverso e che non lo farai. Non con me. Io non capisco cosa intendono, comunque yay! Eccomi qua!
Do-yun parlava sempre tanto, Eul-tae adorava conversare e per questo si era sempre trovato bene con lui.
Anche perché la sensazione della sua manina stretta forte alla propria, da piccolo, era stata la prima cosa positiva che aveva mai percepito nella sua lunga vita.
Eul-tae piegò la testa di lato divertito, notando che parlava tanto facendo attenzione a non abbassare mai lo sguardo che vagava ovunque tranne che su di lui.
- Dittatori? - chiese notando che aveva usato un termine nuovo per il suo tipico dizionario.
- Sono tornato a scuola! Vengo da lì! - rispose Do-yun grattandosi imbarazzato la nuca e sollevando la cartella che teneva in mano.
- Lo immaginavo dalla tua deliziosa divisa che ti dona un sacco! - esclamò sinuoso, lo sguardo scivolò sul suo corpo coperto da una comune divisa scolastica color blu scuro e bianco. La camicia mezza slacciata e scomposta.
Do-yun avvampò sentendosi in imbarazzo senza capire il motivo.
- Sono contento che sei tornato a studiare, hai fatto bene. - aggiunse poi come se fosse ancora il suo tutore e benefattore e dovesse giocare un ruolo come aveva sempre fatto.
Do-yun si aggrottò.
- Non devi più recitare, non credo ti interessi davvero se studio o cosa faccio della mia vita... - fece chiudendosi a riccio, infastidito che lo trattasse come aveva fatto per tutta la sua giovane vita, illudendolo di avere una specie di padre. - Comunque vedo che sei ancora qua, il mio compito l’ho fatto. Ti saluto! - esclamò seccato, facendo per voltarsi ed andarsene in fretta.
- No, aspetta, non vuoi entrare e sapere davvero quali sono i miei piani e cosa sto facendo? - tentò subito con ansia Eul-tae improvvisamente felice di avere qualcuno lì. O forse proprio lui.
Il ragazzino si fermò.
- Non particolarmente.
- Sai bene che Hwal vorrà sapere tutto, invece. Ti rispedirà qua subito!
Su questo purtroppo aveva ragione e dovette rassegnarsi. Sospirò e alzando gli occhi al cielo scrollò le spalle e la testa.
- E va bene!
Eul-tae esultò senza nemmeno nasconderlo e si fece da parte per farlo entrare. Nello spostamento, la vestaglia si aprì ulteriormente scoprendo un intero lato del suo corpo, compreso l’inguine.
Do-yun a quel punto non poté fingere di non notarlo e spontaneo com’era sempre stato, gli coprì il centro del corpo con la cartellina che gli spiaccicò addosso.
- Copriti però!
La risata sadica di Eul-tae l’accompagnò fin dentro.
Era contento, il padrone di casa. Non sapeva perché, ma lo era.
Era come ai vecchi tempi, quando veniva a trovarlo e lui sapeva che doveva passare e stava tutto il giorno in attesa, in ansia. E poi quando finalmente lo annunciavano, si sentiva al settimo cielo al punto da non poterlo nascondere e contenere.
Gli correva incontro felice e passavano delle ore a giocare insieme, spensierati.
Ma ora era diverso, era simile ma diverso.
Mentre lo seguiva dentro la sua stessa, non piccola, casa, lasciando la sua cartella all’ingresso, con la vestaglia che nel camminare si apriva del tutto e lui che ne approfittava, sentiva che era diverso.
Le emozioni erano più vivide ed intense e non erano sporche od opache o confuse.
“È perché sono umano. Cosa proverò quando rivedrò Hwal?”
Pensò fugace rimanendo indietro per l’andatura che iniziò a rallentare e traballare per la debolezza che, esaurita l’adrenalina per l’averlo rivisto inaspettatamente, tornava a farsi strada.
Do-yun notò che non gli era immediatamente dietro e si voltò per guardare dove fosse. Appena lo vide in faccia, capì che stava per sentirsi male. Era più pallido e - corpo dannatamente scoperto a parte, che con quella vestaglia di seta viola stava divinamente, per non parlare dei capelli - riuscì a capire in tempo che stava per andare lungo disteso.
Lo vide appoggiarsi al muro senza nemmeno rendersene conto e scivolare giù lentamente.
Do-yun lo prese al volo, infilandosi sotto il braccio e sostenendolo senza esitare. Gli circondò la schiena e lo tenne su con tutto sé stesso. Non era pesante, notò.
Eul-tae a quel contatto si sentì di nuovo meglio, le energie tornarono insieme alla vista, ma si aggrappò a lui, al suo esile corpo che aveva abbracciato tante volte.
- Eul-tae, ma da quanto non mangi? - chiese capendo subito quale fosse il problema nel sentire troppo le sue costole attraverso la leggerissima stoffa che l’avvolgeva.
- Parli di pasti umani o dell’ultimo banchetto da demone?
Il giovane arricciò schifato il naso.
- Non hai mangiato ancora nulla da quando sei umano?
Eul-tae alzò la spalla, guardandolo da vicino mentre ancora si lasciava sostenere da lui.
Era bello stare così con lui, sentire il suo corpo contro il suo, esile ma al tempo stesso forte. Forse più di lui, in quel momento.
Do-yun arrossì e distolse lo sguardo trascinandolo verso il salotto, ormai conosceva bene quella villa, ci era venuto così tante volte che gli sembrava quasi casa sua, sebbene ormai considerava tale quella di Hwal e Sang-un.
Lo adagiò sul divano dove l’aveva spesso trovato steso lascivamente, Eul-tae si lasciò cadere seduto appoggiandosi allo schienale come se fosse in fin di vita, ma ovviamente sempre con stile. Una posa quasi teatrale, la mano sulla fronte, la vestaglia di seta aperta artisticamente che mostrava del tutto il suo corpo, inguine compreso.
Do-yun avvampò ancora, senza capirne il motivo, e si affrettò a chiudere i lembi dell’indumento per poi mettergli sopra anche un cuscino, per essere sicuro.
Eul-tae che capiva meglio di lui cosa stava succedendo, ridacchiò osservandolo con la sua tipica insistenza fastidiosa.
Non aveva mai avuto paura di lui e dei suoi atteggiamenti strani. Non si era mai comportato male con lui tranne che negli ultimi tempi, ma Eul-tae in effetti con lui era sempre stato come un parente. Affettuoso, premuroso, addirittura dolce in certi momenti.
Do-yun non aveva mai avuto paura di dirgli qualunque cosa ed anche quando aveva cercato di convincerlo a non uccidere Hye-suk e Si-ho, l’aveva fatto senza timore, consapevole che una volta l’avrebbe accontentato se glielo avesse chiesto in quel modo, toccandogli il braccio e guardandolo con aria implorante. Do-yun aveva sempre saputo che Eul-tae aveva un debole per lui, l’aveva sempre accontentato. Quella volta non l’aveva fatto e a dirla tutta aveva anche cercato di ucciderlo, ma una cosa che aveva detto Hwal l’aveva fatto pensare.
Quando lui, straordinariamente vivo, aveva detto d’aver avuto fortuna, Hwal aveva risposto che con Eul-tae non c’era fortuna, se voleva uccidere qualcuno, per giunta così debole, l’avrebbe semplicemente fatto.
Per questo l’aveva costretto a controllarlo e ad andare da lui. Perché se non l’aveva ucciso quando aveva dovuto farlo, dal punto di vista distorto di Eul-tae stesso, non l’avrebbe fatto mai.
Quella volta ci aveva provato perché costretto dal segreto che il ragazzino aveva scoperto e che non poteva rivelare. Le cose poi erano andate diversamente ed anche dopo, al magazzino, al momento di uccidere la famiglia di Hwal per spingerlo a mostrare la sua vera faccia, aveva evitato la morte di Do-yun. Se ne era andato proprio perché non aveva voluto vederlo morire.
Per questo alla fine si era lasciato convincere a farlo. Sapeva in cuor suo che Eul-tae non gli avrebbe mai fatto del male se non costretto dalle sue priorità e dai suoi piani pre esistenti.
No, Do-yun non aveva mai avuto realmente paura di lui, se non negli ultimi tempi, quando ormai i suoi famosi piani non coincidevano più col proteggerlo come aveva fatto per il resto della sua piccola vita.
Ma ora era diverso. Ora cosa voleva Eul-tae?
Il giovane rimase a fissarlo pensieroso, ricambiato dal suo sguardo lascivo e insistente.
- Vogliamo parlare subito di cosa farai ora? Quali sono i tuoi piani?
Eul-tae lo guardò sorpreso della domanda tanto diretta, così di punto in bianco, ma era un po’ il suo stile. La sincerità prima di tutto, era sempre stato così e gli era piaciuto per quello.
Era lui ad averlo rigirato in proprio favore, non il contrario.
- Non è meglio se mangio, prima? Il cervello inizia a farmi brutti scherzi a digiuno come sono. Sai, è la prima volta che sono umano dopo mille anni e non mi ricordo più come si fa a vivere normalmente...
Do-yun rise spontaneo sebbene non voleva dimenticare chi era davvero lui e tutte le cattiverie che aveva fatto.
Lo vedeva diverso da prima.
Lui era in assoluto quello che lo conosceva meglio.
Da demone aveva sempre finto atteggiamenti ed emozioni umane, molto bene in effetti. Adesso che era umano capiva la differenza da prima che si sforzava di essere umano ed ora che invece lo era davvero.
Si chiese se per caso, dopotutto, quella non fosse una cura per lui. Se quello, il suo essere di nuovo umano, non fosse effettivamente la sua seconda occasione migliore.
“Ci sono speranze anche per lui?”
Le seconde occasioni per lui erano importanti, non poteva dimenticare che se non gliene fossero state date, lui probabilmente sarebbe morto ucciso da qualche mostro vendicativo.
- Se sapevo ti portavo qualcosa, non credo tu abbia qualcosa da mangiare che non sia qualche schifosissima riserva di sangue umano che magari è anche andata a male...
Do-yun capì che doveva giocarsela bene, voleva davvero capire cosa aveva realmente in mente Eul-tae, ma per farlo doveva far sì che lui glielo dicesse e si aprisse.
Non gli piaceva mettere da parte il fatto che per colpa sua erano morti Hye-suk e il detective Kwon, ma l’essenza umana e quella demoniaca facevano una grande differenza.
Non voleva salvarlo e tantomeno farlo diventare della famiglia, voleva solo poter vivere serenamente i futuri anni della sua vita ed essere sicuro che davvero non cercasse più di far del male a nessuna delle persone che contavano.
Per il resto, la vendetta non era un sentimento nel suo vocabolario. Per lui la cosa più importante era sempre stato poter avere Hwal, suo padre, con sé. Poter vivere tutti insieme come una famiglia felice. Per questo il concetto di vendetta per lui non esisteva.
Se Eul-tae avesse voluto rimettersi in piedi e vivere una vita umana normale, cercando magari la felicità, sarebbe stato meglio per tutti. Non avrebbero più dovuto vivere in allerta, con la paura che qualcosa arrivasse a rovinare quella felicità tanto faticosamente conquistata.
- Vorrà dire che chiameremo e ci faremo portare qualcosa... cosa vorresti mangiare? Hai qualche preferenza?
Do-yun notò la speranza nel suo tono e nel suo viso. La speranza che si fermasse a mangiare con lui.
Poi notò anche che, effettivamente, voleva mangiare.
“Per giorni non ha mangiato niente ed ora che sono io qua è disposto a farlo?”
Poi realizzò un altro concetto.
“Ma perché mai non mangiare nulla, ora che è umano e che per vivere deve farlo? Forse voleva morire? E se il suo piano fosse questo?” Poi si rispose da solo: “Beh se fosse quello, non accetterebbe ora di mangiare con me.” Infine sospirò confuso ed esasperato. “Capire quest’uomo è diventato improvvisamente troppo difficile, una volta era più facile!”
Decise che per prima cosa avrebbero mangiato qualcosa, poi avrebbe chiesto in modo chiaro e diretto ciò che voleva sapere. A lui avrebbe risposto. C’era solo da capire quanto poi sincero sarebbe stato, considerando che per anni gli aveva sempre mentito su tutto.
“Un conto è che a me non farebbe niente, un altro è che mi direbbe la verità. Mi ha sempre mentito o rigirato, ha manovrato la realtà per farmi fare ciò che voleva. Non gli viene in mente, a mio padre, che potrebbe rigirarmi ancora?”
Solo ora la vedeva con chiarezza, la situazione.
Suo malgrado capiva che rimaneva la migliore opzione di tutti, così si sedette accanto a lui, ad una certa debita distanza, e decise di provarci meglio.