*Do-yun ed Eul-tae sono ancora in cucina, hanno appena finito di mangiare e il ragazzino cerca di approfittare dell'aria confidenziale che si è instaurata per avere le informazioni che gli servono. Ma saranno realmente cose che vuole sapere per conto di Hwal oppure servono a sé stesso per capire se può fidarsi o meno? Intanto Eul-tae è nella sua fase della scoperta dell'essere umano e finisce per mettere non poco in crisi il ragazzino che, prima di proseguire in una direzione, ha bisogno di rifletterci con cura. Buona lettura. Baci Akane*

4. QUANTO VALGONO LE SECONDE OCCASIONI

 

eultae doyuneultaedoyun
/Grey city - Nam Hye-seung ft Jeon Junghoon/

- Tornerai? - chiese Eul-tae vedendo che dopo il pranzo si stava preparando per andare via. Lui, ancora seduto al tavolo, lo osservava lavarsi le mani e buttare via i resti degli incartamenti. 
Si sentiva decisamente meglio, senza dubbio. Aver mangiato alla fine aveva risolto quel fastidioso mal di testa e quella terribile debolezza. 
Perciò gli umani per star bene mangiavano. Probabilmente c’erano cibi migliori di altri per sentirsi forti. Se ne sarebbe accertato. 
- Davvero non hai piani a parte ucciderti? - rispose Do-yun deducendo facilmente che ci aveva ripensato. 
Non sapeva se si sarebbe dovuto dispiacere e se avesse dovuto adoperarsi per fargli cambiare idea, ma per fortuna sembrava aver riattivato da solo il cervello. 
Al suo silenzio, Do-yun si voltò a guardarlo e lo vide seduto lascivo sulla sedia, la vestaglia viola di nuovo mezza aperta perché insisteva a non recuperare la cintura. Una parte scivolò giù sul braccio scoprendogli la spalla, i capelli di nuovo sul viso. Non scese con gli occhi sull’inguine e sulle gambe accavallate con grazia e sensualità. 
Lo guardava con aria pensierosa e al tempo stesso implorante, come un cucciolo selvatico che respingeva ma che voleva comunque amore e cure. 
- No. Volevo troncare questa terribile agonia della vita umana... - poi alzò le spalle scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi per vederlo meglio, che ricadde subito lì dov’era. 
- Ma la resa non è nel mio stile, alla fin fine. 
Do-yun che sembrava incredibilmente attratto dai suoi capelli, si sfilò la cravatta che si era infilato in tasca, odiando quell’accessorio scolastico obbligatorio, e gli andò dietro sorprendendo Eul-tae che rimase immobile a trattenere il respiro. 
- Cosa ti ha fatto cambiare idea? - gli fece di nuovo la stessa domanda di prima, senza ricordarsi di quanto particolare fosse stata prima la sua risposta tanto da spingerlo a non approfondire per non ritrovarsi ancora in situazioni strane ed imbarazzanti. Gliela fece piano, con un filo di voce, mentre gli toccava  i capelli sottili e neri, raccogliendoglieli in una coda piccola e alta sulla sommità del capo. 
- Ti ho visto e mi è venuta voglia di provare una cosa... - fece vago stuzzicando l’infinita curiosità di Do-yun. Stava combattendo coi suoi capelli sottili per toglierglieli dal viso, ma forse stava indugiando troppo. Erano belli al tatto, morbidi e setosi come erano sempre sembrati. 
Eul-tae era ricoperto di brividi, la mente si annebbiò a quel gesto. In parte forse per il contatto con lui, in parte per l’estrema bellezza del sentire che qualcuno gli toccava i capelli. Forse una delle cose più rilassante in assoluto. 
- Che cosa? 
- Passare di nuovo del tempo con te... come ai vecchi tempi... stavamo bene insieme, no? 
Era vero, Do-yun non poteva recriminare nulla sul periodo che avevano passato insieme, anche se lo feriva la consapevolezza che probabilmente era stato tutto per un secondo fine. Aveva capito che era il figlio di Hwal e che un giorno gli sarebbe tornato utile. Infatti poi quando i suoi piani di conquista su Hwal non erano più coincisi con la sua vita, aveva cercato di togliergliela. 
Eppure non poteva nemmeno dimenticare che alla fine aveva esitato e l’aveva ferito in un punto non critico, permettendogli di salvarsi. Lo sapeva che se la sarebbe cavata. 
Voleva vedere quella traccia di bene, in lui.
- Eri davvero felice di passare il tempo con me? - chiese infine, legando la cravatta sul codino che gli aveva fatto.
Si spostò da dietro e lo guardò per vedere come stava. Sorrise nel constatare che stava piuttosto bene. 
- Adesso si vede meglio il viso! 
Un viso decisamente bello da osservare, in effetti. Ma non lo disse ad alta voce. 
- Certo che lo ero. Stavo bene, ero felice di passare del tempo con te. Erano i momenti più belli. Avresti dovuto chiedere ai miei collaboratori che mi vedevano sempre. Purtroppo non puoi più farlo, ti devi fidare di me. 
Do-yun tendeva a fidarsi per partito preso, era sempre stato così. Persino quando aveva pensato di stare spiando delle persone meschine dalla parte opposta di Eul-tae, si era incuriosito e si era fatto ammaliare da loro, si era fidato e l’avevano conquistato. 
- Davvero? Ed adesso ti sembra sia cambiato qualcosa? Adesso che sei umano... 
Era come in fissa da questo concetto. Cosa cambiava fra l’essere umano e l’essere demoniaco? Fino a che punto cambiavano le persone le diverse essenze? Quanto contava l’anima? 
Quella di Eul-tae aveva fatto un giro infinito, ma inizialmente era stata corrotta. Adesso però era passata tramite due persone buone che forse l’avevano purificata. 
Sarebbe stato un Eul-tae diverso? In che modo? Quanto? 
Si poteva fidare? 
Doveva capirlo, doveva assolutamente capirlo per saper cosa fare di quello strano istinto che non ci sarebbe mai dovuto stare.
Quella voglia di essere toccato di nuovo da lui con la sua lingua. 
- Sto ancora meglio, per la verità. Sono ancora più felice, vorrei passare ogni istante della mia vita con te. 
- Te ne sei accorto solo ora? Prima volevi ucciderti ed ora vuoi stare solo con me? 
Non gli sembrava strano volesse stare con lui, lo ricordava vitale nei momenti passati insieme in passato, a giocare senza alcun fine dietro. 
Eul-tae si alzò lentamente dalla sedia, sinuoso, lasciò che la vestaglia ormai mezza scivolata giù dal braccio, andasse ancora più in basso fin quasi a denudarlo del tutto. Gli si fece vicino, Do-yun non si spostò. Il cuore a mille.
Quella era eccitazione? Non gli era mai capitato niente del genere. 
- Finché non provi la vita, non sai cosa significa. Non sai cosa vuoi davvero finché non ce l’hai davanti. 
- Perché un tempo volevi tanto diventare un demone, cosa è cambiato da ora? Come faccio a sapere che non cercherai di tornare Bulgasal? 
Le paure erano normali e legittime, Eul-tae non si stizzì dei suoi dubbi. Gli sfiorò una guancia leggero, il giovane non si ritirò. 
- Una volta ero ossessionato dal mancato amore di mio padre. Non mi amava perché ero malato e debole ed io volevo solo essere forte, volevo essere il figlio che lui desiderava, renderlo orgoglioso, farmi amare da lui. Adesso... devo trovare il mio scopo. Se non lo troverò, mi ucciderò. 
Rispose calmo, senza risparmiarsi in parole. 
Do-yun rimase colpito dalla sua ammissione, inghiottì a vuoto e si morse il labbro fissandolo negli occhi profondi, perdendosi in loro. 
- Pensi che passare del tempo con me ti aiuterebbe a trovare il tuo scopo, la tua umanità? 
Sapeva di non poter essere così tanto ingenuo, ma qualcosa lo paralizzava lì davanti a lui e non era la paura, ma la voglia, il desiderio, l’emozione, l’eccitazione. 
Si rendeva conto che era sbagliato, che niente poteva cancellare ciò che aveva fatto. Ma se era vero nel male che aveva commesso, lo era anche nel bene. Con lui era stato buono, l’aveva curato, gli aveva ridato la vista, era stato un padre ed un fratello. Ed ora, forse, poteva essere qualcos’altro. 
Anche lui aveva spiato la sua famiglia ed era responsabile del male che gli avevano fatto a causa sua, ma per fortuna avevano capito e l’avevano perdonato. 
Eul-tae non era stato rigirato da nessuno, tanto meno ricattato moralmente. Ma era stato mosso da una psicosi demoniaca che gli aveva distorto la mente. 
Adesso era umano e doveva capire cosa significava, cosa significava profondamente il suo essere umano. 
- Lo spero profondamente. - rispose Eul-tae sussurrando piano, spostando le labbra al suo orecchio. 
- Perché io mi sento totalmente perso... - aggiunse ricoprendolo di brividi dalla testa ai piedi. Do-yun chiuse gli occhi ed attese qualcosa che non sapeva bene. 
- E tu sei l’unica luce che io abbia mai avuto. 
Voleva essere amato. Da umano lui aveva cercato di essere amato, l’aveva fatto nel modo sbagliato, ma l’amore l’aveva mosso. Un amore che poi si era sporcato, distorto e ammalato. 
Ma ora, pieno di un’anima carica dell’amore vissuto da due persone, poteva esserci speranza per lui. 
Non l’avrebbe toccato per primo, ma se l’avesse fatto lui non si sarebbe opposto. Si erano sempre abbracciati, in passato. Eul-tae aveva cercato il contatto con lui e lui si era sempre sentito bene e a suo agio. 
- Tornerai? - chiese infine, non più sul suo orecchio ma sul suo viso. Do-yun aprì smarrito gli occhi e guardò i suoi pieni di speranza. Non lo toccava, ma il suo corpo nudo lo sfiorava facendogli provare sensazioni inaudite. 
Non sapeva in che condizioni sarebbe tornato a casa, se ne sarebbero accorti. 
- Tornerò a patto che tu prima di fare qualsiasi cosa, me lo dica. 
Eul-tae annuì. Per il momento la sola cosa che valva la pena d’essere provata, era lui. Do-yun. 
- Lo farò. 
Il ragazzino sorrise indietreggiando a malincuore. 
- Allora tornerò. 
Raccolse lentamente il suo cellulare e si avviò altrettanto lentamente all’uscita, seguito da Eul-tae che si era intanto rimesso la vestaglia, camminava meglio, perciò non si sentiva più in pensiero. 
Recuperò la propria cartella dall’ingresso, dove l’aveva lasciata prima, aprì la porta e fece per uscire, poi si fermò, ci pensò attentamente e con esitazione, disse: 
- Sai vero che ho 17 anni. 
Eul-tae alzò le spalle.
- Ti ho cresciuto io, so quanti anni hai. - asserì sicuro. 
- Bene... perché allora sai anche che abbiamo una certa differenza d’età... tu tecnicamente ne hai più di mille, no? 
Cercava di farsi due conti mettendo in chiaro certe cose. Non poteva stare senza esprimere per bene tutto ciò che pensava. Non ne era capace. 
Eul-tae fece un sorrisino e piegò la testa col suo tipico modo di fare, padrone della situazione.
- Tecnicamente sì, ma di fatto il mio aspetto si è fermato a vent’anni, quando sono diventato bulgasal mille anni fa. 
- Sarebbe comunque tanto... - insistette Do-yun testardo facendo il conto degli anni che li separavano. 
- Per cosa? 
Do-yun si fermò. Eul-tae lo guardò divertito, inarcando le sopracciglia, provocatorio come sempre. Il piccolo avvampò e con una smorfia scrollò le spalle e brontolando un imbarazzato: - Lo sai! - se ne andò. 
L’ex demone rise spontaneamente e sinceramente divertito, ancora carico di un’ebbrezza che non aveva mai provato in vita sua, nemmeno da umano, mille anni prima. 
Quel ragazzo era speciale, era diverso. 
Sapeva che si era legato a lui, perché quando aveva dovuto ucciderlo con pragmatismo, per lui era stata dura, era stato difficile ed alla fine il suo istinto profondo aveva preso il sopravvento.
Sapeva di non avergli tolto la vita e non si era stupito nel saperlo ancora vivo. Si era sentito contento, anzi. 
Successivamente al magazzino aveva cercato di non guardarlo morire, quando aveva assegnato l’incarico al suo collaboratore. Non voleva vederlo spirare, consapevole che anche quella volta non aveva avuto scelta.
Tutto per Hwal, sempre tutto per lui.
Perché in mille anni la sua priorità era sempre stato lui, in ogni caso, sopra qualunque cosa.
Se avesse saputo come sarebbero andate le cose, avrebbe agito diversamente senza mai ferire e allontanare Do-yun.
Perderlo era stata la cosa più difficile della sua vita. 
Adesso che era libero dalle proprie stesse catene di demone e dai desideri di un tempo, non aveva più alcuna priorità e poteva vivere per ciò che si sentiva sul momento.
Forse, dopotutto, valeva la pena farlo.
Vivere per Do-yun e non morire per Hwal. 
Forse ci poteva provare. 


Do-yun aveva ancora il cuore che gli batteva in gola.
Sapeva che era successo qualcosa e sapeva anche cosa, era ingenuo e un po’ tonto, lo riconosceva, ma ad un certo punto quando le scritte al neon comparivano e spiegargli cosa capitava, non poteva non capire. 
Stava scattando qualcosa fra lui ed Eul-tae. Forse in memoria dei vecchi tempi e di quanto bene erano sempre stati insieme.
Forse perché si rivedeva in lui in quanto sapeva di essere stato dalla sua parte ed aver agito per conto suo, ferendo persone che non lo meritavano. Aveva avuto attenuanti, ma i fatti erano i fatti. 
Aveva fatto la spia per Eul-tae, gli aveva quasi consegnato Sang-un. 
Gli avevano dato una seconda occasione e lui non l’aveva sprecata.
Sang-un quando aveva voluto risparmiare Eul-tae era stata chiara.
Tutti loro avevano avuto nuove occasioni per rimettere le cose a posto e sistemare i propri errori, perché tutti ne avevano commessi, Hwal sopra tutti, forse. 
Era giusto dare le stesse occasioni a chiunque, se l’avesse sprecata sarebbe stato diverso, non avrebbero avuto pietà, ma a quel punto, dopo aver rimesso ogni anima al posto giusto, dovevano dargli modo di sistemare le cose e meritarsi il suo posto nel mondo.
Perché, a quanto pareva, anche lui ne aveva uno alla fine. 
Do-yun era l’unico a cui Eul-tae in un modo tutto suo e distorto aveva tenuto ed era anche l’unico a conoscerlo meglio degli altri, ci aveva passato molto tempo insieme ed in realtà non ne aveva mai avuto paura, non realmente. 
Quando aveva fallito il suo compito di spia non l’aveva ucciso come aveva fatto con ogni collaboratore che aveva fallito. Gli aveva detto di tornare in istituto dov’era prima che lui lo facesse uscire. La sua prima intenzione era stata di non fargli nulla, poi quando aveva saputo il segreto che avrebbe minato il legame con Hwal a cui ambiva, aveva dovuto ucciderlo. Dal suo punto di vista. 
“Una volta dunque la sua priorità era Hwal al punto da provare ad uccidermi, senza riuscirci. Adesso sono io? È questo che devo pensare? Che non gli importi più di Hwal ma di me?”
Non poteva fidarsi e buttarsi ciecamente, lo sapeva.
Poteva anche essere tutto un sistema ideato per rientrare nelle grazie di Hwal. Se piaceva a lui, se lui lo perdonava, magari poi un giorno si sarebbe unito alla loro famiglia.
“Famiglia... è questo che voleva. Essere amato dal padre, essere accettato, che fosse orgoglioso di lui... non credo che una persona possa cambiare molto, credo che la sua base resti. Aveva problemi, si capisce, perché diventare spontaneamente demone per essere forte e farsi amare dal padre è estremo, non è normale. Ma penso la sua base rimanga quella di una persona che cerca amore. Anche con Hwal dopotutto cercava questo. Un compagno per la vita che credo amasse a modo suo. E anche con me, in qualche maniera, alla sua tutta particolare, mi voleva bene, era un sole quando era con me. Penso che in realtà lui cerchi questo, forse non se ne accorge. 
Una famiglia. Amore.”
Realizzandolo mentre tornava a casa da solo, sorrise intenerito e felice di aver trovato probabilmente la chiave di Eul-tae. Se non era un vero pericolo sarebbe bastato aiutarlo per rimettersi in piedi e trovare ciò che cercava e tutti sarebbero stati definitivamente felici, senza più alcuna ombra. 
E poi forse come aveva trovato un padre in un demone millenario che per odio e vendetta aveva maledetto persone innocenti, uccidendole spietato, magari poteva trovare un compagno in un uomo che da demone e per amore aveva commesso molti errori, anche gravi, ma che aveva una seconda occasione di redenzione. 
“Eppure quanto valgono le seconde occasioni? Ha ucciso due membri della nostra famiglia. Hye-suk e il detective Kwon. Sang-un mi ha spiegato che ad averci maledetto negli anni è stato proprio Hwal e che se ora ho perdonato lui, il colpevole delle nostre sofferenze, posso dare una seconda possibilità anche ad Eul-tae, se ne sento il bisogno e vedo ne vale la pena. Dunque ne vale la pena? Penso che per capirlo dovrò rivederlo di nuovo. Più di una volta.”
E improvvisamente a quest’opzione non si sentiva più angosciato e contrariato come in precedenza, quando aveva dovuto andare a trovarlo in ospedale e quel giorno a casa sua. 

A casa ne aveva parlato un po’ con Si-ho, l’unica con cui lo faceva da sempre. Con Hwal lo trovava difficoltoso specie da quando lo chiamava padre. Non era un carattere che ispirava alla confidenza, mentre Si-ho un tempo era stata sua madre e prima ancora sua sorella.
Ecco, forse... se doveva darle una definizione, la vedeva tutt’ora come una sorella.
A lei aveva spiegato la situazione, che era molto complicata perché da un lato si rendeva conto di chi era stato Eul-tae, dall’altro non poteva dimenticare che le atrocità commesse venivano da una sorta di vita precedente, quasi, quando era stato prima un giovane uomo preda della delusione derivata da suo padre, poi dal fatto stesso di essere un demone sanguinario. 
Ora era umano, ma non semplicemente umano come un tempo, era umano con un’anima totalmente rinnovata.
Do-yun aveva perfettamente capito la storia ed il giro che aveva fatto la sua anima, si era fatto raccontare tutto dal principio da entrambi ed era stato come fare terapia di famiglia. Tutti insieme ne avevano parlato, scoprendo le atrocità che anche Hwal, da vecchio Bulgasal di un tempo, aveva commesso a loro. 
Se avevano potuto perdonare lui perché dopo aver vissuto da umano e poi da demone-umano, si era redento ed era cambiato realmente, perché Eul-tae con la stessa anima che aveva cambiato Hwal e che poi si era ulteriormente purificata in Sang-un, non doveva dare la stessa occasione?
- Ci ha maledetto nei secoli, capisci? Le nostre sofferenze, anche quelle che non ricordiamo ma che papà si ricorda, sono state tutta colpa sua... ed io ora capisco che era come un’altra persona, che è cambiato realmente. Dunque non dovrei dare la stessa occasione ad Eul-tae? Come dovrei considerarlo, a questo punto? 
Si-ho, che non aveva mai giudicato ed aveva sempre predicato il perdono e la vita a prescindere da qualsiasi cosa, aborrendo la vendetta in ogni sua forma, per qualsiasi motivo, gli aveva risposto con una semplicità incredibile, sorridendo sia materna che fraterna. 
- Dovrai fare come abbiamo fatto noi con Hwal. 
Do-yun l’aveva guardata meravigliato, senza capire. 
- Passando del tempo con lui. Solo così potrai capire la persona che è oggi e se vale il tuo perdono. 
Il ragazzino aveva annuito sollevato dal sapere che lei la pensava come lui. Se la vedeva anche lei così allora andava bene, significava che era davvero giusto. Si-ho era stata l’unica, la prima a perdonarlo, a chiedergli perché li avesse spiati, a chiedergli cosa fosse successo realmente e poi a combattere per lui nonostante tutti fossero feriti e contro di lui. 
- Ci sono limiti al perdono? Come faccio a capirlo quando è troppo e quando è giusto? - aveva chiesto poi, con un’ultimo filo d’ansia e la paura di sbagliare di nuovo come aveva spesso fatto nella sua giovane e sofferta vita. 
- Mai. Non ci sono mai limiti al perdono. Se te la senti, se pensi se lo meriti, glielo devi dare. Il perdono è un modo per liberare noi stessi, non per salvare gli altri. Ricordalo. Se lo perdonerai sarà solo per te stesso. Perciò non esitare, se senti di volerglielo donare. 
Le sagge parole della sorella, avevano fatto ancora una volta breccia nel suo cuore che, sollevato, aveva preso il telefono ed era corso a richiamare Eul-tae che gli aveva precedentemente scritto un messaggio dicendo che aveva bisogno di una mano. 
“Non si può vivere nel rancore eterno. È macerante. Ti divora. Ti rovina. Ti stanca. Ti uccide l’anima.”
Con questo Do-yun decise di non frenarsi. Qualunque cosa sarebbe successa con Eul-tae, l’avrebbe vissuta e basta.