*Eul-tae adesso che è umano si diverte a sentire cosa significa esserlo e gode appieno (in ogni senso) di ogni piacere che prima non provava. Contemporaneamente si è fatto i suoi piani per conquistare Do-yun, ma visto che non è mai stato normale, pensa di doverlo ottenere con qualche sotterfugio. Non sa che è proprio questo che rischierà di allontanare il ragazzino da sé. Nel disperato tentativo di riavvicinarlo, tornerà nella tana dei demoni che ha inseguito per secoli e si ritroverà a tu per tu con la sua eterna ossessione, Hwal. Sarà in grado di resistere? Che effetto gli farà rivederlo da umano? E Hwal lo squarterà o lo lascerà sopravvivere? Tutto in questo capitolo (uno dei miei preferiti, lo ammetto!). Buona lettura. Baci Akane*
6. INSEGUENDO
/Nam Hye Seung, Jeon Jong Hyuk - I will never die/
Essere umani sicuramente aveva i suoi lati negativi. La debolezza, la fragilità, la mortalità.
Ma doveva ammettere che aveva anche i suoi pregi.
Il piacere, per esempio.
Il piacere che provavi da umano era totalmente imparagonabile a quello che provavi da demone.
Nella fattispecie fu così per Eul-tae il quale, probabilmente, avendo vissuto bevendo sangue umano, aveva perso quel lato che gli avrebbe fatto provare amore e sentimenti nonostante la propria natura demoniaca.
Hwal e Sang-un avevano per secoli provato un amore sincero l’uno per l’altro, vivendo senza consumare sangue umano. Grazie a questo avevano mantenuto la loro umanità ed anche Hwal, nella sua seconda vita demoniaca, aveva perseguito la stessa via mantenendo comunque una sorta di umanità.
Si era potuto innamorare di nuovo di Sang-un pur senza avere i ricordi di un tempo, aveva provato amore paterno per Do-yun ed un affetto di qualche genere per Si-ho. Per non parlare di ciò che aveva provato per Hye-seok e Jin-young, suo padre.
Per questo, Eul-tae, per mille anni da bulgasal non aveva mai provato sentimenti o emozioni o sensazioni, perché mano a mano che aveva bevuto sangue umano, aveva sempre più perso ogni caratteristica umana. Do-yun era stato il solo che gli aveva stimolato un genere di sentimento. Lui e Hwal, ma per lui l’ossessione perdurava da molto prima della sua trasformazione.
Ora, da uomo, lui più di chiunque altro, più di Hwal e Sang-un stessi, si rendeva conto di quanto si fosse perso per essere forte.
Se ne rendeva conto ora, mentre Yoo-joon affondava vigoroso, aumentando il ritmo e l’intensità.
Ci aveva messo poco a farlo suo, ma forse era stato facile per via del suo ruolo. Era il suo capo, dopotutto e lui era uno di quelli ligi al dovere a qualunque costo.
L’aveva assunto per quello.
Non per fare sesso, ma perché aveva voluto uno disposto a tutto per lui.
Poi coincidenza eccolo lì, che l’accontentava quando gli aveva chiesto di portarselo a letto.
Più che letto, sulla scrivania.
Piegato in avanti, coi pantaloni abbassati e le sue mani addosso a prenderlo per i fianchi e possederlo poderoso.
Non ci aveva messo molto, era bastato attirarlo a sé seduto sul mobile, l’aveva incastrato fra le sue gambe, gli aveva leccato l’orecchio e lui, impassibile, non si era mosso anche se una parte di lui l’aveva fatto. Quella che gli aveva toccato con la mano, slacciandogli i pantaloni ed infilandosi dentro.
Quando si era eccitato, l’aveva baciato. Aveva succhiato le sue labbra, si era infilato con la lingua usandola fino a stuzzicarlo ed infine, quando ancora rigido e fermo con lui che gli si spalmava addosso, l’aveva spinto, era sceso, si era abbassato i vestiti e si era piegato in avanti carezzandosi dietro da solo.
Yoo-Joon non era più stato fermo.
L’aveva preso per i fianchi, l’aveva piegato sulla scrivania ed infine era entrato con un colpo secco.
E poi tanti altri, uno di seguito all’altro, uniti a molti gemiti di Eul-tae di un piacere intenso, unico, sempre più forte e senza paragoni.
L’aveva fatto altre volte, ma era stato quasi vuoto. C’era stato qualcosa, qualcosa che l’aveva spinto per esempio a scegliere gli uomini alle donne, ma non era mai stato così.
Quella questione dell’anima, doveva ammetterlo, non era poi così male.
“Chissà quanti altri aspetti positivi ci sono dell’essere umani... oh, ma li proverò tutti!”
L’avrebbe fatto come faceva in quel momento, fra gemiti sempre più forti.
Quelli che attirarono l’attenzione di Do-yun entrato da solo in casa, avendola trovata aperta.
Aveva cercato la signora Park, ma non ne aveva trovato traccia, così era andato alla ricerca di Eul-tae. C’era la porta aperta, era strano e la paura che gli fosse successo qualcosa crebbe in un istante, come un’ondata che lo gelò.
Ondata che, sentendo i gemiti e vedendo la scena nel suo studio, divenne bollente e poi violenta.
Violenta era il termine adatto.
Do-yun rimase dietro l’uscio, silenzioso a guardare Eul-tae che faceva sesso col signor Seung. Shoccato e rigido.
Accaldato, anche. Ma infuriato.
Infastidito.
Deluso.
Bruciante.
“Brutto bastardo... alla fine l’ha fatto... avrei dovuto immaginarlo, era tipo da approfittare in quel senso... gliel’ho quasi suggerito io, sono stato un idiota. Un perfetto idiota! Ed io che pensavo che un giorno avrebbe voluto farlo con me, che tutte quelle manfrine con me erano perché ci stava provando e gli piacevo in quel senso... che idiota che sono stato!”
Un idiota che si riempì di lacrime di gelosia e delusione e che, nonostante il calore che contrastava con i propri sentimenti, fissò a lungo la scena e scappò solo quando Eul-tae si girò dopo essere venuto.
Do-yun scappò di corsa col cuore in gola, terrorizzato all’idea di essere stato visto a guardarli.
Andò fuori dalla porta che si chiuse alle spalle. Si fermò ed esitò.
Attese.
Se l’aveva visto, sarebbe venuto a dirgli qualcosa, a scusarsi almeno, a giustificarsi.
Attese ancora, col cuore in gola e una serie di sentimenti uno più diverso e potente dell’altro.
Poi scosse la testa, non sarebbe venuto.
Forse non l’aveva visto o forse sì ma non gliene importava, magari stava venendo fuori di nuovo la sua reale natura.
Magari era un caso senza speranza, diverso da Hwal. Magari lui non si poteva salvare.
Adesso che aveva quel ragazzo, lui non gli serviva più.
Sentì le lacrime scendergli lungo le guance, brucianti, ma scappò intenzionato a non tornare più.
Se era quella la strada che voleva intraprendere, era libero di farlo.
“Stupido. Sono stato proprio uno stupido. Ma avrei dovuto saperlo, ha sempre avuto effetti strani su di me quello stronzo. Dovevo immaginarlo! Sono il solito stupido!”
Non immaginava quanto si sbagliava.
Eul-tae sapeva che sarebbe tornato. Lo sapeva perfettamente.
E quando l’avrebbe fatto, non sarebbe stato come le altre. Aveva dovuto innescare il meccanismo poiché altrimenti Do-yun non avrebbe mai fatto quel passo in avanti verso di lui. Sarebbe rimasto a crogiolarsi per sempre in quel loro rapporto strano, indefinito, vago ma particolare. In quel modo Do-yun era cresciuto a forza tutto in un colpo e avrebbe dovuto reagire obbligatoriamente.
Non considerava l’idea che avrebbe potuto farlo male, per lui era così ovvio che qualunque fosse stata la sua reazione, alla fine sarebbe andata in suo favore. Anche una sfuriata, un ultimatum, una sentenza di fine rapporto. A Eul-tae non importava, perché tanto in ogni caso se lo sarebbe rigirato in suo favore.
Per questo attese impaziente i giorni successivi, convinto che Do-yun sarebbe tornato di sicuro da lui a gridargli contro o qualcosa di simile. Si immaginava una bella sfuriata di gelosia, sentimento a lui molto familiare.
Dopo quella volta non aveva più avuto voglia di saltare addosso al signor Seung, i suoi ormoni si erano scaricati in abbondanza e violentemente ed era rimasto in una pace dei sensi che aveva perdurato sufficientemente a lungo, più di quello che aveva immaginato.
Questo perché non avendo mai fatto sesso in quel modo e non avendo mai raggiunto un vero orgasmo, non uno di quelli veramente piacevoli, la prima e unica volta che ne aveva provato uno, il suo corpo era rimasto ancora pieno di quelle sostanze tossiche che creavano dipendenza.
Come l’aveva creata il sangue umano e alla stessa maniera, quell’orgasmo aveva funto da ricarica personale. All’inizio gli era bastato poco sangue umano per stare bene a lungo, poi andando avanti avevo dovuto aumentare sempre più le dosi.
Poteva immaginare, nella sua millenaria esperienza di ‘sostanze che davano la carica’, che anche in quel caso sarebbe andato così.
Non immaginava che semplicemente, ora, non era più una questione di sesso e basta ma di persona. Adesso la questione non era più fisiologica, ma mentale ed emotiva.
Il sesso era favoloso ed andava bene e poteva averlo come e quando voleva.
Il punto era che, in realtà, e non l’avrebbe mai e poi mai ammesso a sé stesso perché si sarebbe sentito ancora più debole, non voleva il sesso e basta.
Voleva Do-yun.
Voleva fare sesso con lui. Voleva il suo amore, la sua dedizione, il suo piccolo tenero corpo morbido e puro per lui.
Voleva che gli appartenesse.
Tuttavia Eul-tae rimase in attesa del ragazzo per giorni, fino a che si rese conto che non sarebbe più venuto.
Quando ai suoi messaggi non rispose più e trovò il telefono spento, iniziò ad irritarsi. Provò un tale fastidio che si sentì corroso dall’interno.
Inaudito. Era inaudito che semplicemente chiudesse così senza nemmeno dirgli nulla. Come osava, come poteva?
A prescindere da quello, lui di certo non glielo avrebbe mai permesso.
Non aveva pensato molto a come sarebbe stato, non prima di ritrovarsi con la macchina lì davanti a casa sua. Casa loro.
Casa di Hwal.
Il suo Hwal.
E rimase un momento dentro, mentre Yoo.-joon aspettava al posto di guida, serio e fermo, in attesa che il suo padrone scendesse e si occupasse dei suoi affari.
Rimase lì, incantato, a fissare l’enorme casa vecchia, dimora dell’essere che per secoli l’aveva ossessionato.
Non ci era più andato, non l’aveva più cercato. Dopo la prima intenzione di farla finita facendosi divorare da lui, aveva cambiato idea grazie a Do-yun e a quel sentimento da sempre provato per lui, sentimento che ora poteva coltivare.
Ma Hwal era la sua droga, la sua dipendenza millenaria ed ora che si era forse un po’ disintossicato da lui, appena appena, sostituendo la sua dipendenza con un’altra più accettabile e abbordabile, avrebbe dovuto dimostrare a sé stesso quanto forte e pronto era.
E non lo era.
Sapeva di non esserlo.
Tuttavia se fosse andata male, se non avesse ottenuto Do-yun in quella che sperava fosse la sua redenzione, la sua seconda occasione per una vita felice, finalmente, appagata, allora sarebbe tornato al piano originale.
Farsi uccidere da Hwal.
Così prese un respiro profondo, dopo aver fissato seriamente la casa dall’interno della macchina, poi con lo sguardo serio, concentrato e quasi feroce in un certo senso, come se fosse in lotta, scese e dritto si diresse a passo sicuro verso l’ingresso. Senza esitare, senza alcun piccolo senso di paura.
Era nell’antro di due bestie terribili e feroci ed era da sempre il loro eterno nemico. E ci stava andando a testa alta.
“Forse è ora di morire come si deve, dopotutto. Forse è ora di smetterla di illudersi. Ho sempre lottato a qualunque costo per ottenere ciò che volevo, non mi sono mai dato per vinto, ho sacrificato qualunque cosa, la mia anima stessa. Perciò ora farò l’ultimo estremo tentativo, l’ultimo di una lunga ed infinita stancante serie. Se non andrà a buon fine nemmeno questo, come tutti gli altri, abbraccerò la pace eterna.”
Ora era umano, un umano che aveva molto da imparare e migliorare e che per questo si sarebbe reincarnato di sicuro una volta morto, fino a comprendere e ad arrivare alla versione migliore di sé stesso.
Magari avrebbe anche ricordato, magari nella prossima vita avrebbe avuto la sua felicità tanto agognata.
Magari morire era davvero l’unica soluzione, a quel punto.
Con un miscuglio di emozioni e pensieri ed intenzioni nel cuore, bussò alla porta non riuscendo ad immaginare minimamente l’esito di quell’incontro.
Una sola cosa era certa.
Di sicuro niente sarebbe più stato lo stesso.
E lì, dopo aver suonato il campanello, prima che qualcuno gli aprisse, gli sanguinò il naso in quella che era una sensazione fin troppo familiare, meravigliosamente potente. Gli occhi iniziarono a bruciargli e lacrimargli.
Hwal lo avvertì.
Ancora prima che scendesse dalla macchina, sapeva che era lì. I suoi occhi erano diventati rossi, dalla sua gola aveva iniziato ad uscire un latrato basso e bestiale.
Anche Sang-un l’aveva percepito, ma prima che di Eul-tae, si era preoccupata di Hwal, si era precipitata alla porta sperando di precederlo, ma l’aveva trovato già lì, fermo a fissare l’uscio ancora chiuso.
Il campanello annunciò la sua presenza.
Eul-tae, infine, aveva deciso di palesarsi a loro.
Alla fine l’aveva fatto.
Sang-un rimase ferma dietro il suo compagno, attenta, ansiosa, pronta.
Sapeva che lui la percepiva alle proprie spalle, sapeva che la sua presenza lo teneva ancorato al mondo come l’umano che era stato, sia pure per poco.
Lo sentiva pronto, pronto ad infliggergli il colpo finale che non gli aveva mai inferto. Non desideroso di farlo, ma pronto, consapevole che un giorno sarebbe successo.
Quel giorno, era arrivato.
Il cuore gli batteva impazzito, sentiva il sangue pulsare nelle vene ad una pressione feroce e appena aprì la porta e vide il suo viso, quella pressione si concentrò tutta nella sua erezione che divenne dura.
Lo sapeva che sarebbe successo, prima o poi. Che nel rivederlo di nuovo avrebbe provato cose ancora più forti di prima.
Da demone aveva provato sentimenti così forti da renderlo ossessionato da lui, innamorato a modo suo, ma adesso che era umano e che sentiva e provava le cose in modo normale, tutto quello era ancor più amplificato.
Era terribilmente atroce.
A Eul-tae scesero le lacrime, nel rivederlo, mentre nel suo cuore la speranza ardente di poter essere lui al suo fianco al posto di quella donna, tornò prepotente a devastarlo.
Forse non si sarebbe mai liberato di quell’amore ossessivo e malato.
Non era un amore puro, se ne rese conto nel stargli di nuovo davanti da umano.
Non era un sentimento sereno con cui convivere per tutta la vita, non era niente di paragonabile a quello che aveva provato stando con Do-yun.
Quella pace, quella serenità, quel desiderio di proteggerlo a tutti i costi e il saper ridere con lui.
Era riuscito ad assaggiare una felicità così semplice, con Do-yun. Al contrario di Hwal, col quale, ora più che mai, si sentiva devastato.
Si era pulito il sangue dal naso, ma si notavano delle tracce, alle sue lacrime ed alla sua immobilità, gli occhi di Hwal ed il verso latrante svanirono e parve calmarsi.
Sang-un si affiancò a lui mentre gli parlava basso e penetrante:
- Cosa sei venuto a fare qua?
Eul-tae fremette, ma vedendo lei appiccicata a lui, l’eccitazione alle parti basse sembrò calmarsi.
- Cercavo Do-yun. A quanto pare ha chiuso improvvisamente i ponti con me, ma ho il diritto di sapere il motivo. - rispose con coraggio e una calma apparente invidiabile.
Dentro di sé si sentiva a morire. Guardarlo gli faceva capire cos’era l’amore, ma non quello puro.
Quello malato ed ossessionato.
Ora, da umano, lo distingueva con una precisione sconcertante.
Non era un amore che ti faceva stare bene.
- Che succede?
Quando sentì la sua voce, quel subbuglio interiore che lo stava facendo star male, si dissipò e appena Eul-tae si girò e vide sulle scale Do-yun, il suo dolce viso stupito, si sentì immediatamente bene, come per magia.
Lì ebbe la prova di quel che aveva sospettato.
L’amore aveva tante forme, c’era quella malata e sbagliata che procurava solo dolore e sofferenza, e c’era quello puro e positivo, che curava e ti rendeva una persona migliore.
Hwal l’aveva sempre reso una persona peggiore, al contrario di Do-yun che l’aveva migliorato. Aveva tirato fuori quel briciolo di umanità da cui ora sarebbe potuto ripartire.
Da cui ora VOLEVA ripartire.
Eul-tae ignorò totalmente Hwal e si mosse cauto verso Do-yun per non provocare reazioni in nessuno. Hwal si mise fra loro, a proteggere suo figlio. Questi però scese le scale e lo spostò senza esitare, senza paura.
I due si guardarono seri, il più giovane torvo, il più adulto con una tale speranza da renderlo irriconoscibile.
- Sono venuto a chiederti perché hai tagliati improvvisamente i ponti con me. Ho fatto qualcosa che non andava? Credevo dovessi controllarmi e che comunque stessimo bene, insieme. Sto vivendo la mia umanità ed è una cosa nuova, per me, e se ho sbagliato qualcosa dovresti dirmelo così posso migliorare. Sei la mia guida, non posso affrontare tutto questo da solo!
Come sempre non si risparmiava in parole e quando concluse il suo vortice, Do-yun scosse il capo spaesato, meno arrabbiato ma ancora turbato, ricordando cos’era successo che l’aveva fatto scappare da lui.
- Hai trovato qualcun altro a cui appoggiarti, adesso io non ti servo!
Eul-tae lo guardò capendo di chi e cosa parlava, dal momento che l’aveva cercato e voluto.
Aveva pensato sarebbe stata una buona idea provocargli una reazione. Non aveva immaginato che la reazione alla fine gli sarebbe potuta non piacere.
- Lui è solo la mia guardia del corpo... con l’anima che ho adesso mi cercheranno tutti i mostri come facevano prima con Sang-un, solo che io adesso non sono più forte e non posso difendermi da solo...
Tornò a parlare con mille frasi messe in fila senza nemmeno respirare, ma Do-yun alzò le mani e lo fermò infastidito, serio.
- È tuo diritto farlo, ma visto che con lui ti diverti anche, mi sembra che hai già capito da solo come stare al mondo!
- Ma credevo che tu dovessi controllare che io non facessi più nulla di malvagio... - tentò ancora nell’ultimo disperato tentativo di riportarlo nella sua vita.
Aveva sbagliato, aveva sbagliato qualcosa, ma ancora non capiva cosa e gli bruciava, si sentiva impazzire all’idea di non sapere cosa avesse sbagliato, ma ancor di più all’idea di perderlo.
- Sì, era così... ma io non posso più farlo... - mormorò Do-yun distogliendo lo sguardo carico di vergogna e di una ferita ancora fresca.
Eul-tae si avvicinò volendo toccarlo, ma Hwal gli si mise di nuovo davanti impedendoglielo, gli mise una mano sul petto. Quel contatto bruciò ed Eul-tae trattenne il fiato, il suo sguardo si trasformò. Da implorante e dolce a feroce e affilato, lo sguardo che un tempo aveva sempre avuto.
Fissò Hwal senza dire nulla, ma fu Sang-un ad intromettersi con delicatezza. Prese il polso di Hwal e glielo abbassò, poi lo tirò via.
- Devono parlarne fra di loro...
Non era una richiesta. Sang-un non lo stava chiedendo a Hwal, glielo stava dicendo. Lui, visibilmente contrariato, fissò prima Do-yun per capire se se la sentisse, quando vide che il giovane figlio si stringeva smarrito nelle spalle, allora guardò Eul-tae minaccioso.
- Se gli fai qualcosa...
- Se volessi suicidarmi saprei come fare. Ma per il momento quello è diventato il piano di riserva.
Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma Sang-un insistette e così Do-yun sospirando spazientito, precedette Eul-tae fuori. Non sapeva bene cosa dirgli e cosa fare. Era una situazione complicata e strana, ma sapeva di poter decidere da solo.
Ovviamente Hwal gli aveva comandato di tenerlo d’occhio, ma poteva farlo in tanti modi e comunque poteva anche rifiutarsi, alla lunga avrebbero chiesto a qualche investigatore privato.
Però era insicuro. Era venuto fin lì per riprenderselo. Non negava che gli faceva piacere.
Poi, una volta fuori, vide la sua macchina.
Vide il signor Saung alla guida.
E tutto cambiò all’istante.