CAPITOLO
XIII:
LASCIARSI
“Ora
il palcoscenico è vuoto e io sono là
Con
il vuoto tutto attorno a me
E
se tu non vorrai tornare da me
Allora
possono anche far scendere il sipario
Il
tuo cuore è colmo di dolore?
Dovrei
tornare nuovamente?
Dimmi,
tesoro, ti senti solo stasera?”
/Are
you lonesome tonight - Elvis/
I
Pevensie uscirono tutti insieme di
casa poco prima della mezzanotte, accompagnati dall‘ospite, Caspian.
La
chiesa era vicino e ci potevano
tranquillamente arrivare a piedi, la messa sarebbe iniziata a breve.
Era un
rito, per loro. La vigilia di Natale si svolgeva sempre così da che
erano
insieme. Cenone, scambio dei regali e messa a mezzanotte nella chiesa
vicino.
Poterlo
fare ancora dopo essere stati
separati a lungo e aver passato tanti brutti momenti, gli faceva
apprezzare
molto di più quelli presenti che in molti davano per scontati, ma non
loro.
Uscirono
di casa tutti eleganti e
coperti, i capelli ordinatamente pettinati e acconciati, gli abiti di
festa.
Attraversando il giardino il padre commentò con umorismo il pupazzo di
neve
perfetto che Peter e Caspian erano riusciti a fare e con questo i primi
fiocchi
di neve cominciarono a cadere.
-
Nevica di nuovo! - Esclamò con
entusiasmo Lucy. Automaticamente tutti alzarono gli occhi al cielo
notturno,
era scuro e i fiati si condensavano immediatamente al contatto con
l’aria
gelida. Sorrisero affascinati:
-
Che bello, un bianco Natale! - Commentò
qualcun altro.
-
Così il nostro capolavoro verrà
seppellito! - Disse un po’ contrariato Peter osservando un’ultima volta
la loro
scultura bianca. Caspian fece altrettanto e con un sorriso deliziato
commentò
toccandogli la spalla:
-
Non fa nulla, la neve è bella! - Il
compagno si girò verso di lui dimenticando presto il pupazzo mentre
cominciava
magicamente a preferire la neve a sua volta. Si impresse nella mente la
sua
espressione serena e soddisfatta. Era felice e forse lo era davvero per
la
prima volta dopo tanto tempo.
Anche
quando loro l’avevano aiutato a
rivendicare il trono e a portare la pace a Narnia, era stato contento,
ma la
vera felicità, Peter ne era sicuro, era quella che gli vedeva
attualmente in
viso.
Non
sembrava quasi lui con i propri vestiti,
non era abituato a vederlo con abiti moderni del proprio mondo, gli
sembrava
fosse più suo, così.
Memorizzò
anche quello, mentre i fiocchi
gli imbiancavano i capelli neri ordinatamente sistemati intorno al
viso.
Probabilmente
era in una di quelle fasi
da fesso innamorato, quando si guarda il proprio compagno ed ogni volta
si
pensa a quanto sia bello… si sentì idiota e la smise di fissarlo, ma
gli si
strinse accanto camminando con lui, lasciando le impronte vicine sulla
neve
fresca.
Arrivarono
alla chiesa poco dopo e Peter
gli spiegò che non importava se non sapeva niente della loro religione
e di
come funzionava quel rito, era solo un rendere omaggio al ricordo di
ciò che
era successo quella notte del 24 Dicembre di mille e passa anni
addietro.
Caspian
era comunque curioso e quando
entrarono in quella che non era nemmeno la metà della Cattedrale di
Londra
vista insieme qualche giorno prima, si sedette accanto al suo compagno
ed in
perfetto silenzio osservò ed ascoltò attentamente ogni singolo
dettaglio che si
consumava davanti ai suoi occhi.
Ogni
tanto Peter lo guardava e lui si
accorgeva di essere scrutato, così ricambiava sorridendo fugace,
allacciati i
loro occhi, come per paura di vedersi sparire da un momento all’altro,
cominciarono lentamente a non far più caso a quel che succedeva intorno
a loro.
La
messa proseguiva come se loro fossero
a casa a guardare un film e mentre gli altri si alzavano, loro li
imitavano
senza farci caso, facendo sempre più attenzione unicamente l’uno
all’altro.
Ripensarono
a quei giorni passati
insieme, ai momenti cruciali ed intensi e a quello che avevano capito
l’uno
dell’altro e le rispettive lezioni ricevute.
Peter
a vivere anche i propri sentimenti
e a condividere un po’ di più sé stesso, Caspian a sacrificarsi solo
nei casi
giusti e a volersi bene anche se lontano dalla persona amata.
Ripensarono
a tutto e quando con la
mente ripercorsero quella stessa sera si toccarono automaticamente i
rispettivi
regali che si erano scambiati, quindi con una canzone di chiesa
particolarmente
bella e toccante dove dal coro si levava una voce solista melodiosa ed
angelica
che penetrava i loro cuori creando atmosfera, cercarono le loro mani.
Mani
che rimasero allacciate anche dopo
il Padre Nostro, nascoste fra i loro cappotti caldi dove nessuno poteva
vederle.
Si
sentirono bisognosi di rimanere
incatenati, consapevoli che il momento era ormai vicino.
I
cuori erano sempre più in gola e gli
stomaci annodati, era una sensazione irrazionale, non potevano spiegare
da cosa
derivava quell’angoscia ma loro comunque lo sentivano, lo sapevano e ne
ebbero
conferma al momento dell’eucaristia. Quando Peter raccolto in sé stesso
con la
particola in bocca e Caspian che lo imitava pur senza aver fatto la
comunione,
sentirono in quel luogo sacro la chiara e profonda voce di Aslan.
Peter
nel suo mondo non l’aveva mai
sentito anche se l’ultima volta a Narnia gli aveva detto che avrebbe
dovuto
scoprirlo anche con le diverse sembianze che aveva lì.
Non
gli era mai venuto in mente che
potesse essere semplicemente Dio e la cosa gli pareva estremamente
strana anche
se non poi così tanto. Dopo tutto quello che sapeva lui era in grado di
fare e
che aveva visto, credere che Aslan fosse niente altro che Dio non era
poi così
assurdo ed impossibile.
E
la sua voce inconfondibile parlò loro
nella mente dicendo ad entrambi la stessa cosa.
-
Ben fatta, ragazzi. -
Entrambi
si sentirono andare a fuoco sia
per la sensazione di aver sentito la sua voce, che per ciò che
significavano le
sue parole. Capirono che era arrivato il momento proprio come avevano
temuto e
la prima cosa che fecero fu aprire gli occhi e guardarsi.
Erano
ancora lì, nella Chiesa, a Londra.
Insieme. Vicini.
Si
sedettero e si ripresero la mano,
sempre nascondendola rigorosamente fra i loro cappotti, e ascoltarono i
cuori
galoppare impazziti.
Li
sentivano nettamente nei loro petti
insieme alla sensazione palpabile di scoppiare e non farcela più.
Un’ansia
ormai insostenibile e la stretta sempre più solida delle loro mani
allacciate.
Sapere
che qualcosa doveva accadere non
rendeva l’atto più sopportabile, anzi, forse peggiore.
In
fondo non sarebbero mai potuti essere
pronti ad una cosa simile.
Lasciarsi.
Da
quando Caspian era arrivato a Londra,
entrambi l’avevano saputo che poi se ne sarebbe dovuto andare a Narnia
di
nuovo. Lo sapevano. Ma nonostante avessero provato prima a pensarci per
capire
come doverlo affrontare e poi senza risposta avessero scacciato l’idea
in tutti
i modi, ora che c’erano il panico cominciava a coglierli.
Era
arrivato il momento, se lo
ripetevano guardandosi ossessivamente, con sguardi specchi delle loro
anime.
Una tristezza inevitabile. Insostenibile. Folle.
Con
un moto di ribellione, Peter si alzò
tirandoselo dietro.
La
messa era appena finita e le molte
persone presenti si stavano alzando, un mare umano li circondava
caricando l’ambiente
di una notevole confusione.
Con
l’intenzione di far perdere le loro
tracce agli altri per un ultimo gesto con Caspian, andò istintivamente
dentro
uno dei confessionali chiedendo mentalmente perdono per quel gesto
dissacrante.
Si disse che avrebbe ampiamente espiato le sue colpe e mentre nessuno
li
calcolava, chiuse le porte e le tende del confessionale in legno antico
lavorato. Il buio li colse Peter veloce come se avesse la morte dietro
di sé ad
inseguirlo, spinse Caspian contro la parete, lo spazio era ristretto ma
bastò
ampiamente.
Lo
strinse e premette le proprie labbra
sulle sue.
Sentì
vagamente le lacrime bruciargli le
guance e con le mani sul suo viso per assicurarsi che fosse ancora lì
sentì
anche le sue. Entrambi piangevano come bambini senza bisogno di parlare
e di
dire niente.
Strinsero
gli occhi e si concentrarono
su ciò che il tatto rimandava loro, le bocche unite in un tutt’uno e il
fiato
corto, i petti che minacciavano di esplodere, le teste che battevano,
il sangue
che pulsava.
E
ancora le loro labbra che si fondevano
con disperazione, consapevoli che quello sarebbe stato l’ultimo bacio e
che non
si sarebbero più visti.
Più.
Si
tennero così, stretti, senza parlare,
senza bisogno di dire niente, sapendo che in quel silenzio, in quel
bacio ed in
quell’abbraccio c’era la loro promessa di non dimenticarsi.
In
quel breve ma intenso momento ci fu
tutto e non seppero proprio come trovarono la forza per separarsi ed
uscire.
Peter
lo tenne stretto ed una volta
immessi di nuovo nella chiesa insieme alle poche persone rimaste che
però non
fecero caso a loro, uscirono lentamente, camminando come se fossero in
equilibrio su un filo sospeso nel vuoto.
Vicini
per nascondere le dita
intrecciate, fregandosene del gesto romantico e imbarazzante, sperando
solo di
poter avere un’altra occasione per rifarlo.
Sperando
di farcela.
Sperando
di rivedersi.
Sperando…
Quando
varcarono la soglia ampia e
spaziosa dell’ingresso, la presa delle loro mani si sciolse come se
stringessero aria, allora se le portarono istintivamente alla bocca
chiudendo
gli occhi, fermandosi dopo aver fatto appena un passo.
Un
forte vento li schiaffeggiò e di
nuovo una sensazione di grandezza li colse.
Magia.
Ed
un vuoto.
Quando
tutto cessò rimase solo l’angoscia
ed il vuoto.
Sapevano
che era finito.
Aprirono
così gli occhi e si trovarono
soli.
Si
erano lasciati, ognuno nel proprio
mondo, di nuovo.
Peter
non si rese nemmeno conto di aver
cominciato a camminare. La neve continuava a cadere e c’erano già un
paio di
centimetri sul terreno.
Le
molte impronte dei fedeli, mano a
mano che proseguiva, sparivano e quando Peter ad un certo punto si
voltò, vide
solo le proprie.
Prima
c’erano state anche quelle di
Caspian.
Ora
non più.
Le
sue solitarie gli diedero una stretta
interiore che gli restituì la consistenza di sé stesso.
Avrebbe
dovuto sentire freddo, era
ricoperto di neve, non sapeva nemmeno da quanto camminava, ma voleva
stare così
per congelare i propri pensieri ed impedirsi di pensare.
Si
portò solo l’anello alle labbra e
rimase così, con gli occhi chiusi ed il respiro trattenuto per un tempo
interminabile.
O
forse troppo breve.
Quanto
sarebbe andato avanti così?
Proprio
come immaginava, non c’era un
modo per superare tutto quello.
Con
l’alzarsi del vento e il cessare
della neve, Peter si riscosse il necessario per camminare ancora e
tornare a
casa.
Quando
varcò la soglia da solo la sua
espressione era così terribile e cupa, che tutti lo guardarono
allarmati.
-
Cosa è successo? - Chiese la madre
preoccupata andandogli incontro. - Sei gelido e coperto di neve… da
quanto
cammini? - Ma lei lo sapeva bene, aveva contato l’ora passata senza di
lui a
chiedersi dove fosse lui ed il suo amico.
Susan,
Edmund e Lucy capirono subito
cosa era successo e lo guardarono con aria grave e dispiaciuta.
Anche
loro si dissero che il sapere che
sarebbe successo, non lo rendeva più sopportabile.
Si
trovarono sinceramente commossi e
colpiti per Peter mentre si chiedevano cosa potessero fare per lui.
-
E Caspian? - Chiese sempre la donna
cercando di asciugare il figlio dalla neve ora sciolta che lo bagnava.
A
quel nome Peter si svegliò e cercò di
riflesso suo fratello, quello che in quei casi lo capiva al volo e
riusciva
sempre a colmare le sue mancanze.
-
E’ andato a casa, vero? - Disse lui
non avendo comunque idea di che scusa tirare su.
-
Ha tardato per quello, per
riaccompagnarlo… - Lo sostenne Lucy, non sapendo nemmeno lei cos’altro
inventarsi.
-
Avrà avuto un imprevisto grave… -
Concluse Susan nella speranza che non chiedesse altro.
La
madre se ne dispiacque ma rimase
ancora più in pensiero per il figlio maggiore che continuava a
guardarli con
quell’aria terribile e persa.
-
Lascia che vada ad asciugarsi e
scaldarsi… - Disse Lucy prendendo il maggiore a braccetto e
conducendolo su per
le scale. Gli altri non si mossero e rimasero a guardarli sparire nella
camera
di Peter chiedendosi se sarebbe davvero stato bene.
Una
volta nella sua stanza, il ragazzo
dai capelli biondi tutti scompigliati sul viso poiché bagnaticci, si
sedette di
schianto sul letto e quando Lucy riuscì a fatica a togliergli il
cappotto si
sedette accanto nel silenzio più totale. Passarono solo pochi secondi,
poi
Peter si accucciò sul materasso, stendendosi in modo da appoggiare la
testa
sulle gambe della sorella minore, da sempre quella con cui aveva avuto
un
rapporto più stretto.
Con
Edmund l’intesa, con Lucy il
sostegno, con Susan la parità.
La
ragazza cogliendo tutta la tristezza
infinita del fratello, gli carezzò i capelli umidi e lo sentì tremare
su di sé.
-
Piangi, trattenersi non serve a
niente. - Sussurrò con delicatezza, dolcezza e semplicità.
Peter
l’assecondò mentre il peso
terribile che sentiva e lo schiacciava, usciva dai suoi occhi chiusi e
si
stringeva ancora una volta il suo anello.
Ne
sarebbe uscito, lo sapeva, e piangere
troppo non era da lui. Perdere tempo a disperarsi per la mancanza di
qualcosa
non serviva a niente, doveva colmare il suo dolore in qualche modo,
doveva
trovare il modo di sopravvivere.
La
forza era in lui e dopo la sensazione
di impazzire sarebbe rinato, ce l’avrebbe fatta.
Doveva.
Perché
lui non era un ragazzo qualunque.
Lui
era il Gran Sovrano di Narnia, Re
Peter il Magnifico.
E
al di là di quel mondo, nel proprio
era un ragazzo forte che non sarebbe mai crollato perché ne aveva
passate tante
e se ne era sempre tirato fuori.
Ce
l’avrebbe fatta.
Se
lo ripeté mentre scioglieva
totalmente i propri nervi schiacciando sulle gambe di Lucy il viso
contratto in
una smorfia, quando la sentì chinarsi su di lui per abbracciarlo in
quella
posizione scomoda, il calore l’avvolse e lentamente il peso cominciò ad
essere
più sopportabile.
Non
sapeva ancora come, ma in un modo o
nell’altro ce l’avrebbe fatta.
Anche
se Caspian gli sarebbe sempre
mancato.
Ora
più che mai.
Alzò
gli occhi al cielo e vide una luna
grande e bassa che argentata illuminava il resto del cielo notturno
terso e
limpido, molte anche le stelle dalle mille costellazioni.
Caspian
sospirò nel silenzio completo
che lo avvolgeva e la mano che poco prima aveva stretto quella di
Peter, ora
era serrata sul ciondolo che gli aveva regalato.
Si
guardò, aveva i propri vestiti ma le
dite erano prive del suo anello dei re.
Sorrise
debolmente mentre la voglia di
piangere minacciava di schiacciarlo.
Si
trattenne e prese un profondo respiro
chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Era
tornato a casa.
Col
ricordo incombente di Peter pronto a
bloccarlo e impedirgli di andare avanti, si girò e vide proprio dietro
di sé l’entrata
al suo enorme castello.
Gli
era mancato, dopo tutto.
Quello
come Narnia stessa.
Sentì
da dentro voci nel panico ed
immaginò che dovessero essere stati molti i giorni di assenza e che se
il Regno
non era ancora crollato, probabilmente era un miracolo.
Capì
che lì c’era bisogno di lui e che
quello era il suo posto, ma prima di fare il suo ingresso ed immergersi
in
tutto quello che era suo e che gli era stato affidato, andò alle stalle
e si
prese un cavallo.
Cavalcò
nel nero argentato della notte
in direzione di un luogo preciso, andando veloce per farsi
schiaffeggiare dal
vento e bloccare ancora quelle famose lacrime.
Aveva
paura che lasciandole andare non
sarebbe riuscito ad andare avanti.
All’alba
giunse a destinazione e
scendendo dal suo animale maestoso che l’aveva riconosciuto subito,
guardò le
rovine gloriose della dimora dei Re e Regine di un tempo. Peter, Susan
Edmund e
Lucy.
Erano
rimaste intoccate come una sorta
di luogo sacro.
Respirò
un paio di volte, poi con il
rosa splendente del sole che nasceva alle sue spalle, affacciato sul
mare lì
davanti, entrò sotto le rovine, in quello che sapeva essere un
passaggio
segreto per le stanze private di chi secoli prima ci aveva abitato.
Facendosi
luce con una torcia
improvvisata, dopo aver cercato fra i corridoi per un po’, giunse nella
stanza
principale.
Quattro
statue con sotto delle casse.
Andò
in quella centrale appartenuta a Re
Peter il Magnifico e con aria intensa e pensierosa cercò nel baule
qualcosa di
specifico.
Quando
lo trovò se lo infilò al dito al
posto di quello che aveva prima.
L’anello
dei re di Peter.
Peter
non aveva una dinastia, per questo
quando era sparito non era stato rimpiazzato ma tutte le sue cose erano
state
riposte nel suo baule. C’erano molte cose sue, ma la spada e lo scudo
li
conservava già gelosamente a castello, ora che aveva anche quello si
sentiva più
completo.
Con
il nodo che gli saliva
vertiginosamente si chiese se rimanere così congelato, dopo tutto,
sarebbe
servito davvero ad andare avanti.
In
bilico su questa domanda, sentì una
presenza buona e distinta dietro di lui e quando si voltò sapeva già di
chi si
trattava.
Aveva
pensato di rivederlo e fargli un
lungo discorso, di ringraziarlo e poi chiedergli se sarebbe mai stato
possibile
tornare da Peter o riaverlo lì con lui, ma come gli occhi del leone
enorme e
maestoso furono al suo cospetto, con la mente totalmente vuota e senza
la forza
o la voglia di dire niente, Caspian si inginocchiò davanti a lui e lo
abbracciò
piangendo.
Non
avrebbe mai pensato di finire in
lacrime aggrappato al collo di Aslan, ma alla fine, col viso premuto
sul suo
folto pelo, lasciò tutta la disperazione proprio come fosse più forte
di sé.
Pianse.
Pianse
in silenzio.
Pianse
senza dire nulla.
Pianse
tenendosi stretto a colui che
comunque già sapeva tutto.
Non
ci fu bisogno di parole, Aslan
semplicemente raccolse le sue lacrime nel silenzio più sacro mai creato
e si
caricò parte del dolore del giovane Re che di cose a Narnia ne avrebbe
dovute
fare ancora.
Non
disse che ce l’avrebbe fatta,
sapevano che sarebbe stato così.
Ora
i ricordi erano tutto ciò che
rimanevano.
Ricordi
di qualcosa che non avrebbe mai
rimpianto, nonostante tutto il suo dolore del presente.
E
la speranza che per loro qualcosa
ancora ci sarebbe stato, un giorno.
Un
giorno lontano.