JEALOUS
GUY
Era
iniziato tutto una calda mattina di inizio Agosto. Uno di quei giorni
in cui ti svegli e hai la terribile ma netta sensazione che rimanere
nel letto sarebbe stata la scelta giusta.
L'aveva
capito all'istante, nel momento in cui non aveva percepito i passi del
fratello sul legno scricchiolante e nemmeno la carezza che gli
riservava sempre, prima di uscire.
La
carezza del fratellone era l'inizio della giornata e l'inizio era
sempre buono quando sentiva quella leggera coccola sul capo: era
qualcosa che lo avrebbe accompagnato tutto il giorno, quando suo
fratello sarebbe stato lontano ad allenarsi e lui a zompettare tra gli
anfratti di verde e polvere o su percorsi rocciosi tra pinete e ulivi
imponenti.
Aiolia
aveva compreso che quel giorno sarebbe cambiato tutto, quando trovò il
letto del fratello disfatto e nemmeno una parola lasciata alle spalle.
“Fratello?”.
La
voce risuonò un po' roca, sporcata dal sonno e da un piccolo moto
capriccioso.
“Fratello?”.
Poggiò
i piedini nudi sul legno, che scricchiolò timidamente, poi mosse i
passi verso l'entrata, sicuro che la casa fosse davvero vuota. E anche
l'esterno della casetta era privo di forme di vita, fatta esclusione
per un paio di gabbiani che svolazzavano nello spazio sopra il suo capo
e una cicala indolente che dormiva all'ombra del tetto.
“Fratello,
dove sei?”.
Avere
quattro anni non è mai facile, soprattutto quando hai un bambino poco
più grande di te come genitore. E quando sei costretto dalla vita, da
una sorta di sesto senso, dalle raccomandazioni più o meno mute del
tale fratello ... allora ti trasformi in un gattino gentile e
tranquillo, uno che non si allontana mai dal nido e non si getta in
sfide impossibili per mettere alla prova le proprie infinite capacità.
Aiolia
era un bambino così: dolce, gentile, quieto e molto, molto innamorato
del proprio fratello. Quando si ha quell'età c'è sempre una sorta di
amore cieco per la propria madre, a volte la fortuna capita al padre.
Ma quando si ha un solo fratello ed egli è tutto il tuo mondo, il tuo
perno, l'inizio e la fine della tua giornata e dei tuoi stessi sogni
... beh, allora l'amore fraterno si trasforma in qualcosa di ancora più
profondo, forse un po' possessivo – e anche ossessivo, come solo un
bimbo può fare – ma totalizzante.
Quel
tipo d'amore che può sfiancare, ma che sa anche essere capace di
un'universalità tale da strapparti il fiato e gonfiare il cuore fino a
fargli perdere tutta quella tristezza che, a volte, pare incollata al
nostro stesso essere.
Così
per Aiolia era Aiolos. Il suo tutto e il suo amore. E il futuro
leoncino era convinto che la cosa fosse reciproca, in ogni
cosa, persino nei sogni che egli coltivava in segreto.
Anche
se spesso il suo fratellone lo lasciava solo e tornava la sera. E anche
se c'erano altri bambini grandi con lui. E anche, nonostante tutto,
anche se quei bambini ricevevano i sorrisi di suo fratello.
Ma
Aiolos era suo. Suo fratello e suo tutto.
Era
così la vita, la sua. Nulla cambiava, il suo fratellone era sempre lo
stesso, Aiolia era sempre lo stesso: anche se cresceva e le sue gambe
si facevano sempre più lunghe, anche se la voce del fratello,
a volte, sembrava strana, era sempre la dolce voce che lo cullava, in
ogni momento della sua giornata.
Nulla
poteva cambiare, perché erano sempre loro. Sempre Aiolos e sempre
Aiolia. Sempre assieme.
Con
quei pensieri – perché erano i pensieri che lo accompagnavano sempre –
sgambettò veloce verso quella grande arena dove il suo fratellone si
trovava ogni giorno, con quei bambini grandi: era così vicino quel
posto che anche lui avrebbe potuto frequentarlo. Non vi erano regole
che lo tenessero fuori e, in fondo, quel luogo, fatta eccezione per
qualche adulto, traboccava di bambini e ragazzini poco più grandi di
lui.
Era
normale che lui fosse lì.
Il
caldo straziante e secco della Grecia batteva impietoso sul terreno,
nuvolette di polvere svolazzavano nell'etere tra seri schiamazzi, il
rumore di pugni contro palmi, il respiro affannato e una strana energia
che si innalzava verso un cielo spaventosamente azzurro. Lì, al centro
dell'arena, attorniato dalle persone più anziane del posto, stava
Aiolos, la testa che si muoveva vivace al ritmo delle parole, il suo
nastro rosso che ballava tra le spalle e le braccia instancabili e
abbronzate che si muovevano energiche e, a tratti, un poco infantili.
Il
suo fratellone era lì, nel mezzo, e sembrava brillare e innalzarsi
sopra ogni cosa agli occhi del piccolo Aiolia: a passi veloci e un poco
affannati, zigzagando tra corpi troppo piccoli per essere di adulti,
troppo grandi, però, perché apparissero come quelli di bambini, giunse
vicino al suo obiettivo.
Aiolia
a volte si chiedeva perché quel luogo fosse così strano: era per lui la
realtà, perché in quel piccolo ritaglio di terra era nato e cresciuto.
Però, c'era qualcosa nel suo istinto che gli aveva sempre detto che
c'era qualcosa, qualcosa di indefinitamente bizzarro.
“Fratellone!”.
Ed
eccolo lì, il suo adorato fratello, che voltava il capo e affondava
profondi occhi verdi nei suoi e sorrideva, con quella dolcezza che
riservava a lui e a lui soltanto.
“Ben
svegliato dormiglione!”.
Un
sorriso e la sua mano era in quella del fratello ed il suo calore
faceva dimenticare quello che imperversava a terra e nell'etere e che
rendeva tutto più pesante e faticoso.
“Volevo
farti conoscere una persona ...”.
Una
persona?
“E'
arrivato oggi e non conosce nessuno”.
Nessuno?
“Beh,
nemmeno la lingua ... ma non sarà un problema”.
Un
problema?
Ed
eccolo, una strana criniera nera che spuntava dalle spalle del suo
fratellone e due sottili e profondi occhi blu che svettavano, ben al di
sopra della sua testa.
Ma
la cosa che più costernava il piccolo Aiolia erano quelle manine
pallide aggrappate con tanta confidenza alle vesti di SUO fratello.
Quel
gesto era un SUO diritto, quell'angolino era il SUO angolino. E di
nessun altro.
“Si
chiama Shura e viene dalla Spagna, che è molto lontana da qui. Tu e
lui, Aiolia, siete i più piccoli ora al Santuario. Sono sicuro che
diventerete amici”.
Shura
era uno strano nome. Quegli occhi così allungati, quei capelli neri
come la notte, quelle mani, lunghe e delicate come le piume dei
gabbiani ...
“Amici?”
bofonchiò il bimbo con l'inizio di un piccolo broncio sulle labbra.
“Certo
che sì, Aiolia ...” e una mano del suo fratellone calò, tenera,
perfetta, calda e accogliente, sulla testa del nuovo bambino.
La
sua mano. La sua carezza.
“Così
starete assieme anche quando io non ci sarò ... e non sarai più solo
...”.
Solo?
Stare
con quel bambino?
No,
no che non gli piaceva.
Poi,
sotto i suoi occhi sempre più sconcertati, sbigottiti, increduli, quel
bambino osò alzare il viso su quello di suo fratello e ... e gli
sorrise. E Aiolos gli sorrise.
Si
guardavano e si sorridevano.
E
quel bambino osava stringere la propria mano sulla veste di SUO
fratello.
“Fratello
...?”.
Smarrito,
confuso, guardò e chiamò il ragazzino e questi si limitò a guardarlo, a
sorridere: fece qualche passo verso di lui e gli sfiorò il capo con la
mano, un gesto veloce, quasi affrettato, e poi vide di nuovo le sue
spalle mentre si allontanava con gli altri ragazzi grandi del Santuario.
Aveva
sentito che sarebbe successo qualcosa di brutto. Ed ecco la conferma
del suo istinto. Una conferma di nome Shura che ora lo guardava
dall'alto dei suoi meravigliosi sette anni (e di una decina di
centimetri in più).
“A-Aiolia?”.
Il
futuro leoncino sentì uno sconosciuto bollore risalire il proprio viso,
mentre quella voce così melliflua, strana, pronunciava il suo nome come
se stesse masticando qualcosa di strano ...
Per
la prima volta in vita sua, il piccolo Aiolia fece dietrofront e uscì
di scena a passo di marcia, ignorando tutte quelle piccole regole che,
per amore del fratello, aveva sempre seguito: essere gentile, prima di
tutto. Salutare, regola numero due. Sorridere a tutti, soprattutto a
chi sembrava più spaventato di te, regola fondamentale numero tre.
E
in un movimento unico, sicuro quanto furioso, aveva trasgredito a quei
tre pilastri fondamentali che l'avevano sempre reso, agli
occhi di tutti, un adorabile bambino.
Forse
era iniziato il suo periodo di ribellione.
*
“Il
piccolo Shura è ancora qui ...” osservò con la coda dell'occhio il
giovane Saga. Era da qualche minuto che lo stava osservando, un po'
perduto, un po' solitario nel tumulto dell'arena: era alla ricerca di
un posto o, forse, di qualcuno.
“Ma
no ... dovrebbe essere con Aiolia” il futuro arciere volse lo sguardo
nella medesima direzione e quel che vide lo lasciò di stucco. Girò lo
sguardo per tutta l'arena, alla ricerca della famigliare chioma del
fratello, ma si dovette arrendere subito all'evidenza: di norma Aiolia
avrebbe girato annoiato per l'arena, scrutandolo di tanto in tanto. Di
norma, Aiolia non si sarebbe nemmeno volatilizzato senza salutarlo. Di
norma. “Non c'è ...”.
“Sarà
tornato a casa ...” ipotizzò Saga con un mezzo sorriso. “Ha fatto di
testa sua questa volta ...”.
“Come,
prego?”.
“L'hai
lasciato con qualcuno che tu gli hai affiancato e lui ha deciso
altrimenti”.
“Non
è vero” uno sbuffo e il ragazzino mise le mani sui fianchi con aria
sicura. “Aiolia non lo farebbe mai ... e poi lo sa che Shura si
perderebbe qui, da solo ...”.
Gli
occhi di Saga si sgranarono, prima che il giovane soffocasse malamente
una risata.
“Che
c'è?!”.
“Il
tuo fratellino sta tirando fuori il suo carattere ...”.
“Aiolia
tira fuori sempre il suo carattere”.
“Aiolia
è adorabile con te e tollera di buon grado me, ma perché noi due siamo
amici. Ma non è così con gli altri. Anzi, direi che li sopporta ma solo
per fare piacere a te...”.
Aiolos
guardò per qualche istante il compagno, privo di parole. Poi scrollò il
capo, sbuffando.
“Aiolia
è un bravo bambino. Ha solo bisogno di compagnia...”.
“Aiolia
ti adora. E sei tutto il suo mondo. E anche se ha bisogno di compagnia,
lui non riesce a vedere altro che te”.
E
infine Aiolos si ritrovò travolto dal rossore.
“Tu
... esageri”.
“Ammettilo
... un po' ti fa piacere. Anzi, molto. Però ...” Saga chinò un poco il
capo, pensieroso. “Non ti rende le cose affatto facili, lo so ...”.
L'altro
ragazzino non rispose, ma mosse i propri passi verso Shura che, con
aria sempre più sperduta, assomigliava a uno strano animaletto.
“Shura?”.
Gli
occhi sottili ed eleganti si piantarono su di lui all'istante,
sgranandosi appena, mentre un sorriso di ringraziamento gli inondava il
viso.
“Dov'è
Aiolia?”.
Il
piccolo spagnolo non dovette impegnarsi per capire la domanda ed alzò
un braccino indicando alle sue spalle la via verso cui il bambino si
era allontanato.
“E'
tornato a casa ...” mormorò l'arciere tra sé, quasi sbigottito. Poi, le
sue attenzioni tornarono al piccolo Shura. “Mi spiace ... io ... ora ti
porto da lui. Da casa non potrà scappare”.
Ed
il tono mise sul chi va là lo stesso Shura: sapeva che non ci sarebbe
stato nulla di buono per il bambino e, sotto sotto, sentiva di essere
causa di tutta la 'tragedia greca' che si sarebbe scatenata di lì a
poco.
*
Era
suo. Suo e di nessun altro. Il suo fratellone ... non lo si divideva.
Era ... era ...
C'era
Saga, quel bambino grande come il fratello. E lui era dolce e gentile.
Lo sapeva che voleva bene a suo fratello, molto bene. Però era gentile
e, detestava ammetterlo, ma gli piaceva. E poi lui sapeva e non lo
faceva mai diventare ... così.
Ma
quello Shura. No, quello Shura no. Non poteva e non doveva arrivare.
Non
doveva nemmeno pensare a rubargli il suo fratellone. Nessuno poteva
sorridergli così e trattarlo come ... come se fosse lui, Aiolia. E non
un usurpatore del trono del fratellino di Aiolos.
C'erano
delle regole ed esse dicevano che Aiolia poteva essere vicino al suo
fratellone come e quando voleva. Ma solo lui. (Più che regole, era una
dittatura quella ...).
Ma
le regole servivano sempre a uno scopo: lui non poteva perderlo. Non
poteva nemmeno pensare di svegliarsi un giorno e trovare il suo
fratellone che voleva bene a qualcuno che non era lui. Nel cuore del
fratellone c'era posto solo per lui. Lui era troppo importante, non
c'era posto per altro. Non poteva ... anche se Saga gli piaceva. E
anche quel signore molto anziano... ma era diverso.
Quello
Shura era diverso.
Shura
era come Aiolia. Era un bambino. Era piccolo. Il fratellone avrebbe
finito per trattare Shura come trattava Aiolia. E a volergli bene allo
stesso modo. E quello non era affatto giusto.
“Aiolia!”.
Il
fratellone?
Ed
eccolo lì, pareva quasi rilucere alla luce del sole ... ma non certo il
suo sorriso.
“Aiolia
... perché te ne sei andato?” le mani del ragazzino andarono sui
fianchi, con aria autoritaria e contrita. “Hai lasciato da solo Shura
... lo sai che era da solo!”. Il tono, fino a quel momento composto,
anche se irritato, si alzò notevolmente perdendo il suo solito candore.
“Ma
...”. Gli occhi del bimbo, immensi e cupi, tanto che l'azzurro pareva
scomparso, si riempirono di lacrime, mentre le manine si aggrappavano
ai lati della casacca, tremanti. “Ma ... fratellone ...”.
E
poi, dietro la schiena di Aiolos, comparve nuovamente lui. Shura. Come
uno spettro incapace di staccarsi dalle proprie vittime, pallido in
viso e nero come la pece su quelle strane ciocche, lo guardava.
Non
vi era un'espressione precisa sul viso, era quasi indecifrabile.
Ma
attraverso le lacrime si vede un mondo tutto distorto. E così fece il
giovane leoncino, travolto da dolore e rabbia.
Vide
un sorriso, in verità di riconciliazione. Non era da Shura serbare
rancore. E poi quel bambino così piccolo e paffuto aveva un che di
adorabile...
Ma
gli occhi frementi di lacrime videro la beffa e il muto segno di
vittoria in quel sorriso. No, era un ghigno ... così terribile e
crudele, affilato e falso, che riuscì a tirare fuori quello che ancora
il mondo non conosceva: la piccola ombra di Aiolia.
“Fratello,
sei cattivo!”.
E
via che il piccolo leoncino scivolava lontano dalle braccia del
fratello e dalla sua voce. E dal rimprovero, dai richiami e da quel
viso che aveva imparato, in un attimo, ad odiare.
Povera
piccola creatura, quella dagli occhi verdi: relegata in un angolino,
ripudiata da tutti, eppure ... saggiata a piccole dosi, sapeva rendere
un rapporto ancora più profondo.
Nascosta
a quel modo, combinava i disastri più infiniti e complessi.
*
“Secondo
te, sono cattivo?”.
“Come?!”.
“Sono
un cattivo fratello?”.
Saga
si volse verso il compagno, con l'aria di chi la sapeva anche troppo
lunga. Che fosse lui a dover rispondere a una simile domanda ... era un
destino infelice.
“Aiolos,
tu non sei un cattivo fratello. Sei solo un fratello ... in
difficoltà”. Il ragazzo dai capelli dorati si sedette accanto all'amico
che, gambe strette al corpo, sedeva da troppi minuti con lo sguardo
perso sull'arena polverosa. “Sei sempre diligente e tenero con lui ...
non gli fai mancare nulla”.
“Evidentemente
qualcosa è mancato. Io ... sono solo. Non sono una mamma, né un papà”.
Una
mano leggera scese sulla spalla, stringendo un poco per rassicurare il
ragazzino.
“Una
persona sola è capace di grandi cose. Ma non è mai perfetta ...” un
sospiro, un'ombra veloce sul viso. “Però tu dai sempre il massimo. Ed è
questo ciò che conta. Anche Aiolia deve capire”.
“Ma
... io ho sbagliato con lui!”.
“Sbagliato?”.
Stavolta Saga non riuscì a trattenere la risatina, anche se finì per
mordersi la lingua per evitare ulteriori sconvolgimenti emotivi. “Tu
sei Aiolos, lui è Aiolia. È normale che ci siano dei piccoli contrasti
tra voi ... è così che vanno le cose. Non c'è niente di sbagliato in
quello che tu o lui avete fatto. È solo che ... è un momento”.
“Un
momento? Tu dici?”.
“Sta
crescendo ... e tu sei il suo modello. Ma sei anche qualcuno
con cui misurarsi. È un po' una sfida ... forse ...” gli occhi verdi
del ragazzino biondo si alzarono perplessi al cielo. “Forse è anche
gelosia, chissà ...”.
“Gelosia?”.
La curiosità si accese negli occhi del compagno, assieme al dubbio. “Ma
... per me Aiolia è sempre il più importante! Sono sempre con lui, io
... io ... dici che è geloso?”.
“Potrebbe
essere. Di me, forse ...” un tossicchio, l'imbarazzo sul volto e le
mani di Saga sembrarono volersi aggrappare al terreno.
Gli
occhi azzurri di Aiolos sbatterono per un attimo, curiosi e perplessi,
tornando poi a terra, più nervosi di prima.
“Forse
... dici che ... dici che potrebbe essere geloso, ora, di Shura?”. Il
ragazzino ingollò a fatica prima di rialzare lo sguardo verso il
compagno. “Non l'avrebbe lasciato da solo, ne sono certo. Ma ... se
davvero è geloso di lui ... però ...” si spettinò i capelli con
frustrazione. “Non ho fatto nulla. Non ho ... come ho fatto a dare
adito ad Aiolia? Come ... io ...”.
La
chioma bionda del compagno si scosse con un sospiro.
“A
volte basta poco. Ad Aiolia credo sia bastato pochissimo. Si sente
solo, tu sei qui la maggior parte del tempo ... e non ha amici della
sua età. Forse ... quando si è presentato Shura, lui ha pensato che tu
lo mettessi al suo fianco, al posto tuo”.
L'arciere
sgranò gli occhi, troppi sentimenti che ingarbugliavano pensieri e
parole. Credeva che tutto fosse semplice, come lo era per lui.
Ma
il suo fratellino riusciva a rendere la contorsione degli eventi un
qualcosa di estremamente infantile: fino a che punto il suo cuore era
così sensibile?
*
Nascosto
dietro a una roccia, al riparo da vento e sole, stava un bozzolo di
lacrime e confusione. Tirava su col naso e mugolava parole confuse,
mentre la mano andava a lavare – impolverando – il viso invaso dal
pianto.
Non
ce la faceva a tornare sui propri passi, non riusciva nemmeno a pensare
cosa avrebbe potuto fare d'ora in poi: tornare a casa? Giammai! Era una
'questione di principio' come per i grandi. Ma era anche così tanta la
vergogna e la rabbia e la gelosia.
Ah,
gelosia. Aveva sempre sentito quel piccolo pungolare nel suo cuore, ma
aveva imparato col tempo a distrarsi e a pensare che le cose, in fondo,
non cambiavano mai.
Mai.
Che
beffa. L'ironia della vita e delle cose aveva una logica inconcepibile
per il piccolo Aiolia. Era inconcepibile avere un fratello che non era
più un fratello.
Era
inconcepibile non tornare più a casa.
Era
inconcepibile piangere senza avere un abbraccio dove calmare e
cancellare le lacrime. Era tutto un grande mondo inconcepibile.
D'improvviso,
accanto a lui, si stagliò un'ombra e il bambino si girò di scatto, come
un animale messo all'angolo dal proprio predatore. E lì, le spalle al
sole e al cielo abbagliante, stava quel bambino, Shura. Lì con il suo
sorriso beffardo e il suo faccino bianco.
“Aiolia
...” sussurrò il suo nome, poi sembrò esitare. Ovvio come la lingua
fosse da ostacolo, come, forse, solo un gesto potesse aiutare.
Allora
il piccolo spagnolo allungò una mano, tentennante, verso il capo del
bimbo più piccolo: mai si sarebbe aspettato una reazione così
improvvisa.
Eppure,
una manciata di secondi dopo, si ritrovò con la mano dolorante e con i
tratti inconfondibili dei dentini da latte del giovane leoncino ben
spalmati su palmo e dorso. Shura lanciò un piccolo urlo e ritrasse
quasi a fatica la mano, visto che il bimbo sembrava tentato dall'idea
di non mollare l'incauto predatore.
Il
visetto abbassato, gli occhi saettanti impazienza e la boccuccia
semiaperta, pronta a un altro attacco, Aiolia pareva davvero un
leoncino disposto a tutto.
Shura
guardò di sottecchi il bambino, massaggiandosi con aria pensierosa e un
poco diffidente la parte lesa.
“Aiolia
... uhm ...” tentennante, la lingua a far da ostacolo, il bambino
spagnolo tentò di mettere assieme tutto ciò che poteva aiutarlo in quel
frangente. “A-amo ... Aiolos?”.
Accidenti
alle barriere linguistiche.
Un
piccolo ruggito si levò dalle rocce e Shura si vide caracollare addosso
una furia di bambino che riuscì a farlo barcollare pericolosamente
all'indietro, mentre pugnetti gli tempestavano lo stomaco e dei piedini
s'infrangevano duramente sui suoi piedi mezzi scalzi.
“O-oye!
Callate!”. Tanto valeva tornare allo spagnolo. Quel poco di greco aveva
fatto danni, anche se non sapeva bene come. Era il nome suo o del
fratello? Forse, quell'amo non era proprio come lo intendeva lui.
Temeva di aver detto il contrario ... e invece di domandare l'ovvio,
aveva gettato olio sul fuoco.
“Il
fratellone è mio! Mio, mio, mio! E nessuno me lo ruba, nessuno!” e
intanto il corpicino di Aiolia si infrangeva quasi senza danni veri
sull'altro; lacrime copiose sembravano impazzite mentre sgorgavano da
quegli occhietti rossi e la verve sembrava inesauribile, sebbene le sue
forze stessero venendo meno.
Allora
– perché Shura era un bambino e non poteva pensare di dover fare il
paziente con un altro bambino, per giunta più piccolo di lui – gli
afferrò con decisione le guanciotte e le strinse fino a quando il
leoncino non smise di muoversi come un forsennato e cominciò a
lamentare parole incomprensibili per la sua presa di ferro.
Dopodiché,
con un cipiglio tipico del suo segno – e la pazienza ormai abbandonata
in un angolino – girò i tacchi e si allontanò dal bambino, sperando di
non dover avere a che fare nuovamente con un tale irritante
moccioso. E lui che era stato carino ...
*
“Aiolia?”
un sussurro, timido e colpevole, nel mezzo del buio della stanza.
Aiolos era tornato che ormai era tardi, anche per lui, sperando che il
tempo gli avrebbe portato un po' di saggezza e quelle parole che temeva
sempre di non sapere.
Ma
il tempo e la mente non aiutavano quando eri solo un bambino cresciuto
troppo in fretta: a malapena ricordavi i tuoi stessi genitori e tutta
la pazienza e le strategie che avevano usato con te, quando ancora eri
abbastanza piccolo da poterti dondolare sulle spalle di tuo padre o
sgattaiolare sotto il tavolo della cucina, mentre la mamma canticchiava
lavorando il pane.
No,
quei tempi erano andati. Era qualcosa che non sarebbe più tornato e
doveva farsene una ragione. Avrebbe dovuto trovare una soluzione da
solo.
Come
poteva cavarsela come aspirante Gold Saint, così sarebbe riuscito ad
educare anche suo fratello, capricci o meno. Lacrime o meno.
Un
sospiro lo scosse ancora, mentre i suoi occhi si posavano sulla figura
appallottolata su se stessa, mezza nascosta dal cuscino, ma
profondamente addormentata in sogni all'apparenza tranquilli.
Nelle
sue orecchie risuonarono le parole di quel pomeriggio e stavolta, da
solo e al buio, sentì le lacrime pungergli gli occhi come spilli
roventi: si mordicchiò le labbra e raggiunse il proprio letto,
stendendosi con un sospiro, poi sciolse il nodo che legava il suo
nastro e lo lasciò scivolare sul tavolino lì accanto.
Prese
ancora un lungo respiro e si ritrovò a sfregarsi gli occhi con rabbia e
frustrazione: si sentiva così stanco e non riusciva a non pensare al
fatto che, per la prima volta in vita sua, qualcuno lo odiava. E quel
qualcuno era la persona che più amava al mondo.
Giunse
la luce dell'alba a penetrare appena dalla finestra oscurata e Aiolia,
a dispetto del solito, alzò la testolina, veloce come una molla e si
ritrovò in piedi con gli occhietti socchiusi e l'ombra della
determinazione dietro i fumi del sonno.
Era
la prima volta che succedeva, la prima che metteva in pratica un piano
contro il fratello (o contro qualcuno, comunque): era tanto geniale
quanto semplice, ma tanto sarebbe bastato per la sua piccola vendetta.
Non
che sapesse che la sua era una vendetta, ma c'era quel desiderio
piccolo piccolo e pungente che premeva perché portasse a termine
quell'atto: il suo istinto, la sua natura ... il leoncino che premeva
per uscire lo spingevano ad agire.
Le
conseguenze sarebbero arrivate, ma non erano certo il suo pensiero
principale.
Col
cuore in gola, a passi felpati, giunse accanto al letto del fratello,
che dormiva profondamente, dandogli le spalle: osservò le spalle e vide
che erano più ampie dell'ultima volta che l'aveva osservato. Ma vedeva
che era anche più lungo e un po' più magro di un tempo, le dita delle
mani sembravano talmente lunghe da non appartenergli più.
Aiolia
sentì salire il broncio: non era stata solo la carezza data a Shura a
scatenare tutto quel pandemonio. Era stata una carezza che non riceveva
da troppo tempo a renderlo così infuriato: era sempre troppo impegnato,
sempre fuori, sempre con qualcuno che non era lui.
E
lui, Aiolia, era sempre solo.
E
non lo sopportava.
La
mano andò ad afferrare veloce il nastro rosso che pendeva dal tavolino
e sgattaiolò fuori dalla capanna verso un mattino già troppo chiaro:
scese la stradina che portava al mare, svoltò a destra, verso i
cespugli di oleandro, e si ritrovò a costeggiare uno strapiombo che
dava sul mare. Zampettò, con una certa audacia, verso un crinale
esposto al vento e lì, sotto una grossa agave, si inginocchiò: prese
dalla tasca il nastro, lo legò più stretto che poteva a una delle
foglie più basse e nascoste, e si alzò di nuovo, rischiando di rotolare
verso il basso e le rocce.
Si
ritrovò a quattro zampe sulla terra secca e riarsa per scendere di
nuovo verso il sentiero e, piedi di nuovo sulla terra piana, tornò a
correre verso la capanna e poi a sinistra, verso l'arena: un diavoletto
era al suo orecchio ed era curioso di vedere le reazioni del fratello,
privato della sua chioma di Sansone.
Si
accoccolò su uno sperone, all'ombra di un giovane ulivo, e puntò il
naso verso la piana che iniziava a riempirsi dei giovani apprendisti e
dei maestri: la temperatura saliva, come il rumore echeggiante tra le
pareti, e l'energia che si sprigionava dalle voci e dai pugni rendevano
per lo stesso Aiolia difficile rimanere fermi.
Sembrava
un fermento da cui era impossibile distogliere lo sguardo, ma che
pareva torturare anche il cuore: il bambino scosse la testa, imputando
la sensazione al troppo caldo. Chiuse gli occhi, fece un respiro e
riaprì lo sguardo proprio nel momento in cui suo fratello mise piede
sulla terra rossa dell'arena.
Aiolia
alzò la testa, come un pulcino pronto ad affrontare un gallo, ma quello
che vide lo lasciò a dir poco sbalordito: suo fratello, così fiero e
bello, col volto alto e gli occhi puntati troppo spesso al cielo,
vagava quasi ricurvo, sguardo fuggente e a terra, i capelli arruffati e
... c'era qualcosa di particolare, come se mancasse una luce in lui o
come se si fosse spenta.
Accanto
a lui, anche Saga aveva il volto preoccupato e lo vedeva parlare, senza
ricevere risposta però, mentre il fratello scuoteva il capo in silenzio.
D'un
tratto, quel diavoletto all'orecchio gli parve più irritante che
divertente, e le sue mani prudevano di un'insana voglia di prendere a
pugni qualcosa. Il se stesso di prima.
Poi,
però, come in una brutta tragedia, giunse il cattivo per antonomasia,
Shura, e rubò la scena ad Aiolia, riservando al fratellone un sorriso
ben troppo grande.
Di
nuovo il diavoletto non sembrò una compagnia così fastidiosa,
soprattutto quando Aiolos sembrò illuminarsi a quel sorriso.
“Fratello
...”.
Un
sussurro, carico di tante e troppe emozioni cui nemmeno il bambino
riusciva più a mettere capo o coda: amore, odio, gelosia, infelicità,
rabbia ... e ancora amore e ancora odio. Ora l'odio non sapeva nemmeno
più per chi provarlo però.
Decise
allora che allontanarsi era la cosa più giusta da fare e così fece,
scendendo per il sentiero che riportava verso la capanna: lontano dagli
occhi, lontano dai pensieri, dalle emozioni. Non voleva ammetterlo, ma,
più che il sorriso procurato da Shura, lo scombussolava l'aria tetra di
Aiolos, fino a fargli male allo stomaco: non l'aveva mai visto così, un
fratellino non doveva vedere le debolezze di un fratellone ... non era
giusto, faceva troppa paura.
Il
suo sorriso, le sue risate, le carezze, gli abbracci, gli scherzi, i
piccoli rimproveri ... era quello che voleva. Era quello Aiolos, non il
ragazzino curvo su se stesso e ... spento.
*
“Aiolos
... triste?”.
Mezzo
sussurrata giunse la voce di Shura a fendere i pensieri cupi del
ragazzino che, per tutta la mattina, aveva agito come un'anima in pena
che vorrebbe essere altrove.
Scosse
la testa, con fare paterno, da adulto. Non si mostravano le debolezze
ai bambini, bisognava sempre ostentare sicurezza. Altrimenti eri perso.
“No,
Shura. No”.
Il
bimbo fissò il ragazzino con quella maturità che l'avrebbe
caratterizzato in ogni occasione.
“No.
Aiolos ... è ... triste ...”.
Occhi
verdi si sgranarono sul piccolino, mentre le mani si muovevano
nervosamente l'una con l'altra: ci mancava anche un bambino che gli
leggesse dentro per completare l'opera. Evidentemente era lungi dal
controllare le proprie emozioni.
“Aiolia
... è triste. Molto”.
“L'hai
visto?”.
Aiolos
si spiegò a gesti e Shura scosse la testa in assenso, indicando il
gesto inequivocabile delle lacrime.
“Piangeva...”
e nel dire quelle parole, Aiolos si sentì strozzare dalle lacrime, che
riuscì a malapena ad arginare.
Una
mano bianca del bambino andò allora ad afferrare una sua mano, quasi
nera a confronto.
“Aiolia
... bene ... Aiolos ...”.
Le
barriere linguistiche, questa volta, sembravano cancellate. Quando si
parlava di sentimenti ...
“Anche
io gli voglio bene ... ma ...” una mano andò ad arruffare i propri
capelli e, solo allora, si accorse di cosa mancava. “La fascia?”. Lo
sguardo ricadde a terra, una smorfia di sconforto a cancellare quel
poco di buono che era stato detto.
Poi
quel giorno successe una cosa che non era ancora capitata, non a
memoria di Aiolia. Successe per caso, come succede sempre, senza grandi
squilli di trombe o grandi momenti melodrammatici. Capitava quando si
era tra ragazzini e, ancora di più, quando questi passavano il tempo a
testare la propria forza e capacità gli uni sugli altri.
Capitò
così che, forse per stanchezza, forse per troppa tristezza, Aiolos si
ritrovò col braccio sanguinante, una ferita non troppo profonda, non
troppo dolorosa.
Ma
il sangue usciva da lui a gocce grandi e scure, macchiando per sempre
il suolo e Saga e Shura e altri ragazzini, attorno a lui con sguardi
preoccupati, mentre il brusio si tramutava in movimenti veloci ed il
suo braccio si ritrovava prima irrorata da acqua cristallina, poi
fasciato con mani anche troppo esperte.
E
attorno a lui tornava a regnare una strana pace, mentre i più consueti
rumori andavano ancora a rimbalzare tra le mura rossastre,
uno strano senso di timore sulle giovani teste.
Vicino
al giovane ferito, Saga e Shura che, a tratti, si lanciavano sguardi
carichi di preoccupazione e inquietudine: in tutto quel trambusto il
giovane arciere non aveva profferito parola.
“Dovresti
tornare a casa ... per oggi, almeno. E riposarti ...”.
Saga
ingollò, cercando di leggere oltre quella folta chioma che sembrava non
aver intenzione di rialzarsi: non aveva valutato davvero la situazione,
aveva forse voluto ignorare quegli occhi sfuggenti e dall'aria perduta,
non in sogni stavolta. Non gli avrebbe mai permesso, altrimenti, di
profittare di quel fianco scoperto.
“Aiolos,
io ...”.
Si
interruppe, vedendo un movimento nella chioma ed il sospiro che si
sollevava da esso.
“Perchè
non me lo dici che sono un idiota? Per tutto quanto ... dovresti
spronarmi, non essere sempre ... tu” un tremito in entrambi i
ragazzini, poi un ennesimo respiro. “Tu sei sempre troppo buono con me
... tu...” e poi, alzando lo sguardo verso quello di Saga vide qualcosa
che non avrebbe desiderato: e si ritrovò in piedi, le mani aggrappate
ai sottili polsi del compagno, negli occhi le scuse che la sua lingua
non sarebbe riuscita a pronunciare tutte assieme.
Shura
osservò sottecchi, in un composto imbarazzo, quello strano scambio
silenzioso, concentrando l'attenzione sulla piccola macchia rossa che
andava, lentamente, ad espandersi. Solo l'esclamazione di Saga,
improvvisa e quasi stridula, riportò tutti sulla terra ... e sulla
ferita ancora aperta di Aiolos.
“Non
devi sforzare il braccio! Sei il solito imprudente ...”.
“Ma
no, non è vero ...” un sorriso, di scuse, di riappacificazione.
“Certo
che lo sei, sempre”. Un broncio, adorabile, e un cipiglio agguerrito.
“N-no”.
“Va
a casa. È un ordine...”.
“Non
puoi darmi ordini!”.
“Chiederò
al Sacerdote di farlo al posto mio”.
Il
visetto abbronzato dell'arciere si inondò di imbarazzo, mentre
l'infondato timore per l'alta carica del Santuario sgonfiava, in un
colpo solo, tutta la sua baldanza. Saga sapeva.
“Domani
torno”.
“Se
si riapre la ferita ti rispedisco a casa”.
Un
sorriso trionfante e monello e il biondo ragazzino si mise la vittoria
in tasca.
Shura
guardava, stavolta, l'intera scenetta con l'aria di chi sapeva di
essere stato testimone di qualcosa decisamente fuori dalla sua portata.
O almeno avrebbe voluto.
Guardando
la schiena di Aiolos allontanarsi dall'arena, il bambino non ci pensò
troppo e finì per seguirlo, più che come ombra come semplice
pedinatore: era più facile valutare la situazione da una debita
distanza, piuttosto che ritrovarsi il braccio infilato nelle fauci di
un leoncino. E poi, in tutto quel trambusto, si era ritrovato
nullatenente – un ruolo che ben poco apprezzava. Così, quando si
ritrovò nei pressi della capanna dei due fratelli e vide entrare il
maggiore, si accoccolò contro uno sperone di roccia, all'ombra, in
attesa di nuovi eventi.
Aiolia
non si sarebbe aspettato l'arrivo del fratello fino a sera, come
sempre.
E
invece, nel bel mezzo della mattina si ritrovò ad accoglierlo in casa
con un gridolino di sorpresa e l'evidente segno dell'imbarazzo negli
occhi malfermi.
Si
guardarono a strappi, l'uno con un braccio stretto dietro la schiena,
l'altro con le mani strette l'una all'altra, mentre un silenzio carico
di soffocamento scese su di loro, impietoso.
Il
nervosismo fece perdere ogni controllo ad Aiolos che, incurante della
ferita, si strinse con forza il braccio, causandosi una fitta di dolore
che non cercò di dissimulare con una smorfia.
“Aiolia,
io ... non volevo arrabbiarmi, però ... io ... non so ...”.
Si
ingarbugliava. Era dannatamente incapace di mettere assieme un discorso
lungo e serio e privo di tentennamenti: era sempre assalito da dubbi e
paure ed erano un po' un tormento continuo. Perché era piccolo, perché
non era pronto ... e non era all'altezza.
Non
voleva sgridarlo, ma sapeva che il comportamento del fratello andava
modificato ... eppure non riusciva a trovare la via di mezzo. Gli
appariva troppo dura e troppo morbida.
In
poche parole, non sapeva proprio da che parte girare la testa.
Il
bimbo, da parte sua, non fu molto accomodante: la frase del fratello
era stata un salire e subito un ricadere indietro, agli screzi.
“Ti
piace Shura, fratello?”.
Ed
ecco la domanda. Il fulcro. La questione. La cosa scottante.
Aiolos
si sentì travolto da una tale tenerezza a quella mezza confessione che
gli scappò un sorriso, dolce.
E,
ancora, Aiolia tradusse a modo suo i gesti della controparte, dando,
stavolta, pieno sfogo alla creatura dagli occhi verdi.
“Allora
vuoi più bene a lui che a me!!” gridò, stringendo con forza i suoi
pugnetti nell'aria, mentre tutto il rancore sembrava trasformarsi in
pura energia, scagliata contro il fratello, senza mezzi termini. “Io
voglio solo bene a te ... non voglio bene a nessun altro ...”.
Rosso
in viso, con solo lacrime negli occhi e la voce che lo stava
abbandonando per la troppa tristezza.
“Ma
Aiolia ...” un sospiro e lo sgranarsi degli occhi del ragazzino
riportarono alla superficie la vocetta terribile del bimbo che si mise
ad ululare come una piccola sirena impazzita. “No- Aiolia, non devi-
ma-”. La mano di Aiolos si strinse ancora di più al proprio braccio,
scosso dal nervosismo, mentre il dolore fisico si perdeva in quello del
proprio cuore.
Troppo
scosso per rispondere, troppo triste per trovare le parole giuste,
troppo piccolo perché quell'aria adulta mantenesse la facciata.
Si
ritrovò a fare un singhiozzo e percepì chiaramente le lacrime scendere
sulle guance, per la prima volta dopo tanto tempo. E sembrava così
strano, gli pareva quasi di aver dimenticato come si faceva: perché si
era ripromesso di non farlo più, di usare tutte le proprie energie per
sorridere e far felice l'altra sua metà di cielo. Ma non era riuscito
nemmeno a renderlo felice, a quanto pareva ...
Però
quel gesto, nel mezzo del pianto del fratellino, sembrò essere
catalizzatore di un miracoloso silenzio: occhi enormi e lucidi lo
fissavano sconcertati, la bocca semiaperta, priva delle parole giuste e
quel rossore che indicava fino a che livello fosse giunta la tristezza
in Aiolia.
Un
movimento lento nel bimbo, le spalline che si abbassavano, il musetto
si levava alto, enormi lacrime si accumulavano agli angoli degli occhi
e il naso che tirava su in maniera tanto buffa.
E
di nuovo la piccola sirena si mise ad ululare, ma stavolta nelle
orecchie del ragazzino, perché il fratello gli si era gettato tra le
braccia gnaulando sconnesse parole di scuse inframmezzate dal suo nome,
ripetuto, come un mantra.
Poi,
finalmente, mentre il mantra si spegneva, Aiolos riuscì a comprendere
qualcosa di quelle parole soffocate dal pianto.
“Fratellone
... non ... non piangere ... farò il bravo ... non ... non faccio più
il bambino cattivo ... ma non ... non piangere”.
E
giù le lacrime, lungo le guanciotte di Aiolia e poi su quelle di
Aiolos, ed era un piccolo fiume salato che sembrava non volersi
fermare, nemmeno per il ragazzino.
Fu
un lungo momento quello, un abbraccio così era raro: era bello, di
tanto in tanto, ricordarsi di gesti semplici ma pieni d'affetto.
Nella
piccola testa di Aiolia tutto andò al suo posto, come con un semplice
puzzle, e un magone ancora più forte si impossessò di lui: tra le
braccia del suo fratellone era chiaro come, nel suo cuore, lui avesse
la meglio.
Perchè
non c'era un abbraccio più caldo e più dolce ... e non c'era al mondo
persona che più lo capiva del suo fratellone.
E
il suo odore, i suoi capelli che gli solleticavano il viso ... tutto,
ogni singola parte di Aiolos era lì che gli sussurrava che gli voleva
bene.
E
lui gli aveva detto di odiarlo.
“Ti
voglio bene fratellone ... ti voglio be-” e le parole si perdevano in
una nuova ondata di pianto, perché aveva capito che il suo fratello,
solo con lui, non poteva essere del tutto felice.
Aiolia,
forse, non aveva un cuore così grande ... ma suo fratello, lui sì. Ne
aveva uno tanto grande che riusciva a contenere tutto l'amore che
provava per il suo fratellino e per Saga e Shura ... e chissà quante
persone ancora. E lui era fortunato ad avere un fratello così, perché,
lo sapeva, di persone così al mondo non ce n'erano poi tante.
“Fratellino
...” una mano sul capo, quella carezza che tanto gli mancava e Aiolia
si sentì felice. Nonostante tutto. “Aiolia, se io voglio bene a
qualcuno, oltre a te ... non significa che ti voglio meno bene. Io ti
vorrò bene sempre, perché sei il mio fratellino”.
Eccole
le parole perfette: quelle che scendevano sul capo come una pioggia
calda, come il miele d'acacia giù per la gola. Un abbraccio, un bacio.
“Se
il mio amore cambierà, sarà solo perché ti vorrò ancor più bene di
adesso, ricordalo sempre”.
Per
queste cose, Aiolia pensava che tanto bastava per essere felici.
Ma
quando il braccio nascosto di Aiolos spuntò davanti al suo sguardo
impreparato, il bimbo riprese la parola con tutta l'agitazione e la
paura tipiche della sua età.
“FRATELLO!
NON ... NON ... COS'E' SUCCESSO?!”.
“E'
solo un graffio, Aiolia ...”.
“E'
un graffio grande ...” gli occhioni di Aiolia si dilatarono man mano
che le sue gote perdevano colore e il cuore i suoi battiti. “E' tanto
grande ... e c'è tanto sangue ... fratellone ...”.
“Non
devi fare quel faccino ...”. Aiolos sorrise, anche se era più una
smorfia mista al dolore: aveva maltrattato la sua ferita e si era un
poco riaperta, grazie alla sua sbadataggine e a dispetto degli ordini
di Saga. “Passerà Aiolia ...”.
“E'
perché non hai la fascia? Lei è il tuo ... il tuo ...”.
Due
dita andarono a pizzicargli una guancia e il ragazzino sospirò,
guardando con aria persa la ferita.
“E'
perché ero distratto. Pensavo ad altro ... la fascia, quella, non è un
portafortuna. È solo un simbolo”.
“Però
...” il colore tornò sulle gote del bimbo con rinnovata energia. “Io
...”.
La
mano sana del ragazzino andò ad arruffargli il capo.
“Non
importa Aiolia, davvero. E comunque si stava strappando”.
Eppure
c'era una vocina che sussurrava ad Aiolia che sarebbe dovuto tornare
sui suoi passi
e
recuperare ciò che aveva ingiustamente sottratto.
Le
sue manine andarono a sfregare le ultime lacrime e, per la prima volta,
un cipiglio tutto nuovo animò i suoi occhioni.
“Fratellone
te lo riporto!”.
E
via che, in un attimo, i suoi piedini l'avevano catapultato all'esterno
della capanna, sotto la canicola del mezzogiorno, ignorando perfino la
presenza di Shura, seduto lì vicino a pugni stretti, con l'aria di chi
stava aspettando il momento opportuno per farsi avanti.
Così,
non appena il bimbo scomparve dalla vista, mise piede all'ingresso
della capanna e fu subito accolto dal sorriso e dalla voce di Aiolos.
“Shura,
che ci fai qui? Aiolia è uscito ...”.
A
passi piccoli e sicuri, lo spagnolo si mise di fronte al ragazzino,
infilò la propria mano in una tasca e ne estrasse la fascia malridotta
di Aiolos. La sorpresa durò poco negli occhi del greco, mentre un
piccolo sbuffo di risata si alzò dalle sue labbra intenerite.
“L'hai
trovato facilmente, vero? Aiolia non è mai stato bravo a nascondino
...”.
Shura
mosse la mano verso di lui, perché la prendesse, ma l'altro scosse la
testa.
“Se
Aiolia lo scopre ci rimarrà male”. Poi gli fece cenno di sedersi. “Sei
un bravo bambino Shura”.
Non
furono le parole, ma il tono morbido e il sorriso a far arrossire
Shura. Forse non aveva compreso quelle frasi, ma era facile comprendere
la sua sensibilità. E tanto bastava.
*
Passò
una lunga ora e Aiolos fu sul punto di uscire per cercare il fratello,
quando la porta della capanna si riaprì e lui fece un timido capolino.
“Aiolia,
dove sei stato?”.
Questi
scivolò nell'abitazione con l'aria abbattuta di un leoncino arruffato,
braccia e gambe ricoperte da graffi e sporche di polvere rossa;
pezzetti di terra ciondolavano dagli sfilacci delle vesti e alcuni di
essi erano imprigionati tra i suoi riccioli biondi.
“Cosa-?”.
“Non
c'è più. Era sulla collina e non c'è più. Era legato bene ... ma non
c'è più. Non c'è più”.
La
vocina di Aiolia era stata un crescendo, prima che stringesse le labbra
gonfiando le guance con aria sconfitta.
“Non
era importante ...” mormorò il fratello, dopo qualche istante di
silenzio. “Te l'avevo detto che non era importante...”.
“Perché
la mettevi sempre, allora? Se non era importante ... perché?”.
E
perché mai i bambini erano così perspicaci?
Il
ragazzino si alzò in piedi, andando ad inginocchiarsi ai suoi piedi: le
sue mani andarono a pulire il viso scuro di terra e poi a scuotere i
ciuffi della frangia, facendo cadere dei sassolini e un pezzetto di
terra.
“Sei
pieno di graffi ...”.
“Era
un ricordo di mamma e papà?”.
Le
mani di Aiolos si fermarono a mezz'aria, mentre i loro occhi si
incontravano: era quel pensiero che l'aveva scosso così tanto? Per
quello non tornava a casa?
“Perché
lo pensi, Aiolia?”.
“Perché
l'hai sempre avuto. Io mi ricordo del fratellone sempre così”.
Un
sospiro lo fece tremare un poco, come se gli si stringesse il cuore.
“Quando
siamo arrivati qui al Santuario e tu eri piccolissimo ... ho deciso di
mettere quella fascia. Ma la mamma e il papà non c'erano già più”.
Le
labbra del bimbo si dischiusero, un velo di incredulità negli occhi.
“Davvero?”.
“Certo,
non ti racconto una bugia”.
“Ma
perché l'hai messa allora?”.
A
quel punto, il ragazzino arrossì, come forse mai era arrossito. In
fondo era un gesto che, a ripensarci, appariva quasi arrogante,
esagerato. Ma all'epoca, vestirlo, aveva significato tutto. Ne aveva
avuto bisogno, più che per se stesso, per chi era responsabile.
Tossicchiò,
cercando di dissimulare l'imbarazzo, poi prese la mano del fratellino e
assieme si sedettero sul letto. Aiolos allungò una mano verso una
tinozza, la riempì d'acqua e con un panno andò a pulire i graffi del
bambino. Un modo come un altro per trovare il coraggio di affrontare la
spiegazione.
“Nell'antichità
gli eroi... erano incoronati con una fascia attorno alla testa. Una
fascia rossa... perché il rosso significa forza e coraggio”.
Aiolia
piegò la testa da un lato, alzando un poco il naso verso lo sguardo
sfuggente del ragazzino.
“Perchè
volevi essere un eroe?”.
Il
panno bagnato passò sulle guance, poi sul naso, leggero, facendo
ridacchiare il bimbo; gli occhi del fratello si riscaldarono a quel
suono tanto piacevole.
“Perchè
c'eri tu. E gli eroi proteggono chi amano. Sono forti proprio per
quello. E io volevo esserlo per te...”.
Silenzio.
Un
silenzio fatto di respiri e occhiate e visi che parevano incapaci di
riprendere il loro colorito.
Poi
gli occhietti vispi di Aiolia si abbassarono sulla propria casacca,
sporca e lisa: si era arresa alla missione di quel giorno, lacerandosi
in più parti e rendendosi, così, inutilizzabile.
Le
manine, allora, ne afferrarono sicure due lembi e stracciarono la
stoffa, fino a quando non se ne ritrovò in mano una lunga striscia, non
diritta ma perfettamente rossa: sotto gli occhi curiosi di Aiolos, il
bimbo alzò solennemente le braccia, in un chiaro atto di
'incoronazione'.
Ma
prima che riuscisse nel suo intento, il ragazzino andò a fermarlo, con
un sorriso e un sospiro.
“Non
ce n'è bisogno. Alla fine non sono né un eroe né un fratello poi così
bravo. Ho fatto un sacco di errori ...”.
Il
nasino del fratello andò a cozzare malamente contro il proprio,
costringendolo ad arretrare : Aiolos dilatò lo sguardo, mentre il più
giovane gli prendeva il viso tra le mani.
“Io
dico che tu lo sei. Io lo so che tu sei bravo. E sei coraggioso e sei
buono. Lo sei sempre ... anche Saga lo dice. Lo dicono tutti. E io lo
so meglio di tutti perché sono felice” poi le manine abbandonarono il
suo viso e salirono a completare il lavoro prima abbandonato.
Mentre
gli legava il nastro con un cipiglio serio serio, Aiolos chiuse gli
occhi sorridendo: si era sempre detto che i bambini erano esseri
straordinari ma mai, fino a quel momento, aveva compreso fino in fondo
in cosa consistesse quella straordinarietà.
“Ora
sei di nuovo incoronato”.
Il
ragazzino riaprì gli occhi, sentendosi invaso da una completezza tale
che quel momento gli sembrò troppo perfetto. Con una mano andò ad
accarezzare il capo del bambino che con un risolino si abbandonò alle
coccole.
Dall'esterno,
con uno sguardo discreto, Shura osservava la scena: sembrava proprio
che tutto fosse tornato a posto. Non era completamente sicuro che
Aiolia l'avrebbe preso in simpatia, ma forse c'era qualche possibilità
in più perché questo potesse accadere.
Si
allontanò a passi veloci, mentre la mano si richiudeva sul nastro
pescato da quel crinale; allora si fermò e lo estrasse per osservarlo.
Ormai non serviva più a nessuno.
Prese
un sentiero che portava vicino al mare e, senza incertezza, dall'orlo
di uno sperone, aprì la mano lasciando al vento quella vecchia striscia
rossa: alzò il naso al cielo, seguendone la traiettoria, e mentre
quello scendeva, strattonato dalle forti folate, si sentì strano, in
preda a una calma irrequietezza.
Ma
scosse quasi subito il capo e quella sensazione svanì nel nulla: fece
dietrofront e decise che, in fondo, non sarebbe stato male fare un
altro tentativo con il leoncino.
Dopotutto,
non era un segreto che i felini fossero il suo punto debole.
EPILOGO
E
poi passarono gli anni.
Giunsero
altri bambini al Santuario. Bambini nuovi e dai caratteri curiosi.
Aiolia
si ritrovò a legare con Milo e Camus, a spiare curioso il mite Shaka e
ad arrovellarsi sui sorrisi misteriosi del piccolo Mu. E poi i
pestiferi Angelo e Aphrodite e il mite Aldebaran che metteva d'accordo
tutti; ci furono anche scontri, piccoli e meno piccoli, ma erano
bambini ... e da bambini tutto è possibile.
E
poi giunse la storia che conosciamo ... e tante, troppe cose cambiarono.
Se
penso a un momento felice, leggero, luminoso, allora mi piace
ricordarli com'erano un tempo ... un po' ingenui e un po' canaglie,
ancora bambini col naso puntato a un futuro assieme.
Come
in una foto color seppia, calda e un po' sgualcita.